IL MINISTRO SANGIULIANO INVITA IL PERSONALE DEL SUO MINISTERO A LAVORARE NEI GIORNI FESTIVI : MA E’ UNA CULTURA D’ALTRI TEMPI ??

Alla faccia di Filippo Facci che qualche giorno fa dalla rete aveva lanciato un’invettiva contro i napoletani accusati di non lavorare per come tifano!
Una “onorevole” risposta, seppur non a lui (etero)diretta, arriva da un napoletano “DOCG”, nientepopodimeno che dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Che da ieri sta sulla bocca di tutti e, forse, pure altrove per i suoi colleghi occupanti il c.d. posto fisso, i quali, a seguito del “richiamo” post liberazione incassato, molto probabilmente, l’unica liberazione a cui anelano è proprio quella dell’attuale Ministro.
Ma Sangiuliano non vuole fare certo il Brunetta di turno, no! Lui è di un’altra… levatura e, appunto, dall’alto del suo incarico redarguisce i suoi poco zelanti collaboratori, rei di essersene andati in ferie a ridosso del ponte del 25 aprile. Il suo epistolare richiamo, però, ha un logico – se non lapalissiano – fondamento dato che musei e luoghi di cultura, appunto, debbono essere aperti proprio nei giorni in cui “gli altri”, i non addetti ai lavori, sono in ferie. E, in ossequio alla critica positiva e propositiva, propone una sorta di turnazione affinché non si ripresenti la stessa situazione del 24 aprile ultimo scorso, quando, convocati 11 generalissimi al Ministero, se ne sono presentati solo in due, anzi, uno solo perché l’altro, seppur astante, era in pausa ed era andato a mangiare un gelato. Inoltre, nella missiva inviata, il Sangiuliano pensa pure di incrementare di mezzo euro il costo d’ingresso ai musei a Natale, a Pasqua e a Ferragosto per poter destinare il surplus ai dipendenti in servizio proprio in queste giornate festive.
Pare che molti dipendenti abbiano pure apprezzato la tiratina d’orecchi del numero uno di Via del Collegio Romano e gli abbiano scritto per esortarlo a continuare il cammino nella direzione intrapresa.
Ma che razza di napoletano è mai questo Ministro che, non solo lavora, offre esempio e lo fa dall’alto della sua carica di vertice, ma addirittura induce gli altri – non napoletani, ma tanto solo per sfatare un vecchio cliché in cui casca solo chi napoletano non è – a non assentarsi e a lavorare anche quando sarebbe comodo non farlo? Che cultura partenopea è mai questa che non rispecchia la furberia, l’arte di arrangiarsi, la paranza di pizze margherite, cuopp’ ‘e pesce e sfogliatelle con babà, la delinquenza e l’illecito, la canzone e il reddito di cittadinanza? E ora di cosa cianceranno i vari De Giovanni, i Saviano e tutti gli altri accentratori della tipica e topica cultura barattata per meno di trenta denari a favore del più remunerativo Sputtanapoli? Dovranno aggiornarsi e correre ai ri-pari, ora che persino Gigino da Pomigliano, padre dello “scrocco” statale a cinque stelle del reddito di nullafacenza, s’ingengna – senza che qualcuno s’indigni – ed “emigra” nientemeno che nel Golfo Persico per andare a “fa…ticare”.
Insomma, in questa Italia allo sfascio, fatta di fasci e di Facci, di eterni “fasciati”, di mascherine e tante mascherate, il solo punto fermo è rappresentato ancora (e menomale!) dalla proverbiale generosità sudicia – del Sud, s’intende – del signor Ministro che, per la prossima festività di Ferragosto (non “romano”, per carità) – ancora nessuno lo ha accusato di negazionismo per aver omesso di ricordare i “rossi” 1 maggio e 2 giugno o tutti gli accusatori sono ancora in ferie? – ha invitato tutti a pranzo. Offre lui! D’altronde, siamo o non siamo il Mezzogiorno d’Italia?

https://www.camposud.it/il-ministro-sangiuliano-invita-il-personale-del-suo-ministero-a-lavorare-nei-giorni-festivi-ma-e-una-cultura-daltri-tempi/tony-fabrizio/

Giggino Di Maio, un riciclato nel Golfo Persico (con 12mila euro al mese)

Roma, 24 apr – Tra le cose che meno interessano agli italiani c’è sicuramente quello di porsi il problema di come passi le giornate l’ex ministro Giggino Di Maio. Che “ha da fa’ pe’ campà”, giusto per farlo intendere anche a lui. Anche perché la stragrande maggioranza di loro non vedeva l’ora di toglierselo dalle scatole, visto che il “suo” Impegno Civico ha raccolto meno dell’1% all’ultima tornata elettorale e, da ministro uscente che non è altro, non è bastato l’inciucio col Pd e la mano del sempreverde Tabacci per riconquistare la cadrega in Parlamento. Certo, l’italiano ancora presente a sé stesso ancora si interroga su come sia stato possibile che un personaggio come “Giggino da Pomigliano” abbia potuto farsi strada nei meandri della politica e soprattutto arrivare ad essere parlamentare prima e doppiamente ministro poi. Ma da qualche ora si dovrà pure chiedere – spiegare sarà difficile, almeno scientemente – come possa proprio Di Maio essere “il più indicato”, a parità di… “curri-cula”, dei 27 Paesi con la stellina a rappresentare l’Unione Europea nel Golfo Persico.
Giggino Di Maio, riciclato nel Golfo a 12mila euro al mese
Se pensiamo che il suo nome non sarà (più?) legato a quello dell’Italia, si potrebbe persino pensare di esultare. Guadagnerà 12mila euro al mese e beneficerà pure della tassazione agevolata dell’Unione per fare non si sa ancora bene cosa, ciò che dovrebbe far riflettere sono le “qualità e le competenze” sciorinate nel curriculum: che abbia preso spunto dal racconto di carriera del suo ex Peppuccio Conte, frequentatore di prestigiosi atenei stranieri dove nessuno lo ha però mai visto? Ah, se solo al posto dei tanti (in)successi decantati su carta, a Bruxelles avessero ricordato anche solo i compaesani di Giggino impiegati alla Whirlpool di Napoli, oggi tutti disoccupati, nonostante le vittorie intestatesi che Pirro al confronto è un principiante o anche le famiglie dei 18 pescatori di Mazara del Vallo sequestrati per oltre 100 giorni dopo “un viaggio di lavoro” del nostro ministro degli Esteri per i quali, accampati in tenda in piazza Montecitorio per mesi, il telefono della Farnesina rimase sempre muto. Tanto per citare solo due episodi di quando sedeva all’uno e all’altro ministero.
Uno vale l’altro
Se la scelta avrebbe dovuto proprio ricadere sull’Italia, avremmo potuto senza dubbio esprimere candidati di ben alt(r)o spessore, ma ciò che spiazza (e non stupisce) è il silenzio da parte delle forze di governo, fatta eccezione per qualche lamento della Lega, perché la “preferenza” europea cade ancora una volta dalla parte opposta a quella espressa dai cittadini che hanno scelto di relegare Di Maio nell’oblio. “Menomale” che l’astensionismo è in aumento, che i giovani sono disabituati alla politica, almeno a quella elettorale che è il volto peggiore della politica, e che i loro modelli sono ormai costituiti da influencer, youtuber, tiktoker e tutto ciò che finisce con “er” che tutto possono fare tranne che insegnare, altrimenti dovrebbero guardare a Di Maio, su cui siamo davvero al lapalissiano, come un modello di uomo di successo: pure che non conosce la lingua in cui si esprime, pure che non ha completato gli studi né si è specializzatosi in qualsiasi cosa – sarà questo il significato insito nel motto a cinque stelle “uno vale uno”, diventato per convenienza uno vale l’altro, pure se questo vale zero? – come appunto “uno” che può arrivare ad essere ministro degli Esteri senza conoscere alcuna lingua straniera e subito prima ministro del Lavoro senza aver mai lavorato.
Lo so, qui scadiamo nella retorica che più blanda e superficiale non si può, ma assicuriamo che è tutto solo merito di Giggino. Ora anche lui dovrà fare la valigia e lasciare casa, gli affetti e la propria terra e provare l’ebbrezza di dover emigrare per lavorare, certi che non costituirà un grosso problema per il cosiddetto fenomeno del brain drain che ci attanaglia. E non perché non sia una fuga. Tuttavia, un insegnamento Giggino ce lo lascia: in mancanza di dignità, di coraggio e di rispetto della volontà degli elettori non si può non riconoscere onore al merito di aver saputo stringere le amicizie che contano, almeno per il proprio tornaconto e alla capacità di sapersi riciclare: esulti pure Greta e tutti i suoi gretini.

https://www.ilprimatonazionale.it/politica/luigi-di-maio-si-ricicla-e-lo-spediscono-nel-golfo-persico-260808/

Giggino Di Maio, un riciclato nel Golfo Persico (con 12mila euro al mese)

Roma, 24 apr – Tra le cose che meno interessano agli italiani c’è sicuramente quello di porsi il problema di come passi le giornate l’ex ministro Giggino Di Maio. Che “ha da fa’ pe’ campà”, giusto per farlo intendere anche a lui. Anche perché la stragrande maggioranza di loro non vedeva l’ora di toglierselo dalle scatole, visto che il “suo” Impegno Civico ha raccolto meno dell’1% all’ultima tornata elettorale e, da ministro uscente che non è altro, non è bastato l’inciucio col Pd e la mano del sempreverde Tabacci per riconquistare la cadrega in Parlamento. Certo, l’italiano ancora presente a sé stesso ancora si interroga su come sia stato possibile che un personaggio come “Giggino da Pomigliano” abbia potuto farsi strada nei meandri della politica e soprattutto arrivare ad essere parlamentare prima e doppiamente ministro poi. Ma da qualche ora si dovrà pure chiedere – spiegare sarà difficile, almeno scientemente – come possa proprio Di Maio essere “il più indicato”, a parità di… “curri-cula”, dei 27 Paesi con la stellina a rappresentare l’Unione Europea nel Golfo Persico.
Giggino Di Maio, riciclato nel Golfo a 12mila euro al mese
Se pensiamo che il suo nome non sarà (più?) legato a quello dell’Italia, si potrebbe persino pensare di esultare. Guadagnerà 12mila euro al mese e beneficerà pure della tassazione agevolata dell’Unione per fare non si sa ancora bene cosa, ciò che dovrebbe far riflettere sono le “qualità e le competenze” sciorinate nel curriculum: che abbia preso spunto dal racconto di carriera del suo ex Peppuccio Conte, frequentatore di prestigiosi atenei stranieri dove nessuno lo ha però mai visto? Ah, se solo al posto dei tanti (in)successi decantati su carta, a Bruxelles avessero ricordato anche solo i compaesani di Giggino impiegati alla Whirlpool di Napoli, oggi tutti disoccupati, nonostante le vittorie intestatesi che Pirro al confronto è un principiante o anche le famiglie dei 18 pescatori di Mazara del Vallo sequestrati per oltre 100 giorni dopo “un viaggio di lavoro” del nostro ministro degli Esteri per i quali, accampati in tenda in piazza Montecitorio per mesi, il telefono della Farnesina rimase sempre muto. Tanto per citare solo due episodi di quando sedeva all’uno e all’altro ministero.
Uno vale l’altro
Se la scelta avrebbe dovuto proprio ricadere sull’Italia, avremmo potuto senza dubbio esprimere candidati di ben alt(r)o spessore, ma ciò che spiazza (e non stupisce) è il silenzio da parte delle forze di governo, fatta eccezione per qualche lamento della Lega, perché la “preferenza” europea cade ancora una volta dalla parte opposta a quella espressa dai cittadini che hanno scelto di relegare Di Maio nell’oblio. “Menomale” che l’astensionismo è in aumento, che i giovani sono disabituati alla politica, almeno a quella elettorale che è il volto peggiore della politica, e che i loro modelli sono ormai costituiti da influencer, youtuber, tiktoker e tutto ciò che finisce con “er” che tutto possono fare tranne che insegnare, altrimenti dovrebbero guardare a Di Maio, su cui siamo davvero al lapalissiano, come un modello di uomo di successo: pure che non conosce la lingua in cui si esprime, pure che non ha completato gli studi né si è specializzatosi in qualsiasi cosa – sarà questo il significato insito nel motto a cinque stelle “uno vale uno”, diventato per convenienza uno vale l’altro, pure se questo vale zero? – come appunto “uno” che può arrivare ad essere ministro degli Esteri senza conoscere alcuna lingua straniera e subito prima ministro del Lavoro senza aver mai lavorato.
Lo so, qui scadiamo nella retorica che più blanda e superficiale non si può, ma assicuriamo che è tutto solo merito di Giggino. Ora anche lui dovrà fare la valigia e lasciare casa, gli affetti e la propria terra e provare l’ebbrezza di dover emigrare per lavorare, certi che non costituirà un grosso problema per il cosiddetto fenomeno del brain drain che ci attanaglia. E non perché non sia una fuga. Tuttavia, un insegnamento Giggino ce lo lascia: in mancanza di dignità, di coraggio e di rispetto della volontà degli elettori non si può non riconoscere onore al merito di aver saputo stringere le amicizie che contano, almeno per il proprio tornaconto e alla capacità di sapersi riciclare: esulti pure Greta e tutti i suoi gretini.

https://www.ilprimatonazionale.it/politica/luigi-di-maio-si-ricicla-e-lo-spediscono-nel-golfo-persico-260808/

Una lezione sul 25 aprile? E’ scolpita al sacrario di Sant’Angelo in Formis

Caserta, 22 apr – Ormai è chiaro a tutti, il 25 aprile, al netto di ogni partigianeria, è tutto ciò che (non) dovrebbe essere: i festeggiamenti di una sconfitta, ciò che avrebbe potuto essere e non è stato per “colpa” di quelli che hanno perso – dunque, stando così le cose, hanno perso davvero? -, la storia riscritta, voce del verbo infoibare, e inventata ad libitum dai “vincitori”, la liberazione ad opera di quei liberatori che hanno, di fatto, occupato l’Italia. In questa narrazione va inserita anche la guerra che i partigiani hanno combattuto a guerra finita, il nemico riconosciuto nel loro stesso popolo, la verginità riconquistata. Così i partigiani, quelli anagraficamente contestualizzati, li possiamo vedere a ridosso del 25 aprile coprirsi (e coprire) di una delle pagine più infami che hanno mai scritto, in realtà, che i “liberatori” hanno scritto per loro. Un esempio è scolpito nella pietra al sacrario di Sant’Angelo in Formis. Ma andiamo con ordine.

“Per la salvezza dello spirito e della civiltà”: l’ultima sigaretta e un bacio alla mamma

Siamo in Campania, nella provincia di Caserta, il carcere è quello di Santa Maria Capua Vetere. Si aprono le porte, esce un giovane dalla camminata fiera e spavalda, volto aquilino, sguardo fiero, vestito di camicia (nera) con le maniche arrotolate fino ai gomiti, festante, come se dovesse andare a far baldoria con gli amici, monta sul camion che lo condurrà al palo della morte. Dalle immagini stipate negli archivi Usa, sembra poter riconoscere Mario Tapoli, romano, non ancora ventenne. Le stesse immagini lo ritraggono insieme ad altri due camerati (appartenenti alla RSI) anche loro rigorosamente in camicia nera, polsi legati al palo, che fronteggiano fieri il plotone di esecuzione in una cava di tufo di cui non ne esce che la sola parte superiore tra rovi di spine e piante di ulivo. Si riconoscono Italo Palesse e Franco Aschieri, 22 e 18 anni.

Sono accusati di essere spie al servizio delle SS, ma bastava il solo non essere “dalla parte giusta” per decretarne la fine. Bastava l’abiura, come quella pretesa (e mai ottenuta) dai militi della X MAS rinchiusi nel vicino carcere di Nisida, come riportato a un aviere della RSI dalla sua insegnate (comunista) di inglese: “Era stata convocata al tribunale alleato e, con un anziano colonnello americano, delegato a giudice, condotta nella cella ove erano rinchiusi tre di quei giovani in attesa d’essere processati. L’ufficiale le chiese di tradurre quanto intendeva proporre loro: dato che oramai la guerra era perduta, dunque, sarebbe stato il loro un sacrificio inutile, gli dessero lo spunto per salvare loro la vita, trascorrendo così il resto del periodo bellico in qualche campo di prigionia, ad esempio (ammettendo) che erano stati costretti ad agire sotto minaccia dei loro superiori. Riferita la proposta, i tre chiesero di potersi consultare e, subito dopo, vollero che lei traducesse quanto deciso: nessuno ci ha obbligato, siamo volontari, dunque ciascuno compia il proprio dovere: il colonnello a condannarli, essi legati al palo dei fucilati. Una richiesta, questa sì, di non essere bendati per poter vedere l’azzurro del cielo d’Italia per cui avevano combattuto e per essa dato la vita”.

Altra razza per un’altra Italia realmente esistita. Eroica. O, forse, non proprio un’altra Italia, se pensiamo al modo di morire del filosofo Giovanni Gentile o di Fabrizio Quattrocchi. La stessa razza a cui appartenevano anche Palesse e Aschieri di cui diamo testimonianza del loro ultimo esempio: Palesse ancora oggi sbalordisce: dopo aver chiesto che gli venga tolta la camicia nera per non bucarla, morirà, fumando l’ultima sigaretta in faccia al plotone schierato, gridando “Dio stramaledica gli inglesi!”. Di Aschieri, invece, riportiamo alcuni passi dell’ultima lettera scritta alla madre, dall’alta carica di spiritualità: «Cara mamma, con l’animo pienamente sereno mi preparo a lasciare questa vita che per me è stata così breve e nello stesso tempo così piena e densa di esperienze sensazionali (…). Ti prego, mamma, fa’ che il mio distacco da questa vita non sia accompagnato da lacrime, ma sia allietato dalla gioia serena di quegli animi eletti che sono consapevoli del significato di questo trapasso. Ieri, dopo che mi è stata comunicata la notizia, mi sono disteso sul letto ed ho provato una sensazione che avevo già conosciuta da bambino: ho sentito cioè che il mio spirito si riempiva di forza e si estendeva fino a divenire immenso (…). Non ho alcun risentimento per coloro che stanno per uccidermi perché so che non sono che degli strumenti scelti da Dio (…). Io resterò vicino a te per sostenerti e aiutarti finché non verrai a raggiungermi; perché sono certo che i nostri spiriti continueranno insieme il loro cammino di redenzione (…). In questo momento sono lì da te e ti bacio per l’ultima volta, e con te papà e tutti gli altri cari che lascio. Cara mamma, termino la lettera perché il tempo dei condannati a morte è contato fino al secondo. Sono contento della morte che mi è destinata perché è una delle più belle, essendo legata ad un sacro ideale. Io cado ucciso in questa immensa battaglia per la salvezza dello spirito e della civiltà, ma so che altri continueranno la lotta per la vittoria che la Giustizia non può che assegnare a noi. Viva il fascismo. Viva l’Europa. Franco».

Il 25 aprile e il sacrario di Sant’Angelo in Formis

Potremmo riportare anche i nomi degli altri tredici militi che hanno combattuto la guerra del “sangue contro l’oro” e che sono stati ammazzati – al grido di Viva il Duce, Viva il Fascismo, Viva l’Italia – in quello che è il sacrario pressoché sconosciuto di Sant’Angelo in Formis, dalla barbarie “liberatoria” anglo-americana di cui restano solo i buchi dei proiettili nel tufo, tutt’oggi visibili. Per questi eroi, invece, restano le parole di Brasillach incise nella pietra a dare il benvenuto nel luogo: “Amore e coraggio non sono soggetti a processo”. Resta immortale per noi il loro esempio, resta eterno per loro il nostro Presente.

https://www.ilprimatonazionale.it/cultura/25-aprile-sacrario-sant-angelo-formis-260758/

Irpinia, un incredibile polmone verde per candidati “furbetti”: 5 liste per 275 abitanti

Roma, 17 apr – Cairano, Rocca San Felice, ameni paesini arroccati sulle alture dell’entroterra dell’Irpinia che nemmeno il (demo)cristiano miracolo operato dai tipici e topici Ciriachino De Mita, Valentino Sullo, Gerardo Bianco e tutta la combriccola dello scudo crociato è riuscito nell’intento di farli conoscere se non al mondo, quantomeno al resto d’Italia, rimanendo noti ai (sempre più pochi) residenti, ai nativi (emigrati) e agli stoici allogeni. Borghi – tra i più belli d’Italia – ricchi di storia e di folklore che negli ultimi anni hanno conosciuto un vero e proprio boom da parte di certi appartenenti alle Forze dell’Ordine. Non per chissà quale losco nascondiglio di un qualsiasi malvivente in fuga, ma semplicemente perché questi paesini rappresentano un vero e proprio “polmone verde” per i furbetti con le stellette.
Candidati mai visti
Il mese prossimo, infatti, sono tanti i centri che saranno chiamati a rinnovare le proprie amministrazioni comunali, ma nei due paesi di Cairano e Rocca San Felice, in provincia di Avellino, si è registrato un fenomeno quantomeno singolare, in verità non nuovo, ma che sta prendendo sempre più piede negli ultimi anni: all’atto della presentazione delle liste che concorrono per aggiudicarsi la fascia tricolore, hanno fatto comparsa ben tre liste composte da persone che nessuno ha mai visto in questi piccoli centri e che, a dirla tutta e con tutta probabilità, non sono nemmeno minimamente interessati a dare il proprio contributo nell’amministrazione della cosa pubblica, visto che non sono residenti né hanno nulla a che fare con questi posti. E, dopo l’election day, spariscono come neve al sole, almeno fino alla prossima tornata elettorale.
In Irpinia 5 liste per 275 residenti
Perché, allora, partecipano alla corsa elettorale? Perché essere candidati, pur senza impegno di partecipazione e tantomeno qualunque speranza di vittoria, permette loro di avere diritto a un mese di permesso straordinario dal lavoro. Pure retribuito. Semplice e sufficiente. Tutto ipso iure, sia bene inteso. Nei centri con una popolazione residente non superiore a mille abitanti, recita la norma, non è prevista la sottoscrizione delle liste, dunque chiunque, anche per un motivo “personalistico”, può candidarsi. Più di chiunque, visto che nel comune di Cairano, che vanta 275 residenti, sono ben cinque le liste presentate, di cui due appartenenti a militari pugliesi e campani, come riferisce al Corriere dell’Irpinia il primo cittadino uscente e non ricandidabile per raggiunti limiti di mandato, se non a consigliere, de Angelis che, però, non le manda certo a dire e lancia l’allarme chiedendo anche di cambiare la normativa attualmente in vigore.
Stessa situazione anche nella (fu) roccaforte demitiana di Rocca San Felice: 800 persone, cinque liste di cui tre “fantasma”, ognuna composta di dieci militari. E se questa è l’Irpinia d’oriente, dal versante opposto, laddove Campania e Puglia confinano, nel paesino di Greci, poco più di 600 abitanti, la situazione è la medesima e anche lì spunta l’immancabile lista “uniforme” di “Altra Italia”. Cose dell’altro mondo…

https://www.ilprimatonazionale.it/politica/irpinia-un-incredibile-polmone-verde-per-candidati-furbetti-5-liste-per-275-abitanti-260394/

Ora l’Anpi vuole “infoibare” anche i crimini di Tito

Roma, 7 apr – Se fino ad ora l’Anpi si è arrogato il compito, mai delegatole da nessuno, di riscrivere la storia che ha fondato su fantasie e, quando la fantasia scarseggia, su vere e proprie balle venute fuori da quei vuoti creati dal taglia e cuci operati a loro immagine e somiglianza, oggi tutto questo non le basta più e con il “ritorno (eterno) del fascismo” – funzionale ed essenziale per i “novelli partigiani” altrimenti non potrebbero più esistere (e non potrebbero nemmeno continuare ad incassare fiumi di denaro di Stato elargiti anche dall’attuale governo “fascista”) – si erge a difesa delle menzogne propinate che, con il disincanto del tempo, dopo un secolo, ormai non reggono più. Dunque, cosa fa? Protesta affinché gli altri non parlino. Accade a Milano, in occasione del convegno organizzato da “un editore nero”, per dirla alla Berizzi, l’esempio più eccellente di come ancora si campa grazie al fascismo, che ha per argomento della discussione Borovnica e altri campi di Tito”titolo di un libro delle edizioni di Ritter. Di quei campi terribili non si deve parlare.

Così l’Anpi vuole censurare i crimini di Tito

I difensori della dem-ocrazia, nella loro veste più spuria di anti-tutto, mica si presentano democraticamente al dibattito e cercano di misurarsi con il contraddittorio al solo fine di ricercare quella verità che non può mica trovarsi nel mezzo, ma è sicuramente sotto la spessa coltre di menzogne con cui hanno provato a “rifondare” il mondo. No, loro frignano, si appellano a chiunque e, come riporta il quotidiano Il Giorno, “invitano tutti e tutte (poteva mai mancare!) coloro che trovano assurdo e ingiustificabile che vengano concessi spazi pubblici a coloro che non condividono i valori costituzionali – antitaliani anche nella lingua con cui si esprimono – al presidio di domani sera (del 6 aprile, ndr), a pochi giorni dal 25 aprile. Contro coloro che non lo festeggiano e anzi lo disprezzano in maniera sprezzante”.

Quindi, i pronipoti dei banditi in foulard rosso chiedono giustificazioni al Municipio VIII che, per bocca della numero uno del parlamentino Giulia Pelucchi, ha pronta la pezza (rossa) con cui si giustifica dicendo che “L’ente promotore dell’iniziativa, Comitato 10 febbraio, ha preso in affitto (pecunia non olet?) i locali attraverso una procedura esclusivamente amministrativa che non coinvolge né Giunta né Consiglio Municipale”. Tutto in regola, dunque, ma non basta: “Come maggioranza prendiamo assoluta distanza dai promotori e ribadiamo con orgoglio i valori democratici (chissà quali!) e antifascisti (ecco!) su cui si fonda il nostro paese e la nostra città, medaglia d’oro nella lotta di Liberazione”. E rincara la dose: “Come Presidente mi impegno sin da ora a rivedere le modalità di concessione degli spazi, per evitare che si ripetano situazioni analoghe in cui una qualsiasi associazione può firmare l’adesione ai principi della Costituzione italiana invitando poi relatori che dichiaratamente ne contrastano i valori. […] Ho già richiesto di poter vedere la procedura di concessione”. Alla faccia della democrazia, della pluralità e dell’inclusione che predicano urbi et orbi. Insomma, ancora un uso “gramsciano” delle istituzioni su cui nemmeno il fratello antifascista del fascista Mario Gramsci sarebbe d’accordo.

La paura della verità storica

Ma come, proprio loro non riescono “democraticamente” a confrontarsi, tanto da essere costretti ad appellarsi all’oblio e ai democratici divieti? “E allora Borovnica?”. Cosa non si deve sapere? Che esistevano campi di concentramento titini? Che lì i partigiani rossi concentravano militari, italiani e fascisti a guerra finita? Che i campi di concentramento non erano campo di lavoro quando ormai non c’era più del lavoro da fare? Che proprio lì, sotto la direzione del boia jugoslavo, uomini e donne italiani trovarono la morte con il metodo della crocifissione o del trascinamento? O semplicemente che l’Anpi vuole nascondere i crimini commessi a danno dei loro stessi connazionali? No, fa più impressione la verità storica che non si infoiba rispetto ai loro petalosi deliri isterici. Nonostante i loro petalosi deliri isterici. Chissà che da lor signori, sic stantibus rebus, non si renda necessaria la proposta (e la pretesa) di istituire “democratici tribunali popolari antifascisti” cui delegare le decisioni su chi far parlare e su cosa. Proprio come nella Jugoslavia di Tito.

https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/ora-anpi-vuole-infoibare-anche-crimini-tito-259771/

PARABOLA DELLA FINE DEL MONDO (DEL CALCIO)!

Sbagliare è umano, ma se uno persevera sta a significare che non solo non ha capito di aver sbagliato, ma anche di essere convinto di aver operato bene. Dunque, la devastazione messa a segno dai tifosi tedeschi nell’ultimo incontro di Champions a Napoli e subìta da commercianti già in ginocchio per le chiusure pandemiche, da turisti che avevano scelto Napoli per una loro vacanza e chissà se la sceglieranno ancora per le loro future mete, da utenti e cittadini prigionieri in casa e ostaggi in strada non ha minimamente fatto interrogare i tutori dell’ordine pubblico. I quali anzi, continuano con gli esperimenti, visto che da nessuna parte si vede qualcosa di minimamente simile al loro operare – per la loro “dritta via”, fatta di divieti, confinamenti – traslitterazione perfetta di lockdown – e accessi “elitari”.
Da una e trina idea del Prefetto di Napoli Claudio Palomba, del questore Alessandro Giuliano e del sindaco Gaetano Manfredi, per la regia dell’attendente aggiunto alla pubblica sicurezza patron Aurelio De Laurentiis, il piano sicurezza per i festeggiamenti per la vittoria (tiè!) del campionato di calcio pare prevedere ingressi a numero chiuso in piazza, festeggiamenti in differita, inviti e scremature a vantaggio di soli pochi eletti. Una gestione “ZTL” che ottimamente rispecchia l’attuale classe amministrativa inetta e autoreferenziale. Se questa è la gestione sinistra che dovrebbe essere messa a punto, il centrodestra d’opposizione langue. E come potrebbe essere diversamente, visto che, già con Conte premier, il partito oggi maggioritario e al governo si rese protagonista di una singolare – che più che un complimento è una speranza affinché possa essere l’unico caso al mondo – protesta in una romana Piazza del Popolo aperta solo per 4280 fortunati, seduti e opportunamente mascherinati?
Il piano, così come immaginato, pare non prevedere alcun criterio di assegnazione dello spazio – o meglio, del recinto – in cui è con-cesso festeggiare, quindi, nessun modo come (e perché?) poter fronteggiare eventuali rifiuti (sic!). Che, magari, degenereranno in protesta, in lite, più che giusta. Giusta (e forse atta) a rovinare i festeggiamenti. Perché, poi?
In base a chissà quale astratto assioma, forti della smentita ante litteram, smentita anzi doppia, se volessimo pensare al solo presente, come la vittoria della Coppa Italia in piena emergenza Covid e, poi, l’occasione della morte di Maradona che rovesciò ogni previsione degli esperti più “studiati”, è risaputo – dice stavolta la quaterna in questione – con piglio da periti consumati e consunti – che in detti momenti di generale ilarità, si moltiplicano eventi criminosi quali scippi, furti, rapine; la criminalità organizzata va a nozze con questi eventi per poter mettere a segno omicidi illustri e chissà quali loschi affari (non calcistici?); la gente avrà bisogno di ambulanze per malori (già prevedibili?), delle 17 ambulanze di cui 4 medicalizzate – De Luca ancora non si è erto a Deus ex machina? – insomma non una festa che manca da 30 anni, ma una guerra. L’apocalisse. La fine del mondo (calcistico, grazie a loro). Napoli si distruggerà, il Vesuvio esploderà, lo stadio Maradona, per arrabbiatura di San Paolo, si farà in mille pezzi. E la qua(quaraquà)terna giudicatrice da Castel Sant’Elmo dividerà in due i tifosi, quelli in possesso della tessera a sinistra, i renitenti a destra. Qualcuno farà il furbo e vorrà camuffare sotto suddetta tessera anche striscioni, tamburi e bandiere, ma ADL lo vedrà e invocherà il daspo. “Nemmeno la bandiera al balcone deve poter mettere. Via il Napoli da lui!”. E questi saranno tantissimi, più di mille miliardi, più dei cinesi! E ci saranno tre porte: una strettissima per Piazza Plebiscito, una media per le piazze di periferia e un’altra grandissima, quella di casa propria. Quelli del Plebiscito rideranno, quelli della periferia un po’ ridono e un po’ piangono e quelli a casa loro, primo cittadino in testa, piangeranno. Soprattutto se la festa scud*** dovesse iniziare da Torino. E io… Io speriamo che me la cavo!
https://www.camposud.it/parabola-della-fine-del-mondo-del-calcio/tony-fabrizio/