E QUINDI USCIMMO A RIVEDER LE STELLE

​QUINDI USCIMMO A RIVEDER LE STELLE

Il 25 marzo u.s. è tornato a riunirsi il Parlamento italiano per la prima volta dopo l’esplosione del contagio del Coronavirus in Italia. E questa è la vera notizia che, in sé, non dovrebbe neppure far notizia. Il 25 marzo, però, non avrebbe dovuto essere lo start-up day, forse più pit-stop, del governo giallorosso, bensì il Dantedì, ovvero l’inizio delle celebrazioni per il settecentesimo anniversario della morte del Sommo Poeta. E tutte da svolgersi in Italia, non come accaduto per il cinquecentenario in ricordo di Leonardo da Vinci, delocalizzato in Francia in stile Monalisa.
Un 25 marzo mondiale, partito ufficialmente dal Ministero per i beni e le attività culturali e definitivamente approvata dal Consiglio dei ministri il 17 gennaio 2020 su idea del giornalista e scrittore Paolo Di Stesano per ricordare l’inizio della discesa agli inferi di Durante Alighiero degli Alighieri e per convenzione in giorno di inizio della Divina Commedia.
Commedia divina, invece, quella di cui sta rendendosi protagonista l’Esecutivo II secondo il de-cretino avvocato non dantesco, ma del popolo Conte Giuseppe circa la gestione della suddetta emergenza sanitaria. Nome in codice Covid-19.
Commedia aspra e chioccia la gestione dell’emergenza tra elargizioni pecuniarie (manco fosse la fu Inquisizione!) e materiali (dispositivi DPI a quintali) dell’inquilino della Farnesina dalla Cina alla Tunisia passando per la Colombia. Tanto i medici nostrani, quelli in attesa del “posto” per dirla alla Di Maio maniera, arruolati, o meglio auto-arruolatisi, per combattere in sostituzione di quelli che hanno già combattuo e sono caduti per colpa del vairus (cit.) li ripaghiamo con “vitto, alloggio e rimborso spese”. E divina perché sta mandando parecchi connazionali al Creatore. Proprio Quello cui Dante tendeva.
A guardare bene, gli emicicli di Palazzo Madama e di Montecitorio ricordano non poco la struttura a gironi dell’inferno dantesco e, mai come ora, sono tanti quelli che vorrebbero al posto degli stenografi d’aula – pianisti (non politici) per i più – un Minosse che “ringhia, con una lunga coda che avvolge attorno al corpo tante volte quanti sono i Cerchi che il dannato (politico), che gli confessa tutti i peccati, deve scendere”.
Chissà cosa penserebbe oggi l’amante dal dolce stilnovo di Beatrice di quell’Italia già serva e di dolore ostello, quale la ricetta divina per una Vita Nova. Proprio egli che è stato Patriota ante litteram, di una Patria che ancora doveva essere creata geograficamente eppure precursore dell’unità di linguaggio, principio di ogni comprensione. Chissà quale l’invettiva, non solo nel canto VI di ogni cantica, per questa sua Italia ormai “donna malata che non trova più pace”. Quante terzine a rima alternata per descrivere l’attuale selva oscura, quanti Ciacco e chissà se il Conte… sarebbe ancora solo Ugolino! A quale “Caron dimonio con gli occhi di bragia che batte col remo chiunque si adagia” affidarci per raggiungere l’altra sponda, quale il Virgilio che “cammina di notte, e porta un lume dietro di sé, e con quel lume non aiuta se stesso. Egli cammina al buio, si apre la strada nel buio ma dietro di sé illumina gli altri” e sperare di ritornare ad essere quel faro per il mondo che era l’Italia. Quella speranza virtù teologale cristiana persa e persino ottemperata ai DPCM per cui anche la fede urbi et orbi viene sospesa e le chiese, luoghi di miracoli, vengono sigillati. Persino la mariana Lourdes, luogo di miracoli per eccellenza viene vietata, l’acqua santa stipata in fieri che con l’acqua corrente si finisca di “lavare spesso le mani” – novella giaculatoria – e si ritorni a segnarsi col segno della croce. Poi, però. Quando, se non serve più, servirà sicuramente di meno. Il potere spirituale che si uniforma al potere temporale senza forma e fermo con una firma. Di un non eletto che ci ha costretti ad una laica clausura. Un po’ come l’esule Dante. E ci ha illusi con la speranza non catto, ma unica che sa di peccato e di segreto confessionale. “Ma vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”. Solo che Patria e futuro sono affari tremendamente seri, sacri come lo è la vita. Come Dante, primo Italiano tra gli Italiani, filologo, poeta, scrittore, politico, persino populista e teologo. Cattolico. Radice della stirpe italica e dell’immenso patrimonio culturale tramandatoci. Di un inestimabile valore tanto da rappresentare persino una minaccia a causa dei suoi scritti senza dei quali nemmeno riusciremmo a capirci e che si vuol vietare in nome di un moderno indice di una novella inquisizione. Dante Alighieri da settecento anni continua a dare tanto ad ognuno di noi, non solo in Italia, ma nel mondo intero e va onorato come gli si addice! Uscendo dalla “natural burella” che a “dire è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier mi rinnova la paura” che conduce alla “retta via” per uscire a riveder le stelle, quelle belle, quelle che brillano forte in una notte oscura e non quelle cinque di prossima futura e già avvenuta polverizzazione.

E NON CI INDURRE IN RIFLESSIONE

E NON CI INDURRE IN RIFLESSIONE

Se in piena emergenza sanitaria globale possiamo constatare che, purtroppo, la medicina non è una scienza esatta, le nostre uniche certezze sono rappresentate dalle riflessioni che, però, principiano dai dubbi, vero motore del pensiero quindi della conoscenza.
Mentre tutti siamo reclusi in casa con il pensiero fisso a come salvarci la vita e non attentare a quella altrui, magari proprio dei nostri cari più prossimi, tutto il resto non rappresenta più una priorità.
Lo stesso Coronavirus, assurto a emergenza sanitaria che ha messo in chiaro l’emergenza organizzativa e strutturale di decenni di mala gestione della nostra Sanità, altro non potrebbe essere che un’arma di distrazione di massa.
Ci è facile sentire persino dalle nostre abitazioni, divenute solitario luogo di rifugio, le sirene delle innumerevoli ambulanze a ogni ora del giorno e della notte, che a sentirle bene – se non se ne è nauseati – hanno lo stesso rumore dell’avviso antiaereo dell’imminente bombardamento e del rinchiudersi nei rigugi. Altri feriti sul campo, altri caduti. Stavolta in Patria.
Così l’assordante silenzio delle nostre case, deve per forza essere rotto da comuni “sceneggiate” dai balconi. Per un briciolo di normalità, per quel sapore di aria di libertà negata e, ora, addirittura infausta. Balconi che l’attuale governo aveva pensato di tassare se avessero proiettato ombra sul suolo pubblico. Mentre ci confinano tra quei muri che trasudano mutuo e sudore che non sappiamo se e quando riusciremo più a pagare e ci distraggono con l’arte portata in casa e la cultura a domicilio sul divano, tentano di non farci più pensare: a scuola, il cui unico compito dovrebbe essere quello del leggere e comprendere, quindi di riflettere, non ci fanno più accedere ed è stato uno di primi posti a essere chiuso. In mancata ottemperanza del mantra governativo “il vairus non colpisce i bambini”. Forse proprio per i bambini bisogna essere positivi, ma è davvero difficile farlo in un’epoca dove anche la positività è guardata come una minaccia.
Minaccia che non ignorava di certo il premier Conte che, già in Gazzetta Ufficiale del 31 gennaio scorso, dichiarava l’emergenza sanitaria della durata di sei mesi, sottovalutata visto i tempi e i modi di reazione alla mancata organizzazione. Evitata da Zingaretti e compagni che, da Segretario di una delle due forze di governo, invitava tutti a uscire e, tra gli abbracci finti come certi oggetti cinesi, degustare involtini primavera. ​ Mentre la Nazione veniva avvolta dalla sua di primavera, araba solo per chi prediligeva un inesistente razzismo ai danni del Covid-19, a sua volta, ai danni dell’Italia. Nessuna riflessione da parte del ministro degli esteri Luigi Di Maio che, in quanto esterofilo, inviava tonnellate di materiale sanitario alla Cina ad emergenza nazionale (la sua!) dichiarata. Rendendo, di fatto, i nostri camici bianchi soldati in guerra senza equipaggiamento. Un po’ come quelli sognati e realizzati dal Premier e dall’ex ministro Trenta, “impiegati nelle retrovie a parlare di pace”. ​ Forse, sono i decreti non letti, o quelli del suo stesso Governo a mandare in confusione la gente. Quelli annunciati a tarda sera senza essere promulgati e quelli già in vigore senza essere stati approvati. Chissà quale riflessione avrà fatto il ministro Speranza a vedere i medici in corsia coperti da buste della spazzatura, quei medici ammalati e positivi, quelli reclutati dalla pensione che vanno a salvare i loro coetanei, quelli chiamati dall’inoccupazione a salvare vite umane, ciò per cui hanno affrontato sacrifici, e che adesso sono ripagati con vitto, alloggio e spese di viaggio. Sapendo già che sarà una battaglia non persa, ma mai ingaggiata. Per loro, per i vecchi, non ci sarà posto in ospedale. Per loro, per i vecchi non ci saranno cure e respiratori. Un palliativo è rappresentato dai tamponi che permette di riconoscere il Covid anche nei soggetti asintomatici, ma i pluridecennali tagli al settore hanno fatto sì che mancano i reagenti ed i tecnici di laboratorio per analizzarli. Di qui l’invito obbligatorio a restare a casa, emarginando gli ammalti, ma non il virus che continua ad essere ospitato nella società. Anziché essere confinato negli ospedali con la possibilità di essere curato. E, se non sconfitto, quantomeno isolato. ​ Chissà se, riflettendo, qualcuno spiegherebbe qual è l’esatto confine per il genocidio. Chissà se, riflettendo sulla gestione dell’intera emergenza, qualcuno si renderebbe conto che questo governo ha omesso degli atti di ufficio (art. 328 C.P.) e ha favorito la diffusione dell’epidemia (art. 438 C.P.). Chissà se, riflettendo nel suo silenzio carico di assenza e di assenso, il presidente Mattarella – da costituzionalista qual è – ravviserebbe in tale operato l’attentato alla Costituzione che, all’art. 238 C.P, recita che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Chissà se, riflettendo, ci si renderebbe conto che l’emergenza si combatte a mo’ di decreti che, se non convertiti in legge entro sessanta giorni dal Parlamento, se ne perde l’efficacia, ma il Parlamento stava per non essere più del tutto convocato. In sputo ad ogni regola base della democrazia. Chissà se il numero uno della Protezione Civile Angelo Borrelli, prossimo alla verità (almeno sulla gestione dell’emergenza) in quanto contabile, riuscirà a dirci che la regione più colpita non è la Lombardia, motore dell’economia italiana, ma le Marche. In rapporto al numero di abitanti e di contagiati.
Chissà se ci si rende conto che, facendo leva sulla paura, i cittadini tutti si indociliscono e diventano obbedienti ai voleri del tiranno per propria volontà. Intanto continuano a confinarci (illegittimamente) dentro casa fino a data da destinarsi. Con la gente che, se ci arriverà, alla fine dovrà togliersi la mascherina ed indossare il passamontagna. Pure in estate. Ma gli esperti rassicurano: state a casa, godetevi la famiglia, riappropriatevi del tempo, cucinate, giocate, non sentite le notizie se non una volta al giorno. Non pensate. Non inducetevi in riflessione.
Con la preghiera di liberarci presto dal male…

PROVE GENERALI

PROVE GENERALI

Guardo all’Italia di oggi: irriconoscibile per il suo troppo isolamento e per la troppa gente in giro, per quell’Italia arcobaleno, ma orfana della sua Festa del Papà, per le sue mille facce che, forse, è il costume degli Italiani, per l’abitare i propri balconi per essere restati tutti a casa e per l’affollare i parchi per prendere una boccata d’aria, ora che pare non si neghi più nemmeno ai carcerati. Mentre tutti preparano manicaretti da mettere più sui social che sulle tavole e diventano pittori di arcobaleno, ideatori dell’”andrà tutto bene” e del “ce la faremo”, fedeli osservatori e ligi dispensatori del DPCM “restiamo a casa”, scopriamo che l’ATM milanese aumenta le corse della metropolitana, che i Navigli di oggi non sono meno popolati dai baretti a Chiaia di ieri. Situazione che ha portato il governatore Attilio Fontana, in accordo con la Protezione Civile Cinese a chiedere un’ulteriore stretta al Governo, un totale lock down. Già attuata dal Presidente della Campania De Luca, già Commissario straordinario per la Sanità campana. Forse, proprio per questo. Solo che i Cinesi vengono da una Nazione in cui vige una dittatura, in Italia c’è chi impugna davanti al TAR una ordinanza regionale per fronteggiare un’emergenza – forse pandemica – perché non si potrà più correre al parco per un po’.

Guardo all’Italia, popolo di teatranti, e mi sovviene il ricordo de “’O scarfalietto” – lo scaldaletto – una commedia del teatro di Scarpetta, il tormentone della ballerina Emma Carcioff “la prova generale, la prova generale, la prova generale”.
Dopo secoli in cui siamo stati calpesti e derisi e abbiamo provato ad essere tutti fratelli d’Italia, proprio nel giorno della proclamazione dell’unità nazionale, 159 anni or sono, un altro strappo tra il Nord e Sud della penisola si consuma. Proprio in piena emergenza sanitaria mondiale del Covid-19, che ci dovrebbe “livellare” tutti.
A Napoli hanno sperimentato l’efficacia del Tocilizumab, farmaco impiegato per combattere l’artrite reumatoide che pari sembri funzionare anche sul e contro il Coronavirus, per dirla con la stretta attualità, e di lì la segnalazione all’AIFA affinché ne approvi l’uso. Quanto basta per far vomitare bile al prof. Galli della Loggia, virologo lombardo, che pare non abbia digerito quanto fatto dall’equipe partenopea e che possa salvare la vita di tanti suoi conterranei in primis alle prese con una situazione drammaticamente mortale. Forse per un fatto di tempistica, forse per un fatto di prestigio deontologico, forse (più) per un “provincialismo”, ma è sembrato che certi medici siano più avvezzi a dare spettacolo che salvare vite umane. Anche nel giorno dell’unità nazionale.

Se questo è il popolo, i rappresentati dell’esecutivo Conte bis non sono immuni da contraddizioni che farebbero ridere, se la situazione non imporrebbe d’ufficio il pianto. Dai decreti delle mezze misure allo slittamento di tasse e imposte, dalla chiusura totale, ma ad orario, dei locali alla libera circolazione dei mezzi pubblici, dall’invio di tonnellate di mascherine al far rimanere senza persino medici ed infermieri. Che è un poco come voler mandare i nostri soldati senz’armi nelle retrovie a parlare di pace ed oggi trasformati in becchini per l’occasione. Al comando del capo della Protezione Civile Borrelli che quotidianamente e puntualmente sgrana il Rosario per la conta dei morti ora che i vivi non possono farlo più nemmeno nelle chiese.
D’altronde come si può pensare di fare diversamente se 500mila tamponi prodotti da un’azienda farmaceutica di Brescia, nel focolaio Lombardia, partono dalla base americana di Aviano alla volta degli Stati Uniti? Tamponi che avrebbero potuto soddisfare la domanda di tutto il nord-Italia, colpito molto duramente dalla pandemia, ma il numero uno della Protezione (!) Civile riferisce che l’Italia, per il tramite di Consip, ha acquistato 390mila tamponi che saranno assicurati a tutte le Regioni. Però occorre restare in casa perché si potrebbe essere portatori sani e asintomatici del virus, a nostra insaputa e che non sapremo mai perché al tampone si accede solo in caso di una sintomatologia. Come, infine, è impensabile aver regalato (omaggio di Stato) tonnellate di dispositivi individuali alla Cina e poi da questa siamo stati costretti a ricomprali. Con i soldi.
Scene degne di un pessimo delirio e che non accennano a finire: a scuola non si andrà prima di maggio, se mai si andrà più. Tutto fa pensare che il decreto “restiamo a casa” lascerà il posto ad un altro decreto, simile e uguale, quasi sicuramente con maggiori strette e la medesima efficacia. Stessa sorte per il decreto Salva Italia. Ammesso che, tra decreti, decretoni e decretini, resti ancora qualcosa da salvare. Magari è tutta una messa in scena per terrorizzare la gente, per provare a far passare misure che in tempi di pace darebbero vita a delle rivolte ma non in Italia, per distruggere quel poco di Italia che resta, quella delle eccellenze e delle altrui contraffazioni. Quella Italia che tutto il mondo ci invidia, tanto da imitare persino questo esecutivo e provare a perdere tempo nella lotta al virus, come noi. Le cui prime vittime sono ancora, instancabilmente il Nord e Sud della stessa terra o, meglio, più l’avanti ed il didietro della stessa faccia. Delle mille italiche facce. Forse è ancora alla prova generale anche questa nostra Italia.

https://www.camposud.it/2020/03/prove-generali/

ANDRÀ TUTTO BENE (?)

ANDRÀ TUTTO BENE (?)

Sarà la mia indole seriosa, ma non ho apprezzato nemmeno un po’ la carnevalata di pentole e coperchi con annessi sfoghi lirici dai balconi. Mentre l’Italia era diventata in maggioranza solidal-dirimpettaia, mi giungeva notizia del primo caso di positività al Covid-19 nel mio paese, già braccato da ogni dove e con un nostro confinante interamente in quarantena.
I cantori del “restate in casa” immediatamente hanno iniziato la caccia all’untore, pretendendo di conoscere generalità, albero genealogico e patrimonio genetico, come se il vero virus fosse il nome. “Ma solo per ricostruire gli ultimi contatti”, ignorando incredibilmente che il virus ha un periodo di incubazione di almeno 14 giorni e mossi da quella paura che fa sottintendere che, forse, in casa non ci sono stati nemmeno loro.
Perché oltre a chi può avere il privilegio di restarsene assisitenzialisticamente in casa, c’è chi di casa è costretto uscire. Per stare in prima linea proprio nella lotta al virus. Penso a medici ed infermieri, penso alle Forze dell’Ordine e alle Forze Armate, penso agli autisti e agli autotrasportatori, ai volontari, penso a chi produce e vende generi di prima necessità.
Ma a vedere certi Italiani non mi sorprende più che cantino e ballino dal balcone, non mi sorprende più che a rappresentarli sia un Conte, un Di Maio o una De Micheli, non mi sorprende più che, urlando, vogliono dar forza all’Italia con un arcobaleno. Nemmeno adesso avete avuto il buonsenso e la dignità di stringervi intorno ad una cazzo di bandiera tricolore che in nessun altro miglior modo rappresenta la Nazione. E se l’arcobaleno (ripeto: l’AR-CO-BA-LE-NO!) non bastasse, ci avete aggiunto anche tre magiche paroline: “ANDRÀ TUTTO BENE”.
Spiace deludere tutti i potenziali candidati alla terapia di gruppo, ma si è grandi abbastanza per poter abbandonare il “c’era una volta” e i “vissero felici e contenti”. Qui non andrà bene proprio un cazzo. Ci sarà una Nazione intera da ricostruire, ci saranno fabbriche da riaprire ed un mercato da far ripartire, ci saranno la spesa da fare e i debiti da saldare, ci saranno gli sciacalli da fermare e le persone da sfamare. Se non si è stati capaci di fermare una sola regione, dubito si sarà capaci di far ripartire una intera Nazione.
Se a Milano, che stima perdite e fermi come nemmeno un bombardamento, al costo di un simbolico euro, che ben rappresenta le altrui incapacità, stanno allestendo un “nuovo” ospedale, capite che non andrà tutto bene? O dobbiamo confidare solo nell’albero della vita che adesso ospita un ricovero?
Se ordiniamo (perché abbiamo acquistato, pagando, dalla Cina mezzi DPI e altro materiale sanitario aiutando di fatto noi l’export di Pechino e non, come sciacallamente è stato detto, ricevendo l’aiuto di altri) apparecchiature mediche e durante la spedizione la Germania sequestra tutto il materiale, mascherine in primis, vi pare che andrà tutto bene?
Se il governo (volut-t-amente in minuscolo) vara di notte (ancora!) l’ennesimo decreto scaccia-crisi che invita (perché non obbliga) le persone a restare in casa per arginare il contagio e blocca i treni notturni (quasi verrebbe da chiedersi cosa fanno questi durante il giorno) diretti al Sud, quella parte di stivale povera stavolta anche di contagi, vi pare che andrà tutto bene?
Se con un Parla-mento chiuso per emergenza sanitaria con più parlamentari contagiati, il segretario di una delle due forze di governo (non di maggioranza) in quarantena per positività al virus, a Bruxelles si discuterà oggi il MES ovvero del quantitativo di denaro che ci verrà ulteriormente salassato per salvare banche tedesche e la Germania intera fottendocene di noi, vi pare che andrà tutto bene?
Ho una zia di terzo grado o più, oggi nonna di nipotini lombardi, una di quelle che nel Sud dell’Italia è come una sorella, che mi ha visto nascere e crescere, sarta, medico, madre e insegnante all’occorrenza, una di quelle che mi ha medicato l’ombelico appena nato e insegnato a mia madre come darmi la poppata, mi ha fatto la piega al pantalone della comunione e si appesa al collo spingendosi sulle punte per farmi gli auguri al matrimonio, che ha trovato il modo per farmi arrivare la mascherina, ormai introvabile, confezionata da lei. Ci ha messo anche un elastico colorato, quasi a simboleggiare la vita e le pieghe perfettamente in riga a testimoniare la cura per la vita. Che puoi lavare, sterilizzare e riusare. Come questa vita, da proteggere e reinventare. Ma da continuare. Sono questi i veri obiettivi di questo virus, queste persone. Distruggere la nostra memoria.
Se a voi va bene così…
Tony Fabrizio

https://www.imolaoggi.it/2020/03/27/andra-tutto-bene/

L’ITALIA CHE NON SI FERMA

L’ITALIA CHE NON SI FERMA

Ore 3:00. Si parte. La mia categoria non è di quelle che può restare a casa, noi non ci fermiamo. Mi sento quasi fortunato e in qualche modo orgoglioso di dover fare la mia parte per questa Italia sospesa, congelata, in questa Italia immobilizzata che pur non si ferma e non si deve fermare. Noi siamo quelli che devono mandare avanti questa Italia per poter andare avanti tutti. Senza abilitazione previa e senza medaglie poi.
Il mio paese, il cui nome rievoca qualcosa di profondamente positivo, di sano, sembra essere quello di sempre, deserto e dormiente, quasi incapace di accorgersi di questo “coprifuoco”. Poco più di 2000 anime, la maggior parte “storica” e stoica, concentrate in un paese dove tutti ci conosciamo, dove i Carabinieri li vedi soltanto se è successo qualcosa. E stavolta qualcosa è successo.
Imbocco la Via Appia, la Regina Viarum e mi dirigo verso la città capoluogo. Deserta. Immobile. Ancora buia. Come se questa Italia non fosse già bloccata di suo. Medesima situazione ovunque.
Il mio compagno di viaggio da oggi si chiama autocertificazione, come se fosse una giustificazione anche andare al lavoro in questo clima. Come se potesse non crederci nessuno. Come se qualcuno deve controllare la nostra sicurezza. In questo scenario particolare la solitudine di un ponte ha qualcosa di romantico, persino le luci sembrano essere quelle di Ponte Vecchio e il Calore scorrere al posto dell’Arno. Forse adesso si apprezza davvero quanto sia bella l’Italia, quanto sia speciale la normalità. Anche un bacio e un abbraccio prima di uscire di casa hanno un sapore in più perché potrebbe succedere che quel bacio e quell’abbraccio potrebbe essere anch’esso congelato.
Rifuggo spesso la folla e adesso apprezzo maggiormente questa solitudine. Ma non per un fatto egoistico. Forse gli Italiani hanno davvero capito che bisogna chiudersi in casa e approfittare per godersi quella normalità che sembra essere venuta meno, quegli effetti che in un contesto del genere risultano essere ancora più cari. Che bravi gli Italiani, comunità (cit. Presidente Conte) di pittori di arcobaleno (!) e di ideatori dell’《andrà tutto bene》. Impersonale. Indefinito. Che bravi soldatini gli Italiani, rinchiusi in casa ad alzare lo share del Presidente che parla alla comunità che non lo ha eletto, orgasmici dei complimenti per essersi rinchiusi dentro ma non ancora abbastanza, incapaci di interrogarsi sulla valenza di quella richiesta “di cambiare le nostre abitudini”. Di interrogarsi se e per quanto questo cambiamento deve perdurare nel tempo. Un tempo, questo, scandito solo da sirene e luci blu, dalle stesse facce al posto di controllo sempre diverso e sempre presente, silenzioso segnale del loro operare sott’organico, ma comunque garantito. Silenziosamente ringrazi ed auguri loro un buon lavoro che è ricambiato con una silente intesa di sguardi. Entrambi con la pistola sul fianco eppure consci che le nostre armi adesso sono guanti e mascherine. Quelle introvabili, quelle costruite in casa, non diverse da quelle di medici ed infermieri sequestrati alle loro famiglie per il bene del popolo, per la salvezza di questo popolo. Eroi silenziosi anch’essi, mascherati, ma non protetti, feriti con uno sputo che è come sputare sulla vita. Propria e degli altri. Ma quanto vale una vita? Un lavoro estenuate per i medici, il terzo punto di un ordine del giorno per i nostri euro-rappresentanti. Dopo il MES. Invertito, per pietà o paura del dilagare del Covid, solo il giorno prima. Ma non eliminato e nemmeno rinviato. Quelle poche vite che adesso si muovono come zombies in città deserta e svuotata. Quelle vite con cui tanti caffè hai condiviso e che adesso nemmeno puoi salutare con una stretta di mano. Una vita che è divenuta pericolo, un attentato per un’altra vita. Una vita relegata in un camion in fila per 90 km all’interno di quell’area Schengen senza confini che provvederà l’indomani a riempire scaffali e magazzini che la psicosi generata porterà ad uno svuotamento compulsivo. Per sopravvivere. Per ritornare a vivere. Come quando si torna con la luce del sole al posto dei lampioni.
Tony Fabrizio

SI CHIUDE

SI CHIUDE!

L’Italia si chiude. Con la stessa faciloneria che nemmeno la serranda di un negozio in disuso, un vecchio magazzino polveroso dalla serranda mal oleata. Si chiude come questo bastasse a chiudere le bocche e soprattutto le menti. Conte congela l’Italia senza la paura di andare a prendere poi, successivamente un prodotto il cui primo risultato sarà quello di fare acqua da tutte le parti. Ancora una volta questo governo, di notte, emette un decreto vuoto, partorisce misure drastiche nella sua vacuità, una dolorosa illusione di un parto isterico. Vuoto. Nullo. Un decreto, ancora un altro, l’ennesimo, ma non l’ultimo che ci impone di restare a casa, una quarantena forzata da un nemico che ancora non abbiamo avuto il coraggio di affrontare.
Si evita il combattimento come si evita di fare davvero qualcosa per l’Italia. L’imposizione di restare a casa ma senza dare la concreta possibilità di starsene veramente a casa. Come se la preoccupazione più grossa fosse compilare un modulo che ha tanto l’aria della certificazione della propria responsabilità per muoversi da zona rossa a zona rossa. Quella zona rossa diventata arancione e che oggi viene definita zona protetta. Protetta da chi e in che modo, però, non è dato sapere. Quelle zone che andavano protette prima del e dall’abbraccio cinese o del e dall’involtino primavera, quella protezione che si è spacciata assurdamente per razzismo. Ancora una volta focalizzare l’attenzione su un avversario inventato. Per distrarre.
Si chiude l’Italia senza che ce lo possiamo permettere, una quarantena imposta per non farci rendere conto che abbiamo ancora un governo ancora incapace. Un governo che non è riuscito a chiudere una regione senza coordinarsi preventivamente con le Prefettura. Quelle Prefettura che rappresentano lo Stato sul territorio e che si sono scagliate contro l’ordinanza dei Governatori sulla chiusura dei confini che vuol dire protezione, ma che adesso diventa legge. Di Stato. Per lo Stato. Anche per loro.
Ancora una volta questa Italia allo sbando è ulteriormente mandata allo sbando da degli sbandati. Che si ostinano a voler indossare la maschera del salvatore della Patria che è salvare innanzitutto se stessi.
Restate a casa così non ci rendiamo conto che in mezzo alla strada, negli ospedali il coronavirus misteriosamente colpisce solo persone bianche. E non è questione di razzismo, ma un dubbio legittimo che nessuno ancora s’è sentito in dovere di spiegare. E restando a casa nessuno potrà arrogarsi il diritto di pretendere una risposta. Restate a casa così non vedremo la flotta di carcerati, perlopiù neri o, se piace di più Nordafricani, che in sincronia perfetta, per mezzo del telefonino, perennemente unico e solo superstite di mille naufragi, ha assaltato le carceri, messo a soqquadro una intera organizzazione, attentato alla vita dei loro guardiani. Una sorta di prova generale che non fa sperare nulla di buono. Che fa intendere che questi invasori attendono solo un segnale per mettere in atto il piano per il quale sono stati assoldati. Restate a casa così non vedrete che, nonostante ci sia stata una invasione di forze armate americane, costoro viaggiano incredibilmente in uno scenario incontaminato senza alcuna protezione. Senza nemmeno la mascherina diventata indispensabile e introvabile. Restate a casa e non vi renderete conto che una potenza come gli Stati Uniti d’America non mobilita 30000 uomini e centinaia di mezzi solo per una esercitazione. Restate a casa e vi renderete conto che, nonostante il petrolio abbia toccato uno dei suoi massimi picchi negativi, al distributore di carburante il prezzo non si è mosso che di un centesimo. Restate a casa e non vi renderete conto che se la terza guerra mondiale non è ancora ufficiosamente scoppiata è grazie ad un cattivone dall’intelligenza di una volpe che non ha abbocato alle provocazioni a stelle e strisce e che non si è formato allo studio Alpa o al Grande Fratello. Il vero salvatore al momento, che vi piaccia o meno, si chiama Vladimir Putin che, con una sottilissima operazione di intelligenza, ha sfidato (vincendo) gli americani senza dichiarare guerra. Perché il vero guerriero vince prima di andare in guerra. Restate a casa in modo da non produrre alcun guadagno, da non avere nessuna forza per risollevarci una volta grattato il fondo del barile. Restate a casa in modo da diventare completamente inetti e non reagire a salvare la nostra Nazione che significa non farla morire. A non stringersi a coorte ira che l’Italia ha chiamato. Restate a casa e desiderate solo che nella propria casa ci resti anche il premier Conte una volta che la sua parte sarà finita. Probabilmente a casa è già rintanato anche dj Fofò, inspiegabilmente assente e muto (anche dallo smart work) sulla protesta delle carceri, visitare solo il giorno prima dagli immancabili cebtri sociali. Eppure le discoteche sono state chiuse dal suo stesso capo. Restate a casa ad augurare di restare a casa al ministro dell’Interno Lamorgese, colei che è responsabile dell’ordine e della sicurezza pubblica e che, da responsabile, continuo a far sbarcare folte falangi di deportati intercontinentali attraverso barconi, barchini e carrette direttamente in zona rossa. Restate a casa ed augurate di restare a casa, magari quella del Grande Fratello e assicuro che non è una battuta sessista, anche a Rocco Casalino, principale capro espiatorio di quella velina fugata che ha dato il via alla contro-immigrazione di sudisti di nuovo al Sud, quella gente irresponsabile che, nell’illusione di vivere da emancipata, ritorna sotto l’ala protettiva di mammà e papà, perlopiù anziani, ai quali non potevano dimostrare bene peggiore se non quello di portare loro un nemico in casa . Un atto di egoismo che va bene oltre la sopravvivenza. Restate a casa in modo da non vedere quell’infermiera che dopo un turno estenuante, non solo per il monte ore cui la vostra politica dei tagli imposta dalla tipografia di Bruxelles ha indotto a dormire sul cuscino che è un lenzuolo arrotolato, con tanto di mascherina, sulla tastiera di un pc di un’azienda ospedaliera che non è più un ospedale. E non capire che questa infermiera non la meritate. Come un medico che salva vite umane non merita di scegliere chi lasciare morire. Restate a casa almeno fino al 16 marzo, quando il MES sarà definitivamente approvato, quando allora non potrete fare altro che restare veramente a casa. Restate a casa per non rendervi conto che ci avete chiuso al mondo e alla vita ma dopo che il mondo ci ha sbattuto la porta in faccia. Però… restate a casa soprattutto voi!

NAPOLI, SCONVOLTA E CAPOVOLTA


Napoli continua a morire. Ad una settimana dai tragici fatti occorsi a Santa Lucia costati la vita al giovane Ugo Russo, il quindicenne napoletano che aveva tentato una rapina ai danni di un carabiniere nella parte “buona” della città partenopea, nessuno sembra ancora trovare pace. Solo scusanti, involontari colpevoli e presunti innocenti. Per oscurare qualche fioca luce, per depistare dalla retta via, per riempire qualche vuoto, ormai incolmabile. Meglio allora servire un capro espiatorio piuttosto che un colpevole, raccontarsi una bella bugia piuttosto che una cruda verità, confondere bene e male, giusto e sbagliato, illecito e onesto. Tra i preferiti, nella folle lista dei folli, ci sono le istituzioni, concetto tanto vago quanto generico, assenti e non soddisfacenti che pure avevano organizzato un corso per pizzaioli che il giovane Ugo Russo non frequenterà mai. Quel lavoro che al Sud non c’è e che Ugo l’aveva trovato nel settore ortofrutticolo. Forse un assistenzialismo statale non sufficiente come i soldi che Ugo guadagnava. Come tanti. Difficoltà non tanto diverse da tanti altri lavori, diversi eppure uguali. Che, forse, davvero insegnano a fare l’<<omm>>. Esigenze e bisogni non certo diversi da tanti altri coetanei che non trovano vie alternative alla legalità. Non in questo caso, però, diventato tristemente, doppiamente tragico.
Una mano sinistra che diventa pericoloso e fuorviante megafono sembrano darla quei veicoli che dovrebbero trasmettere messaggi ben diversi. Che hanno la responsabilità di educare prima che di raccontare. Penso a Napoli Fanpage, prima testata locale, molto vicina al senatore Sandro Ruotolo fresco di nomina a Palazzo Madama, a dare voce al padre di Ugo diventato guest star urbi et orbi, onnipresente e dotato di sopportare ore ed ore di servizi e dirette che, tra un delirio ed uno sfogo chiama ragazzata una rapina mentre impartisce istruzioni al Carabiniere assassino su come mirare alle gambe e su come avrebbe dovuto “far fujre” suo figlio, ma incapace di chiedersi come mai a 15 anni si esca con una pistola in tasca. Quelle testate giornalistiche che insistentemente parlano di carabiniere fuori servizio quasi a ricercare una presunta colpa ignorando che un carabiniere è tale 24 ore al giorno ed è ritenuto colpevole a “non impedire un evento, che si aveva l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
Un carabiniere omicida volontario e non un 15enne che esce di casa con una replica per commettere intenzionalmente reati. Di certo più di uno in una serata e chissà se e quanti ancora prima di quello che è stato l’ultimo. Non dando voce, però, a quel pacifico “te sparo ‘ngapa” così come a quel sanguinoso “non preoccuparti, non ti lascio morire”. Prestandosi a riprendere quel padre superstar del sit-in con tanto di cartello di vicinanza ai Carabinieri davanti al Comando Provinciale Pastrengo, solo pochi giorni prima obiettivo di una vergognosa stesa seguìta alla morte del giovane figlio.
Voci unanime e solidali arrivano anche da Pietro Ioia, ex pluridecennale carcerato ed oggi Garante dei detenuti presso il Comune di Napoli, ruolo complesso quindi riservato ad avvocati, sociologi, personalità importanti, ma che a Napoli ha trovato in Ioia il rappresentante eletto e che oggi sostiene che “a Napoli non giri con il Rolex”. Una nomina la sua che già in illo tempore suscitò reazioni negative, ma se per de Magistris vi era “troppa strumentazione politica”, per il presidente Fico era “giusto dare una seconda possibilità a chi ha fallito la prima”.
Gli fa eco il gomorrofilo Roberto Saviano le cui parole trasudano una irreprensibile invidia sociale nei confronti di quel carabiniere che indossa il Rolex e guida una Mercedes. Parole assurde quelle del guagliunciello sagliùto che abita nell’attico a Manhattan, per dirla con l’amica e scrittrice Marina Salvadore, che suonano come una scusante per il guappo che impara a fare l’<<omm>> che non poteva sapere che chi indossa un Rolex, autentico o pezzotto, e guida una Mercedes, nuova o pluriusata, possa essere un Carabiniere. Sdoganando il furto anche compiuto con la violenza e disprezzando il lavoro onesto, coronamento di impegno e dedizione. Sminuendo la vita, attribuendole il valore di un orologio, autentico o presunto tale che dovrebbe scandire gli attimi di una vita bella, ma le cui lancette adesso sono inesorabilmente ferme. Per entrambi. Per sempre.

SE TUTTE LE VITE SONO UGUALI NON LO SONO TUTTE LE MORTI


Se tutte le vite sono uguali non lo sono tutte le morti. O meglio, tutti i modi di morire e le riflessioni che ad esso si accomoganano. Se 16 anni sono pochi per perdere la vita e un’età in cui alla morte nemmeno pensi, 23 anni non sono diversi per pensare di doverla difendere la vita. La tua vita e quella di chi ti sta accanto. In quel momento, fossi anche un Carabiniere, non ragioni, vai d’istinto e, mantenendo il sangue freddo, impugni la tua pistola (d’ordinanza) e metti in pratica ciò che al corso ti hanno insegnato, le regole base: tre colpi. Come da manuale.
Mentre hai la pistola alla tempia, di sera, al buio, di sorpresa e tenti di uscirne vivo, meglio se indenne, con una forza di difesa che è sempre minore rispetto a quella di chi offende, non riesci a distinguere una pistola giocattolo da una vera. Anche perché le riproduzioni sono pressoché identiche. Per colore e per peso, armano e scarrellano, finanche il cane riproduce gli stessi movimenti. Mentre hai la pistola alla tempia e due delinquenti difronte sei responsabile della tua vita e di chi sta con te e non sai nemmeno se la rapina terminerà con l’oggetto portato via. Pistola contro pistola, non ha vinto nessuno. Il Carabiniere è salvo, ma non è detto che non sia morto dentro. Psicologicamente. Professionalmente. È già indagato, come da manuale, per eccesso di legittima difesa.
Il 16enne è rimasto a terra, anch’egli vittima del suo essere o forse del suo assomigliare ai modelli descritti, rappresentati ed emulati, ma che non sempre corrispondono alla realtà. Della sua educazione, della sua famiglia, del suo abbandono. Descritto, purtroppo postumo, come un bravo ragazzo, un lavoratore che aiuta la famiglia in una età in cui i fatti hanno dimostrato che, forse, non avrebbe dovuto aiutare, ma essere aiutato. Essere uno studente prima che un lavoratore.
Uscire un sabato sera qualunque con una riproduzione addosso per imparare a fare l’ 《omm’》non significa essere bravi ragazzi e lavoratori. Magari a spese di chi a posto lo era per davvero. E oggi si ritrova, per un assurdo gioco del destino, ad essere colpevole per aver deciso di stare dalla parte giusta. Sulle cui spalle si chiede giustizia e non si ricorda che è stato lui il primo a prestare soccorso alla sua vittima, di cui è rimasto vittima a sua volta. Perché lui, il carabiniere, a 23 anni aveva già scelto da che parte stare ed aveva la mira buona, era preparato ad offendere per difendere e che forse solo uno sfortunato scherzo del tempo ha permesso che si incontrasse un delinquente inesperto, ancora in erba o non ancora del tutto formato. Forse. Perché fa strano raccontare a parti inverse questa rapina finita male. Forse solo per una sorta di giustizia temporale. Fosse successo dopo, saremmo a raccontare un altro Carlo Giuliani, un altro maresciallo Di Gennaro, un altro Mario Cerciello Rega, un altro Filippo Raciti.
Non sono binari della stazione, ma la “parte buona” di quella Napoli che inizia al Vasto, diventato terra di nessuno, continua al Borgo Sant’Antonio dove il Questore ritira i suoi uomini inviati poco prima per il controllo dei tradizionali falò e aggrediti con ogni oggetto da ragazzini tra l’indifferenza complice e partecipata degli adulti. È la Napoli che risponde a questa rapina finita in omicidio incassando la stesa contro la caserma Pastrengo. Quella Napoli dove il Carabiniere è stato iscritto nel registro degli indagati per eccesso di legittima difesa e ai familiari del rapinatore, perché – purtroppo – tale è, che hanno sfasciato il Pronto Soccorso del Vecchio Pellegrini, che tentava di salvarlo, tanto da doverlo chiudere, nessuno ha chiesto nemmeno conto circa l’interruzione di pubblico servizio. È la Napoli partita da Scampia e Secondigliano, trasformatasi in Parco Verde a Caivano, annoverata per il rione Traiano e “preservata” affinché resti così com’è, perché nulla cambi. Ma che si pensa possa rinascere abbattendo le Vele perché sono simbolo di degrado. E la Napoli che dà voce al dolore di un padre che dovrebbe essere silenzioso se non muto. Lo stesso silenzio se non mutismo calato sul valoroso Carabiniere che ha difeso la propria vita e quella di chi era con lui da chi commetteva un’ingiustizia. Lo stesso silenzio e lo stesso mutismo sul personale del Vecchio Pellegrini. Ieri come domani. Lo stesso silenzio e lo stesso mutismo nel parlare di eroe e di vittima, del bene e del male.