D10S é sceso in terra per riprendersi la sua mano: muore il campione più grande, nasce un mito eterno!

D10S è sceso in terra per riprendersi la sua mano.
Un freddo pomeriggio di novembre ci riporta alla memoria l’assolato 5 luglio 1984, quando Diego Armando Maradona, davanti a sessantamila persone, venne presentato allo stadio San Paolo. E luglio e novembre è stato Maradona. Nuvole e sole, luce e ombra, gigante e bambino, imperituro genio ed eterno discolo.
Napoli è stata unita e una, come non mai, solo intorno a “Dieghito”, il Pibe de oro, il ricciolone nero arrivato dai sobborghi di Buenos Aires sino a “prendersi” il trono della città. Ma il suo vero trono era la strada, quella da cui proveniva e quello a cui tendeva per diventare il Re dei poveri, perché nei quartieri umili e modesti di Napoli rivedeva la sua Buenos Aires, il suo passato, le sue radici e, nonostante tutto, il suo presente.
Un uomo generoso, estremamente generoso e prima vittima della sua stessa magnanimità, umano troppo umano fino a farsi succhiare il sangue da chi, troppo vicino, lo ha usato e sfruttato, da chi ha finito per distruggerlo. Maradona poteva essere Maradona solo a Napoli e dire Maradona a Napoli è dire perfezione, è il calcio per antonomasia ed è inutile e banale voler descrivere a parole cosa sia stato per il pallone, cosa rappresenta per Napoli. Quella Napoli devota a lui come a un Dio, tanto da “adorare” un suo capello a Spaccanapoli o da adornare i palazzi con la sua immagine, dai Quartieri Spagnoli a San Giovanni.
Quella Napoli in cui è giunto dopo una lite in difesa di un suo compagno di squadra e che oggi è ancora una volta capofila del dolore per una perdita globale, che ancora una volta raccoglie tutti sotto il proprio cielo azzurro nella speranza di assistere all’ennesima magia, eterna dell’Aquilone Cosmico.
Una vita fatta di ostacoli dribblati e superati per una gloriosa cavalcata, come quella della partita contro l’Inghilterra al Mondiale del 1986 a cui tutto appiccicarono l’etichetta di “gol del secolo”: 60 metri in 10 secondi e 6 avversari messi a sedere.
6 volte 10 quando ha deciso di andarsene per sempre, 6 volte 10 che nella Smorfia napoletana rappresenta ‘o lamiento, il dolore, proprio per una perdita.
Perciò in piedi, signori, Diego smette di essere genio e diviene leggenda. Per sempre. Proprio come un Dio.

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23 novembre ’80: chi ha ditto ca la paura fa sulo 90?

23 novembre ’80:
chi ha ditto ca la paura fa sulo 90?

‘na bomba, ‘na botta, ‘no truono,
‘na paura senza nome, ‘no dolore senza suono,
90 seconde senza parla’, 90 seconde senza sente,
‘na eternità addò non se capivo niente.
“C’ha successo?” “Che cosa?” “Lo terremoto?”
E ogni comune d’Irpinia a tutti è noto.

23 novembre ’80:
chi ha ditto ca la paura fa sulo 90?

“Fuje!” “Curre!” Lo terrore era ‘n’unica parola:
non te gerave arreto pe’ paura d’esse’ sola.
pe’ lo ccorre annommennave tutte le sante,
senza de te ferma’ contave ancora pe vede’ se ce steveno tutte quante.
Tuorno tuorno era sulo prete, poreva e fumo ianco,
non conuscive a nisciuno pecchè tutto era chino de sango.

23 novembre ’80:
chi ha ditto ca la paura fa sulo 90?

Tanta peskune ‘nderra erano le ccase,
non tinive ‘na porta manco pe’ pote’ dice “Trase!”,
quaccuno deceva “Dormo dindo a la macchina mia”,
l’ate no, tutte quante ‘mmiezzo a la via.
Si aprive l’uocchie vidive le stelle,
sintive le chiante ma, tutte insieme, come stevemo belle!

23 novembre ’80:
chi ha ditto ca la paura fa sulo 90?

Arrevaro le soldate co’ le skatolette e le coperte,
ma tu putive ‘nfoca’ ‘no figlio sulo co’ le bbrazze aperte.
Macerie e prete era tutto: isso steva llà sotto
e tu sintive ca puro lo core se n’asceva da pietto.
Mano a mano ca la speranza deventava dolore
tu priavi ca te lo trovavano…
sulo pe’ ce porta’ ‘no fiore…

23 novembre ’80:
chi ha ditto ca la paura fa sulo 90?

D’austo ‘no furno, de vierno ‘na iacciera: queste le case c’arrevaro, le prefabbricate de lamiera.
Co’ le ‘mbruoglie s’arrevaro a piglia’ lo contribbuto
addeventato casa pe’ poche e fortuna pe’ chi se l’ha fottuto.
“Non ‘mborta, voglio mangia’ pane assutto, ma ha da esse’ lo mio,
tanto prima o poi ogni anema va ‘nnanze a Dio”.

23 novembre ’80:
chi ha ditto ca la paura fa sulo 90?

Domeneca: le sette e trentacingo de la sera,
‘na sera ca spiere ca cchiù non s’avvera,
pe’ la forza c’ha stata veramente troppa,
com’a lo dolore a vede’ le tittere sotta e le pavimente ‘ngoppa,
‘no ricordo da tutte cchiù lontano ca ci sia,
‘no ricordo ancora presente senza manco ‘na fotografia.

23 novembre ’80:
chi ha ditto ca la paura fa sulo 90?

Il giorno della polemica, o meglio, della vergogna

La Campania non è ancora guarita e l’Italia tutta non ha ancora saputo dell’infanticidio provocato in una clinica partenopea per troppo rigore nell’applicazione di un protocollo Covid, che già Napoli offre un nuovo caso, forse peggiore e non differente per gravità.
Ospedale Cardarelli, ops!,  Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale, il maggior ospedale della Campania e dell’intero Meridione, nonché il primo a livello nazionale per la cura dei grandi ustionati, costruito in epoca fascista e perfettamente funzionante, ma non funzionale.
Un uomo, ricoverato per sospetto Covid, viene ritrovato morto nel bagno da una altro degente che documenta tutto col suo telefonino.
Sospetto Covid è la “lettera scarlatta”, la nuova stella gialla, la contemporanea condanna.
Chissà se pure questa volta si mancherà di ottemperare al protocollo sanitario che bandisce le autopsie, tanto per (non) capire, cosicché il certificato di morte rechi la formula ormai “istituzionalizzata” “morto per Covid”.
Un altro. Ancora.
Tanto era sospetto per cui nessuno mai sospetterà.
Una forma che uniforma, identifica e anonimizza, che richiama probabilmente quel “nato il 1 gennaio 20..” valido per 1000 anni e già buono oggi per tutti coloro che toccano terra a Lampedusa ed hanno bisogno di una nuova identità.
Senza più una storia, un passato, come quelli che non hanno più nemmeno potuto salutare per l’ultima volta gli affetti più cari, anch’essi stipati tra attesa e angoscia in squallide sale d’attesa. E che continueranno ad attendere per il resto della loro vita una verità, magari stravolta, stavolta davvero senza tempo.
Il giorno dopo è sempre quello della polemica fatta da chi resta e che ancora affolla questo mondo, sterile come solo può essere chi sciorina la soluzione e propaganda di avere la bacchetta magica, ma tende, spesso se non sempre, a confondere la causa con l’effetto.
Le immagini della morte di quest’uomo, per quanto crude, oltre ad essere una preziosa testimonianza utile ai fini processuali, raccontano la verità del nostro tempo, la crudezza di questa vita, le condizioni della nostra sanità.
Purtroppo si muore anche negli ospedali che è un ossimoro, una contraddizione in termini così come lo è una pandemia nel 2020. Come il “restate a casa” ché “andrà tutto bene” prima, durante e dopo la quotidiana lettura del bollettino della morte.
Che tutela è quella che raccomanda di non affollare gli ospedali se per mesi vi è stato un martellamento continuo che ha generato paura del e nel prossimo, che ha dilaniato famiglie con tanto di inviti a non vivere persino l’intimità perché veicolo di contagio?
Perché se corsie e reparti sono il nuovo Grande Fratello programmato con tempi da lockdown, una verità senza filtri deve essere criticata se non censurata?
Non è la spettacolarizzazione della morte, bensì l’assassinio in diretta della vita.
Si sprecano oggi le etichette per il testimone di una scomoda verità: un “paziente ossessivo, sempre vicino alle apparecchiature mediche”; “un disturbato” è stato definito questo paziente ben poco paziente dai vertici dell’Azienda ospedaliera, ma che, purtroppo, ha avuto ragione. Ci aveva visto bene, forse per “esperienze pregresse” proprio in quella sanità con cui qualcuno vorrebbe guadagnarsi la santità.
Un nome su tutti Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania che continua gelosamente – e vergognosamente – a tenere per sé la delega alla sanità.
È vero, quel che è accaduto poteva accadere in qualsiasi ospedale del mondo, ma il fatto è che è accaduto a Napoli. In quella Napoli presentata qual fiore all’occhiello nel bel mezzo di una pandemia che gli ha fruttato un consenso plebiscitario, oggi considerevolmente ridotto.
Sacrosanti i complimenti a personale medico e paramedico che opera in condizioni disumane che nemmeno nel disastrato Burundi, ma dai vertici del settore, che sono gli stessi della presidenza della Regione, si pretenderebbe che si facesse di più anche solo in merito all’organizzazione, al modo di lavorare e che, invece, aggiunge caos a insufficienze di uomini e mezzi.
Altrimenti i complimenti senza risultati concreti non sono altro che una lavata di faccia oggi che tutti hanno l’acqua corrente in casa, una pisciata di letto di un paziente a cui non si può nemmeno cambiare il catetere, una vita umana finita nel cesso di un ospedale che lì sarebbe dovuta essere preservata.
Ma questi devono essere i giorni dello sciacallaggio mediatico del paziente testimone di questa vergogna, della colpevolizzazione fino al vittimismo di quella Campania che, purtroppo, non racconta storie diverse, di questa terra in cui è meglio continuare ad infangare la verità a discapito dell’onestà.
Questo è il giorno in cui i veri colpevoli si prodigano in complimenti ai medici tanto per sciacquarsi la coscienza e con la vicinanza – in tempi di raccomandazione di distanziamento che è diventato il nuovo Vangelo- tentano di alleggerire le proprie coscienze. Per quanto possa servire.

https://www.camposud.it/2020/11/il-giorno-della-polemica-o-meglio-della-vergogna/

IN NOME DEL COVID

Si può preservare in maniera ossessiva la vita fino al punto di perderla? Qual è la linea di confine tra il ligio professionista ed il medico che salva le vite? Può un protocollo sanitario-governativo essere più importante persino del giuramento d’Ippocrate?
Napoli, un giorno qualunque dell’emergenza sanitaria-ospedaliera, quella Napoli “ca faceva ridere e pazzià” e dove oggi sono banditi persino i festeggiamenti, dove finanche un normalissimo parto si trasforma in tragedia. In nome del Covid.
Una giovanissima partoriente arriva in clinica con dolori preparto: viene sottoposta a tampone, come da prassi, i cui risultati arrivano dopo sei ore. Troppo per il feto che non sopravvive. Per poco.                                              Numerose, ma senza esito, a dire dei familiari, le preghiere del loro ginecologo di fiducia che si scontrano contro l’impeccabile applicazione del protocollo da parte del Direttore della clinica: bisogna attendere l’esito del tampone e in caso di negatività si potrà procedere al parto, altrimenti bisogna disporre il trasferimento in altra struttura.
Dopo sei ore di estenuante attesa arriva il risultato del tampone – negativo – per cui si può procedere al parto che diventa un cesareo, sempre più preferito da certe strutture, per via delle complicazioni cardiache e renali patite dalla partoriente e che saranno addirittura fatali per il nascituro, che non vedrà mai la luce.
In nome di Ippocrate, si può condannare ad un ritardo mortale una giovane vita? Che fine hanno fatto i medici che sono chiamati a spendere parole di conforto anche verso i malati terminali? È possibile che tutto ciò accada ancora nel 2020, nella città che ha dato i natali – e la gloria della terra e dei cieli – a San Giuseppe Moscati, un santo medico diventato poi medico Santo? Possibile che anche in un’emergenza continua che ha scosso l’esistenza di ognuno si diventa così fedeli e devoti di un pezzo di carta, forse nemmeno condiviso e rivelatosi poi vano, al punto da bistrattare il miracolo più grande che è quello della vita? La deontologia professionale ottempera, dunque, maggiormente a protocolli sanitari-governativi piuttosto che al dono della vita e al peso della coscienza?
È questo il significato che assume e il valore che ormai è attribuito alla vita umana in quegli ospedali – sempre più aziende – in cui non si riesce nemmeno più a preservarla? Ospedali oramai a numero chiuso, che decretano la fortuna/sfortuna per chi ha la possibilità di potervi ancora accedere. Luoghi oligarchici, altro che nosocomi, nell’accezione greca quali luoghi dove si curano le malattie!
In tempi passati, solo lo scorso anno, il caso avrebbe suscitato clamore ed indignazione, si sarebbe gridato all’ennesimo caso di malasanità, qualcuno avrebbe inzuppato il biscotto nel fango gettato sulle condizioni del Sud, ci sarebbero stati attacchi alla gestione regionale da parte dell’opposizione e l’invio degli Ispettori da parte del Ministero per fare luce sulla vicenda. Oggi, nemmeno questo: il caso è sottaciuto persino dalla stampa-straccia, nessuno amplifica il grido di dolore di una giovane coppia a cui nessuno darà più il loro primogenito; il Presidente della Regione, con le mani pasticciate di colore come le avrebbe potute avere questo bimbo mai nato e che mai le avrà, non ha ancora deciso se conviene più giocare e continuare a minacciare i cittadini campani attraverso il suo pugno di ferro, il lanciafiamme e le offese per gli adulti​ fratacchioni​ e che non risparmiano nemmeno i bimbi alimentati al plutonio, oppure cavalcare l’onda increspatagli dal Presidente del Consiglio che, mal digerendolo, colloca la Campania nella fascia gialla, ovvero completamente guarita. Un miracolo a cui nemmeno De Luca crede e che a malincuore, magari per via del mancato accesso a quei fondi che fanno sempre comodo, sarebbe utile ostentare. Almeno per ora. Non una parola dal Ministro della Salute, forse perché non è un medico o forse perché troppo preso dal suo libro scritto in piena pandemia la cui seconda ondata, annunciata ed evidentemente non temuta, ha ritardato la pubblicazione delle sue memorie. Né sentiremo una parola dal Santo Padre, ovvero quello che si dovrebbe scagliare più di tutti contro questi crimini, che si dovrebbe battere per il valore della vita e per la sua difesa. Sempre. Comunque. Ovunque. Ma che non dice una parola nemmeno sul folle progetto di Ingegneria medica che sarà il nuovo ordine per il concepimento mondiale, rivolto soprattutto alla Cina che deve riprodursi anche al posto nostro; quindi circa la nuova infernale macchina che subentrerà all’utero materno, che simula la placenta e che sostituirà la procreazione naturale. Troppo impegnato pure lui nella stesura di qualche altra enciclica che di religioso, di cattolico, di cristiano ha poco o nulla. “Fratelli tutti”, la sua ultima fatica sembra avere tutti i canoni della propaganda politica schierata, perfettamente calzante e attuale più che mai in questi giorni di fuoco negli USA, sponda​ dem, pro-Biden, l’”annusatore di bambini”, già avvezzo all’adrenocromo e agli scandali sessuali, pedofilia inclusa, con tanto di abbraccio al satanismo e da cui sembra non essere immune nemmeno il figlio. Vizietto di famiglia o (dis)valori che si trasmettono… col sangue.                              La posizione antipodicamente opposta a quella che Bergoglio – almeno professionalmente – dovrebbe avere, o meglio, a quella della Chiesa. Eppure questo papa è fratello anche di costoro!
Chissà se si sono sentiti tutti fratelli le vittime sgozzate a Notre Dame a Nizza. Chissà se sono fratelli tutti il professore francese con i suoi assassini. Chissà quanti Cattolici sentono questo papa come loro fratello. E non ci stupirebbe neppure un altro silenzio se l’ennesimo dipiciemme decreterà la mancata nascita di un altro Bambino che nasce ininterrottamente da oltre duemila anni, che non hanno fermato guerre e carestie, pestilenze e terremoti. Un dipiciemme “fratello” dell’altro dipiciemme che ha impedito dopo duemilaventi anni persino la sua Resurrezione, sospeso la funzione religiosa e abolito in fieri addirittura la Comunicazione, la Santa Comunione, il rapporto con Cristo, corpo e sangue fattosi cibo per noi.
Bisogna avere fede nei dipiciemme e confidare in sorella mascherina perché anche un papa può avere paura di sorella morte. E al vespro, visto il tempo d.C. in cui sopravviviamo ringraziamo il Covid che anche oggi non ci ha abbandonato in tentazione e che ci ha liberato dal tampone.

https://www.camposud.it/2020/11/in-nome-del-covid/

L’Italia è anche un Paese per vecchi!

Da Villa Giusti al comodo divano di casa propria, da quarta potenza mondiale a corridoio clandestino con la porta sempre aperta sul Mediterraneo, dal riscatto per la vittoria mutilata all’ammutinamento di ogni residua attività sinaptica.
Eccola l’Italia della generazione del ’99 e di Armando Diaz cent’anni dopo: tutta in fila nel click-day, in coda, manco a dirlo, virtuale e in religioso ossequio al distanziamento a-sociale, prettamente on line per combattere la propria personale battaglia nell’accaparrarsi lo sconto per l’acquisto di bici elettriche e monopattino.
La Casaleggio & dissociati è riuscita ottimamente nell’intento di portare la politica, nel senso più alto del termine, comodamente a casa sul web, è riuscita persino a spacciare la cosiddetta democrazia diretta ad appannaggio di un numero chiuso (dicesi oligarchia ma Di Maio e Toninelli non lo sanno!) di iscritti, previa la maturazione di una certa “anzianità di servizio” sulla piattaforma che ha appiattito persino Rousseau, tentando di elevare questa forma di parte-cipazione privata e persino ad istituzionalizzarla. Un po’ come il loro vaffanculo.
Ultima trovata “grilloide”: il clic-day appunto, ovvero come accedere ad uno sconto per l’acquisto di mezzi elettrici quando alle porte incombe la minaccia di segregarci nuovamente dentro casa. Monopattini e biciclette buoni nemmeno per correre dietro al virus. E chi se ne frega dei principi fondamentali, delle libertà acquisite, dei diritti inviolabili.
È l’era della digitalizzazione – dice il Presidente del Consiglio Conte – quando vanta gli sforzi profusi in tal senso, dalla “sburocratizzazione” del sistema, alla digitalizzazione di ogni settore: dalla pubblica amministrazione – che ancora annaspa- fino alla Sanità: i medici, infatti, prescrivono ricette via telefono, visitano via web e tra un po’ opereranno pure in streaming. È il 5G, la rete del futuro che è già presente. Non sappiamo quale sia, se quello cinese o quello americano, forse la guerra NBC in corso è anche per questo, ma di sicuro è quello a cui si è aperta la strada nella scorsa primavera, quando l’Italia tutta era confinata in casa e Sindaci, Presidenti di Provincia e Governatori davano il placet per l’abbattimento di alberi secolari in ogni dove.
Subito dopo, ma non troppo,  tra la fine della primavera e nell’arco dell’intera estate, la nuova tecnologia ha fatto ingresso nel mondo dell’Istruzione, distruggendola: banchi con le rotelle per tutti, distanziamento (a scuola?) sociale (a scuola?) per tutti gli alunni, mascherine urbi et orbi, verifiche “da decantare” e votazioni “da maturare”, ingressi scaglionati, presenza a singhiozzo. Risultato: scuola chiusa e lezioni a distanza. Didattica, ovvero app-rendi-mento, non insegnamento o formazione o cultura. Con la ripescata Azzolina nei panni del Ministro che fa l’avvocato del diavolo per il governo. Il partito della Azzolina che poi è quello che ha portato a nominare – in perfetto stile Casalino – Giuseppe Conte (che non è mai stato un 5 stelle) rimanda a un progetto dei Casaleggio & co(mpagni) che si pone l‘obiettivo della DAD perenne, ovvero scuola da casa, sempre e per sempre. Ciò significa niente più scuola per nessuno con la dipartita – chiaramente metaforicamente professionale – degli insegnanti che saranno sostituiti da anonimi meme. Insignificanti avatar. Un po’ come la vocina della cassa automatica che ha sostituto il casellante e che puntualmente, dopo averci reso il resto, si manda inevitabilmente… dalle 5 stelle.
L’ultima trovata, sicuramente solo in ordine di tempo, riguarda la nuova procedura per accedere ai servizi dell’AdER, l’Agenzia dell’Entrate-Riscossione. Meglio rafforzare il concetto, magari qualcuno si illudesse che non è solo il battesimo a nuova vita della prodiana Equitalia, equa solo nel far finire alla” stessa maniera” parecchi Italiani. Troppi.
Stando alle notizie dei tiggì RAI, che la task force di Stato propina per impartire le balle di “Regime”, il numero delle vittime per la pandemia aumenta considerevolmente di giorno in giorno. Stessa sorte per gli impiegati cui si toglierà il lavoro. Quindi sempre più persone, che non hanno più una vita che non sia in funzione del Covid, potrebbero accedere agli sportelli delle agenzie fiscali per il disbrigo di pratiche burocratiche. Agenzie create nel 2000 per i cittadini contribuenti e non per lo Stato ed è qui che costoro trovano la bella sorpresa: dal 26 ottobre, infatti, “cambiano le modalità di accesso in tutti gli uffici dell’Agenzia delle Entrate della provincia di Caserta, Napoli e Salerno”. Per le pratiche che non possono essere evase via web, quindi da soli, è necessario prenotare un appuntamento. Di seguito la modalità pubblicato sul sito dell’AdER: “Come prenotare un appuntamento in Agenzia – I cittadini possono prenotare gli appuntamenti tramite il sito internet, nella sezione “Contatti e assistenza” > “Assistenza fiscale” > “Prenota un appuntamento”, oppure tramite l’App mobile “AgenziaEntrate”, scaricabile gratuitamente dagli store IOS, Google e Microsoft, con cui si può accedere dal proprio smartphone o tablet a servizi come il cassetto fiscale, la dichiarazione precompilata o la richiesta del Pin. Sempre dal sito delle Entrate è possibile ottenere un web ticket (“Contatti e assistenza” > “Assistenza fiscale” > “Elimina code online (web ticket)”), che consente di prenotare un biglietto elimina code presso un ufficio dell’Agenzia da utilizzare nello stesso giorno e limitatamente ad alcuni servizi.”
Tutto questo “Ambaradan” solo per portare la pratica allo sportello, magari al cospetto di un funzionario impanicato quindi deconcentrato e, di conseguenza, annoiato e, ci auguriamo, non superficiale.
Questa è la pratica che debbono seguire i nonnini, magari non scolarizzati e allettati, spesso soli, quelli sempre più “relegati” a sostituire le baby-sitter quando ce la fanno o che hanno bisogno di una badante, quelli che sempre più spesso e mai come in quest’ultimo periodo di chiusura delle attività essenziali (quale lavoro che è fonte di sostentamento non è essenziale?) imposta da questo governo, significano piatto per figli e spesso per i nipoti. Questo il trattamento verso coloro che hanno fatto l’Italia, che hanno contribuito al boom economico, che hanno creato quello che oggi è stato distrutto. Questa l’attuale gratitudine.
Alla faccia della sburocratizzazione!https://www.camposud.it/2020/11/litalia-e-anche-un-paese-per-vecchi/

UN PANDEMONIO DI PANDEMIA

Il pandemonio come diretta conseguenza di una pandemia. Al di là dell’assonanza fonetica, non vi è praticamente nulla che accomuni lo scompiglio (de)generato da un virus – che in Germania si è scoperto essere addirittura un batterio – e il virus stesso, elevato esponenzialmente a pandemia per il solo fatto che dalla Cina ha invaso (e forse inviso) il mondo intero.
Accade che un “vairus”, (non) letale quanto un’interrogazione di latino quando la mamma è insegnante, invade e colpisca in egual modo l’intero globo, non tenendo minimamente conto del posizionamento geografico delle varie Nazioni rispetto all’equatore, quindi il ciclo delle stagioni meteorologiche antipodicamente opposte; non curandosi nemmeno di una legge elementare come quella della relatività secondo cui si continuano ad accostare le vittime degli USA o del Brasile con quelle dell’Italia, solo in base ad una nomenclatura politica e non in rapporto alla densità abitativa. Che è come accostare i contagi dell’area metropolitana di Napoli (3 milioni e mezzo di abitanti) a quelli registrati a Petruro Irpino (341 anime). Contagi che, per essere tali, si è dovuto abbassare ad una sola unità la soglia di positività dei geni rispetto all’ondata prima quando ne occorrevano tre e che, nonostante il parere clinico di luminari della medicina ci porta a confermare che la stragrande maggioranza dei colpiti è asintomatica, si fatica ancora a parlare della cosiddetta immunità di gregge.
Accade che se ragioni sei complottista e passi addirittura per negazionista se tenti di capirci qualcosa argomentando in base a studi statalmente riconosciuti, ma sconosciuti a quelli che “la pandemia è uguale in tutto il mondo”, ma guai ad azzardare il pensiero di una comune strategia, di una comune regia e che poi, però, paventano l’ipotesi di una cabina di regia allargata con chi per mesi si è ignorato: mal comune, mezzo gaudio.
Accade che nel momento in cui serve l’unione e l’amore per la propria terra e per i propri connazionali si fomenta l’odio e la divisione, col sinistro disegno di comandare, di continuare a comandare per affamare, per annientare, per consegnare persino le chiavi di casa propria.
Accade che persino l’ordine pubblico venga sconvolto da chi dovrebbe tutelarlo, da chi provoca chi non ha interesse ad aggiungere guai a guai, da tutori ligi al solo ordine di creare disordini.
È accaduto a Firenze e si è ripetuto a Roma, dopo le prove generali fatte a Napoli, a Milano, a Palermo.
Accade in quest’Italia dove in piazza ci sono donne e ragazzini, partite IVA e imprenditori, cassaintegrati, o meglio in attesa di esserlo, e studenti che rispondono cantando Il Canto degli Italiani alle cariche gratuite della Polizia al comando di un Viminale la cui inquilina è la stessa che negò a tanti di loro presenti in piazza persino la commemorazione di una giovanissima vittima dell’odio politico avverso.
Accade che chi giura sul tricolore lo straccia addirittura.
Accade nell’Italia modello, quella che deve scegliere tra il 5G cinese o quello americano, quella che è colonia americana da 80 anni ormai e che decide di mettersi in affari con la Cina sulla Via della Seta. Quella che chiama eroi chi ha mandato in prima fila ad obbedire a protocolli sbagliati, che tenta di curare i sani con protocolli governativi in sostituzione di protocolli medici, raccomandando ai sintomatici di restare a casa, ché tutto andrà bene. Le raccomandazioni, dopo quanto scoperto a marzo in Lombardia, possono essere utili solo a riempire l’ennesimo DPCM, inutile e illegittimo come tutta l’ultra decina precedente, emanato con accorato pathos al punto da confondere l’indennizzo con il ristoro.
Accade che l’attuale Italia che s’è destata dal torpore del confinamento domiciliare ed è scesa in piazza, nelle strade, ha dato senso di unità stringendosi in una lunga e vibrante protesta non per negare l’esistenza del Covid,come la stampa di regime spesso tende a far passare, ma per difendere addirittura diritti fondamentali che mai avremmo pensato di mettere in discussione: il diritto al lavoro, il diritto al libero pensiero, il diritto all’istruzione, il diritto di essere curato per malattie che sono un cancro del nostro tempo e non solo se hai la “fortuna” di essere positivo al Covid, il diritto a ricevere un’assistenza domiciliare dal proprio medico che ormai visita via telefono, il diritto di manifestare, il diritto dell’uguaglianza difronte alla Legge e dell’equità della Legge stessa, il diritto di disobbedire ad un ordine illegittimo o troppo “personale” anche se hai deciso di vivere una vita dedita all’obbedienza, il diritto di professare liberamente e senza rischi il proprio credo religioso, il diritto di difendere la propria Patria riconosciuta tale entro i confini marcati col sangue dei nostri avi, dove Patria indica anche Cultura e Tradizione come quella di leggere La Divina Commedia in classe e comprare il “cartoccio di paste” la domenica, il diritto di respirare liberamente, il diritto di vivere la propria vita che è tale fin dal suo concepimento e condividere l’esistenza con chi è venuta ad arricchirla, a riempirla.
Accade che per colpire il virus si ricorra a misure stringenti e si chiuda tutto alle ore 18:00 perché tutto è partito da un pipistrello. Che se l’unione fa la forza allora è meglio tenere tutti a distanza perché le idee contagiano, che se il Covid fa uscire allo scoperto la Sanità allora meglio riunirsi in Difesa.
Accade che è già accaduto e che è accadrà ancora. Di nuovo. Di peggio. Che forse è meglio. DPCM promettendo!