L’inciucio virale


Il Coronavisur è (stato) una minaccia mondiale che ha portato al lockdown totale paralizzando i mercati e fermando la produzione di aziende, indotti e fabbriche. La sola che è riuscita a non chiudere, ma a funzionare a pieno ritmo, addirittura incrementando la propria produzione, è stata la fabbrica del fango contro il Meridione. Con la partecipata manovalanza di tutte la prestigiosa intellighenzia autoctona del mondo dell’editoria, della scienza, della tecnica, dello spettacolo, stavolta indegno persino per i protagonisti: Vittorio Feltri direttore di Libero che, forse, tanto libero non è e che ha fatto sapere poi che le sue dichiarazioni erano state fraintese; Giulio Golia, iena napoletana che si è accanito sulla sua Napoli facendone la preda prediletta e diventando estorsore di confessioni per l’occasione; Luca Abete che ha fatto dello “sputtanapoli” la sua fortuna. Non sono mancate persino le genialate da uomini di scienza, capitanati dal catodico prof. Galli della Loggia, dai volti più popolari come Gerry Scotti che ha fatto sapere -poi anche lui- che si è solo limitato a prestare la voce al servizio, fino al mondo dello sport con i tifosi dell’Atalanta che, solo un paio di mesi fa, si sgolavano per accostare i napoletani al Covid-19. Chissà se a fronte dell’impressionante calo demografico (leggasi morti) registrato proprio a Bergamo, sono ancora dello stesso parere.
Codogno, Brescia, Vo’ Euganeo, Bergamo, Milano, Torino, Lodi sono tutte città lontane, forse agli antipodi di quella Napoli (resa) puzzolente in cui smaltire i rifiuti tossici del nord eppure mai così vicina a quella bile vomitata gratuitamente. O forse no. Napoli e il Meridione in generale possono e devono diventare la valvola di sfogo, il vomitatorio della parte “alta” dello Stivale in questa era pandemica. Il Meridione tutto è una eccellente arma di distrazione di massa dal problema vero. Come giustificare altrimenti l’eccellenza della sanità lombarda di colpo scoperta in eccedenza? Come spiegare che tale sanità, finanziata per più del doppio rispetto alle altre regioni, ha prodotto un clamoroso flop? Come commentare la strage perpetrata ai danni degli anziani con patologie pregresse (semplice vecchiaia per il Sud) nelle RSA (definiti ospizi dai terroni)? Come accettare che la Napoli della pizza, della camorra e del mandolino sia riuscita a far funzionare una cura al virus studiata a Napoli da un professore napoletano? Come digerire che tali sforzi, con mezzi ridotti per foraggiare altri colleghi medici e ricercatori, sia stata premiata dall’AIFA? Come nascondere la rilevanza che la stampa estera (collega, ma non collegata a quella italiana) ha individuata nell’Ospedale Cotugno di Napoli l’eccellenza mondiale nella lotta al virus? In che modo provare a non dire che persino la CNN incensava il nosocomio partenopeo con zero contagi, mentre altrove in Italia era strage di medici e paramedici che hanno superato di qualche decina la centinaia? Come spiegare che la tecnica di ripresa schiacciata ad altezza d’uomo non rende giustizia, ma può essere volutamente ingannevole in una città che ha conservato la struttura originale dei vicoletti, topos partenopeo, tanto che nel creare nuovi insediamenti abitativi – le vele – si è deciso di richiamare proprio tale struttura urbana?
Quei vicoli popolari, di gente che si arrangia e campa alla giornata, ma che pullula di “panari solidali” che scendono da ogni balcone.​ “Chi ha metta, chi non ha prenda”, come San Giuseppe Moscati – medico santo che riposa nel cuore di Spaccanapoli – ha insegnato e che gente dal cuore napoletano ha saputo trarre e conservare questo insegnamento oggi salvifico. Non solo per la pancia. Non certificazioni, niente burocrazia, nessun ISEE ma coscienza, rispetto, cultura, civiltà. Quella dell’essere popolo. E prima ancora la spesa sospesa. Allora se i vicoli vivono di solidarietà, va detto – e fatto dire – dalle persone richiuse in casa e ottemperanti ai DPCM che alla spesa provvede la camorra. Che non vive solo a e di Napoli. Eppure da Napoli e dal Meridione sono partiti camion e tir dai principali mercati ortofrutticoli e dai più importanti spacci alimentari alla volta del Nord, che era chiuso. Camion e tir che partivano stracolmi e che tornavano vuoti nonostante i confini, nonostante si parli di autonomia, nonostante l’offesa e la denigrazione. Questa non è la Napoli – che pure è stata – della scuola medica salernitana, della prima università pubblica, del florido e ricco Regno delle due Sicilie, di Pericle e di Adriano, di Leopardi e Croce, delle “quattro pietre” di Pompei ed Ercolano e delle Quattro giornate, di Enea e dell’inizio del viaggio di Dante, degli struffoli e dei friarielli: questa è la Napoli di oggi, quella di Saviano e di Gomorra, quella della Camorra e di “Giuda” Golia, quella di Striscia la Notizia e de Le Iene, quella di Galli della Loggia e di Ascierto, quella di Giulio Tarro e di Roberto Burioni, quella della popolazione da Milano a Palermo che, purtroppo, non è ancora popolo.
Allora sì, siamo inferiori: siamo inferiori alla sudditanza professionale e lavorativa, inferiori alla carriera a tutti i costi, al meretricio intellettuale del dire ciò che c’è da dire per non poter dire altro. Inferiori nel difendere la propria terra da chi non l’attacca e, ob torto collo, la sostiene, da chi per difendere se stessi è costretto a denigrare il prossimo che non è sentirsi meglio, da chi per stare bene ha bisogno di vedere altri stare peggio. Inferiori in questa supposta arroganza che non ci appartiene, inferiori nella superbia e nell’invidia, inferiori nella cattiveria gratuita che non ci tange. Siamo la città del sole, del sorriso e del saper vivere: ha da passa’ ‘a nuttata pure per voi.

Bandiera rossa vs virus invasor


Questa mattina mi son svegliato e ho trovato gli invasati. In verità poche unità in festa – non di tutti – per un appuntamento inventato e che resiste anche se in quest’anno infausto e bisesto cade di sabato – dagli astanti non considerato di certo giorno rosso – tutti precettati sul balcone. E non è una questione di erre moscia! Non barconi né finestre, dunque. Balconi, anonimi e adombrati rispetto a quello romano più largamente conosciuto. Insegna essenziale ed unica di riconoscimento: la bandiera rossa. Colonna sonora del sit-in l’impropria riusata e abusata Bella Ciao, “rubata” alle mondine, veste da partigiano – che cantava Fischia il vento o​ Fior di tomba​ – riciclato da nonni o perfetti sconosciuti con la variante attualizzata che anziché battere la ritirata tra le montagne stavolta, una volta conclusa la pièce, si rintaneranno in casa. Altro uso e costume tipico. Questo l’impegno manifesto della pluriforaggiata ANPI per la lotta al virus invasor.
Nell’Italia degli pseudo-imitatori degli scomparsi partigiani, che si lascia cancellare la testimonianza vera e diretta dei nostri nonni, collettiva memoria, resiste (ancora) la ricorrenza del 25 Aprile: da cosa si liberano gli aficionados, però, non è dato comprendere: ultimamente la nostra Nazione è stata teatro di uno sterminio di genti per colpa di un virus del quale, con profonda gioia di chi ci vorrebbe calpesti e derisi, persino gli esperti ci hanno capito poco, territorio in cui gli eserciti rispondenti a tre bandiere diverse si sono incontrati e non scontrati solo grazie a qualcuno che ha evitato di mettere i… “puntini” sulle “i” di Italiani abbandonati non da tutti, ma dai nostri alleati seppur continuamente e continuatamente rifocillati a suon di moneta rigorosamente unica, derubati su tutti i fronti, o meglio presso parecchie frontiere con tacito silenzio di chi siede alla Farnesina che per incarico che è lavoro dovrebbe avere rapporti con gli “esteri” e con certi “addetti ai lavori” che ci dicono chiaro e tondo e non in politichese quale sia il loro obiettivo, il loro compito da assolvere.
O forse si liberano dai DPCM illegittimi, dall’elargitore Conte, dalle sue imposizioni in stile URSS: divieto di assembramento o meno, proibizioni di circolazione o meno, i kapi ANPI se ne fregano e fanno sapere ad esecutivo e organi di governo sul territorio che loro andranno a portare un fiore sui luoghi della Resistenza: forse dove imprigionarono e stuprarono Norma Cossetto? Forse dove finirono Giuseppina Ghersi? Forse dove ammazzarono i 7 fratelli Govoni? Forse a Badovizza? Dovunque si sono sporcati le mani rosse di sangue?
Ma (ora come allora) ci hanno consigliato e obbligato ad indossare le mascherine – solo quando, però, l’ingegno italico si è messo all’opera producendone per la Nazione tutta con buona pace all’autarchia – ma che in realtà sono dei veri e propri bavagli. Se vogliamo liberarci della mascherina, restiamo in casa tanto ad informarci, se non a formarci, sarà compito della task force di governo creata ufficialmente per combattere le bufale, ma che dovrà propinarci le balle di stato.
Ma in questo 25 Aprile saranno beati i commercianti, le partite (sperando non diventino participio passato di cattivo auspicio che non è superstizione!) IVA, quelle dal cassetto della cassa vuoto e dal conto rimpinguato al punto da pagare solo metà della locazione del locale chiuso, beati saranno i dipendenti cui è stato stornato un mese dalla RCA per il mancato utilizzo dell’auto, pagando (normalmente) solo ciò di cui si è effettivamente usufruito, ma non certo con i 600 euro spacciati per panacea: almeno loro non avranno le vetrine delle attività sfasciate, le auto incendiate e tutti si risparmieranno il crepacuore per le città messa a soqquadro. Chissà se i frequentatori dei centri (a)sociali questa volta spaccheranno i vetri delle ville di loro proprietà, mentre magari il loro paperino “paperone” dentro casa osserva la colf nera e in nero sparecchiare la tavola per il lauto pranzo appena consumato. Chissà se i novelli partigiani balconati e defenestrati consumeranno le illecite sostanze, vero motore delle loro performance, anche sotto al patio o sul terrazzo dell’attico che, però, fa ben poco comunità e per nulla popolo.
Una Festa della Liberazione vissuta e propinata senza nessuna vera libera azione, ma solo una illusione che, forse, è l’insito significato di questo giorno che è mesto e non festoso, una vittoria che ha il sapore amaro della resa incondizionata, un successo dall’ingannevole gusto di un passaggio di consegne che è, in realtà, vera sottomissione, vera prigionia, che è bavaglio. Pardon, mascherina. E non dal 2020, cari figli della Filosofia e abitanti della Magna Grecia osannanti la caverna anziché Platone.
Gli arresti domiciliari, in quanto “DPCM” quindi di concerto con nessuno, andranno oltre il primo maggio e mieteranno anche vittime onorevoli: quest’anno toccherà al pdino Roberto Gualtieri che passerà alla storia solo per aver MES autografi a Bruxelles-potenza-di-fuoco e non per essere lo strimpellatore di Bella Ciao negandogli persino l’attimo di gloria futura in Piazza San Giovanni. E quest’anno non sarà l’Organizzazione a dare i numeri, a raddoppiarli, triplicarli, decuplicarli ed elevarli all’ennesima potenza: nell’epoca in cui anche il Grande Fratello è stato istituzionalizzato ci sarà la neonata Immuni, l’app del corona a dire dove, quando, per quanto e con chi siamo stati. Made in Berlusconi. Chissà se ANPI & compagni lo sanno. E la coerenza? La lotta? La bandiera? La festa? La libertà? Bella Ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao…

https://www.imolaoggi.it/2020/04/24/questa-mattina-mi-son-svegliato-e-ho-trovato-gli-invasati/

Basterà don Livio Viola e i parroci di provincia a salvare i fedeli da questo ‘regime’ senza fede?


In principio fu il virus. Il Corona che ha paralizzato la Cina, subito dopo l’Italia e poi, nazione dopo nazione, il mondo intero fino a diventare una vera emergenza sanitaria. Che da noi ha smascherato quella organizzativa. Poi tramutata in vera emergenza economica dai signori della finanza e dai tecnici degli atenei. Così mentre tra prestiti vincolati e legalizzazione dello strozzinaggio si progetta la fase 2 con ancora mezzo milione di decessi quotidiani, si scatena la guerra santa. In Italia: a Rocca Priora (RM), a Sant’Arpino (CE), a Sant’Antimo (NA), a Vignale (NO), a Cinisello (MI), a Borgotrebbia (PC). E nelle terre prescelte dal Covid accade dell’incredibile, forse del profano, sicuramente del vergognoso: a Gallignano, frazione del comune di Soncino in provincia di Cremona, i gendarmi senza pennacchi sono arrivati in chiesa piombando sull’altare e intimando a don Lino Viola di interrompere la celebrazione. Il Don, preciso come la puntualità con cui dice Messa, ha fatto notare ai militari che il DPCM non vieta di celebrare la santa Messa, che in una chiesa di 300 mq, tra ministranti e fedeli, vi era poco più di una decina di persone, tutte rigorosamente ottemperanti alle disposizioni – non alle leggi – in merito: muniti di guanti, di mascherine e persino praticanti del distanziamento sociale. Addirittura l’Eucarstia non era stata toccata con le mani, alla quale, però, solo “grazie” all’intervento dei zelanti Carabinieri, non è stato possibile accostarsi. Opportunamente indrottinati, forse i militari non hanno proceduto ad interrompere l’omelia perché il Diritto Canonico ne prefigura il reato, allora perché tanta fretta nell’interrompere la funzione religiosa? Perché invadere l’altare porgendo al celebrante un telefonino al cui capo vi era il Sindaco, forse Peppone? Visto che si era atteso tanto e la celebrazione volgeva quasi al termine, non si poteva aspettare per comminare la multa al Parroco? C’era bisogno di cacciare fedeli dal tempio, che tra l’altro appartenengono a due nuclei familiari per cui avrebbero formato assembramento anche in casa e non portare a conclusione il sacro rito? Un altro quarto d’ora in chiesa avrebbe costituito contagio? Quelle chiese sono le stesse che ospitano la Virgo Fidelis alla quale l’Arma è devota e dalla quale è protetta. Le stesse chiese sempre frequentate se non gremite in contesti internazionali. Le medesime chiese assiepate anche per battesimi, comunioni e matrimoni. Per sè e per i loro. Magari in alta uniforme e in pompa magna. Che qui valgono 280 euro cadauno per i fedeli e 680 per don Viola, ma 0 rispetto. Precisazioni che vengono dalla locale Curia che pare fare il tifo per il potere temporale. Non pervenuta la Santa Romana Chiesa guidata da papa Francesco, sempre più chiusa tra la genuflessa obbedienza e un silenzio più complice che religioso.
Che il militare sia sinonimo di obbedienza è risaputo, ma ciò non prescinde dalla capacità razionale e dal possesso dei requisiti morali. Se questi i fatti nell’hinterland cremonese, altri appartenenti alle FF.OO. di stanza in Toscana hanno multato una famiglia di quattro persone che tornava da una visita medica oncologica della bambina. Motivo? Non c’era motivo di portare con loro anche la madre ed il fratellino (minore come la bambina leucemica). 500 euro decurtati al padre disoccupato a cui poi sono arrivate le scuse della Dirigente della locale Polizia Stradale. Come se il mea culpa di facciata potesse riportare tutto alla verginità iniziale. Altri cittadini, invece, sono stati manganellati perché portavano i cani a fare i loro bisogni. Strano modo questo di combattere il virus che poi sarebbe compito dei medici. Falotica trovata di arginare il contagio che dovrebbe prescindere dal senso civico che gli Italini stanno dimostrando di avere. Un modello Italia, non un’Italia modello visto che siamo stati tra gli stati più colpiti, ma non i più colpiti e i soli ad essere all’isolamento domiciliare imposto con leggi incostituzionali. E se dietro ci fosse altro? Magari bisogna rimpinguare le casse per tentare di tenere fede a quanto propagandisticamente promesso? O chissà quale losca manovra che non è dato sapere nemmeno ai cittadini fedeli a questo esecutivo. Nemmeno a quelle FF.OO e quelle FF.AA. che hanno giurato sulla Costituzione e che adesso, da difensori e protettori della Repubblica e delle leggi- non dei decreti- dopo essere stati trasformati in braccio esecutore delle follie di palazzo, rischiano di essere trasformate in cavie umane per sperimentare il nuovo vaccino. E l’uniforme protesta già sembra essere montata. Chissà se adesso oseranno ancora invadere prepotentemente le chiesa per chiedere protezione o imprecheranno. Che ugualmente significa ammettere l’esistenza di Dio.
Pubblicato su IlSud24.it
https://www.ilsud24.it/2020/04/21/messa-soncino-bloccata-carabinieri/

Vera Pasqua all’Italia

Tutto è compiuto. Il Coronavirus di cui nulla sapevamo e poco siamo riusciti a sapere sembra volere farci andare oltre. Ci sono ancora contagi, altre morti, i positivi asintomatici continuano a portare in corpo ed in giro questo nemico ma non ci è dato sapere perché un asintomatico non ha diritto al tampone. Così come ancora non abbiamo saputo – se mai sapremo – per quanto tempo questo nemico è in grado di nuocere e di contagiare.
Ma il Governo ha detto che la paralisi della Nazione non può essere prolungata oltre, che bisogna ripartire, anche se non sappiamo bene per andare dove e soprattutto con chi. La morte non fa più notizia, non deve, ma si continua a morire in centinaia, anche senza coronavirus. O chissà cos’altro. Non lo sapremo mai: ai morti non si fa tampone, né autopsia. Si nega loro persino l’ultimo saluto. La curva “poi” scende, ma non si canta vittoria, “poi” si ordinano le mascherine che si sarebbero dovute ordinare prima – rigorosamente tramite la bluffata Consip – anche se gli esperti non sono riusciti a stabilire se e quali servono davvero e senza curarsi di provvedere prima a reperire respiratori destinati a coloro che “poi” avrebbero dovuto indossare le famose, o famigerate, mascherine. Questa è l’ora del “poi”, divenuto ormai tempo di governo, intanto che si chiamano “eroi” – forse pesano di meno sulla coscienza qualora se ne possedesse una – i cento medici trovatisi a combattere, o meglio, improvvisati(si) lottatori contro questo nemico ufficialmente annunciato e istituzionalmente ignorato.
Intanto che si programma la fase 2, sembra che Covid-19, col quale – dicono – dobbiamo imparare a convivere, si adegui ai nostri modi e ai nostri tempi: tutti chiusi in casa e lui ci ha dato tregua, ha colpito quel capellone unico e “fuoriuscito” di Boris Jhonson che da subito ha avuto le idee chiare al riguardo, forse folli, ma se l’immunità di gregge dovesse funzionare lui potrà dire di aver dato il buon esempio e pure di essere stato tra i primi. Se gli anziani, mascherati da portatori di patologie pregresse e immunodepressi, sono di gran lunga meno numerosi dal 31 gennaio, la fase 2 prevede anche l’incentivazione dell’aborto chirurgico. Ma a voler ricordare il discorso di Rockefeller all’assemblea dell’ONU circa il dimezzamento della popolazione mondiale si passa per complottisti. Lo stesso dicasi per Emma Bonino, ieri “interrutrice” volontaria di involontarie gravidanze con pompe di biciletta e oggi senatrice della Repubblica Italiana, ultimamente annoverata tra i “grandi d’Italia” finanche da Papa Francesco. Recluso anch’egli, come sempre, tra le mura del Vaticano, silenziato e silente come tutti. Colui che non proferisce parola sulla chiusura delle chiese e sulla sospensione dei riti ecclesiastici, compresi quelle della Pasqua che è rinascita autentica e vittoria vera sulla morte. Un Vicario che si adegua ai decreti, non alle leggi, di uno Stato che non è suo e che ci regala la spettacolarizzazione della preghiera in una Piazza San Pietro insolitamente vuota, davanti al Crocefisso ligneo miracoloso che nulla ha potuto contro la consueta mancata genuflessione del Pontefice, legno che ha resistito a incendi, ha sconfitto pesti, ma stavolta non ha retto alla romana pioggia scrosciante. E per la Chiesa allora come per i Cristiani ora simbologia e semiotica sono pilastri e scienze significative.
Chissà quale il significato del religioso silenzio circa la chiusura dei porti: non perché si fomenta il commercio di essere umani e si rischia di importare “bombe umane” provenienti da angoli della Terra dove si perde la vita per malattie da noi completamente debellate, ma perché l’Italia, terra appestata e contagiata, può essere terra di morte per i nuovi arrivati. Come se si potesse morire solo fisicamente. Da questa Italia uccisa ed ammazzata persino dai sui figli facenti funzioni di padri putativi, ma che stenta a morire si alza forte il grido di reazione di chi resiste per continuare ad esistere, di chi lotta e non si arrende, di quella parte d’Italia obiettivo privilegiato della pandemia e di quella parte restante capro espiatorio e accusatorio che nonostante tutto lavora e si ingegna, studia e raggiunge i risultati, solidarizza e fraternizza e inventa la spesa sospesa in questa Nazione dalla vita sospesa ed il panaro della solidarietà, essenza vera ed autentica del fare bene il bene, che nessun accademico o cattedratico potrebbe pensare mai. Per cui auguri di una Pasqua autentica, come quella di Cristo che ha sconfitto la morte e ci ha liberato dalle oscure tenebre, dagli Iscariota traditori di madre e Patria, quelli della Risurrezione vera perché possa l’Italia, come Gesù Cristo, continuare a vivere in eterno.http://https://www.camposud.it/2020/04/vera-pasqua-allitalia/

Coronavirus, Sky News International: «Cotugno di Napoli, eccellenza mondiale»

Qualche mese fa tutto il mainstream mondiale osannava ed incensava il popolo cinese per aver costruito un ospedale da zero, in solo dieci giorni, per i malati colpiti dal terribile nuovo Coronavirus. Poi venne la volta dell’Italia, non solo per la manifestazione e per il contagio da Covid-19, ma perché un team di ricercatori italiani, tutto meridionale, aveva isolato il virus.

Quindi venne la fase delle critiche del fratello d’Italia meneghino professor Galli al collega professor Ascierto, scienziato medico napoletano, che aveva osato dire al mondo intero che vi era un farmaco da lui stesso utilizzato per la cura dell’artrite reumatoide che sembrava funzionare anche contro questo nuovo nemico invisibile e sconosciuto. Anzi, il dottor Ascierto ha fatto di più: ha avuto l’ardire di comunicare l’eccezionale scoperta all’AIFA, all’agenzia del farmaco che ha dato il placet allo studio del Professore dell’Istituto Pascale.

Se questi sono i giorni della disperata speranza e del necessario bisogno di notizie positive, rappresentate da un plateau e non da una curva discendente, ciò che impenna l’entusiasmo può essere la gara di solidarietà scattata nell’intero Stivale, con la chiamata ai camici da parte di numerosissimi medici e infermieri, che ha coinvolto moltissimi imprenditori che, oltre a donare somme di danaro da investire nella lotta al comune nemico, hanno riconvertito la loro produzione a seconda dei bisogni e delle necessità.

A Bergamo gli Alpini, che arrivano da tutta Italia, in soli dieci giorni hanno tirato su un ospedale vero, non cinese, non con le pareti di cartongesso, ma dotato di ogni comfort e sicurezza. Che entrerà in funzione a breve. Con le macchine già installate e il personale solo in attesa di iniziare a rendersi utile. In questo generale clima di entusiasmo «strutturale» che sicuramente fa bene alla Nazione ed al suo popolo vi è qualcosa che, chissà perché, nessuno dice. Nemmeno i media locali e nazionali, che pur dovrebbero amplificarne il vanto.

Tra gente che arriva da ogni porto, altri stipati in casa nonostante il 60% della gente ancora si rechi a lavoro, militari che presidiano le strade e altri che nelle stesse strade si ‘esercitano’ e (ci) aiutano, vi è una task-force di giornalisti scientifici anglosassoni che, scorrazzando per l’intero Stivale, ha potuto dire ai loro connazionali all’ombra del Big Ben, che a Napoli, «nel sud del Paese» come riporta testualmente il servizio di 5 minuti andato in onda su ‘Sky News International‘ – canale all news del gruppo Sky – è possibile parlare del temutissimo nemico Covid-19 con tanto sano e fondato ottimismo.

Senza vedere visi stravolti dal lavoro e consumati da occhiali e mascherine, senza file interminabili di anonime e solitarie bare caricate su camion militari. Senza ob torto collo nascondere il dramma della Sanità italica e regionale al collasso che, decurtata meno e rispondente peggio, cela nascoste potenzialità e eccezionali risultati.

Cotugno, un vanto tutto partenopeo

A Napoli, l’ospedale Cotugno, riconvertito interamente alla cura del Covid-19, rappresenta l’eccellenza non solo meridionale e nazionale, ma addirittura mondiale. Al Cotugno è possibile vedere all’opera una macchina organizzativa perfetta e ottimamente funzionante, dove – caso unico al mondo – nessun medico,  paramedico e personale ausiliario – è stato contagiato.

Il servizio mostra una macchina eccellente a lavoro senza fermarsi mai, con peculiarità mai visti altrove: guardie di sicurezza sorvegliano ininterrottamente i corridoi affinché i diversi locali «non comunichino». Il personale sanitario indossa maschere simili a quelle anti-gas e comunque molto differenti da quelle chirurgiche fatte con gli stracci cattura-polvere, ed ermeticamente equipaggiato di tute, calzari e copri-testa.

Al Cotugno le soluzioni mediche da sottoporre ai pazienti vengono preparate fuori dalla stanza di degenza, dove il personale non entra mai, comunicando attraverso dei vetri appositi, con il personale vicino ai pazienti che non lasciano mai la loro postazione, durante la crisi. I medicinali vengono quindi scambiati attraverso una porta di compartimento. Finita questa operazione vi è la delicata fase di svestizione: via camici e guanti nonostante non si sia entrati in contatto con niente e con nessuno.  L’attenzione ai dettagli, che inizia dallo scanner test, una macchina simile a quella che si trova negli aeroporti, ma con il compito di una approfondita e totale disinfezione, è fondamentale.

Se è vero che al Sud si è avuto il tempo di capire e prepararsi, è altrettanto vero che il Cotugno partiva già dalla riconosciuta eccellenza, ma ciò che stupisce – e che premia – è lo sconvolgente rispetto delle regole, la separazione degli ambienti e la meticolosità dell’operare, possibile solo se si parte dalla competenza, dall’amore per il proprio lavoro che è passione per esserci. Anche nell’anonimato, ma sempre positivi.

http://https://www.ilsud24.it/2020/04/02/cotugno-eccellenza-mondiale/

https://www.camposud.it/2020/04/il-cotugno-di-napoli-eccellenza-nella-lotta-al-covid-19/

Seicentosettantamila euro non bastano a ridare l’onore perduto a Contrada

Questa è una storia lunga e tortuosa, almeno quanto lo è il dolore di una vita distrutta senza un motivo, una storia di coincidenze o, forse, di segni, costume del popolo napoletano, una storia di un’ingiustizia consumata e ammessa nel tentativo di essere riaccreditata e di una giustizia che ha miseramente fallito.

Questa è la storia di Bruno Contrada, Dirigente Generale della Polizia di Stato, condannato per l’inesistente reato – o se vogliamo all’uopo inventato – di concorso esterno in associazione mafiosa, dopo aver giurato tre volte fedeltà alla Patria, a 22 anni da Bersagliere e poi due volte in Polizia raggiungendone i massimi vertici sino a diventare, da vicecommissario, un applicato ai Servizi di Sicurezza della Repubblica. Personalità cresciuta a Patria, Italia e Stato, valori che sono divenuti sostentamento anche in carcere dove si è «guadagnato» la buona condotta cercando di trasmettere agli altri detenuti i suoi valori comportamentali.

Gli stessi valori ben radicati e mai scalfiti che lo hanno sorretto nella trentennale odissea giudiziaria, durante la quale si è visto privare del servizio che era la sua vita e finanche della pensione per vivere, dell’affetto della moglie Adriana, scomparsa l’anno scorso, troppo presto per vedere la giustizia di questo mondo, fino a dover ingaggiare una lotta con la sofferenza per malattie personali e per quelle di un figlio poliziotto ammalatosi in conseguenza delle accuse rivolte al padre.

La Corte dei Diritti dell’Uomo ha definitivamente stabilito che il dottor Contrada non solo non andava incarcerato, ma nemmeno processato quindi non avrebbe dovuto scontare un solo giorno di detenzione per cui, tramite la Corte Di Appello di Palermo, gli ha corrisposto un risarcimento di 670 mila euro. Come se i 670 mila euro potessero riportare in vita la signora Adriana e chissà, dopo i tortellini in brodo di quel 24 dicembre, data del primo arresto e riproposti in pieno luglio quando il marito fece ritorno a casa, con quale piatto avrebbe accolto la giustizia ritrovata.

Una cifra che non ridà la vita e la carriera da servitore dello stato al giovane Contrada, che non cancella le pene patite da altri membri della famiglia cresciuti – umanamente e professionalmente – anche loro nella legalità. Che non riacquista l’onore macchiato, non attenua la dolenza dell’infamia ingiusta che ti consuma il corpo. Per fortuna non la mente: lucidissimo ottantanovenne, battutosi come un leone, accettando perquisizioni in piena notte e isolamento nel carcere di Palermo, aperto solo per lui, appositamente per lui.

Questo per l’Italia è il prezzo della libertà, quell’Italia servita e vista soccombere sotto le carte del ricorso a Strasburgo, quella Patria giurata e per la quale egli soffriva soltanto a leggere «Bruno Contrada contro l’Italia». Quella parte di Italia che, ancora oggi, tramite certi addetti ai lavori continua a «colorare le sentenze« anziché rispettarle – come la deontologia più spicciola imporrebbe – e si ostina a far polemica sui tempi in cui cade il risarcimento, in piena emergenza sanitaria.

Ma forse questa è la parte d’Italia che giudica giusto che tutta la sanità sia concentrata nella lotta al comune nemico e non vede che è paralizzata sugli altri fronti non meno importanti ed altrettanto mortali: chemio, operazioni chirurgiche, assistenza ospedaliera. Che è un po’ come vedere che il risarcimento – che non vale nemmeno mezza vita distrutta di una delle tante persone coinvolte – sia a carico del contribuente non dicendo, però, quale sia stato il costo di 28 anni di accanimento giudiziario quindi il flop di tante ideologie politiche e certe carriere.

Come se Bruno Contrada avesse scelto anche i tempi di risarcimento, un tempo che è di un temibile virus che costringe tutti a stare in casa e che non cambia le abitudini di Contrada, già forte di anni di comprovata immeritata prigionia. Chissà se questo confinamento imposto anche ai ‘sani’, almeno supposti, potrebbe far pensare a cosa significhi essere imprigionato senza motivo, essere costretto ad espiare colpe che non sono tue e attendere che pareri terzi ti restituiscano alla libertà.

Quella libertà promessa e ostentata come le parole della politica, i discorsi scambiati per proclami, i decreti per legge. Quella politica che straparla, ma non conclude, quella che promette e non concretizza, quella che è troppo presa da eurobond, curve e fasi e non riesce a pronunciare le scuse istituzionali verso un Uomo dello Stato, un Servitore della Patria, un suo prigioniero che non ha tradito, una vittima e non un colpevole.

Un silenzio eloquente ed assordante che forse è il grido più forte, così come quello del dottor Contrada che mettendoci ancora una volta la faccia e aggrappandosi a quella sua dignità identitaria dice di non essere interessato al risarcimento che è e sarà sempre ingiusto, che a fronte di mezzo milione di euro riesce e preferisce ancora vivere con una dozzina di euro al giorno.

http://https://www.ilsud24.it/2020/04/13/bruno-contrada-risarcimento/

BRUNO CONTRADA, “INGROIA ACCETTI LA SCONFITTA!”

Bruno Contrada, “Ingroia accetti la sconfitta”

È un nonno qualunque, un pensionato silente con le sue patologie pregresse e tutta la saggezza preziosa e dispensata gratuitamente incorniciata nel suo viso canuto, uno spettatore attento e rispettoso della vita altrui, sempre presente in caso di suggerimenti, senza, tuttavia, mai invadere il proscenio. Una sorta di dio greco, imperturbabile e privatamente partecipe di ogni accadimento, appartenente ad un’altra epoca, quella degli Uomini integerrimi e tutti d’un pezzo, quella che appare lontana da chi, come me, all’epoca dei fatti frequentava la prima elementare, ora che persino quel grado di istruzione ha cambiato il nome in primaria. Raggiunto al telefono, appare così il dr. Contrada, Dirigente della Polizia di Stato in pensione, ex n° 2 del Sisde, uno dei migliori poliziotti che la Repubblica possa annoverare nella sua storia. Differente, completamente differente quando ci racconta il vissuto con la sua lucidità che impressiona, tanto da fare invidia, una paradigmatica memoria della cronologia dei fatti, della precisione delle date, della memoria dei personaggi, dell’accettazione che è quasi alienazione delle decisioni altrui, spesso subite ma sempre accettate, anche se ingiuste. Qualunque, come anche in questo caso: annullamento della condanna, non assoluzione, ma cancellazione di una decisione di una commissione di giudici che ha stabilito che Bruno Contrada non ha mai commesso alcun illecito. Come se ci fosse bisogno di una sentenza dei giudici esteri ed estranei a stabilire che il dr. Contrada sia un cittadino modello: a suo carico non vi è una sola contravvenzione, nemmeno per infrazione al Codice della Strada. Vanto del superpoliziotto restato umano eppure mai ostentato, nemmeno difronte a qui professionisti che ora come allora si ostinano a commentare “colorarando” le sentenze di una “commissione sovrannazionale” – la Corte Europea – personalità conosciute, o meglio riconosciute, come dimostra la stampa nazionale, per ubriachezza molesta al punto da impedire temporaneamente il volo per ritornare in Patria, previo avviso alla locale ambasciata.
Con una calma statuaria ed una fermezza disarmante, specchio di una saggezza profonda acquisita, Contrada ribadisce, replicando alle dichiarazioni del dr. Ingroia seguite al verdetto di annullamento della condanna da parte del CEDU di Strasburgo quindi di risarcimento dalla Corte d’Appello di Palermo cui fanno eco le dichiarazioni del dr. Caselli cui si accodano quelle dei tanti suoi “nemici” di cui la strada dei suoi successi è costellata, affermando con obbedienza militare che “le sentenze dell’autorità giudiziaria vanno rispettate, osservate e adempiute. Questo lo sanno tutti: lo sa il dr. Ingroia che è una persona intelligente e preparata, che è stato giudice dall’esperienza ultradecennale, lo sa il dr. Salvatore Borsellino, fratello del compianto giudice Paolo, lo sa l’ex procuratore capo di Palermo Gian Carlo Caselli, lo sa anche uno studente al primo anno di Giurisprudenza”. L’annullamento ed il risarcimento di Contrada bruciano e pure tanto e se c’è chi rilancia il sovranismo giudiziario accusando la “Cassazione di accucciarsi su una sentenza seppur della CEDU”, c’è anche chi dà ad intendere che “la Magistratura ha sempre ragione, tranne quando assolve”. Lapidaria e indiscutibile la risposta dell’ex numero uno della Polizia di Stato: “Ingroia accetti la sconfitta che ha subito! La Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha annullato la sentenza da me subita e sofferta e la Corte d’Appello di Palermo ha stabilito un indennizzo applicando la legge. Ogni cittadino è tenuto ad osservare e rispettare le sentenze in applicazione di legge”. Ligio alla legge anche nel commento, o meglio nell’assenza di commento circa l’indennizzo corrispostogli: “Ho sempre rispettato le sentenze. Anche quando sono stato ingiustamente condannato e mi sono presentato in carcere per scontare la pena (8 anni n.d.r.) che mi era stata inflitta. Non mi sono dato latitante, non sono fuggito all’estero, ma ho accettato, non sottraendomi, ciò che i giudici avevano stabilito per me”. Un risarcimento che non paga e non appaga, se mai esiste un prezzo per ripagare le sofferenze inflitte, vieppiù ingiustamente, ma – forse – non gratuitamente. Un valore inestimabile che non rimedierà alle tante vite rovinate, a quelle spente dannatamente, all’onore ferito che pesa come e più di un macigno, ai valori fondamenta di vita e pilastri dell’esistenza. Quei valori che hanno retto ad ogni terremoto giudiziario che ha finito per riportare a galla la verità. Quei valori che, nonostante tutto, continuano ad essere un punto di riferimento e la sola àncora di salvezza di un uomo semplice perciò speciale: “Se dovessi dedicare a qualcuno questo successo lo dedicherei alla Giustizia”. Questo è Bruno Contrada.

Pubblicato anche da IlSud24.it (L’INTERVISTA | Bruno Contrada: «Ingroia accetti la sconfitta» https://www.ilsud24.it/2020/04/17/lintervista-bruno-contrada/)

In foto Bruno Contrada con la giornalista e scrittrice Marina Salvadore, leader del “Comitato Bruno Contrada” in una delle fasi del documentario-intervista sull’orrore giudiziario per la regia di Mauro Caiano e Umberto Lariccia