SILVIA ROMANO È LIBERA. MA DA COSA?

Silvia Romano, liberata nel giorno in cui le Sardine rianimate ci dicono che Aldo Moro è stato ucciso dalla mafia, oggi torna a casa e i suoi compagni per l’okkasione abbandonano presidî, avamposti e barconi per salutarla dai balconi. Ancora una volta i balconi, come il 25 aprile.

Festeggiano la bella notizia che pare varebbe 4 milioni di euro dei contribuenti che a loro volta non hanno ricevuto 600 miseri euro di cassa integrazione e di chi ha ugualmente ricevuto la richiesta di balzello che dovrà versare all’erario in quanto titolare di un negozio chiuso pure nei giorni di feste commerciali. Come la Festa della Mamma, in un tempo che ha sospeso, in attesa di cancellare, ogni significato di famiglia a favore di un non meglio identificato genitore 1 e genitore 2 (che sempre genere maschile è, almeno grammaticalmente), A e B, senza capo né coda.

In un tempo di annullamento di ogni identità, in cui il governo centrale è abile solo a smarcarsi da ogni responsabilità e nel delegare ogni attività, dal lockdown alla lotta al virus, che trova la sua forza nella capacità di non decidere, che si impone riassumendo e non riunendo, che dichiara guerra ad una sua Regione – la Calabria – che ancora una volta è costretta a fare da sè ma non proferisce parola su un altro suo pezzo – Bolzano – che si comporta come la Calabria, restando così coerente alla propria contraddittorietà;

Che preferisce parlare di morte e minacciare chiusure nel Paese dei porti aperti, nonostante i contagi e le morti (non tutte di Covid) scendono anziché dire che il Cotugno di Napoli chiude i reparti Covid e l’ospedale nuovo alla fiera vecchia di Milano non è servito, che sempre più Regioni si avvicinano alla soglia 0 che ha lo stesso valore dei 5 stelle, ma non di quello da loro attribuito;

Che le Chiese che apriranno la domenica dopo la Festa della mamma e dopo i bar, ma prima delle scuole sembrano essere la risposta postuma del DAP sulle eccellenti scarcerazioni e dove anziché segnarsi per proteggersi con l’acqua santa lo si farà con il flacone dell’igienizzante, emblema di questa Chiesa che piega la Fede ai DPCM e che non è diversa dalla lavata di mani di Ponzio Pilato.

Buona Festa della mamma che ha lo stesso valore di un 2 Giugno festeggiato in questa repubblica sempre più despota oligarchia a comando.

SI MUOIA UNA VOLTA SOLA


È successo di nuovo. Scene già viste troppe volte eppure se ne ripetono ancora: il rumore fortissimo di uno schianto troppo lontano per vedersi, poi il silenzio surreale, le luci blu delle sirene che illuminano la notte, il loro effetto stroboscopico che contribuisce a stordire. Qualche voce, forse un lamento che sa di vita, poi la fine anche di questo. La morte stavolta ha il volto e l’anima di Pasquale Apicella, agente scelto della Polizia di Stato, caduto nell’adempimento del proprio lavoro che era la sua vita.
Prima paracadutista nell’Esercito, poi poliziotto a Milano, a Roma e, infine, a Napoli, in forza al Commissariato di Secondigliano dove non lo appagava un posto in amministrazione, tra le comodità di un ufficio, tanto che egli stesso aveva richiesto di essere operativo, in strada, in pattuglia.
Lino, così era conosciuto da tutti, era un uomo che viveva per la gente, amici e no, sempre in prima linea per il prossimo e non poteva non vivere anche il suo lavoro – la sua passione – a contatto con la gente: in tanti sono testimoni del suo prodigarsi per il prossimo, dalla tenerezza per “i bambini che perdono capelli” al consiglio per conoscenti di amici desiderosi di entrare in Polizia: “Non sognatevi di fare gli eroi” raccomandava. Pasquale, Lino, non era un eroe, ma lo Stato fatto uomo che sul suo percorso ha incontrato tre rom che fuggivano da un tentativo di rapina ad un bancomat. Tre rom che lo hanno strappato ai suoi affetti rendendo vedova una giovane donna e orfani due bambini: l’uno ancora troppo piccolo per capire che tra i colleghi sotto casa con le sirene accese non c’è più papà e non troppo grande per non chiedere dove egli sia e l’altra che nemmeno lo conoscerà mai, forse troppo piccola persino per ascoltare la disperazione di una madre che racconta i cambiamenti del suo viso a quel papà che sembra essere via solo per il turno di lavoro. Tre rom che adesso non sono con Lino né diventeranno eroi.
Nessun inseguimento da film, nessuna scena di sparatoria, ma tanta inumana brutalità fino a rendere la pantera un bersaglio da colpire, i due poliziotti ostacoli da eliminare per continuare la fuga che però si è interrotta come la vita del giovane militare.
Una Napoli senza alcuna stesa, nessuna devastazione di ospedali, niente intervista ai giornali, ma tanta dignità e compostezza, tanto rispetto per le scelte di vita e solo ringraziamenti da parte della vedova Apicella per chi piangerà con lei il suo Lino.
Non ci saranno funerali di stato, nessuna pompa magna, nessuna passerella allestita per l’occasione, come sovente avviene, ma solo un’intima rappresentanza di affetti, in ottemperanza alle vigenti disposizioni in materia, nel giorno in cui tutti i cristiani, e Napoli in particolar modo, onorano la Madonna di Pompei.
Forse meglio cosi: non si sarebbe sopportata un’altra “uccisione” di un tutore dell’ordine a carico di quella parte del potere costituto pronto a puntare il dito contro chi ha osato difendersi, contro chi ha solo pensato di impugnare l’arma d’ordinanza fornita dallo Stato per difesa personale, da parte di chi quotidianamente continua a offrire vessazione di ogni sorta.
E non ci saranno nemmeno picchetti interforze, onori alla salma in alta uniforme con sciabola e bottoni tirati a lucido ad affolare il percorso funebre: quella Polizia municipale, quelle Istituzioni tutte ben poco vigili nel monitorare – nel caso specifico – il campo rom di Giugliano in Campania dove vivono i quattro assassini, dove si consuma ogni genere di illegalità, dall’assenza di servizi igienici al dare alle fiamme qualsiasi tipo di rifiuto, dove l’illegalità senza Patria sposa la malavita locale, dove persino il Sindaco della cittadina non esiste più perché il Consiglio è stato sciolto per infiltrazioni mafiose e il Comune commissariato. Che significa che il campo rom, benché abusivo, continua ad esistere e questa brutta storia – come tantissime altre – rischia di essere interrata come i rifiuti che abbiamo fin sotto il naso, un comune dai confini ben delineati eppure terra di nessuno dove tutti possono trasformare l’illecito in business e continuare a lavorare affinché nulla cambi.
Terminata la diretta dalle pagine Facebook del “Ministero di Secondigliano” e “Polizia di Stato” per tutti resterà il ricordo, la bontà in quelli che hanno potuto apprezzare questo giovane napoletano, il suo sacrificio – che non sia vano come quello di tanti suoi colleghi servitori – gli ideali e i valori ben saldi che sono costati la vita, ma che sono valsi la vita, i tanti tatuaggi, altra sua passione, che egli amava creare e il sorriso in tutti quelli che lo hanno conosciuto. Forse la testimonianza più difficile eppure quella più autentica e duratura che si possa tatuare.