MA QUALI SARDINE? QUESTI SO’ BACCALÀ!

  • Pare di assistere alla moltiplicazione dei pani e dei pesci. Anzi, solo dei pesci per come lo “chef-sardina” napoletano quantifica in 700 le poche decine di astanti di Sorrento e visto che di pane ce n’è sempre meno e sempre più saranno quelli che non ne avranno nemmeno un tozzo da poter mettere a tavola visto gli ultimi eventi italiani, dalle chiusure della Whirlpool all’ILVA, dal suicidio firmato MES ai prelievi forzati dalle tasche degli Italiani.
    Ma i pesciolini che si moltiplicano, le Sardine, sono concentrate ad ostacolare, a far guerra non a questi provvedimenti, non al Governo che propone (o meglio assicura) tali indebitamenti senza più respiro, ma all’opposizione. A Matteo Salvini che, al momento, dall’opposizione falcia consensi all’esecutivo Ursula italiano e miete assensi per il suo partito e per la coalizione di centro Destra. Le sardine, però, dicono gli organizzatori, non sono un gruppo politico, ma si occupano dei grandi temi della politica. Quali non si sa. Non sono riconducibili ad un partito anche se tra gli organizzatori c’è chi è alle dirette dipendenze lavorative (?) del prof. Mortadella Romano Prodi, l’euroservo cui dobbiamo dire grazie se un gelato da 1000 lire oggi, chi può permetterselo, lo paga 3 euro. Non hanno un programma né proposte le sardine, visto che il loro unico obiettivo, o meglio sfizio, è quello di contrastare Matteo Salvini. Dunque una vera marcatura, una decisa affermazione di identità. E di peso. Appunto quello delle sardine. Che non si sa chi siano, ma è certo solo ciò che non sono (avete letto la definizione che l’ANPI dà di sé sul sito ufficiale? Noi non siamo…). Hanno idee diverse e sono aperte a tutti: infatti c’è chi proviene dal precariato, chi dai centri sociali, chi dai sindacati e, stranamente, nessuno dissente dal loro (ufficioso) inno: Bella Ciao.
    Così dette sardine oggi scenderanno in piazza anche a Napoli, nonostante qualche cambiaMento di programma. La manifestazione (che loro esclusivamente chiamano flash mob) da Piazza del Gesù è stata trasferita in Piazza Dante. Così, se precedentemente, l’evento poteva apparire come un qualunque giovedì univeristario, in Piazza Dante finirà per arrecare (solo) disagi alla fermata della Metro, ai negozianti ed agli utenti in vista del primo fine settimana di shopping natalizio, quelli che solo ieri non hanno saputo scegliere tra l’ultimo (solo per ragioni temporali) Week for Future e il Black Friday. Da entrambi assoldati.
    Ma il Comune ha deciso così, fanno sapere gli organizza(t)tori. Evidentemente l’esperienza delle nozze trash di Tony Colombo sono state una vera garanzia di successo se questa volta Gigino, da primo cittadino, si espone in maniera tanto ufficiale. Facendo altresì sapere che se presenzierà all’e-vento sarà solo uno dei tanti. Una sorta di paranza, quasi ‘na fravaglia.
    Dunque meglio un eventuale profitto personale rispetto all’utile dei commercianti che già hanno il callo per essere stati ridotti all’osso dalla viabilità paralizzata dell’amministrazione de Magistris. Sempre piu in emergenza… arancione. Forse proprio le sue politiche amministrative che hanno reso l’asse viario partenopeo, dalla Circumvallazione ai corsi principali, dalle strade comunali ai Decumani veri e propri corsi d’acqua, fiumi ingrossati, un mare itinerante a scegliere Napoli come sede del raduno in opposizione dell’oppositore Salvini.
    O, forse, la scelta è stata dettata dai valori che, indiscutibilmente, a Gigino vanno tributati: la prima crociata ittica, DeMa la fece in concomitanza con la sagra del baccalà, nobilitando la mani-festazione BaccalaRe riempiendo, o almeno questo era l’intento, le pance di quelli che avevano e non avevano in mano la forchetta. E se anche dovesse rompersi l’acquario e dovessero fuoriuscire “purpe”, “guarracini” e “scorfani” e pure qualche “zoccola” dalle “saittelle”, ogni scarrafone resterà bell’a mamma soja.
    Napoli culla di civiltà e i napoletani popolo d’amore (altro che Gomorra!) formano un connubio che rende questa meravigliosa città avanti anni luce: già nel ‘700, infatti, sotto il Vesuvio si cantava “LO GUARRACINO CA JÈVA PE’ MMARE/DE LA SARDELLA SE ‘NNAMMURAJE”. E chissà, forse ora come allora, non ci sarà fine in modo compiuto, perché al “cantante” mancherà il fiato, perciò chiederà ai presenti di concedergli una bevuta ristoratrice alla salute dei convenuti. A taralucci e vino, insomma.
    Anche il bacino d’utenza di piazza Dante non sarà tanto diverso da quello di Piazza del Gesù che, tradotto in ittico idioma, significa che con qualche presenza in più, magari proprio con i fedeli di Gigino, se ce ne sono rimasti, o meglio, con gli ultimi rimpastati freschi assegiolati sicuramente avrebbero contributo a riempirla. La vera sfida per le sardine sarebbe stata quella di riempire Piazza della Plebiscito, mai presa in considerazione (chissà perché…) come mai fu vero Plebiscito.
    Dopo Sorrento, avrebbero potuto far apprezzare le bellezze della Costiera ai numerosissimi (dicono sempre le sardine) quantomeno valutando l’ipotesi Amalfi, già gloriosa Repubblica Marinara, ma siamo certi che, anche dopo il raduno odierno, a Napoli si continuerà ad apprezzare una visione di succulento e poliedrico baccalà!

RIMESCITA CAMPANIA

Che alla fine non sarebbe andata a finire così ci credevano solo loro. Il MoVimento 5 Stelle ed il Pd. La Ciarambino e il presidente De Luca. “’a chiattona” e “Vicinez’ ‘o scheriff’”. L’antitesi incarnata, il dualismo (giam)mal conciliante, gli antagonisti di sempre, gli avversari di una vita, lo zoccolo duro e la spina nel fianco.
Dopo anni, un decennio di lotte politiche, di battaglie di Palazzo e di conflitti in Regione, messa al bando la politica politichese, il programma ultra-completamente realizzato, addirittura superato ed in largo anticipo, e quello solo movimentato, abbandonate le ideologie quando nemmeno le post-ideologie sembrano ormai più bastare, Pd e MoVimento 5 Stelle, dopo l’avventura nazionale, dopo l’Umbria potrebbero correre a braccetto anche in Campania. Forse per sorreggersi a vicenda. E se in Emilia Romagna ed in Calabria Giggino Di Maio, il capo-politico in fieri, aveva pensato bene (ma male per gli attivisti della Rousseau) di non candidarsi per nulla almeno per salvare la faccia, in Campania, nella sua terra ed in quella del presidente della Camera Roberto Fico, la faccia deve mettercela per forza. Lo deve, sperando in un poco politico do ut des, ai tanti “amici” che hanno preso il posto a Roma e che, se vogliono conservarlo, devono meglio attivarsi.
Che il M5S non goda affatto di buona salute è cosa nota a tutti: che sia l’inquilino della Farnesina l’inconsapevole colpevole dei malumori, o la gestione accentrata (ed egocentrica e a tratti egoistica) del MoVimento o il recente accoppiamento, rimasto indigesto, con il Pd non fa tramontare l’ipotesi di una alleanza contro il ciclone devastante della coalizione di Centro Destra capitanata da Matteo Salvini che prende forza ovunque e sempre più.
Forse un’alleanza forzata per la sopravvivenza. Ma sotto seconde spoglie.
Tra le fila grilline, infatti, e a guida della solita e immarcescibile Valeria Ciarambino (alla faccia del cambiaMento!) prende piede il nuovo (effimero? All’uopo?) soggetto politico: “Rinascita Campania”.
Stando alle dichiarazioni delle ultime ore dell’esponente stellata, l’iniziativa sta riscuotendo successo, tanto successo (ma adesioni?) da parte della società civile che vuole impegnarsi in prima linea per garantire a Napoli ed alla Campania quella rinascita etica, culturale, economica che merita e solo promessa da troppi anni. Insomma la solita demagogia pre-elettorale che maschera il nulla politico ed il vuoto programmatico.
Stile diverso, ma sostanza (forse) uguale la lista civica sempre e da sempre anelata da Vincenzo De Luca la cui logica conseguenza, dopo aver investito (forse solo speso) mezzo milione di euro in cultura – stando alle cifre dichiarate dallo stesso Governatore – è quella di aprire a personalità della cultura, della musica, dello spettacolo, delle scienze della letteratura.
A benedire la “mescita campana” è il pdino Antonio Marciano che si spinge oltre e propone entusiasticamente di tentare anche a Napoli l’esperienza di alleanza già tentata altrove. Forse ignaro dei risultati (non) conseguiti o conseguenza degli effetti primari della stessa mescita.
In fin dei conti, si prefigura un surrogato della compartecipazione nazionale Pd – 5 Stelle in salsa partenopea, non troppo legata ai simboli di partito che, se sono fin troppo d’accordo e costretti per la sola sopravvivenza all’assalto della coalizione di Salvini e Meloni, meglio tenerli, opportunamente ed opportunisticamente, alla debita distanza onde evitare insopportabili interferenze.
Interferenze non marcate in questi nuovi (?) soggetti politici che servono solo a tenere pulita, nascondendola, la faccia dei big e del partito da quello che, stando ai sondaggi, s’incammina ad essere un altro, ennesimo flop!

https://www.camposud.it/2019/11/rimescita-campania/

L’ASINISTRA ITALIA HITLERIANA

L’ASINISTRATA ITALIA HITLERIANA

Actung! Veramente credete che l’Italia possa partorire un novello Hitler? Intendo l’attuale Italia. Quella che, se fosse come i media davvero ci hanno propinato, avrebbero già catapultato le porte dei palazzi del potere e defenestrato gli okkupanti abusivi.
È notizia di ieri la scoperta di una nuova formazione nazista che si rifà hai miti del Fürer , che aveva stipato il fucile di assalto sul mensolone sopra la porta d’ingresso e che non ha fatto mancare la foto con la faccia di Mussolini sulla copertina in bellavista.
E se non sono state rinvenute cerbottane è solo perché avrebbero dato un tocco troppo gree(ti)n.
A parte che non mi risulta che partiteiche si rifanno direttamente al personaggio tedesco abbiano mai preso posto nel Parlamento italiano, quindi non mi spiego come possa ricondurre questa nuova formazione all’estrema Destra, ma credo fermamente che se davvero almeno uno di loro avesse letto un solo libro di quelli che erano presenti in maniera assai più numerosi di oggetti atti ad offendere, non avrebbe mai associato Hitler a Mussolini. Probabilmente gli stessi libri scritti con la mano sinistra e che circolano nella skuola libera post seconda guerra mondiale. Gli stessi neofascisti di oggi, che pur legittimamente sono stati ammessi ad ogni competizione elettorale, sono stati definiti Fascisti del terzo millennio e gli stessi media hanno attribuito loro la collocazione di estrema destra. I diretti interessati, ad onor del vero, hanno sempre detto di essere Fascisti, non di destra.
Al di là della sensazionale scoperta che non cambierà di certo il corso della storia e non sarà la panacea ad ogni nostro male cui io avrei dedicato per mero dovere di cronaca, sinceramente mi fa più paura che il Presidente del Governo italiano vada da 12000 lavoratori che stanno per andare ad ingrassare le fila dei nuovi povere (perché enti soprannaturali con sede a Bruxelles così hanno deciso) e dica loro di non avere alcun soluzione. Mi fa molto più paura che il Kapo del governo italiano firmi accordi sotto banco per distruggere definitivamente la propria Nazione di appartenenza al solo fine di guadagnare un’altra tappa verso quel processo che porta al istituzione della unione bancaria europea.
Mi fa paura che il Premier della mia Nazione, autoproclamatosi avvocato degli italiani, già avvocato e con tanto di cattedra all’università, dica pubblicamente di voler querelare il capo dell’opposizione per aver detto cose non vere quando in realtà per il reato di falso si denuncia e non si querela. Fossi in lui ci penserei bene ad adire le vie legali contro Matteo Salvini in quanto, forte dei consensi elettorali che ormai raggiungono picchi sempre più alti in maniera costante, egli sta vivendo un momento di successo anche tra le aule di tribunale visto che è notizia recente la sua a soluzione per procedimenti del tutto inventati.
Capisco che ormai la sinistra sia alla deriva , tanto da non trovare un leader degno della loro storia, ma debbono affidarsi a capi inventati a tavolino e precari come i loro concetti. Ecco spiegato i girotondini, il popolo viola, Zingaretti, Martina, Greta, le sardine.
Le emergenze italiane sono altre e ben più serie di un sottoscala con dei libri tutti nuovi, mai spulciati e soprattutto male accostati. Siate seri! La situazione lo richiede necessariamente.

23 NOVEMBRE ’80: CHI HA DITTO CA LA PAURA FA SULO 90?

23 novembre ’80:
chi ha ditto ca la paura fa sulo 90?

‘na bomba, ‘na botta, ‘no truono,
‘na paura senza nome, ‘no dolore senza suono,
90 seconde senza parla’, 90 seconde senza sente,
‘na eternità addò non se capivo niente.
“C’ha successo?” “Che cosa?” “Lo terremoto?”
E ogni comune d’Irpinia a tutti è noto.

23 novembre ’80:
chi ha ditto ca la paura fa sulo 90?

“Fuje!” “Curre!” Lo terrore era ‘n’unica parola:
non te gerave arreto pe’ paura d’esse’ sola.
pe’ lo ccorre annommennave tutte le sante,
senza de te ferma’ contave ancora pe vede’ se ce steveno tutte quante.
Tuorno tuorno era sulo prete, poreva e fumo ianco,
non conuscive a nisciuno pecchè tutto era chino de sango.

23 novembre ’80:
chi ha ditto ca la paura fa sulo 90?

Tanta peskune ‘nderra erano le ccase,
non tinive ‘na porta manco pe’ pote’ dice “Trase!”,
quaccuno deceva “Dormo dindo a la macchina mia”,
l’ate no, tutte quante ‘mmiezzo a la via.
Si aprive l’uocchie vidive le stelle,
sintive le chiante ma, tutte insieme, come stevemo belle!

23 novembre ’80:
chi ha ditto ca la paura fa sulo 90?

Arrevaro le soldate co’ le skatolette e le coperte,
ma tu putive ‘nfoca’ ‘no figlio sulo co’ le bbrazze aperte.
Macerie e prete era tutto: isso steva llà sotto
e tu sintive ca puro lo core se n’asceva da pietto.
Mano a mano ca la speranza deventava dolore
tu priavi ca te lo trovavano…
sulo pe’ ce porta’ ‘no fiore…

23 novembre ’80:
chi ha ditto ca la paura fa sulo 90?

D’austo ‘no furno, de vierno ‘na iacciera: queste le case c’arrevaro, le prefabbricate de lamiera.
Co’ le ‘mbruoglie s’arrevaro a piglia’ lo contribbuto
addeventato casa pe’ poche e fortuna pe’ chi se l’ha fottuto.
“Non ‘mborta, voglio mangia’ pane assutto, ma ha da esse’ lo mio,
tanto prima o poi ogni anema va ‘nnanze a Dio”.

23 novembre ’80:
chi ha ditto ca la paura fa sulo 90?

Domeneca: le sette e trentacingo de la sera,
‘na sera ca spiere ca cchiù non s’avvera,
pe’ la forza c’ha stata veramente troppa,
com’a lo dolore a vede’ le tittere sotta e le pavimente ‘ngoppa,
‘no ricordo da tutte cchiù lontano ca ci sia,
‘no ricordo ancora presente senza manco ‘na fotografia.

23 novembre ’80:
chi ha ditto ca la paura fa sulo 90?

SALDO ITALIA

Eppure credevo che il Governo fosse organo nazionale. Cioè che la rappresentanza maggioritaria degli Italiani (che in Parlamento hanno mandato altri) fosse valido, valevole e rappresentasse il cittadino della Penisola, da Trieste a Palermo.
Non mi dà fastidio la raccolta fondi per aiutare Venezia, che pure è stata colpita da un fenomeno previdibile e non tanto inatteso, ma non da una catastrofe naturale che, Iddio non voglia, non auguriamo a nessuno. Mai.
Dà fastidio che tale raccolta fondi sia stata lanciata dalla Protezione Civile che è dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, o meglio, il fastidio nasce dal fatto che tale questua sia nata solo per Venezia e non per le altre città che sono state colpite in maniera uguale o peggiore di Venezia.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri, il pugliese Giuseppe Conte, dovrebbe essere portavoce dell’italia tutta e garante dell’equità di trattamento degli elettori. Anche di quelli che, per mere ragioni geografiche, conosce meglio. Mi riferisco a Matera, sempre più capitale di certa cultura ormai in scadenza, invasa dall’acqua in maniera più sorprendentemente insolita rispetto a Venezia. Mi riferisco a Napoli dove le scuole sono state chiuse per buona parte della prima metà di Novembre e che continua a sprofondare a colpi di buche e di voragini magistrali. Mi riferisco a Firenze, culla della civiltà rinascimentale tanto caro al professore di Volturara Appula, fucina di beni culturali aiutata, come Pisa, da militari che un Ministro, il (loro) Ministro della Difesa (del proprio alloggio assegnato al marito) pensò bene di snobbare alla parata del 2 Giugno. Mi riferisco ai tarantini ed ai genovesi lasciati con l’acqua alla gola, anche se non proprio colpiti dalla copiose piogge. Colpiti, però, dai rappresentanti (?) del popolo che, ancora una volta, stanno svendendo la Nazione che dovrebbero onorarsi di rappresentare. Se non più nobilmente di servire.
Quella colpita dal flagello meteorologico, dalla piaga della disoccupazione, dalla vergogna della povertà, dalla susseguente criminalità, dall’inevitabile insicurezza, dal logico disagio e che, invece, si ignora. Quella Nazione della svendita per ordine europeo della ferreria di Trieste come della Whirlpool di Napoli, dell’indotto genovese collegato al colosso dell’acciaio del Mezzogiorno. La Nazione cui si offre l’assistenzialismo pietoso del reddito di cittadinanza per metterla a tacere, come se di solo pane vive l’uomo. Eppure l’esecutore materiale del “saldo Italia” è pure Cristiano, Cattolico e vicino al francescanesimo e dovrebbe saperlo bene! Quella Nazione che si gestisce, si usa e non si assiste, quella da cui si trae profitto come con un cliente qualsiasi. E nulla più. Quella che il viaggio da Volturara a Roma passa per Bruxelles. E che si comanda a Roma perché si obbedisce a Bruxelles. Che comanda realmente. Allora in piena autonomia si decide di aderire a piani economici come se la Nazione fosse cosa propria, si modificano e si accettano trattati per trattare i cittadini come sudditi. Come schiavi. Li si vende. Quando va bene. E quando va male li si ignora. Ci ignorano. Se ne strafregano. Tanto ci sostituiscono. Ecco perché mentre 18000 famiglie rischiano di andare ad ingrossare le fila dei nuovi poveri, mentre Venezia riparte dai 20 milioni stanziati dal Governo (nazionale?), Matera conta solo sull’autarchia dell’organizzazione autonoma Sudexit, Napoli nemmeno su quella, il Pd, il copartecipatario abusivo che fa abusivo lo stesso Governo, parla del suo vero ed unico obiettivo: lo ius soli, mascherato da ius culturae. Ovvero delegittimare gli Italiani veri e sostituirli con nuovi occupanti del Belpaese. Portarli in massa, deportarli, farci invadere e consentire di farli fare ciò che vogliono, purché votino. Votino loro. Il solo modo per tornare al Governo. Come se non ci fossero già. Come se non avessero i personaggi giusti nei posti giusti che li mettono nel posto (per gli Italiani) sbagliato nella maniera sbagliata.
Verrebbe da chiedere perché allora simili distruttori ed odiatori d’Italia si presentano agli elettori italiani, perché si sceglie l’Italia come Stato da governare. Forse perché solo nel nostro Paese è possibile tanto schifo. Forse perché nel nostro Paese è possibile trovare tanta immobilità. Forse perché nel nostro Paese si continua a combattere contro una ideologia morta 75 anni fa e ancora viva solo nella mente di coloro che odiano. Altrimenti, in assenza di idee, programmi e proposte, sarebbero morti anche loro. Ecco spiegate le commissioni antiviolenza contro una violenza del tutto inesistente. Ecco spiegato i raduni di piazza contro l’odio da parte di coloro che odiano a loro volta chi non è come loro. Coloro che si ergono a difensori della democrazia, ma non ci pensano due volte a dare addosso a chi dice cose diverse dalle loro.
Forse perché nel nostro Paese gli inoccupati si occupano dell’amministrazione dello Stato per conto dei Giudici e dei Magistrati apolitici e apartitici che fanno politica invece di fare giustizia. E che si occupano esclusivamente di un antipatico e sconveniente Ministro nell’esercizio delle proprie funzioni e premiano un personaggio che dovrebbe essere oggetto di indagini e processi.
E se i giudici esercitano il potere legislativo, l’avvoca(ca)to del popolo esercita il potere esecutivo… dell’obbedienza.
Se poi sei anche un gagà “mevidionale” che per sentirti meno provinciale ed essere ammesso al salotto della catasta e al circolo del bridge, non guasta prendere le distanze dal Sud piagnone d’origine. Che non vuol dire trasferimento a Roma senza ritorno, ma fottere e fottersene se la via d’andata porta ad una terra ormai andata. E che a sentirli parlare sembrano tutti uguali: “l’Italia deve ripartire”. Bistrattato tacco, punta e sulla dello Stivale, che poi non ho mica capito dove cazzo dobbiamo andare.

MERCATO SAN GIACOMO

“Non ci siamo indeboliti, fateli lavorare e poi giudicate”. Queste le “fiche” parole psicogrilline del sindaco Luigi de Magistris in occasione della presentazione del rimpasto numero dieci in anni nove. Trentatrè gli assessori che sono stati cambiati nella sua giunta, numero sintomatico dello stato di salute della squadra arancione che non si riuniva dal 7 agosto e che assume sempre più le sembianze di un “mercato delle poltrone”. Anzi, di una fiera vista la cadenza delle sedute del consiglio comunale. Che si rinnova e ricomincia per finire. Un rimpasto che ha tutto il sapore della “pastetta” e che a 15 mesi dalle nuove elezioni non ha nemmeno il tempo per tentare di imbastire una disperata campagna elettorale. A vedere le new entry, infatti, verrebbe da chiedersi chi potrebbe ancora rappresentare questo Sindaco e la sua (?) giunta (chissà quale delle dieci!) se non proprio una città-contro facendo di Gigino ‘o flop il primo cittadino contro Napoli.
Pezzi interi di società civile, l’intero universo orbitante intorno al civismo, all’associazionismo, al terzo settore, ai “battaglieri” dei diritti civili, vero zoccolo duro del suo elettorato, sono profondamente delusi. Forse definitivamente. Persino Insurgencia appare spaccata! E alita una terribile resa dei conto che, a dire degli attivisti, non sarà… proprio sociale.
Il ripescaggio della grillina Francesca Menna, in fuga dai 5 stelle, ma molto vicina a Roberto Fico – il cui baratto a Sindaco è tutt’altro che sconosciuto – aprirà una falla anche sulla sponda del MoVimento da dove i fedelissimi dell’altro Gigino non spareranno certo a salve.
Persino il presidente uscente De Luca ha smesso di rispondere tono su tono e tenta di badare al suo elettorato (e alla sua ricandidatura) non regalando visibilità gratuita, e forse inutile, al Sindaco arancione.
Intanto Napoli, la terza città d’Italia, sprofonda vergognosamente ed irrimediabilmente in ogni settore: dai servizi, ai trasporti, dai rifiuti al turismo, dalla viabilità alla sicurezza. Tanto che basta un acquazzone – non tanto sorprendente nell’approssimarsi all’inverno – per chiudere scuole e uffici, annegare il bacino d’utenza giornaliero, ritenersi fortunati se gli alberi cadono “solo” sulle macchine e se si riesce ad arrivare sani e salvi a destinazione. DeMa, però, propina a tutti il paese dei balocchi, vieppiù se si trova difronte microfoni e telecamere: dalla Napoli seconda solo al Giappone, a Napoli porto e porte aperte, dalla flotta pro-migranti alla questione San Paolo: dalle rotture con De Laurentis ai fatti dell’impianto sportivo. E se non ha promesso di elargire la patente nautica per girare in città è solo perché la campagna elettorale per le amministrative è ancora lontana. O, forse, così crede lui.
Che stando alle sue ambizioni mai velatamente celate, chissà se ancora gli interessa realmente. Di certo c’è solo il disinteresse, l’abbandono, il tradimento verso una città che sta sprofondando in tutti i sensi. A partire dalle voragini che sempre più copiose si aprono in città, ma anziché chiedere lo stato di emergenza, di proporre una legge ad hoc, di aprire gli occhi per guardare in faccia ai suoi concittadini e alla realtà, Gigino pensa a come rimanere a galla.http://https://www.camposud.it/2019/11/mercato-san-giacomo/

TERZIGNO: LADDOVE LA MONNEZZA NON STA SOLO NELLA DISCARICA

Alla fine le ruspe sono arrivate. E hanno iniziato ad assestare i loro colpi lenti ed inesorabili alle abitazioni di via Panoramica di Terzigno, ridente paesino immerso nel Parco del Vesuvio, a pochi passi dalla Penisola Sorrentina.
Si piccona il tetto e si colpisce i sacrifici di ogni proprietario, si abbatte un pilastro e si tocca il cuore degli inquilini che, ignari, hanno acceso mutui, hanno investito risparmi di una vita, hanno continuato a sacrificare la loro vita di risparmiatori e di lavoratori per guadagnarsi un tetto sulla testa. Onestamente. Non altrettanto onestamente è stata la deontologia del costruttore che ha raggirato 14 famiglie nel lontano 1993, quando ha costruito per vendere case inesistenti. A dir suo consapevoli al momento dell’acquisto. Di rimando lui consapevole di vendere truffa quindi illegalità.
Ciò che stupisce è che se “l’imprenditore edile” non ha truffato (tutti i 14?) gli ignari acquirenti, nessuno tra tecnici comunali, periti edili, geometri, architetti e persino il notaio che ha registrato rogiti con tanto di riferimento della concessione edilizia (misteriosamente sparita poi) che si rifà a precise particelle tutte ricadenti nel comune vesuviano, si sia accorto della truffa operata dalla Futura 2001. Un nome che oggi risuona come una beffa.
A nulla è valsa la mobilitazione mediatica (da La7 a Mediaset), né la presenza del Sindaco e del suo Vice di questo angolo di paradiso di un Sud dimenticato e diversamente noto solo per la discarica satura dove deve essere stipata la spazzatura non solo locale: le ruspe puntuali hanno eseguito gli ordini irrevocabili del ligio Tribunale di Torre Annunziata (NA). Solerzia e pignoleria che suonano come una beffa visto che i togati procedono solo per abuso edilizio, addirittura nei confronti degli ignari compratori che, la legge che vuole essere uguale per tutti, da vittime li “eleva” a carnefici. Cui, quando la precisione è una prerogativa ermellina e persino un’aggravante, addebita ai truffati-sfrattati anche i costi di demolizione e smaltimento delle proprie abitazioni ridotte in macerie.
Nessun procedimento a carico di chi consapevolmente ha truffato né di chi altrettanto consapevolmente ha partecipato alla truffa.
Completamente assenti e non solo fisicamente i politici locali di ogni livello: se i rappresentanti di Provincia e Regione di ogni colore sono silenti (e forse interessatamente disinteressati), quelli nazionali, che avrebbero potuto e dovuto fare bandiera nazionale di questo scempio, non sono da meno: Di Maio, per ovvie ragioni non solo geografiche, è stato quello più largamente invocato, ma se non si è visto alle pendici del Vesuvio, altrettanta è stata la disattenzione, la distrazione verso quella terra, la sua terra, che proprio per il big di Pomigliano d’Arco è stata un serbatoio di voti, la rampa di lancio verso palazzi che lo ha portato ad essere sempre più lontano dalla gente. Questa gente che ha già fatto intendere che voterà scheda bianca alle prossime Regionali, indice dell’interesse della vicinanza della politica ai cittadini, ridotta sempre più a spicciola demagogia e promesse vane.
A giudicare dalla celerità e dalla priorità quasi esclusiva con cui le ruspe su ordine della locale Procura sono entrare in azione, viene da pensare che le 14 case di via Panoramica rappresentano il solo caso di abusivismo edilizio ricadente nella competenza del Tribunale oplontino. Ed ora che certa alacre giustizia ha indagato i “primi” colpevoli, ci auguriamo vada fino in fondo, rettamente, giustamente alla ricerca dei veri colpevoli e non solo di quelli apparenti. Forse troppo comodi e persino accomodanti.

ANCORA UNA BABILONIA

È bastata appena svegli sentire la parola Iraq in una qualunque mattina di Novembre perché in ognuno di noi si mescolassero angoscia, dolore e rabbia, già provati.
E’ bastata sentire la parola Iraq per ricordare quel triste 12 novembre di 16 anni fa. Poco importa che Kirkuk non sia Nassiriya o se è peggio: il solo menzionare questa cittadina o villaggio sconosciuto che sia fa presagire che il prosieguo dell’ascolto non riserverà nulla di buono.
Non ci sono morti stavolta, ma ci sono feriti gravi, come se un uomo lo uccidi solo fermando il cuore.
Insieme con uno Ied, ordigno rudimentale ed imprevedibile, sono saltati in aria pezzi di corpo umano. E quelli che sono rimasti attaccati non serviranno più. Insieme con lo Ied è saltata anche la spavalderia di quelli che, esultando, campano ammazzando, di quei martiri assassini che colpiscono vigliaccamente.
I nostri soldati del 9° Col Moschin e del Comsubin, reparti scelti di Esercito e Marina, sono forze speciali, l’élite e le colpisci sono alle spalle, solo a tradimento, solo vigliaccamente.
Erano a piedi per strada per insegnare alle forze locali come poter stare ancora per strada e portarci di nuovo la gente. In sicurezza. In normalità. Come in mezzo alla gente avevano scelto di stare i Carabinieri e gli altri militari che nel 2003 fecero della caserma Maestrale, nella missione Antica Babilonia, la loro base vicina alla gente. A Nassiriya come in un qualsiasi paese in Italia, dove la caserma è un luogo prossimo alle persone e non un fortino isolato ed inaccessibile.
Perché i Carabinieri e i militari sono questi: gente comune da parte della gente che vuole portare a termine un compito affidatogli, vuole tornnare a casa, magari vuole comprare casa.
E magari a casa ti porti l’esperienza e la sofferenza, ti porti gli occhi di un bambino che ti segneranno fin quando avrai respiro, che ti viene incontro per una comunissima bottiglietta d’acqua e che può farti saltare in aria come un kamikaze, così come può farti saltare dalla gioia dopo un gesto per te semplice, ma per lui vitale. Ti porti la sofferenza per gli occhi di un tuo bambino che non vedi o che non potrai più vedere mentre il destino beffardo ti ha marcato come “il brigadiere dei bambini”. Porti con te i motivi di una scelta che da bancario della Milano dagli alberi di trenta piani ti trasforma in un ufficiale in mezzo alla sabbia e che, purtroppo, diventanno segreti poiché nessuno ha avuto il tempo di chiedere. Di parlare. Di raccontare. Ti chiedi se proseguire nell’impegno, nell’aiuto, nella lotta non sia il modo migliore per onorare quel commilitone con cui hai condiviso l’alloggio e che era diventato più di un amico. Ti chiedi cosa provava il piantone di guardia la sera prima dell’attentato quando tu tentavi di farlo ridere e rilassare, senza tuttavia riuscirci. Ti chiedi cosa abbia pensato alla porta il semplice appuntato dell’Arma quando ha aperto il fuoco contro il convoglio esplosivo per far sì che non perpetrasse all’interno della base, quasi a limitare i danni, ad evitare delle morti, a proteggere quelle uniformi, sconosciute fino a qualche giorno prima. Quelle morti che hanno reso per qualche giorno, per quel giorno, l’Italia davvero una Nazione. Subito dopo a tratti dimentica, a tratti ingrata. Tanto da far pagare i costi per la coniazione di una medaglia commemorativa, per chi l’ha ricevuta, senza interrogarsi sul motivo per cui quel servitore l’abbia restituita. Tanto da processare civilmente un militare e condannarlo a risarcire le vittime di propria tasca, come se qualcuno potesse non chiedersi se un solo uomo possa essere ritenuto responsabile a fronte di 1100 unità impiegate piuttosto che un capro espiatorio. Come se le parole di circostanza in cerimonie ufficiali non siano pronunciate dagli stessi personaggi che scagliano parole pesanti come pietre e che lacerano l’anima. Di tutti, non solo di quelli che hanno la (s)fortuna di poter essere (ancora) identificati con matricola su casco e pettorina, che sempre più spesso diventano le sole “accortezze” fornite dall’Amministrazione. Che vuole ulteriormente disarmarli. Come se non fossero impoveriti già abbastanza. Che non disdegna di rispolverare il ricordo arrugginito una volta l’anno, per riporlo immediatamente nuovamente nel dimenticatoio. Perché per dimenticarli non occorre la targa sul muro ed il tricolore sulla bara così come per ucciderli non serve mandarli negli angoli più violenti della Terra. Difronte a questi uomini, difronte a simili dolori, al posto di tante parole di inutile ideologia e di becera propaganda che qualifica il vuoto umano ed istituzionale il silenzio sarebbe gradito e persino dignitoso. Sarebbe il commiato più meritevole. Quello che ogni soldato non vorrebbe mai sentire. Quel silenzio con cui i cittadini di Nassiriya spostarono, senza parlare, le pietre di ciò che rimaneva della Maestrale dai 19 tricolore sull’avambraccio. Appena placato il boato. Appena scese la calma surreale. Appena la polvere iniziò ad impastarsi con le lacrime.

A BERLINO IL MURO DEL C.

Trent’anni sono un lasso di tempo sufficiente perché del Muro di Berlino non si faccia solo una cronistoria della costruzione, della caduta e la conta delle persone che sono morte attraversandolo e di quelle che si sono salvate.
Trent’anni sono qualche mese in più della vita dello stesso Berliner Mauer, della cementificazione dell’odio e dell’impedimento di andare oltre. Oltre i confini creati, oltre le ideologie che con esso erano crollate, oltre la resistenza che non aveva più ragione di esistere e di resistere, oltre il dolore, oltre l’odio.
Trent’anni è il tempo trascorso dal suo crollo, da quello smantellamento liberatorio del 9 Novembre 1989, ancora troppo vicino per potere essere dimenticato, ma per fortuna non troppo lontano per poterlo ancora negare.
Alla stessa maniera del «Nessuno ha intenzione di costruire un muro» pronunciato da Walter Ulbricht, capo di Stato della DDR e Segretario del Partito Socialista Unitario della Germania il 15 giugno 1961, accade che ieri, 7 novembre 2019, onorevoli rappresentanti della commissione cultura della Camera dei Deputati della Repubblica Italiana si dicano favorevoli al ricordo (della caduta) del muro nel Giorno della Libertà, che come tutte “le giornate di” è una inutile lavata di faccia ed una finta pulitura di coscienza, ma a patto che non si pronunci la parola “comunista”. Fieri sostenitori della “censura rossa” e strenui resistenti del negazionismo bolscevico il deputato Nicola Frantoianni di Sinistra Italiana, l’area più radicale (si potrebbe azzardare anche estre-mista) di LeU, gruppo parlamentare grande quanto una foglia di Fico che gli Italiani nemmeno hanno voluto tra gli scranni del Parlamento e il sottosegretario al MIUR (che è lo scibile!) Giuseppe De Cristofaro ex parlamentare di LeU ed oggi rappresentante parlamentare di Sinistra Italiana. Tutti ex di qualcosa, eccetto che del Comunismo e che sostengono che il 9 novembre di 30 anni fa a Berlino non è caduta la dittatura comunista, ma solo quella del socialismo reale.
Viene di fatto censurata la parola C. proprio dalla commissione che dovrebbe vigilare sull’istruzione, sulla formazione e sull’educazione. Accade a pochi giorni dell’istituzione della commissione Segré, quella che ha voluto mettere sotto scorta i senatori messi già sotto spirito a vita, per minacce ricevute sui social – che comunque censurano chi non è conforme – e dove la senatrice, reduce dal campo di sterminio di Auschwitz, non è nemmeno presente.
Accade nella stessa Italia che non ha ancora finito di svuotare la bocca delle parole di odio di antisemitismo inventato, che vomita altro odio dopo uno sfottò calcistico chiedendo anche l’intervento del Ministro per presunti attacchi razzisti, ma che non mette sotto scorta lo stesso giocatore che “ha subito atti di discriminazione razziale”.
Accade che rappresentanti dell’intellighenzia sinistra avvinazzata dichiaratamente Comunisti – non nostalgici – in Tv, in prima serata, in fascia (non fascio!) protetta (e non solo la fascia) apostrofi “fascio-di-merda” un neofascista coatto che si guadagna la sua comparsata vip in una tv spazzatura che su reti Mediaset ospita la fidanzata (o compagna) dell’ex Chicco Mentana.
Dopo trent’anni dalla caduta del Muro della vergogna ancora c’è chi – inspiegabilmente legittimato – continua a costruire quella cortina che (per i rossi) non è mai stata distrutta e che rischia di diventare inutilmente nuovamente calda, incandescente.
I Comunisti ci sono ancora: purtroppo e per fortuna non c’è più il C. vero, quell’ideologia che si vergognerebbe della sua stessa attuale evoluzione. Quel C. che è riproposto e ancora vivo in Cina, nella violenza per la repressione di piazza, nel pericoloso Vietnam dei sequestri e delle scarse condizioni igienico-sanitario, nella poverissima e arretrata Cuba. Quel C. che si vuole tenacemente salvare e mondare da ogni macchia spacciandolo per dittatura del socialismo reale sempre, pedissequamente, instancabilmente, incomprensibilmente contrapposto al Fascismo di casa nostra, vivo grazie alla sua stessa scomparsa, che fu agnello laddove i regimi del “socialismo reale” sono stati iene. Complessivamente, gli assassinati rossi sono stati 95 milioni di persone in tempo di pace, con genocidi etnici tipo Adolf Hitler, deportazioni, carestie, esecuzioni collettive. La Cina da sola ha massacrato 60 milioni di cittadini. L’Urss di Josif Stalin, 20 milioni. Il Fascismo neppure sfiorò questi eccessi.
Trent’anni è un tempo abbastanza sufficiente per capire che non si può negare ciò che è stato e ciò che è stato è storia. Nel bene e nel male. Che essere dalla parte sbagliata non sempre è una colpa e che essere annoverati tra i perdenti talvolta non è poi tutto questo male.

E (S)PARLIAMO DI BALOTELLI!

Se Mario Balotelli fosse stato davvero discriminato per il colore della pelle non avrebbe avuto l’occasione di diventare un pallonaro strapagato in Italia, di trovare in Italia una madre e un padre che lo hanno adottato e che si sono prodigati, credendo in lui, affinché diventasse il campione che è diventato, di incontrare una ragazza che da lui è stata ingravidata.
Mario Balotelli è un irrispettoso buffone che si crede Dio sceso in terra, che non disdegna di non riconoscere il frutto del suo seme in un ventre italiano, se non a posteriori, che accusa di disinteressamento i genitori naturali (gli Barwuah) che per far curare i suoi problemi intestinali si sono trasferiti da Palermo fino a Brescia, peregrinando per vari ospedali italiani da cui non è stato mai cacciato, che se ne strafrega persino dei segnali stradali sotto cui parcheggia la sua Ferrari (italiana peraltro!), che sfascia spogliatoi dove egli dovrebbe lavorare, non riconoscendo alcun valore nei compagni di squadra, negli allenatori e nei dirigenti che sono i suoi datori di lavoro, che non manca di scagliare il pallone (non suo) verso quei tifosi che gli pagano lo stipendio, facendo di lui solo un nuovo gladiatore nell’arena domenicale, da cui si pretendono solo prodezze e spettacolo, che significa incassi, per continuare a garantirgli la sua esistenza ed entità di mercenario.
Mario Balotelli è a sua volta un’arma nelle mani di coloro che, pur dicendosi antirazzisti, sono i primi che lo usano. Che se ne servono.
Per distrarre.
Distrarre l’attenzione dei veri problemi che attanagliano lo Stivale.
Vorrei sentire parlare di Mario, ma dell’altro Mario, il carabiniere scannato a Roma su cui è piombato un silenzio di tomba e sapere se la vedova (se si può essere vedove a 30 anni e dopo un mese di matrimonio) abbia già iniziato a ricevere la reversibilità dallo Stato, se qualcuno, magari qualche sbirro che rompe le righe, le abbia detto come effettivamente sia morto il marito, se Scalfarotto sia andato ancora dai due yankees nelle patrie galere.
Vorrei sentire parlare di quello Stato a colore LeU, formazione che per volere del voto degli Italiani nemmeno doveva essere in Parlamento, oggi approdato in italiaViva, che si avvale della collaborazione di un portaborse dal curriculum falsato (ma l’ha fatto anche l’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana) e che in realtà era solo il Mercurio di sorella Mafia, il messaggero del ricercato n°1 in Italia, Matteo Messina Denaro. Quella mafia che non esiste più, ma di cui ancora si cercano i picciotti che, però, sono innocui a detta di quello Stato che toglie la protezione a capitano Ultimo, servitore dello stesso stato, il primo ed il solo ad aver arrestato Totò Riina, il Capo dei Capi, il precursore di Messina Denaro, il mandante dell’assassino dei giudici Falcone e Borsellino, delle stragi, che voci di palazzo vogliono siano morti per un incidente sul lavoro.
Lo stesso lavoro che oggi ha ucciso tre Vigili del Fuoco, ferendone un altro ed un Carabiniere. Ma che in realtà sono stati attirati sul luogo di morte da un’esplosione, che pare sia dolosa, cui ne è seguita un’altra azionata con il timer. Dunque un’azione preparata con l’intento di fare male. E la morte è solo il coronamento dell’ottima riuscita del gesto infame e vigliacco che si chiamerebbe assassinio, si chiamarebbe attenato, ma che in questa Italia di chiama “incidente” sul lavoro. E che resterà impunita.
Lavoro che verrà a mancare, uccidendo ancora, gli operai dell’Ilva di Taranto. Che chiude battenti ed apre le bocche di oltre 10mila povericristi tra fabbrica ed indotto. Con annesse famiglie.
Al di là delle colpe che interessano fino ad un certo punto a chi ha fame e che sarà sempre di quelli che c’erano prima, l’Italia senza acciaio sarà una Nazione fottuta, una Nazione più povera e costretta a comprare acciaio dalla Germania pur essendo la Nazione che ne produce più di tutti. E a cui serve più di tutti, avendo un suolo ballerino ed essendo l’acciaio il solo elemento capace di stabilizzare in caso di terremoto. Evidentemente non a L’Aquila, non ad Amatrice, non in Irpinia, non in Lucania, non in Sicilia, distanti anni luce da Taranto che pur si trova nella stessa Nazione.
Ecco perché bisogna parlare di Mario Balotelli e più del colore della sua pelle. E insistere visto che alla mozione Segré, senatrice a vita non per meriti, ma per una disgrazia, nessuno ha creduto. E intervenga pure il Ministro! Dello sport, a minacciare. Tanto in Italia c’è speranza per tutti. E se un bibitaro inoccupato post-ideologico della domenica assurge a Ministro del Lavoro senza aver lavorato mai e a quello degli Esteri senza conoscere nemmeno la lingua madre, immaginate questa Italia cosa possa riservare ad uno che i campi di calcio li calca. Se poi è pure nero…