I SOGNI BELLI MUIONO ALL’ALBA

I sogni belli muoiono all’alba.
È fallito il tentativo di mediazione della Cina, partner della Russia e “amica” dell’Ucraina di Zelensky.
Da oggi si fa sul serio.
Non è più la guerra delle parole, ma da oggi muscoli e armi si mostrano davvero. Avrebbe dovuto essere una guerra lampo, ma il fatto che non lo è, il fatto che cominci solo ora dimostra che anche una superpotenza come la Russia e uno stratega come Putin possono fare male i loro conti.
Ogni giorno che passa è una sconfitta cocente per Putin e la sua Russia, ogni giorno che passa è una vittoria in più per l’Ucraina. Che verrà schiacciata, che sarà la destinataria di armi sempre più pesanti, di cui lei con tutta probabilità non dispone ma che, minuto dopo minuto, offre al mondo l’esempio di coraggio in quella lotta alla libertà di cui tutto il mondo, mai come ora, ha bisogno.
La NATO non è intervenuta, l’UE ha stanziato fondi, da unione bancaria che non è altro, gli USA, i veri colpevoli della loro esasperata esportazione della democrazia, l’hanno lasciata sola, allora si capirà bene, prostituta o meno, che l’Ucraina sta combattendo la sua battaglia migliore con i suoi uomini migliori. Quelli che non si arrendono. Quelli che lottano per la libertà della propria terra. Sì capirà bene che ogni posizione, scevra da ogni tifoseria, adesso va rivista: se a Kiev non ci sono soldiers di quella colazione nata già morta, Putin a chi fa la guerra? Perché inasprirà il dialogo con le armi? L’Ucraina sarà pure stata usata, ma Putin non ha dato prova di essere il grande stratega che dicono di essere. È stato provocato ed ha abboccato e adesso non sa più come tirarsi indietro. Rendendosi piccolo. Così come non si stanno tirando indietro i soldati ucraini. Rendendosi grandi. Giganti. Più di Putin. Che stanno sacrificando la loro vita in nome della libertà del proprio popolo e della propria terra. Che stanno andando incontro alla morte ben consci della loro libertà mortale. Come i 13 soldati che all’Isola dei Serpenti sono diventati eoi, morti senza arrendersi. Che all’intimazione della nave russa di arrendersi e deporre le armi altrimenti sarebbero stati bombardati, i 13 ucraini hanno risposto testualmente “Nave russa vai a fare in culo!”.
Se è vero che l’allargamento a est è stata vista come una minaccia ai propri confini, è altrettanto vero che i confini russi finiscono lì dove iniziano quelli ucraini e che, minaccia o meno a stelle e strisce, la sovranità di Kiev è sacrosanta almeno quanto quella dei confini di Mosca. Che distano solo 4 km nello stretto di Bering. O, se vogliamo, confinano. Pacificamente.
L’Ucraina fa gola a tutti perché è ricca. Nel sottosuolo. Nel comprare ciò che Mosca esporta. Ma anche di quegli uomini che Putin vuole “denazificare”. Quelli che sì, hanno la runa sul braccio, ma anche tanto coraggio da arrivare a morire per una Idea. Di Terra. Di Patria. Di Nazione.
Ma prima di oggi, ieri sera è stata dichiarata un’altra guerra. A noi. Italiani. Dal “nostro” Presidente del Consiglio. Ma non l’abbiamo vista. Come la guerra del Covid. Della certificazione verde. Dell’euro e dell’Unione europea. Del ’92. Di Tangentopoli e del Britannia. Guardiamo all’Ucraina sì, ma con altri occhi. Non dello spavento, ma dell’esempio. Senza andare a dormire pure stavolta.

GUERRA?

Ci siamo addormentati con la mascherina e ci siamo svegliati con l’elmetto.
Strano, vero? No, nient’affatto.
Ormai è così che i padroni vogliono vada il modo, è così che chi decide delle nostre vite vuole che viviamo: in un perenne stato di agitazione, di paura, di sconforto, sempre in allerta, sempre in bilico, un’emergenza perenne, un’insicurezza senza fine.
Più che la guerra fa paura l’attesa della guerra, paventata e osannata come l’ultimo atto virile di un maschio alfa che non si rassegna all’andropausa. Una guerra e una vita in attesa di essa, manco fosse il me$$ia per gli ebrei.
Sarà una guerra convenzionale? No, non tutti sono americani. Il tempo della forza impotente e gratuita di Dresda e Hiroshima e Nagasaki è finita. Gli Yankees hanno aperto filiali NATO come Mc Donald’s che ai macellai russi non hanno dato fastidio fin quando le hanno inaugurate difronte a casa loro. In Ucraina, diventata la Natascia del film Così parlò Bellavista: con 10mila lire ti fa servizio completo, sopra e sotto.
D’altronde, ci si sveglia solo adesso, sarà stato l’effetto soporifero del Covid, visto che le intenzioni erano chiare e mai nascoste. Già subito dopo l’elezione (?) di Biden, cioè da prima, perché Bidenich fosse eletto.
Al primo G7 in Cornovaglia – dove l’invito alla Russia è sospeso dal 2014 proprio per la questione Ucraina – si partorì un documento, il Carbis Bay, sottoscritto da tutti i presenti, o meglio da tutti gli invitati, che istituiva di fatto la costituzione (la riflessione sui termini è d’obbligo!) di un fronte mondiale politico, economico, ma principalmente militare, contro Russia e Cina.
Al summit era presente, ops fu invitata, anche l’Australia, quella “quasi Italia” in quanto a restrizioni Covid, che fu dotata di una flotta di sottomarini nucleari sguinzagliati come controllo (leggasi provocazione) in luogo e in largo in tutti i mari contro la Cina.
Tuttavia, esisteva un altro documento risalente ai tempi dell’unificazione della Germania che prevedeva la non espansione ad est da parte della NATO; documento cui si è riservato lo stesso trattamento destinato alla nata partigiana e battezzata democraticacristaina Costituzione.
L’arroganza americana ha ormai valicato i confini del tollerabile e la tolleranza russa è terminata. Mosca inizia a difendere la sua sicurezza e la sua incolumità. Le agenzie di stampa, quella già arruolata nella guerra Covid, lancia veline di attacchi russi in numero probabilmente maggiore dei reali colpi esplosi. Praticamente zero da parte degli invasori-alleati-protettori americani. La risposta di Whasington è partita con le sanzioni e continuerà con le sanzioni che saranno solo una ferita di striscio per Mosca. Ci saranno morti, certo, ci saranno persone in fuga e la guerra negli occhi dei bambini, ma a questo avrebbero dovuto pensarci quei padri che approntavano la loro Ucraina in funzione anti-russa. Quella stessa Ucraina che non è membro (obbligatoria riflessione sui termini!) NATO e non è un cazzo nella UE, per cui gli esportatori di democrazia since 1776 dovrebbero inventarsi altro rispetto all’intervento armato diretto. Le sanzioni appunto.
Non ci sarà alcuna guerra mondiale, l’Ucraina-Natascia verrà sistemata in poco tempo, una botta e via che fa tanto consumismo yankee, ma la tensione – non solo lì – continuerà. È una strategia.
E l’Italia? Al massimo ospiterà sparute migliaia di sfollati. Fa parte del copione. Quello della realtà preveda che i civili non sono oggetto di rappresaglie e sono al sicuro, visto che i combattenti ucraine depongono le armi.
Li rifocilleremo e ce ne faremo carico. Come già facciamo con i soldiers U.S. Come già facciamo con qualunque clandestino si dica profugo, rifilugiato o disertore, che nel Bel Paese non è più una brutta parola.
Quella Italia che forse già sapeva, tanto da prevedere un aumento 5% per le spese militari nel 2022. Ben 26 miliardi di euro. In piena pandemia. E con una inflazione che si prevede più letale del virus e i cui effetti sono già noti e evidenti.
La stessa Italia che oggi, già in prima lettura, ha fatto sapere porrà la fiducia sull’obbligo vaccinale (solo per adesso) per i cinquantenni e l’obbrobrio del relativo green pass. Per sempre. Mentre dal prossimo Consiglio dei Ministri, di cui fanno parte i diplomatici Gigino il fagocitatore di delizie tropicali durante le cene di gala a seguito di viaggi vuoti e il contabile Draghi, fautore delle tavole rotonde stile Aspen, un omologo francese siederà alla loro stessa tavola, perché così ha deciso Mattarella, defecando sull’intero Parlamento, riunito in seduta silente e complice. Ma le invasioni di campo sono quelle di Putin e la sovranità da difendere è solo quella di Natascia.

DICHIARAZIONE DI GUERRA

Che si dichiara così una guerra? Senza che nessuno abbia prima detto che il Covid è fin(i)to? E non perché qualche Nobel(lo) secchione con gli occhiali a culo di bottiglia e la testa quanto una televisione abbia affermato che, dopo due anni di emergenza che non è emergenza ma solo “nuova normalità”, il virus ormai è endemico e ha perso la propria virulenza, ma perché i “padroni del mondo” hanno deciso di concentrarsi sul fronte orientale. Nel senso che si sono concentrati lì e dicono a Putin di ritirarsi non dicendo, però, che Mosca non ha mai sconfinato e non può ritirarsi da nessuna parte, visto che da nessuna parte è andata. È rimasta a casa sua. Che in americano suona come “il nemico non ha accettato le nostre condizioni di peace”. Te piace o non ti piace. La stessa America che aveva diramato al mondo intero la notizia secondo cui Putin avrebbe attaccato il tal giorno, alla tale ora. Cosa rivelatasi vera e verificabile almeno quanto l’esportazione della loro democrazia. USA & getta. Consumismo esasperato.
Mosca avrebbe dovuto attaccare, ma l’Ammerega era già sui confini a “difendere”. L’Ammerega schiera l’arsenale bellico, ma la colpa è di Mosca. Appare evidente che l’unica mosca – e pure bianca – è quel figlio di Mosca, allievo del KGB: mentre vanno in onda le conferenze in diretta mondiale per raccontare la III guerra mondiale, la controffensiva a stelle e strisce sta tutta in sanzioni economiche, già annunciate. L’Unione europea fa addirittura di più – che significa di peggio – e annuncia delle “sanzioni personali” verso Putin. Cioè? La sovrattassa turistica o il divieto di sosta se Putin dovesse mai recarsi a Bruxelles?
L’Ucraina, da parte sua, dopo la Crimea, perde anche il Donbass. Vivi il sogno americano…
E Putin, dopo aver riconosciuto l’indipendenza delle repubbliche separatiste, in accordo coi due Presidenti, invia le proprie forze militari per difenderle… dalla peace americana.
Ma solo la Russia è cattiva? Nooooo. Anche la Siria di Assad annuncia che è pronta a riconoscere le repubbliche del Donbass di Donetsk e Luhansk. Anche Venezuela, Cuba e Nicaragua riconosceranno probabilmente le repubbliche di Donetsk e Lugansk a breve, secondo lanci di agenzia. Si attende di conoscere le risposte di Cina e Brasile, ma a considerare da come sono state ricevuti al tavolo del Cremlino, rispetto ad un Macron…
Non sono forse schieramenti questi? Alleanze? Nazioni Unite?
E la NATO? E l’ONU?
Inutili. Come l’Unione europea. Morte. Finalmente.
E l’Italia? L’Italia attende che il ministro degli Esteri Di Maio riferisca in Aula. Riferire. In aula. Di Maio. Capite? Di Maio che riferisce in aula! Non capisco.
Persino più ridicolo di Letta che parla di difesa dei confini!
Figliuolo. Il generalissimo plurimedagliato, pennuto, ma in camice white! Le Forze Armate di aggeggio elettronico per il controllo della propiska.
Ma in Italia c’è il Covid! Ci vogliono i vaccini e le mascherine. Il green pass e le restrizioni. Ma il virus non era sparito? Sì, ma è meglio tenerle. Per precauzione. Non si sa mai. Questa potrebbe essere solo una boccata di ossigeno. E poi, se scompare il virus, non è detto debbano necessariamente scomparire i suoi postumi. A volte, gli effetti finiscono per rappresentare le vere cause. Magari le premesse per una emergenza infinita. A cui, prima o poi, ci si abitua. E l’abitudine è sorella gemella della normalità. E così appare normale che non puoi più guadagnarti il pane solo perché hai cinquant’anni. Che sei vuoi lavorare, studiare, divertirti e vivere devi essere autorizzato. Che non sei più padrone di stare in casa tua con chi vuoi o decidere di riprodurti come e quanto vuoi. Che il lavoro che hai deciso di fare o che comunque ti consente di vivere, tutt’a un tratto, viene considerato “non essenziale”. Allora le attività chiudono, la disoccupazione aumenta, i poveri si moltiplicano, l’Italia si impoverisce. Sparisce. E si vende. Si svende. Ricchezza. Potenzialità. Eccellenza. Dignità. Che sono le macerie evidenti della guerra vera. Non combattuta, ma già abbattutasi. Subita. Solo che non si è vista, grazie alla mascherina. Alle restrizioni che ti hanno tappato in casa. Al diritto alla puntura di vita, con scadenza rinnovabile. Ma noi non possiamo fare altro che subire. Subire con 59 basi NATO sul nostro territorio e parecchi metri cubi di gas della Gazprom. Subire, nonostante le 59 basi NATO sul nostro territorio e i migliaia di metri cubi di gas della GAZPROM che consumiamo. Quando la smetteremo di praticare il tifo non agonistico anche in politica, a non essere filo-americani, filo-russi, filo-qualsiasi cosa, patrioti europei e saremo essenzialmente Italiani filo-italiani allora saremo pure più orgogliosi e consci della grandezza nazionale. E solo allora potremo anche farci finalmente i cazzi nostri.

Fenomenologia dell’ICTUS ITALICO : da squali e piranha a piscitiell’ ‘e cannuccia!

Alla fine sono arrivati anche loro. Anche loro sono insorti. Quelli che erano stati lungamente assenti nelle proteste per il presente che è il loro futuro. I giovani. Sono scesi in piazza per protestare. O meglio, sono entrati a scuola, per protestare. Pro-testare, secondo le logiche sperimentali del ministero per la transizione ecologica e digitale, che mescia, alza i calici e brinda. Prima di blindare.
Nell’ottica della tradizione che è coniugazione del passato col futuro, è ancora Roma ad esser caput mundi. Galeotto fu il liceo capitolino Augusto Righi dove è successo il fatto: una giovane fanciulla sedicenne – e forse pure sedicente – colta in fallo mentre si faceva un tik tok, ovvero registrava un breve filmato nei locali della scuola per poi pubblicarlo in internet, alzandosi la maglia. Un poco troppo per un’insegnante che ha assistito alla scema/scena e ha chiesto alla fanciulla se credesse di trovarsi sulla Salaria, metonimia per il luogo di assembramento delle lucciole.
Immediata la replica dell’alunna che, consapevole di aver infranto il dress code, quello che prima del forzoso angliscismo di Schengen si chiamava italianamente “decoro”, gioca il jolly e si attacca al sessismo. Che ormai ha fottuto pure il politically correct e le quote rosa e va addirittura meglio del cacio sui maccheroni.
Immediatamente precettata la falange di gioventù che collettivamente ha solidarizzato con l’influencer influenzata e ha deciso di infrangere a  sua volta il dress code e si è un recata a scuola in short, canotta e minigonne. La risposta dal mondo dell’informazione non s’è fatta attendere e repentinamente è iniziata la caccia alla Preside la quale, con fare andreottiano, non era presente e non s’è accorta di nulla, ma, in compenso, ha provveduto a scusarsi per l’insegnante che sicuramente non intendeva offendere la giovane. La quale, però, non si accontenta e pretende le scuse dell’accusatrice che ancora non sono arrivate. Forse pretende l’abiura e poi il rogo, senza aver minimamente proferito e preferito discettare sulla propria condotta. Un atteggiamento tipico del piscitiello di cannuccia, ovvero della persona stupida, ingenua che viene pescata con facilità. D’altronde questa è la generazione dei pronipoti dei partigiani, nipoti dei sessantottini, persino la loro degenerazione. I loro antenati, a differenza loro, anziché scoprirsi, si coprivano con eskimo e Hazaret 36, e andavano in piazza a dare e (soprattutto) a prendere mazzate contro i coetanei in bomber e anfibi in nome di una ideologia. Ma questa è la (de)generazione delle sardine, che non sono altro che i baccalà dei loro nonni squali e bisnonni piranha, pur confrontatisi e scontratisi con la generazione dello stoccafisso.
A giudicare dall’argomento della protesta, dei meri “pesci pigliati co’ ‘a botta”, ovvero senza spina dorsale, verso quella scuola che più non forma, che non prepara al futuro e che non dà più nemmeno un metodo per studiare. Quella scuola europe(ist)a misurata a colpi di crocette da test “Invalsi” e sui cui l’Europa non ha mai avuto da ridire, da pretendere per alzarne gli standard. Quelle scuole dove ormai non insegnano più la ricerca, che è filosofia, che è amore per il sapere e dove manca persino la carta igienica, usata al posto dello spirito critico. Quella scuola sostituita dalla DaD che è solo la variante all’edificio freddo, malfunzionante e fatiscente.
Eppure proprio in questi giorni il mondo della scuola vive una tragedia doppia, la conseguenza di quella riforma spacciata come “Buona Scuola” che pre-vede l’alternanza scuola-lavoro, ma che ha fatto due vittime. Minorenni. Non retribuite. E di qui al caporalato il passo è breve… a istituzionalizzarlo.
Il Righi di Roma non è che solo l’oblò di un acquario nazionale in cui esiste – Vivaddio! Nel senso dell’acronimo greco ictùs, non “colpo”, ma “Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore” – anche quella scuola che è scesa in piazza per solidarietà nei confronti di queste due giovani vittime cadute nemmeno nell’adempimento del proprio lavoro e che hanno trovato la risposta dello stato nei manganelli inviati dal Viminale. Perché evidentemente tra i banchi, seppur non a rotelle, c’è ancora chi osa e usa pensare. Al confronto della massa, nemmeno minimamente infuriata dalla mancanza di fondi, dai turni a scuola per via non del sovraffollamento, ma perché le aule sono troppo piccole per con-tenere il covid; non per l’obbligo di mascherina o per un obbligo di cui non esiste obbligo circa il vaccino che è strumento propedeutico per la frequenza in presenza e per sostenere gli esami. Per questa scuola che non fa accedere ai laboratori per… boh; perché non forma, ma uni-forma, figlia perennemente minorenne e inguaribilmente minorata di quel 6 politico a dispetto della competitività e della meritocrazia. E loro ci cadono come dei perfetti “pesci a broro”, esseri rammolliti e amorfi che nulla pretendono per il proprio presente, condizione essenziale per il proprio futuro. E chissà, se anche questa protesta dai contenuti penumaticamente vuoti e retorici, a giudicare anche dallo spazio riservato dalla complice in-formazione, non sia solo una controprotesta creata ad arte per mascherare problemi fin troppo evidenti anche con tutte le precauzioni e le mascherine del (nuovo) mondo. E voi, ancora una volta, avete abboccato.

https://www.camposud.it/fenomenologia-dellictus-italico-da-squali-e-piranha-a-piscitiell-e-cannuccia/tony-fabrizio/

SE IL GOVERNO FA (POCO E) MALE, DE LUCA FA PEGGIO!!

Detto fatto. La politica del fare. Questo sì che è dare una parola, la parola fatta azione. L’aveva annunciato Vincenzo De Luca e, contrariamente alle direttive del governo centrale, che (chissà se) sentito il CTS – il Comitato Tecnico Scientifico di esperti, di rado consultato e praticamente mai ascoltato, chiamato a decidere al posto del governo “dei Migliori” e di quello prima, in Campania resta l’obbligo di mascherina. Al chiuso, all’aperto, nei locali, all’aria, da soli o in compagnia. Sempre, dovunque, comunque.
Lo aveva annunciato Cenzino De Luca che non dispone certo del CTS, ma, forse, nemmeno di altri rispettabilissimi pareri professionali – tutti concordi nel dire che l’uso prolungato della mascherina è sconsigliato in quanto provoca effetti che potrebbero rivelarsi anche gravi come l’ipercapnia – e legali che, nonostante imperi, o meglio, “collabori” tale magistratura”palamarizzata”, pur concorda nel non obbligare all’uso della mascherina in quanto non considerata presidio medico.
Si sa, De Luca è un pezzo… d’uomo, l’uomo che non deve chiedere mai. E allora mascherina sia! Per tutti, urbi et orbi. In saecula seculorum!!??
Un (non) senso di esasperazione smisurata di ogni forma di protagonismo egoistico a tutti i costi, detentore della verità assoluta e incontrovertibile e da non discutere, come da vizietto tipicamente sinistro, uno sciovinismo malato e deteriorato, nato già marcio, un padre padrone che vieta ai figli di mangiare per non ingrassar, non curandosi che possano anche morire di fame.
Che la mascherina sia la genialata deluchesca per “mascherinare” – che non è un ossimoro dei termini italo-partenopeo mascherina e denaro – al fine di alzare la soglia di attenzione ed evitare di far toccare con mano e pure con tutto il corpo il disastro sanitario che il “n/mostro” ha creato tagliando fondi e mangiandosi intere strutture ospedaliere in favore di un sistema degno di Salerno Capitale, per la serie “mangio ovunque e lo deposito a Salerno”, non è certo una novità, ma, per quanto incredi-bile possa essere, esiste qualcosa persino peggiore di tutto questo. La pezza peggiore del buco, ovvero le “giustificazioni” con cui Delukistan ha tentato di spiegare la sua ordinanza: proroga di mascherina in vista del Carnevale e di San Valentino. A Carnevale giù la maschera e a San Valentino effusioni protette. Non è una gara al ridicolo, al grottesco e non è nemmeno uno scherzo, ma solo… chiacchiere! Di governo. Centrale e periferico. Griffe contro sottomarca. Solo l’ultima battaglia di una guerra del governo-ombra al suo-ma-non-suo governo, sostenuto dal suo partito da cui era partito a sua volta. Chissà, magari col disincanto del tempo potremo affermare addirittura che il Covid non uccide, ma vitalizza pure. Almeno politicamente, a guardare il governatore col lanciafiamme che non è riuscito a spegnere l’incendio divenuto ormai virale e i cui strascichi sono ormai talmente grandi da non poter essere più nascosti sotto al tappeto. Per altro interamente occupato dalla gestione “sanitaria” – è proprio il caso di dirlo! – dall’inquilino di Palazzo Santa Lucia.
Eppure, la guerra al governo De Luca avrebbe potuto condurla anche in tempi di pandemia proprio su “sapori e odori” della propria terra: se proprio non riesce a vedere un’inflazione incontenibile che a breve esploderà, partite IVA che scompaiono come se fosse neve al sole d’agosto, conseguente disoccupazione ed inevitabile povertà, facile manovalanza per la malavita, serrande abbassate ovunque da far impallidire persino il peggior De Luca chiusurista, serratista e serramentista. Proprio nei giorni in cui nel Palazzo della Regione di redigeva la nuova ordinanza per la proroga della mascherina, in Parlamento venivano modificati, con fare da criminali come si confà a quei soggetti che da politici sono assurti agli oneri della cronaca quali cronici amministratori, liquidatori per i primi della classe, gli articoli 9 e 41 della Costituzione, principio cardine e opera prima di quella intellighenzia che, col tempo, ha dimostrato non solo di non averla mai redatta quella Carta, ma nemmeno di averla mai compresa e, chissà, se qualche volta almeno “Letta”. L’articolo 9 fa parte dei 12 articoli  cosiddetti fondamentali. Ovvero intoccabili, che non si possono modificare, limitando, di fatto, l’ingerenza del Parlamento e del Governo rispetto al lavoro dei “Padri Costituenti”. Ma con la complicità di “collaborazione” di Parlamento e Corte dei Costituzionale, presieduta dal rinnovato Mattarella, costituzionalista, hanno solo creato il precedente perché si possa modificare non in futuro, ma già da subito, anche l’immodificabile: togliere la sovranità al popolo che non mi pare la eserciti più; revocare il divieto di discriminazione e anche qui mi pare che col green pass, base, rafforzato, super e mega l’apartheid sia bella che servita; cambiare bandiera: ma non abbiamo, forse, adottata quella dei liberatori ottant’anni orsono e quella blu con le stelline da cinque lustri a questa parte? Ma attenzione perché l’articolo 9 è anche quello che tutela “lo sviluppo della cultura” (De Luca ha messo in DAD tutta la scuola campana anche quando non lo poteva fare!) nonché “l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi”. Lapalissiano aggiungere che De Luca governa la terra dei fuochi ed è uno dei protagonisti delle famigerate ecoballe. Dopotutto, anche Greta, come i ghiacciai, si sta sciogliendo.
L’articolo 41, invece, riguarda(va) l’iniziativa economica privata: sarà sempre più difficile fare impresa nel Bel Paese. Mi pare che con i lockdown siano tante le saracinesche che non si sono più alzate. Non solo quelle “non essenziali”. Ciò comporterà il definitivo smantellamento della classe media e un impoverimento generale. Collettivo. Comune.
Non una parola e nemmeno una ordinanza da parte dello Sceriffo lucano, niente. Silenzio. Assenso, ma non di assenza. Collaborazionista. Tengo famiglia: che s’ha da fa pe’ campà?

SCEMO & PIU’ SCEMO !!

Se i “nemici” del Conte pandemico erano rappresentati da ristoratori, gestori di discoteche e parrucchieri e quelli del Draghi “sanitario” continuano ad essere parrucchieri e gestori di discoteche, Vincenzino De Luca è sicuramente un uomo di ben più ampie vedute. Certamente inclusivo – come dicono loro – e, dopo i runner, i laureati, la gioventù e quanto di più vario offra la sua folle immaginazione, nel nuovo anno pandemico la sua biliosa ostilità miete altre vittime: stavolta l’obiettivo prescelto per la guerra è il mondo della scuola.
Senza troppi tentennamenti, infischiandosene di CTS, riunioni e cabina di regia, di monitoraggi e studi, del parere di Ministri (in)competenti e delle attuali norme all’uopo emanate, Vincenzaccio, dopo averci fatto dono del suo turpe eloquio contro “i cafoni che mangiano per strada” ( occorre, per inciso, tanto delucidatore quanto politically correct volto a rassicurare Pd e affini che il Governat(t)tore non ce l’aveva certo con gli immigrati clandestini che bivaccano ormai in ogni dove ) non ci pensa due volte e chiude la scuola! Quella dell’infanzia, Primaria e Secondaria di primo grado. Rettifico: “servizi educativi”, così viene definita la scuola nell’ordinanza delucheska. A breve diverranno : strutture per la rieducazione!
Immantinente la replica del Governo centrale che, repentino, adisce le vie legali, in quanto Delucadonossor, come è stato ribattezzato nel best seller Terronia Felix, infrange il regolamento – leggi, norme, sentenze e ogni fondamento giuridico, diventano solo un vecchio amarcord dei tempi ormai andati – che consente la discrezionalità della decisione solo in zona rossa. Tradotto: quando la situazione è di allerta massima, il Governo centrale si defila e rimette ogni responsabilità.
Però, sono favolosi Mariolino e Cenzino: l’uno che infrange un regolamento in nome del potere onnipotente e l’altro che ricorre legalmente contro le decisioni di un “sottoposto” (si può dire? Ma sì!), di un (suo) attendente, quando il Presidentissimo stesso ha infranto leggi, convenzioni, trattati, contratti, diritti acquisiti, battaglie democratiche e, non ultima, la Costituzione!
Il meglio del peggio della sceneggiatura di Scemo & più scemo!
È passato appena un anno da quando il govenator campano, con soldi pubblici, lanciò la sua propiska: la tessera “sanitaria” che dava il via libera ( una iperbole che sconfina nell’ossimoro riferito alla parabola della curva epidemica)  alla socialità e alle attività di svago: mai nessuno avrebbe immaginato che la follia del Presidente col lanciafiamme sarebbe divenuta una solida realtà di governo ribattezzata “green pass”. Una misura sanitaria, dalla scontatissima fine igienica, che nulla ha a che vedere con quelle che dovrebbero essere, se non soluzioni, quantomeno efficaci palliativi.
De Luca con il covid è stato prorogato, divenendone macchietta e ora lui vuole prorogare il Covid, ma non fa ridere, se mai c’è riuscito. Che non era quello il mandato conferitogli. Prorogatio ad libidum. Ad finem. In saecula saeculorum.
La chiusura delle scuole equivale ad ammettere che ancora una volta la gestione è stata fallimentare, che non si è saputo organizzare quella che più che un’emergenza sembra debba essere considerata ormai una consuetudine. A cosa sono serviti, dunque, i green pass finanche per andare a ritirare i propri figlia a scuola? E l’obbligo di mascherina dal compimento dei sei anni? E il distanziamento? E l’asocialità? E il divieto di scambio di materiale tra alunni? E l’obbligo di vaccino per personale docente e non docente? La scuola, così come hanno gridato a chiare lettere le associazioni dei Presidi e degli Insegnanti, sono luoghi sicuri e protetti. Una decisione incompresa e incomprensibile finanche per gli addetti ai lavori, umiliati nel dover chiedere spiegazioni al governo e che va a penalizzare quella fascia di età che ha registrato bassissime percentuali di contagio, con una letalità che rasenta lo zero per un virus ormai endemico e che dà gli stessi sintomi di un’influenza stagionale. Sarà la sua vendetta contro i bambini allevati col plutonio! O sarà il modo per convincere, leggi costringere, gli infanti ad assembrarsi presso i centri vaccinali? Così come possono assembrarsi al cinema, al centro commerciale, ovunque tranne che nella palestra per la mente perché la proibizione riguarda solo la scuola.
Chissà se De Luca ha contezza della situazione della Fagianeria del Bosco di Capodimonte, piuttosto che a San Giovanni che a Bagnoli: file che arrivano alle dodici ore, gente esasperata, litigi… per un servizio che non funziona e che da Palazzo Santa Lucia pensano di organizzare, collaudare e far funzionare nell’immediato per poi dare il nulla osta per l’apertura delle scuole a fine gennaio. Chissà in quale anno.
Chiudere anche le scuole superiori significava ammettere l’esistenza di (più di) una falla nel trasporto pubblico locale, regionale, ma anche cittadino (che sempre De Luca è) che avrebbe spostato il problema anche ai non studenti per cui, per loro, meglio vietare solo il consumo di bevande alcoliche dalle ore 22:00 alle ore 06:00. Popolo di alcolemici!
Non bastavano già due anni di DAD che hanno prodotto danni inenarrabili e lacune mai più colmabili. Non è solo il caso degli studenti virtuosi, ma anche dei più vivaci che non troveranno un luogo dove potersi “educare”, dove avrebbero dovuto imparare a socializzare, a familiarizzare, dove avrebbero dovuto approcciare alle prime esperienza di vita. In compenso, creeranno più generazioni asettiche da ogni spirito critico, analfabeti funzionali, conformisti e votati all’uniformità, alla tristezza del tutti uguali ad ogni costo. Perfetti soldatini obbedienti, insomma. “Più migliori assai” degli studenti che questi “servizi educativi” partoriscono in ligia ottemperanza ai test Invalsi che mamma Europa commissiona.
Ancora serve arrovellarsi sulla (loro) narrazione scientifica che porta “luminari” ingalluzziti fondamentalisti del vaccino e delle chiusure, terzadosati ricoverato e in cura con i monoclonali, a chiusure degli stadi per metà del pubblico che poteva accedere solo con mascherine e green pass, ottenuto previa conclusione del ciclo vaccinale, a libertà e diritti comparati in farmacia e rinnovati secondo la scadenza di governo e teorie degli esperti che fanno a botte tra di loro, come questa guerra fratricida che hanno scatenato?
Un crimine che non ha eguali, soprattutto se contrapposto ad una malattia che ha un tasso di natalità ormai pari allo zero, perpetrato da un mostro, creato al 70% dagli stessi cittadini.

 

UN CATTIVO MAESTRO………

lla fine non ce l’ha fatta. O forse sì, l’insegnante trentatreenne calabrese che ha deciso di darsi fuoco davanti alla caserma dei Carabinieri di Rende, in provincia di Cosenza, per protestare contro le misure restrittive del governo.
Misure restrittive illogiche secondo gli esperti, inefficaci alla prova provata che hanno di fatto escluso il professore, e tanti altri come lui, dal diritto al lavoro su cui si fonda questa democratica repubblica sin dal 1948.
Si dice fosse vaccinato. Si dice non lo fosse. Ma solo che non volesse piegarsi all’obbligo velato del green pass ottenibile con la somministrazione di tre dosi di vaccino. Certificazione che ha tutte le caratteristiche per essere un vero e proprio ricatto, ma non è questo il punto. Ciò che è incredibile è che nulla si sa di questo professore disperato perché gli unici deputati ad informare, così formati e in-formando a loro volta, si sono omologati al silenzio. O all’assenza di informazione che sovente viene imposta attraverso la cernita delle notizie.
È vero, in rete si trovano vari video di questa nuova torcia umana, addirittura per il comune cittadino è possibile riuscire a vedere la foto dell’uomo ustionato appena entrato in ambulanza. Non vale la pena riproporle perché non hanno più forza del gesto dell’insegnante disperato. Anche se verrebbe da chiedere se il primo soccorso praticato a bordo del mezzo dal personale d’emergenza sia quello di immortalare l’immagine dell’eroe del giorno. O del povero disperato, se volete.
Lo sconosciuto insegnante è diventato la nuova torcia umana, un emulo di Jan Palach dopo oltre mezzo secolo. Necessario. Vergognosamente necessario. Anche a Praga tutto iniziò annullando la libertà di stampa, limitando il diritto di riunione e poi di sciopero. Poi a parlare solo la “Zpravy”, la voce del regime sovietico. Ad acuire la drammaticità della situazione, la mancata partecipazione della maggior parte della gente. Quella era la Cecoslovacchia dell’invasione sovietica del ’68. Questa, invece, pressoché identica, è l’evoluta Italia di Draghi, del governo della transizione ecologica e del modernismo sfrenato. Come nell’ex Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche occorreva la propiska anche solo per circolare, in Italia oggi ci vuole la carta verde anche solo per guadagnarsi da vivere. Come a Praga allora, anche qui ormai la gente è costretta a bruciarsi viva in piazza per scuotere la coscienza di questi corpi vuoti a perdere. A perdere i diritti. A perdere la libertà. A perdere la dignità. “A sperare che è sparire, eclissarsi dallo spazio pubblico come soggetti attivi e padroni del proprio destino”. Ricordate Domenique Venner e il suo monito di insorgere contro il fatalismo? “Non si spera, si vuole. Si agisce, ma sempre senza speranza.
“Senza speranza significa senza illusioni, ma anche senza paura. Senza zavorre, senza padroni. Ma sempre con il cuore. Chi spera non sa amare perché non sente quel certo fuoco dentro che ti fa gettare il cuore oltre l’ostacolo. Quel qualcosa, quell’elemento magico che a noi piace chiamare appunto disperato amore. Perché non spera, perché non muore. Perché ostinato. Perché combattente. Forse romantico. Come solo gli innamorati sanno essere”, come scrive Scianca in “Riprendersi Tutto”.
Un martire, forse un eroe, sicuramente un altro suicidio di questo stato che ha cessato di essere Patria, terra dei padri, che non si cura più del suo humus vitale, dei suoi figli che ancora, nonostante tutto, sono costretti e disposti ad immolarsi per lei.
Il professore è un esempio scomodo, da non riportare non ricordare, da eclissare perché non diventi esempio.
Perché non diventi il primo di tanti come per gli imprenditori suicidatisi ai tempi di Mario Monti presidente del Consiglio. Come Jan Palach, la torcia umana numero uno. Che ha voluto insegnarci a insorgere, a ribellarsi, a lottare. Un cattivo maestro!

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DOPO 10 ANNI FINISCE L’EPOPEA DEI NOSTRI FUCILIERI DI MARINA : Girone e Latorre non colpevoli!!

Ci sono voluti dieci anni. Dieci anni per voltare pagina, una pagina che non si è mai nemmeno letta.
Finisce così la vicenda dei due marò – che ad onor del vero non sono nemmeno tali: Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due fucilieri di Marina, dei professionisti del reparto di élite della nostra Marina Militare e non dei “semplici” marinai come sono appunto definiti tutti gli appartenenti al Battaglione San Marco – accusati di aver ucciso due pescatori al largo dell’Oceano Indiano.
Finisce a tarallucci e vino, degno finale all’italiana di quell’enorme carrozzone di saltimbanchi e pannacciai che è diventata questa Italia del politically correct, dell’all inclusive e dell’united & uniformed.
L’accusa di omicidio volontario nei confronti dei due nostri militari è stata definitivamente archiviata da parte del giudice per le indagini preliminari di Roma su richiesta della stessa procura. Non ci sono elementi sufficienti nemmeno per instaurare un processo, nemmeno dopo i rilievi su una macchina fotografica e su un computer ritrovati a bordo della Enrica Lexie, la nave a cui lo stato italiano aveva affittato i due fucilieri per garantire sicurezza. Nulla si può ricavare nemmeno dall’esame autoptico sui corpi dei due pescatori, visto che sono stati cremati.
Due, però, restano i punti cardini che nessuno è mai riuscito a smontare in questa odissea in alto mare: le regole di ingaggio che sono state rispettate, ovvero i due colpi in aria di avvertimento sparati dalla petroliera, e questo lo sappiamo per stessa ammissione dei pescatori superstiti sul peschereccio indiano che, tornando da una battuta di pesca durata l’intera notte, dormivano tutti, e l’incompatibilità dei proiettili trovati nello scafo da pesca con le armi in uso ai due fucilieri.
A queste conclusioni ci erano arrivate anche alcune personalità italiane, pochissime in verità, che hanno potuto accedere agli atti – ma solo a quelli che si possono consultare – insufficienti, però, per far smuovere la macchina burocratica istituzionale. Tre governi avvicendatisi, quattro/cinque ministri succedutisi, ma nessuno che abbia davvero preso in considerazione il lavoro meticoloso che altri Italiani avevano fatto per loro e quello di quei giornalisti che ormai, sempre più spesso, dettano l’agenda politica e quella delle dichiarazioni dei politici di turno. Con buona pace della finzione istituzionale, dei rampanti cronisti sfrontati e dei professionisti della carta stampata (dagli altri) del giornalismo d’inchiesta.
Ai governanti – perché questo è il termine giusto – è bastato giocare a fare gli Indiani più degli stessi Indiani. Hanno accettato passivamente qualsiasi decisione del governo keralita, compresi i tempi biblici in cui non sono riusciti nemmeno a mettere in piedi un processo (in)credibile; compresa l’umiliazione della riconsegna del corpo militare, dopo che loro, da bravi Indiani, avevano acconsentito affinché tornasse in Italia per trascorrere il periodo festivo; compreso il risarcimento da parte del governo nostrano alle famiglie delle vittime, il che equivale ad ammettere una colpa da parte dei nostri due militari.
Una pena, una condanna senza nemmeno celebrare il processo.
Anche l’immancabile Europa c’ha messo del suo e col tribunale arbitrale dell’Aja ci si era accordati (di favore? Per chi?) che si sarebbe arrivati alla chiusura del processo, a patto che l’Italia avrebbe continuato ad indagare per omicidio volontario Latorre e Girone. Quell’Italia che aveva affittato i due professionisti a scopo di lucro equiparandoli a meri mercenari e che non ha disdegnato l’accusa al proprio corpo militare; quei governi che non sono stati capaci di andare in India e imbandire una soluzione che salvaguardasse faccia e uomini; quel corpo diplomatico incapace di intessere pubbliche relazioni, ma insuperabile nell’obbedire e dire solamente, sommessamente “Sì”; quella Nazione non più tale, capace di pretendere una Verità che sia una, una Giustizia che sia il vero. Di prendersi ciò che è suo.
Dieci anni di attese, di false speranze, di illusioni e di demagogia cui questa politica riparatoria del meno peggio ci ha tristemente abituati. Dieci anni di umiliazioni da parte dell’India che, con il dovuto rispetto e ogni riguardo, rimane sempre l’India rispetto all’Italia. Forse, a quell’Italia che non è più. Dieci anni in cui abbiamo visto il governo italiano pagare all’India le spese per detenzione, abbiamo visto due professionisti con le stellette fare il bucato nel retro dell’ambasciata divenuta loro prigione e Massimiliano Latorre colpito da infarto, provocato da stress e arrabbiature, che nessuno in Patria ha osato definire quale malattia professionale. Con tanto di colpevoli. Quella Patria che loro hanno giurato di difendere e che non è stata, per incapacità o non volontà, padrona di giudicare due dei suoi uomini, ma che è responsabile delle badilate di clandestini che vengono scaricate sulle nostre coste a mo’ di merce umana. Un giuramento per la propria Patria che va persino oltre il personale, come può essere la promessa di unione per una moglie: Latorre ha alle spalle un divorzio e una seconda moglie, ma la Patria è rimasta una sola. Quella Patria difesa e onorata col silenzio e la dignità anche quando c’erano tutte le condizioni per lamentarsi di altri (loro) rappresentanti, ben diversi da loro e molto meno degni della stessa Patria. Dopo dieci anni vengono a dirci che i marò sono innocenti. No, i togati d’Italia hanno solo detto che questi elementi non sono sufficienti per considerarli colpevoli o innocenti. Per giudicarli. E, forse, è meglio. Resta il fatto che l’Italia, quella istituzionale, non s’è fidata dei suoi uomini che si sono fidati dell’Italia. Anche di quella istituzionale. Ad una certa Italia non servivano dieci anni, innumerevoli umiliazioni e dei giudici che emettessero una sentenza che non si può non emettere.
La terribile minaccia di essere giudicati assassini per i due marò è stata cancellata, l’accusa è stata archiviata, alle famiglie dei pescatori basterà l’ingente somma corrisposta senza mai dire loro chi ha ammazzato i propri cari. La sentenza è data, l’udienza è tolta. Si tiri pure un sospiro di sollievo, si gioisca pure, se ci si riesce. La sola cosa che è stata archiviata, però, è la verità.

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