ADESSO TOCCA A NOI

Alla fine Zelensky non ha chiesto nulla al Parlamento italiano.

Non ha chiesto l’interdizione dello spazio aereo, sottoposto a controllo militare, a tutti i velivoli non autorizzati – gli anglicismi mal li digerisco – non ha chiesto di incrementare l’invio di armi; ha invitato molto retoricamente di inasprire le sanzioni alla Russia e ha ricordato che anche l’Ucraina fece la sua parte con l’invio di medici e paramedici ai tempi (perpetui) del Covid.

Ma soprattutto non ha fatto alcun cenno alla resistenza, nonostante deputati e senatori erano già pronti e proni per eiaculare e qualcunA era pure già inginocchiata.

Probabilmente anche in Ucraina ormai è nota la pochezza dell’attuale classe politica nostrana, tanto da non chiedere nulla e anche difronte al nulla Montecitorio è riuscito a contare niente.

La cosa che più fa male non è l’uscita di Mario Draghi del quale è pur troppo scontata la sua (?) volontà di volerci trascinare in un conflitto perché evidentemente il grado di distruzione del Paese non gli è ancora sufficiente; non è il fatto che, dormendo a Palazzo Chigi, parli a nome dell’Italia e degli Italiani – mi fanno ridere quelli che “non in mio nome” fanno notare che l’ingresso dell’Ucraina nella UE non spetta a lui, ma agli elettori e al Parlamento che ha dato più volte prova di essere un duplice Mario Draghi, come se il liquidatore finora avesse avuto anche mezzo rispetto di uno sputo di legge.

La cosa che più mi fa male è che anche l’Ucraina, come la Russia e la sua “occultata buona fede”, non perde occasione per ricordarci di averci inviato medici, medicine e tutto l’occorrente necessario come se l’Italia fosse al pari del disastrato Burundi. Evidentemente così ci vedono. E, forse, non hanno tutti i torti.

Giovedì partiranno le sanzioni, altre, nuove, inasprite verso Mosca e vuoi che Draghi per l’Italia non faccia la sua parte? Nonostante Putin abbia fatto sapere che ci saranno azioni irreversibili nei confronti di chi applicherà nuove sanzioni, Gigino Di Maio replica che un ricatto del Cremlino è inaccettabile e non intendono cedere: “pure ‘e pullece tenene ‘a tosse” si dice dalle parti di Gigino.

Lo stesso pugno – è proprio il caso di dirlo – duro mi sarebbe piaciuto vedere quando Mosca ha fatto sapere che in caso di ulteriori ostilità potrebbe rivelare ciò che hanno scoperto grazie ai “medici che hanno inviato in aiuto nella lotta al coronavirus”. Ho sempre sospettato che non tutti i russi fossero medici. Ma Mosca da questo affare ne esce ancora più sporca dal come ci è entrata: se mi sanzioni sputo il rospo, ma se fai la brava tu, la faccio anche io. Comprerà il silenzio l’Italia? La Russia glielo venderà? I bensanti putinisti giustificheranno e assolveranno sicuramente lo zar. Che poi sono gli stessi che faticano a trovarci una matrice ideologica in questo prosieguo della guerra fredda che si riscalda ogni giorno di più. D’altronde questa è una guerra e in guerra ci si schiera. Ma non si dovrebbe tifare. A loro che tutto sanno e lo sanno subito vorrei chiedere che cosa fosse successo se gli ucraini non avessero approntato una difesa contro l’invasione. Che cosa se ne farà Putin di una Ucraina da ricostruire. Se saranno sufficienti cinquant’anni dalla fine dell'”operazione speciale” – Putin, non il parlamento, ha previsto l’arresto per chi nomina la guerra – per fare cessare anche l’odio degli ucraini verso la Russia. Come ne uscirà la Russia che conta già otto Generalissimi licenziati da Putin nel bel mezzo di una guerra e qualcosa come diecimila soldati russi morti in un mese. In Afghanistan ne sono caduti quindicimila, ma in quindici anni. Oltre ad un ingente numero di mezzi distrutti. Ma questa è la guerra. E la guerra va fatta così. Più persone ammazzi, prima finisce. E Russi e Ucraini ancora combattono. E sono loro gli unici ad avere ragione. Tutte le ragioni. Più di tutti. Diverse, ma uguali. Distinte, ma altrettanto valide. Professione. Mestiere. Dignità. Identità. Confini. Patria. Sono loro gli unici a poter parlare, ma preferiscono tacere per fare parlare le armi. Come i Generali in tivvù che sono i soli a poter parlare, ma che spesso tacciono. Gli unici a non essere andati nel teatro di Mariupol, a differenza dei soldati del tifo che dal divano sanno dirti anche quanti peli ritrovati. Che professano una guerra con avvertimenti, con accortezza e senza farsi male. E ci credono pure. D’altronde quando si finisce di credere in Dio si comincia a credere a tutto. Si crede alle invenzioni del missile educato che entra in casa e non distrugge i muri, ma non si crede alle bandiere rosse con falce e martello issate in segno di vittoria perché tale è il significato assunto nel secondo conflitto mondiale. Anche da chi non ricorda nemmeno l’Urss. Forse, perciò lo fa. Ma loro no, i tuttodietrologi di Netflix rifiutano il movente ideologico, anche se poi chiamano tutti indistintamente “nazisti”. Ottant’anni dopo. E non si chiedono se quei nazisti, che sono lo zoccolo duro identitario, non possano essere anche il fronte interno duro e puro qualora Zelensky dovesse arrendersi alla Russia. Loro, A3OV, rappresentano la Nazione, l’Idea. Così come i soldati russi. Capaci di sacrificare ciò che di più prezioso hanno, la vita umana, capaci di sacrificarsi per un ideale. Che è un valore. E per questo meritano silenzio e rispetto. Sono loro la meglio gioventù. E se, invece, dovesse succedere anche in Italia?

GUERRA ALLA PROPAGANDA OVVERO LA PROPAGANDA ALLA GUERRA

Più guardo la guerra in Ucraina e più ci vedo il Covid. Che è (stato?) una guerra anch’esso. Osservo le reazioni e vedo che, nonostante sia chiaro persino agli’idioti l’esperimento di ingegneria sociale cui siamo stati sottoposti, le reazioni dell’opinione pubblica sono le stesse, identiche, precise di quelle della pandemia. Ovvero un’emergenza sanitaria globale. Delle dimensioni di un conflitto. Mondiale, appunto.
Hanno diviso la gente prima in no-mask e si-mask, poi in no-vax e si-vax. Ora sono spuntati i si-pax e i no-pax. Ciò che conta è che hanno diviso. Ancora. Di più. Come per il Covid – e non solo per i vaccini – una fetta di gente non parla all’altra. Per un motivo che è uno e che è sempre lo stesso: non si ascolta per capire, ma si ascolta per rispondere, possibilmente male e in maniera definitiva; si deve vincere l’avversario, piuttosto che con-vincere. Che sarebbe una vittoria doppia. Ognuno ha la granitica certezza di aver capito tutto, che, forse, è la sola cosa che si è capito. Senza contraddittorio, senza repliche. Si esclude. Come su un (a)social. Ban. Ma questa è una guerra e in guerra ci si schiera. Una guerra che si vuol (s)piegare alla distorta logica moralista che vede la pace come un valore e non come uno stato. Magari, non si dà valore alla guerra che sfocia conseguentemente nella pace. Così come non si dà valore alla morte, in guerra. Al coraggio. All’accettazione. Alla sopportazione. Di una Idea. Di una Identità. Il tifo dovrebbe venire dopo. Perché si tifa pace anche se ci si schiera con l’aggressore. Perché c’è un aggressore e un aggredito, un provocatore e uno che abbocca. Con grandi sbagli e piccole ragioni o con grandi ragioni e piccoli sbagli. Una guerra che si chiama “operazione militare speciale” e che sa tanto di un surrogato di cancella culture. Quella cultura andata a farsi fottere quando rievochi il Donbass, ma la stessa violenza – se è vero che quelli erano russi e persino gli ucraini sono russi – non può dirsi fratricida, guerra civile, sangue fratello, se a spargerlo è Mosca. Anzi, diventa giusta e necessaria.
Ci avevano già abituato alla guerra, già nella terminologia: virus come minaccia, vaccino come arma, tessera, permesso, road maps, coprifuoco. Perché la guerra era già preparata, da tanto tempo. L’informazione che diviene formazione e la controinformazione giocano un ruolo alternativo col medesimo obiettivo, ma che recitano un copione troppo simile precedente: un buono e un cattivo, senza cercare la verità che sta nel mezzo, due blocchi contrapposti e in mezzo il popolo diviso e inviso a se stesso, la truffa e l’inganno, la versione, che sfiora il complotto, alternativa all’ufficiale che raggiunge l’impensabile, il Bene e il male, il Diavolo e l’acquasanta. E le malattie. Che colpiscono anche i leader. Prima Draghi, poi Bergoglio, adesso Putin. Sta crollando. Sta finendo. Hanno i giorni contati. Il governo cade. Il mondo cade. L’ultimo atto. La canna del gas. Il piano. Trust the plan. Persecuzioni. Arresti. Q. Controfigure al posto dei figuranti. La torre di Babele che brucia. Come tutti carnevali precedenti. E la guerra che non c’è. C’è il giornalista con l’elemento e il gap e la signora con le buste della spesa. Non c’è la guerra. È una guerra che combatte lo stesso esercito. I russi manco ci sono in Ucraina. Ma se ci sono, avvisano prima di bombardare. Anzi, fanno evacuare perché nessuno deve morire. In guerra. Una guerra con gli ospedali vuoti. E se muoiono i civili è perché sono usati quale scudo dagli ucraini. Quelli che sono andati a combattere una guerra già persa. Quelli che attendono dietro la barricata improvvisata, in piedi oltre l’ultimo respiro la mutilazione o, peggio, la morte. Quelli che fermano i carriarmati con armi rudimentali e che hanno lasciato la bella vita comoda fatta in giro per il mondo e hanno portato le chiappe in Patria per difenderla. Se proprio non riusciamo a capirlo, non critichiamo. E se qualcuno riesce a capire e persino a condividere una simile Idea li elevi quali esempio. Proprio qui in Italia. Per primi noi in Italia. Avete mai corso un rischio per una Idea? Qualcuno è disposto a morirci. Quel qualcuno che da qualcun altro è etichettato – vizio tipicamente UE – quale miliziano, addirittura mercenario. Ma non i Ceceni. Quelli che sono andati a portare via dal pantano Putin. Che, se non ha sottovalutato gli ucraini, ha quantomeno sopravvalutato la sua Armata rossa. Quell’Armata rossa che vede un’emorragia di soldati che scappano perché non approvano la guerra di Putin e riparano a Belgrado per poi sparire nel mondo. Si spera. Magari seguaci di quei otto Generalissimi licenziati dallo zar. La Kiev presa e Mariupol assediata dove funzionano i telefoni e arrivano i treni. Ma questo la contro(in)formazione non lo dice. Non lo propaganda. Così come non dice dell’ispezione dei soldati russi al confine alla ricerca di un tatuaggio a loro non gradito sul corpo degli ucraini. Perché Putin è stato chiaro: vuole denazificare! Ottant’anni dopo. Forse ancora troppo pochi per digerire quell’Ucraina schierata proprio a fianco della Germania. Vi fanno più paura i tatuaggi che le bandiere rosse sui carrarmati. Stile Praga, stile Budapest. Nulla di male, per carità, se non fosse che fino a qualche mese fa stavate da quest’altra parte. Vizietto tipico e topico di una certa italietta – perché si chiama così, cari i miei italioti col torcicollo – perché un’altra italietta c’è già stata. E voi ne siete la rifondazione. Eh, ma il Battaglione A3OV in Donbass… è il jolly che si gioca, così come il Nazismo e il Fascismo quando si è in difficoltà. Quel Donbass che conta 4400 soldati ucraini caduti e 6500 filo-russi, oltre a 3404 civili che fanno 1400 morti oltre la stima della stessa contro(in)formazione. Quella contro(in)formazione che spaccia Vangelo per antico Testamento – lì è contenuta la citazione di Putin – che a leggerlo sembra il diario del perfetto guerrigliero. La stessa contro(in)formazione che propina solo A3OV, svastiche e croce celtiche, ma non vi parla di rune, sole nero e Battaglione Militia. Magari un giorno vi dirà che i Leoni della Folgore sono brutti, sporchi e cattivi e che ad El Alamein hanno dato un pessimo esempio – anche loro come gli Ucraini sapevano di perdere, ma non per questo si sono arresi – perché magari anni dopo hanno marciato su Pisa. Probabilmente i contro(in)formatori nemmeno sono mai entrati in una camerata della Brigata o hanno mai aperto un armadietto di un parà. Di cui non mi pare in Italia non se ne vada fieri. Magari a qualcUno verrà in mente di sostituire il basco amaranto col colbacco, ma gli ultrà diranno che è cosa buona e giusta. Così come lo hanno detto del nazionalismo di Putin che, però, veste italiano o del Mc Donald’s in salsa russa: ditemi voi se non è l’altra faccia della me(r)daglia globalista del cibo spazzatura. Quella fetta di mondo che l’Orso ha colpito proprio nel momento maximo di difficoltà per tenerlo ancora un po’ in vita. Come ha fatto esattamente con la NATO che, prima dell’operazione speciale, non aveva più ragione di essere. E così mentre il nuovo inno nazionale è l’osanna allo zar e la preghiera più in voga è lo sputtanamento di Zelensky & Biden pupazzi manovrati – e concordo – fino a quando non rilasciano dichiarazioni imbarazzanti, buone per farvici inzuppare il pane, Usa & Cina – che è il padrone di Putin – s’incontrano per parlare di pace. Ma voi, cultori della ricerca e della comparazione di vecchi fotogrammi divenuto nuovo spo(r)t nazionale, interrogatevi sulla foto sotto riportata. Informatevi. Formatevi. E propagandate. A partire da compasso e squadra sul drappeggio.

ITALO BALBO

Sono d’accordo con Frantoianni.

Dice bene quando dice che, rimuovendo il nome di Italo Balbo dalla cadrega degli aerei di stato, si è evitato una figuraccia internazionale all’Italia e alle Alte cariche istituzioanali:

effettivamente come si fa a presentare con un volo di stato le Alte cariche di uno stato quando un uomo non di stato quello stesso stato lo ha reso Nazione?

Come si fa a giustificare il fatto che un uomo che, in illo tempore, fu accolto dall’altro capo del mondo, quando le navi considerate inaffondabili colavano tragicamente a picco, fece nascere il (suo) mito in America – che gli dedicò una via ancora in vita – e nel mondo dopo le sue temerarie trasvolate dell’Atlantico, da Orbetello a Rio de Janeiro e poi a Chicago, a New York, dove fu accolto trionfalmente come il Cristoforo Colombo del Novecento, mentre oggi il governo dei migliori non apparecchia nemmeno la tavola degli incontri tra le Nazioni?

Con la cancellazione del nome dalla cadrega, Frantoianni, compagno di FiAno compare della BoldrinA, che potrà vantarsi a vita di questA suA unicA gestA, avrà ottenuto il suc-cesso di quando, messi al bando i manganelli, Balbo si inventò lo stoccafisso?

Avrà pure cancellato il nome dall’aeroplanino, ma non lo cancellerà mai nei cieli solcati, ammaestrati e che lo hanno glorificato.

Gheregheghez!

GUERRA È PACE

Oggi s’incontrano di nuovo. Di nuovo per trattare la pace. Oggi potrebbero iniziare a fare sul serio, tant’è vero che le due Nazioni sfoderano i pezzi forti, i Ministri degli esteri, gli omologhi di Gigino, il fagocitatore di cibi esotici durante le cene di gala. Quelli sì che andranno a trattare e a discutere di questioni serie e delicate, al cospetto di Erdogan, quello che, pur non usando le parole di Lavrov, sequestrò 18 pescatori per 108 giorni “solo” perché Gigino non era passato a salutarlo. Eppure noi da Erdogan ci siamo sempre recati con borsoni pieni di soldi per non farci invadere di clandestini, ma almeno per razionarli.
In Turchia, dunque, potrebbero decidersi le sorti dell’Ucraina. E non solo.
Le indiscrezioni confermano che Zelensky – che vuole incontrare de visu Putin – è pronto a trattare sulla rinuncia alla richiesta di entrate nella NATO – dopo che la NATO ha detto chiaramente che non c’è spazio per Kiev (no fly zone! Ovvero nessuno di noi è disposto a morire per voi) – magari rinuncia all’Unione europea, è pronta a dichiararsi neutrale e c’è pure un trattamento di favore da riservare anche alle repubbliche separatiste. Una pace, ma non una resa, dice l’ex (?) comico, che ricorda molto l'”armistizio” no-strano dell’8 settembre ’43.
Certo, una simile accettazione di tali condizioni, già visionate a casa, sono state sicuramente autorizzate da Whasington. Che, dopo aver provocato l’intervento di Mosca, non solo non si è mossa, ma ha addirittura lasciato sola l’Ucraina. La stessa Ucraina che, nella guerra del petrolio, del grano, del gas, delle fonti energetiche, non è che un sanguinoso pretesto.
“Già nelle scorse settimane il Global Times in Cina riportava le previsioni degli analisti di Pechino secondo cui si sarebbe sospinta Mosca ad “approfittare delle tensioni regionali che consentono agli USA, attraverso la relazione con una potenza – la Russia – di condizionarne un’altra, la UE”. Prevedevano che Biden avrebbe fatto capire a Putin che una sua invasione era bene accetta.
In modo più diplomatico, ma non meno chiaro lo stesso concetto veniva espresso da Le Monde che paventava che i russi venissero mossi contro l’Europa dagli interessi americani.
Sull’Indian Express gli analisti indiani avanzavano la stessa previsione, allarmati però dal fatto che così facendo Putin, qualora si fosse imbarcato in una tensione troppo alta, si sarebbe consegnato mani e piedi alla Cina, ma per gli indiani era scontato perché considerano la Russia “un importante attore globale che cerca di allargare la sua sfera d’influenza geopolitica basandosi in gran parte su una logica a somma zero”. Insomma non hanno molta stima dell’intelligenza russa da KGB.
Gli articoli italiani che riportano le informative dei nostri servizi davano per scontata l’invasione dell’Ucraina, ammonendo che non si sarebbe limitata al Donbas e facevano capire che c’era  l’assenso americano.
Dall’Iran Ahmadinejad ha parlato in questi giorni addirittura di complicità diretta tra Putin e Biden.
Infine, Biden non ha perso occasione per ricordare che la Nato non si sarebbe mossa, quindi quasi a tranquillizzare ripetutamente il Cremlino.
Comunque si sia concretizzata quest’intesa strategica Biden-Putin, se sia il frutto di un accordo o di una convergenza oggettiva, quel che ci interessa sono i fatti.
E i fatti dicono che il gas e il carburante sono alle stelle in tutta Europa, e questo non riguarda solo il pieno delle auto ma tutto il comparto produttivo e l’indotto. Dicono che le borse crollano ma solo qui e in Russia mentre volano negli Usa. Dicono che il grano che già scarseggiava e ci costava eccessivamente da quando i cinesi vi hanno messo sopra le mani in Canada, s’impennerà fino a esaurimento scorte se i cinesi s’impadroniranno, come hanno detto, anche di quello ucraino, dopo aver messo le mani sulla Borsa di Kiev.
Se la guerra non si risolve ma tira per le lunghe ci rimetteranno soprattutto gli europei e anche i russi (ma non gli oligarchi che governano la Russia) e ci guadagneranno cinesi ed americani.
In Europa si spezzerà la politica di rigenerazione e il nostro continente verrà, allora sì, commissariato dai soviet della finanza cosmopolita anti-europea.
È sempre la stessa guerra che prosegue e sul terreno gli americani continuano a usare i russi per premerci da est mentre ci spremono ad ovest.
L’Europa stavolta si è comportata bene:
chi sostiene che ce la siamo cercata perché avremmo accettato di sostenere gli americani contro i russi probabilmente non sa proprio di cosa parla. In Germania c’era e c’è un governo pro-russo, la Francia ha riservato a Putin cerimoniali non da Presidente ma da Monarca. Dal 2014 il CFR ha stabilito che il peggior nemico degli Usa non è la Cina ma l’intesa russo-tedesca ed ha operato per spezzarla. Non ha mai trovato sponda a Berlino, spesso a Mosca dove la politica oscilla tra le intese con Washington e con i tedeschi, ma evidentemente la scelta dei russi è subordinata perché si rivolgono a noi solo quando in Usa ci sono i repubblicani, con i democratici c’è sempre Jalta.
Insomma è la Casa Bianca a orientare sempre il Cremlino.
Siccome in politica i toni nascondono la verità, anzi la occultano, è proprio quando s’insultano reciprocamente che russi e americani vanno a braccetto, come ora.
Noi volevamo, e vogliamo, un’intesa stretagica con la Russia in chiave gran continentale, gli americani la temono e offrono altro.
Si noti che è stato proprio Putin a rovesciare il tavolo delle trattative e dell’intesa eurorussa che sembrava risolvere la crisi, affermando che se la sarebbe vista con Biden e procedendo all’invasione.
Mentre l’invasione prosegue e i suo effetti ci strangolano, la Nato – che guarda e ride – si rianima e avanza.
Le provocazioni, specialmente inglesi, sono volte a togliere l’influenza tedesca sull’est, non davvero a minacciare militarmente Mosca.
Non dimentichiamoci peraltro che se i popoli dell’Est vogliono entrare nella Nato non è perché sono corrotti ma perché Mosca non ha mai cessato di considerarli Cosa Sua, come ha appena confermato con i fatti.
In quanto al resto non è assolutamente vero che l’Ucraina sarebbe entrata nella Nato e men che meno che avrebbe installato missili. Ma se anche fosse, i missili sono ovunque, anche sulle frontiere russe, senza contare che quelli più formidabili sono piazzati ben lontano, quindi non ha alcun senso saltare sulla sedia oggi.
I russi non dormono tranquilli per i missili? Da quando, da ieri? E noi che abbiamo testate nucleari russe e israeliane puntate sulle nostre città, e probabilmente inglesi se non hanno smontate quelle del piano atomico “d’emergenza”, oltre a più qualche atomica a stelle strisce sotto le chiappe  che dovremmo dire?
Tutte le giustificazioni dell’invasione russa sono pretestuose e in mala fede.
È una scelta precisa e materialistica che pone di nuovo la Russia in rapporti privilegiati con gli Usa e ambo i compari insieme contro di noi.
Poi ci si può divertire a immaginarsi uno scontro di civiltà tra oligarchi e potenze che continuano a rifornirsi reciprocamente di gas, di petrolio, di informazioni (in Siria c’era il telefono rosso russo-americano) e che lasciano comunque passare armi perché più la guerra continua più fanno soldi, e chissenefrega dei civili e dei fanti!” Che sono i veri vincitori della guerra. Che potrebbero rappresentare il fronte interno con(tro) cui Zelensky combatterà la vera guerra che, adesso, Putin vuole (continuare a) fare. E che sarà stravinta dai nazionalisti, se riusciranno a capitolare a Kiev dopo i 10 giorni di viveri garantiti. Quelli da cui Putin – che sta facendo la guerra – vuole denazificare e che sono gli unici vincitori, gli unici a poter parlare di Patria, di valori – eccetto quello della pace che tale non è – gli unici veri che hanno conservato una Identità.
Quanno fanno sciarre le molenare, attaccateve le sacche (quando i mugnai litigano tieni sotto controllo la farina) diceva mia nonna che non era un’esperta di geopolitica, come non lo sono io per cui ora attendo le analisi politicologiche con annessi intrecci fantasy dei “consumati” periti della novella  geopop che da subito hanno avuto la verità in tasca.

ANCORA GUERRA

Se n’è andato anche il III round che, già dalla terminologia usata, sa tanto di scontro più che di incontro.
Non si tratta la pace, o meglio, la resa incondizionata – perché Putin questo vuole – con una delegazione di secondo ordine. Fosse stata una certa Italia, la resa incondizionata l’avrebbe riciclata come pace, liberazione, ma, per fortuna o purtroppo, non tutti sono quell’Italia.
Chissà se di round ne occorreranno quindici come in Rocky IV, scontro Usa e URSS ai tempi della guerra fredda. Perché ancora di questo si tratta. Una guerra fredda riscaldata. Ancora il mondo diviso in due. Due blocchi contrapposti, una cortina di ferro, nessun muro che tutti hanno voluto buttare giù ad ogni costo, ma era meglio, molto meglio, se fosse rimasto in piedi. Almeno avrebbe fatto da argine, da confine, ora che dei confini se ne fottono tutti. Putin per primo. Capisco la minaccia alla sicurezza, i missili a 300 km da Mosca, capisco tutto, ma non quando tutto ciò avviene in casa d’altri. Che è altro dalla Russia. Putin avrebbe anche ragione, ha ragione, ma fino all’invasione. Con il suo sconfinare in Ucraina, ha sconfinato nel torto. È caduto nel tranello della provocazione o è stato abile a sfruttare una situazione per mettere a punto qualcosa di già pianificato, lo vedremo.
Ma mentre fai una guerra, riesci anche a pianificare di sganciarti dalla rete internet mondiale, mondialista, per inaugurarne una intranet, interna, controllata e pure limitata. Forse sarà anche un bene, ma per lanciarla a guerra in corso, allora vuol dire avevi già pianificato il tutto. E se insieme con l’intranet russo, limiti anche la presenza di cronisti in Russia, allora il controllo diventa censura. Punita con una quindicina d’anni di reclusione nel caso in cui diffondi falsità che potrebbero essere anche “verità di stato”. Pensiero unico e conformato. Come la commissione contro le fake a casa nostra. Certo, ognuno a casa propria fa ciò che vuole e non è detto tutti debbano vivere in democrazia, soprattutto se la intendiamo all’italiana o all’americana. Tali decisioni in concomitanza di una guerra, però, lasciano quantomeno riflettere. Se poi le uniamo con la censura, con le limitazioni, con le dichiarazioni di una lista di Paesi nemici e amici, allora ci sono tutte le premesse per la spartizione di terre, zone d’influenza, alleanze che concorrono alla creazione di un nuovo ordine mondiale geopolitico. Commerciale. Che si contrappone a quello “morale”, economico di stampo massone giudeo-americano.
Tra i due pretendenti, tra i due prepotenti, tra i due imperialismi perché di questo si tratta, ma con tanto di mascherina – a questo punto va legittimato anche Erdogan ed il suo sacrosanto diritto di voler rifondare l’impero ottomano – in mezzo ci sono i popoli e le Nazioni, ci sono le sovranità e le identità. Come l’Ucraina, che in lingua di Putin vuol dire “periferia”. Tutti sapevano che Putin, prima o poi, avrebbe attaccato. Sin dal 2005 nel discorso alla Nazione cui non arriva il torcicollo di quella gente abituata a vivere guardando solo al passato ma non tutto, quando parlava di decomunistizzare l’Ucraina, ovvero di cancellarla dalle mappe geografiche. Sin dal 2014 quando con una rivoluzione sorosiana si inventò il pupazzo Zelens’kyj che sostituì Yanukovich, pupazzo di Putin che lavorava per la capitolazione dell’Ucraina. Quell’Ucraina che da allora tenta di difendere con il sangue contro l’oro la propria Patria, le proprie radici e la propria identità. Che oggi diviene modello di patriottismo, inconcepibile per un Occidente – meglio uccidente per dirla con Sermonti – ormai troppo disabituato alla Politica dell’Idea, malato di leaderismo, tifoso inguaribile in perenne attesa del messia liberatore. Dipendente da tutto ciò. Capace di voler spiegare, secondo gli uccidentali canoni morali, anche la guerra. Putin=buono, Biden=cattivo, Ucraini=nazisti. Cazzarola, stavolta rappresentati senza elmetto di ferro in testa, come da narrazione sovietica. Furono loro ad entrare ad Auschwitz, non gli americani. Loro che trovarono le immagini che i tedeschi giravano, mentre erano intenti a fare una guerra mondiale. Loro a contare i seimila ebrei bruciati, ma che ai tedeschi servivano vivi nei campi di lavoro.
Drogati e nazisti, dice oggi Putin. Che se poi dovessero spiegare cosa sia il Nazionalsocialismo si limiterebbero a dire pressappoco che è un sinonimo di razzismo. Proprio quella razza cui si fa cenno col termine edulcorato di “russofono”. Che, come tali, sono perciò fratelli. Da bombardare, però. Ma solo i militari. Che sono pure civili. Perché Putin avvisa prima di bombardare. E bombarda solo obiettivi militari. Dove ci sono anche i civili arruolatisi. Che i nazisti onnipresenti e immortali camuffano in laboratori di armi chimiche, ma sempre a casa loro. Ci sta, è la guerra. Ma che non dev’esserci se qualcuno in guerra con la morte dà un senso alla propria vita. Allora no, perché Putin non c’è in Ucraina. Lì si combattono nazisti contro nazisti, due frange dello stesso esercito. E le immagini che ci propinano non sono vere. Così come non è vero che gli Ucraini stanno lottando con le unghie e con il sangue contro l’invasore.
2500 anni fa, Eschilo ebbe modo di dire che la prima vittima della guerra è la Verità: beh, se siete stanchi anche dalle tante foto che arrivano da Mariupol, da Kiev, da Volnovakha dei rifugi metropolitani, di bambini con gli orsacchiotti trite e ritrite, ritoccate come e più delle tante damine al cui strazio il loro cuore gentile potrebbe non reggere, considerate pure vera questa foto. Almeno nel significato del disperato amore.

GUERRA ALLA PACE

Se n’è andato anche il III round che, già dalla terminologia usata, sa tanto di scontro più che di incontro.
Non si tratta la pace, o meglio, la resa incondizionata – perché Putin questo vuole – con una delegazione di secondo ordine. Fosse stata una certa Italia, la resa incondizionata l’avrebbe riciclata come pace, liberazione, ma, per fortuna o purtroppo, non tutti sono quell’Italia.
Chissà se di round ne occorreranno quindici come in Rocky IV, scontro Usa e URSS ai tempi della guerra fredda. Perché ancora di questo si tratta. Una guerra fredda riscaldata. Ancora il mondo diviso in due. Due blocchi contrapposti, una cortina di ferro, nessun muro che tutti hanno voluto buttare giù ad ogni costo, ma era meglio, molto meglio, se fosse rimasto in piedi. Almeno avrebbe fatto da argine, da confine, ora che dei confini se ne fottono tutti. Putin per primo. Capisco la minaccia alla sicurezza, i missili a 300 km da Mosca, capisco tutto, ma non quando tutto ciò avviene in casa d’altri. Che è altro dalla Russia. Putin avrebbe anche ragione, ha ragione, ma fino all’invasione. Con il suo sconfinare in Ucraina, ha sconfinato nel torto. È caduto nel tranello della provocazione o è stato abile a sfruttare una situazione per mettere a punto qualcosa di già pianificato, lo vedremo.
Ma mentre fai una guerra, riesci anche a pianificare di sganciarti dalla rete internet mondiale, mondialista, per inaugurarne una intranet, interna, controllata e pure limitata. Forse sarà anche un bene, ma per lanciarla a guerra in corso, allora vuol dire avevi già pianificato il tutto. E se insieme con l’intranet russo, limiti anche la presenza di cronisti in Russia, allora il controllo diventa censura. Punita con una quindicina d’anni di reclusione nel caso in cui diffondi falsità che potrebbero essere anche “verità di stato”. Pensiero unico e conformato. Come la commissione contro le fake a casa nostra. Certo, ognuno a casa propria fa ciò che vuole e non è detto tutti debbano vivere in democrazia, soprattutto se la intendiamo all’italiana o all’americana. Tali decisioni in concomitanza di una guerra, però, lasciano quantomeno riflettere. Se poi le uniamo con la censura, con le limitazioni, con le dichiarazioni di una lista di Paesi nemici e amici, allora ci sono tutte le premesse per la spartizione di terre, zone d’influenza, alleanze che concorrono alla creazione di un nuovo ordine mondiale geopolitico. Commerciale. Che si contrappone a quello “morale”, economico di stampo massone giudeo-americano.
Tra i due pretendenti, tra i due prepotenti, tra i due imperialismi perché di questo si tratta, ma con tanto di mascherina – a questo punto va legittimato anche Erdogan ed il suo sacrosanto diritto di voler rifondare l’impero ottomano – in mezzo ci sono i popoli e le Nazioni, ci sono le sovranità e le identità. Come l’Ucraina, che in lingua di Putin vuol dire “periferia”. Tutti sapevano che Putin, prima o poi, avrebbe attaccato. Sin dal 2005 nel discorso alla Nazione cui non arriva il torcicollo di quella gente abituata a vivere guardando solo al passato ma non tutto, quando parlava di decomunistizzare l’Ucraina, ovvero di cancellarla dalle mappe geografiche. Sin dal 2014 quando con una rivoluzione sorosiana si inventò il pupazzo Zelens’kyj che sostituì Yanukovich, pupazzo di Putin che lavorava per la capitolazione dell’Ucraina. Quell’Ucraina che da allora tenta di difendere con il sangue contro l’oro la propria Patria, le proprie radici e la propria identità. Che oggi diviene modello di patriottismo, inconcepibile per un Occidente – meglio uccidente per dirla con Sermonti – ormai troppo disabituato alla Politica dell’Idea, malato di leaderismo, tifoso inguaribile in perenne attesa del messia liberatore. Dipendente da tutto ciò. Capace di voler spiegare, secondo gli uccidentali canoni morali, anche la guerra. Putin=buono, Biden=cattivo, Ucraini=nazisti. Cazzarola, stavolta rappresentati senza elmetto di ferro in testa, come da narrazione sovietica. Furono loro ad entrare ad Auschwitz, non gli americani. Loro che trovarono le immagini che i tedeschi giravano, mentre erano intenti a fare una guerra mondiale. Loro a contare i seimila ebrei bruciati, ma che ai tedeschi servivano vivi nei campi di lavoro.
Drogati e nazisti, dice oggi Putin. Che se poi dovessero spiegare cosa sia il Nazionalsocialismo si limiterebbero a dire pressappoco che è un sinonimo di razzismo. Proprio quella razza cui si fa cenno col termine edulcorato di “russofono”. Che, come tali, sono perciò fratelli. Da bombardare, però. Ma solo i militari. Che sono pure civili. Perché Putin avvisa prima di bombardare. E bombarda solo obiettivi militari. Dove ci sono anche i civili arruolatisi. Che i nazisti onnipresenti e immortali camuffano in laboratori di armi chimiche, ma sempre a casa loro. Ci sta, è la guerra. Ma che non dev’esserci se qualcuno in guerra con la morte dà un senso alla propria vita. Allora no, perché Putin non c’è in Ucraina. Lì si combattono nazisti contro nazisti, due frange dello stesso esercito. E le immagini che ci propinano non sono vere. Così come non è vero che gli Ucraini stanno lottando con le unghie e con il sangue contro l’invasore.
2500 anni fa, Eschilo ebbe modo di dire che la prima vittima della guerra è la Verità: beh, se siete stanchi anche dalle tante foto che arrivano da Mariupol, da Kiev, da Volnovakha dei rifugi metropolitani, di bambini con gli orsacchiotti trite e ritrite, ritoccate come e più delle tante damine al cui strazio il loro cuore gentile potrebbe non reggere, considerate pure vera questa foto. Almeno nel significato del disperato amore.

UNA GUERRA D’ALTRI TEMPI DIETRO L’ANGOLO: Una storia che non c’entra niente. O forse si !

Ci sono eventi che per comprenderli non sempre è sufficiente farli coincidere con l’anno zero di chi vuol capire. Penso ai figli e ai nipoti degli esuli giuliano-dalmati, penso ai figli e ai nipoti dei partigiani, tanto per rimanere in Italia: entrambi nati, dopo determinate vicissitudini storiche, che, anche se non vissute sulla propria pelle, fanno irrimediabilmente parte del proprio DNA, sono corredo della propria esistenza e della propria evoluzione. Penso all’assedio di Leningrado, dove i Russi persero 700mila vite umane e a qualcuno toccò di subire perdite da vicino. Un padre, un fratello mai conosciuto. A questo dramma familiare, se ne aggiunse un altro, quello della dissoluzione dell’Unione Sovietica, una seconda grande madre per tanti russi. Questa è l’inizio della storia di Vladimir Putin, figlio e orfano dell’assedio di Stalingrado e dell’Urss, all’epoca capostazione del KGB a Dresda che, dopo l’assedio, tornò a vivere a Leningrado. Il suo unico bene consisteva in una vecchia Volga tanto che, non sapendo come sostenere se stesso e la sua famiglia, pensò di mettersi a fare il tassista.
Tutta questa psicologia contorta non giustifica, non sminuisce né gratifica il Presidente russo, tuttavia, può aiutare a farcelo comprendere meglio. Quando l’Urss crollò e tutti abiuravano deponendo i quadri di Lenin, di Stalin, di Marx, la sola struttura che rimase in piedi fu il KGB, una sorta di enclave dell’Urss, mentre Putin rispose con la collocazione del quadro di Pietro il Grande, ribadendo, in più occasioni, che non si può non rimpiangere il culto dell’Unione Sovietica.
È indicativo a tal proposito che nella parata dello scorso maggio per celebrare la vittoria sul nazifascismo abbia ridato alla Marina Militare il simbolo della falce e martello, mentre altri reparti militari indossano il nastrino giallo e nero, i colori dello zar. Però a far paura sono le parate del presidente Xi Jinping in una Cina (a)spettatrice, dove il Comunismo si chiama repubblica popolare o forse più le rune al braccio dei nazionalisti ucraini.
Sintetizzando, si può dire che la politica di Putin è un meticciato di Comunismo stalinista (rifiuta Lenin) e imperialismo – dove quest’ultimo elemento è prevalente- con una concezione della politica estera che si riferisce al panslavinismo, ovvero il desiderio (utopico?) di creare un’area di influenza geopolitica che coincida con la vecchia Urss – diciamo pure una rifondazione – e che comprenda le regioni baltiche, la Moldova e le repubbliche centrali dell’Asia e del Caucaso.
In quest’ottica si spiegano le affermazioni nel discorso alla Nazione del 2005, quando Putin ebbe modo di affermare che “l’Ucraina indipendente e separata dalla Russia esiste solo perché fu creata da Lenin dopo la rivoluzione comunista”. Quella stessa Ucraina che iniziò a minare la potente Urss che è la stessa che, durante il Secondo conflitto mondiale, si schierò dalla parte dei nazisti nella Waffen SS di Hitler. La stessa Ucraina che oggi Putin vuole “denazzificare” – fosse accaduto in Italia, si sarebbe parlato di “defascistizzare” – che “è uno stato corrotto e comandato dagli americani, che cerca senza successo di fare i conti con il suo passato sovietico. «Volete la decomunistizzazione? Siamo pronti a mostrarvi cosa vuol dire davvero decomunistizzazione» ha detto. È una delle giustificazioni principali di Putin per l’invasione: se l’Ucraina è stata creata dal comunismo sovietico, la decomunistizzazione significa cancellarla dalle mappe”. Indubbiamente l’Ucraina attuale è a guida americana con un presidente comico di professione che è il fantoccio delle rivoluzioni colorate di Soros, ma l’Ucraina non è solo il suo governo. L’Ucraina è terra e popolo, quello che ha conosciuto gli anni del Comunismo più buio e che se ne guarda salvaguardando la propria identità, mentre il presidente russo continua a trincerarsi nel suo castello, co­ntornato di yes man (non è un caso che è amico di Berlusconi) che gli danno una errata concezione de­lla realtà in cui può ancora trovare att­uazione il progetto – utopico, ma solo perché comunista – de­lla Grande Russia pr­erivoluzionaria. Un modo per dare smalto al suo potere che sta perdendo consenso, dopo vent’anni di regno: il gradimento per l’invasione del­l’Ucraina si attesta ben al di sotto del 53% rispetto a quel­lo di fine anno (fon­ti russe!), nonostan­te abbia contribuito a ridare orgoglio al suo popolo. Lo ste­sso orgoglio di esse­re popolo, di avere un’appartenenza a ra­dici di una Nazione e nel difendere la propria identità come stanno facendo gli Ucraini. Inconcepibi­le per certi Italian­i, ormai da troppo tempo disabituati alla Politica dell’Idea, dei Valori, dell’E­ssere e delle Identi­tà. Perennemente in attesa di un messia liberatore e dipende­nti da qualsiasi cosa sia altro da se st­essi e ciechi e muti verso chi si da(va) fuoco in piazza e si suicidava in mille altri modi, che scu­oteva la gente invit­andola a insorgere contro il fatalismo. Una vita trascorsa, ma non vissuta a ver­gognarsi di se stess­i, trascorsa perenne­mente con il torcico­llo che, oltre a non far guardare avanti, non offre nemmeno una visione a centot­tanta gradi di ciò che è stato il passat­o. Perennemente spre­cata a tifare per il bello, il simpatico, il front man, la donna, il dissenso. Intrisi di quella nar­razione che vede com­plotti orditi, anche se non dovesse funz­ionare lo scarico del bagno o un nuovo ordine mondiale se qu­alcuno propone lo sp­ostamento dell’ascen­sore del condominio. Questa mancata “pro­ntezza ideale e inte­llettuale” porta al più a essere spettat­ori paganti, con le proprie terga, dove il protagonismo e la partecipazione si limitano al solo tifa­re, immediatamente dopo aver passato alle etichettature come una unione europea qualsiasi: Putin è sovranista, Biden è massone, gli Ucraini sono nazisti. Che il mainstream e la con­troinformazione hanno raccontato battersi contro altri nazis­ti. Ma quanti sono questi nazisti? Chied­iamolo a quel mainst­ream che racconta che non c’era stata al­cuna invasione, pard­on, sconfinamento che è più politicamente digeribile, e che a fronteggiarsi sono solo frange fratric­ide dell’esercito de­lla stessa nazione. E di qui anche il te­ntativo di far rient­rare nei vostri (?) canoni morali e perb­enisti anche la guer­ra.
Con tale mente petalosa non si riuscirà mai a capire un anziano che a settant’anni impara a costruire molotov, donne (il 35% dell’esercito ucraino) che imbracciano fucili, genitori che non imbarcano i figli sui treni perché quella è la loro terra e va difesa, Ucraini che combattono quasi corpo a corpo per il suolo natio, che vanno incontro ai carri armati cantando l’Inno Nazionale. Eppure una gioventù che è andata incontro alla morte cantando ce l’abbiamo avuta prima di loro. Questa è la storia. Il mondo è di nuovo diviso in blocchi contrapposti: finora ci sono stati i pro vax e i no vax, ora abbiamo i no pax e sì pax. Se uno dei due rappresenta un pericolo, non ci si deve necessariamente schierarsi con l’altro, non sempre se l’uno è il bene, l’altro deve per forza essere il male. In medio stat virtus: e in mezzo a Usa e Russia c’è proprio il popolo ucraino.

 

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