Scanzi, il profeta della supercazzola

Roma, 28 feb – A “Scanzi” di equivoci ci teniamo a dire che quanto contenuto qui sotto è la verità, solo la verità, nient’altro che la verità. Per quanto imbarazzante possa essere, ma non per noi. “Il giornalista più potente dei social” (cit. la sua) l’insolente firma de Il Fatto Quotidiano, l’hater senza scrupoli colpisce ancora e lo fa, manco a dirlo, via social. Andrea Scanzi, in veste di profeta, alias Sibilla “toscana” sulla sua pagina Facebook, in un momento maximo di i(n)spirazione (è evidente, senza conseguente espirazione) si era lasciato andare a una profezia circa l’esito delle primarie del Partito Democratico che, casomai ci fosse ancora bisogno di ricordarlo, è poco più che una festa di famiglia (dopo ieri allargata anche agli imbucati) e non la vittoria delle elezioni politiche, delle regionali o delle amministrative.

Scanzi, il profeta

La sagace penna aretina in una diretta social aveva profetizzato nientemeno che l’elezione di Bonaccini così: “Secondo me non c’è nessuna suspense. Questo ve lo dico da anni, non da mesi, prima ancora che decidessero entrambi di candidarsi per le primarie, da quando è finito il governo Conte due: il prossimo segretario del Partito democratico sarà Stefano Bonaccini”.

Già questo basterebbe a testimoniare la supercazzola di Scanzi vestito – meglio mascherato – da profeta (senza patria) e con tanto di scappellamento a destra, visto che lui era già certo della candidatura di entrambi quando probabilmente Bonaccini non aveva ancora ufficializzato la corsa al Nazareno e l* neolett* segretari* Schlein nemmeno era in possesso della tessera del Pd.
Ma a Scanzi non basta. No, lui le cose le fa in grande – come quando parcheggiò il suo bolide di lusso diversamente green, come mammasinistra comanda, sul posto dei disabili, anzi su ben due posti riservati ai disabili – e sempre dal metaverso qualche giorno fa invitava di persona ad andare alle urne, invitava ad andarci numerosi perché la vittoria certa di Bonaccini non fosse una scusa per non andarci. Leggasi per non fare cassa.

“Vince Bonaccini, se sbaglio voto Meloni”

Alle urne, previo pagamento di euro 2 rigorosamente senza POS, ci sono andati in parecchi, solo che non erano quelli aventi tessera di partito. Quasi come la Schlein, ma ancora più in ritardo. E come ogni profezia che si rispetti, anche Scanzi riserva al suo pub(bl)ico il colpo di ‘scema” secondo la tecnica del fulmen in cauda: “Se io domenica sera sbaglio (senza futuro! n.d.a.) non dico divento (ibidem) interista, ma come forma di penitenza alle prossime elezioni regionali voto (c.s.) la Meloni, voto (c.s.) Donzelli!”.

Chiaramente che egli mantenga la parola e voti Donzelli lo si aspetta al pari di come Scanzi stesso diceva di aspettarsi la vittoria della fanciulla italo-elvetica alle primarie, (Sc)anzi, come riporta Il Giornale, ha prontamente chiarito: “Ovviamente non sarò di parola. Sono di parola soltanto quando mi fa comodo (guardaunpocotu!) e con le cose belle (non è questo il caso!). No, in realtà sono di parola sempre però quando faccio scommesse di questo tipo mi perdonerete se non manterrò la parola data”.

Ovviamente nemmeno noi ci aspettiamo che sia di parola, che per uno che con le parole ci mangia non è proprio una gran bella cosa, se non altro per quell’avverbio – ovviamente – da lui usato e a lui riferito. Col senno di poi ci chiediamo: ma non era meglio non pronosticare? Non era meglio tenersi la suspence e pure le parole? Vieppiù nessuno glielo aveva chiesto. Perché a fare il gradasso così, poi si rischia di andare a Ca…nossa.

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NAPOLI GIA’ SOGNA …………MA LA STATUA DI MARADONA VIENE RIFIUTATA DAL SINDACO!

Per carità! Nemmeno ci azzardiamo a pronunciare quella parola impronunciabile, almeno per qualche altra giornata di campionato, diventata tabù da quando il Napoli calcio s’è piazzato al primo posto della classifica di campionato e non s’è schiodato più (tiè!). Ma mentre la città tutta e i tifosi oltreconfini vivono questa parabola calcistica ancora tutta in divenire, c’è una storia strana, quasi inconcepibile, che stona con questo clima, che ha la sua parabola discendente e poi una linea piatta. Come l’elettroencefalogramma di qualcheduno. Dici Napoli e pensi a Maradona e se dici Maradona il Napoli dello sc***etto ti viene in mente. Nemmeno per Troisi ce n’è, proprio lui che aveva predetto il terzo … E proprio in quest’anno calcistico, così ricco di soddisfazioni, i rappresentanti della città “se la prendono proprio con il Pibe de oro”, imperituro simbolo della squadra della città. Vive, infatti, la sua favola oscurantista la statua di Maradona, capolavoro dell’encomiabile artista napoletano Domenico Sepe e donata al Comune in occasione della morte del D10S. Opera d’arte realizzata con la tecnica del bronzo a cera persa, la stessa usata per i bronzi di Riace, tanto per intenderci. Nella scultura dell’artista napoletano – manco a dirlo – Diego è ritratto proprio come un dio greco, intento nella corsa, magistralmente calibrato, che avanza palla al piede, mentre l’altro piede poggia su una base che ricorda la sagoma geografica dell’Argentina, da dove è partito per poi ergersi in tutta la sua statuarietà – l’opera è a grandezza naturale – verso quei cieli che Dieguito ha conquistato.
Della vicenda e delle sue vergognose ramificazioni di cui si è resa protagonista la trasformista classe dirigente – uscente ed entrante e ad ogni livello, del capoluogo campano – Campo Sud se ne occupò sin dall’inizio (https://www.camposud.it/forze-politiche-allo-sbando-e-rincorsa-allaccaparramento-dei-trasformisti-hanno-fatto-dimenticare-le-iniziative-per-la-casa-museo-di-maradona/tony-fabrizio/), ma la vicenda non solo ancora non accenna a placarsi, ma si arricchisce addirittura di nuovi tasselli che allontanano sempre più una fine decorosa. E pensare che lo stesso artista Sepe aveva chiesto “solo” di installare l’opera dove fosse possibile farla vedere in maniera gratuita a tutti i napoletani. La creazione, però, è stata esposta – tra l’altro sul piazzale antistante lo stadio Maradona – per un giorno solo, quella dell’inaugurazione e conseguente donazione al Comune di Napoli che ora, a statua mai esposta, fa sapere che è troppo preziosa e non la può accettare. Non ha i permessi. I tecnici interpellati dalla giunta dell’ing. Manfredi, infatti, hanno stabilito che l’opera “non ha il requisito del modico valore”; dunque, ha deciso di annullare il contratto di dono stipulato dall’ex sindaco de Magistris – che prima di essere ex sindaco è stato magistrato – perché il Comune potrebbe vedersi costretto un giorno a dover pagare gli alimenti al maestro Sepe. Possibilità prevista dalla Legge – ci teniamo a chiarire – poiché l’artista non ha mai chiesto nulla. Non solo, ma è rimasto in dignitoso silenzio che vale più di mille parole già quando intorno al cadavere ancora caldo di Maradona andava in inscena l’indecorosa divisione delle vesti: il Sindaco che a tempo zero diceva (e faceva) di pensionare San Paolo e dedicare l’impianto sportivo di Fuorigrotta a Maradona; il presidente De Luca intitolava una stazione della Cumana con tanto di graffito cittadino; i pretendenti allo scranno di Palazzo San Giacomo pensavano di candidare il fratello del Pibe senza nemmeno che avesse la cittadinanza; il presidente De Laurentis commissionava un’altra statua alle Fonderie Nolane. Ma nessuno che, da allora fino ad ora, abbia chiesto una “mano” – preziosa anche in questo caso – al Sepe che ha commentato la vicenda la quale, tra l’altro lo riguarda in prima persona, dicendo solo di volersi avvalere di un parere legale per capire come poter risolvere la questione, come poter donare gratuitamente la sua creazione.
Una mancanza di sensibilità da parte della giunta Manfredi, sia nei confronti dell’uomo Sepe, sia nei confronti dell’artista, ma anche del significato che l’opera racchiude oltre – è lapalissiano – verso l’arte, il lavoro, l’impegno, l’animo, l’attaccamento alla città e alla sua gente. Ma circa questo non possiamo pretendere nulla da questa classe dirigente che ogni giorno si palesa esattamente per quella che è.
Le statue parlanti sono una tradizione romana (e menomale!) perché se anche il Maradona di Sepe potesse parlare…

https://www.camposud.it/napoli-gia-sogna-ma-la-statua-di-maradona-viene-rifiutata-dal-sindaco/tony-fabrizio/

MORTO TROISI, VIVA TROISI!

La settimana che sta per concludersi  porterà via con sé anche le celebrazioni per il 70esimo compleanno di Massimo Troisi. E con essa, almeno per un poco, anche quella grandiloquenza che vuole il Paradiso più sorridente e con un angelo in più a fare compagnia a quegli altri angeli che, prima di allora, erano tristi e poco sorridenti.
Un lungo tappeto rosso steso dal salotto buono della città sino alla periferia, da Chiaja sino a San Giorgio a Cremano, su cui hanno sfilato tutti, tranne lui. Ecco perché non stupisce nemmeno la trovata del compleanno postumo in tempi in cui persino il Natale si festeggia senza il “Nato”.
Celebrazioni piene di vuota retorica iniziate dalla deposizione di una corona di fiori al cimitero di San Giorgio a Cremano, “il paese di Troisi” come l’ha definito il Sindaco; in realtà già paese di un altro immenso comico quale Alighiero Noschese che tutti, Primo Cittadino per primo, hanno dimenticato di ricordare o, se vogliamo, tutti hanno ricordato di dimenticare.
Un genetliaco vissuto come un lungo struscio di stelle oramai (de)cadenti e di cariatidi rianimate per l’occasione che, indossati gli occhiali d’ordinanza da intellettuali, hanno affollato l’Università Federico II che ha conferito a Troisi Massimo la laurea honoris causa e post mortem – ritirata dalla sorella Rosaria – in Discipline della Musica e dello Spettacolo. Riconoscimento mai così meritato, ma ottenuto solo previa sollecitazione dell’amico di sempre, Enzo Decaro. Che ci ha pensato perché doveroso ma anche perché nessuno ci aveva pensato prima.
Prima degli elogi e prima della declamazione delle qualità postume. Segue, come da protocollo, buffet nel Caffè per eccellenza della città del caffè per antonomasia e che per l’occasione ha preparato un dolce speciale da offrire agli astanti. Alla stregua di quanto era già stato proposto (evviva l’originalità!) per il compianto Pino Daniele, quando fu inventato “il Pinuccio”: base di sfogliatella riccia, con cioccolato bianco, panna, ricotta, pan di spagna e una copertura di cioccolato scuro, un dolce definito anche, “Nero a metà”.
Io già me lo immagino il nostro Pulcinella senza maschera scompisciarsi dalle risate e rinunciare al caffè non perché lo rende nervoso.
Ma solo perché “tengo ancora ‘no poco ‘e Pino Daniele ‘mmiez’ ‘e diente!” o perché “m’è rimasto il Troisi di prima ‘ngopp’ ‘o stommaco”. Fa da contorno l’immancabile cicalìo di ben altre maschere in servizio permanente effettivo che tessono le lodi, tante che al loro cospetto Penelope era una principiante precaria. Quelle stesse maschere che, detto da chi c’era e c’è sempre stato – come Lello Arena – sono le stesse che a Troisi per tante volte tante porte in faccia hanno sbattuto: “Ma chi è ‘sto Troisi?”, “Non si capisce niente quando parla”, “ma dove volete andare?”. Per dirla con Troisi stesso “Perché siete tutti così sinceri con me?! Cosa vi ho fatto di male io?! Chi vi ha chiesto niente? Queste non sono cose che si dicono in faccia. Queste sono cose che vanno dette alle spalle dell’interessato. Sono sempre state dette alle spalle”. Appunto. Necrologi di auguri di compleanno buoni-buonissimi per forza, voce del verbo “scurdammoce ‘o passato”.
Totò avrebbe detto “simm serie, appartenimmo a morte”. Ma Troisi non era un comico “ricercato” come Totò, era più un Peppino di quei De Filippo che Massimo non conobbe mai. Massimo non era che sé stesso, non era per gli addetti ai lavori nulla di eccezionale, semplicemente perché era normale troppo normale, umano. Come tutti. Come noi. Ecco perché Troisi non era nessuno (per loro) pur essendo già Qualcuno. Al punto che solo a pochi aveva confidato la sua patologia congenita. Riservato. Non pubblico, ma di pubblico. Ma non quel pubblico che si è reso protagonista di quella smargiassata più finta di don Pasquale e don Salvatore, i due cinesi napoletani che da Little Italy fece approdare in trasmissione da Pippo Baudo. Tutto è buono perché adesso che Troisi è morto evviva Troisi e loro con lui. Grazie a lui. Ancora.
Il suo funerale lo aveva già previsto, ma non avrebbe potuto immaginare che ci sarebbe stato ancora un compleanno senza lui, quando i compleanni ormai non si festeggiano più, né poteva sapere che lo avrebbero richiamato in vita, per forza, ancora, in una sorta di accanimento terapeutico all’inverso in questo mondo di gente al contrario, che festeggia chi non compie gli anni anche dopo, fuori tempo… massimo. Eppure lo aveva detto, anzi, nel suo stile inconfondibile lo aveva fatto dire: «Massimo mi piaceva molto più da vivo. Adesso… uhmmmm».
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Napoli, quei 16 milioni del Pnrr per ristrutturare un centro sociale rosso

Napoli, 22 feb – A Napoli, sullo storico rione Materdei, da destra a manca, piovono fondi del Pnrr. Soldi nostri, versati in una “cassa comune” per esserci, poi, prestati per un “tot” deciso da altri e restituiti con gli interessi. Soldi aspersi ad uso e consumo di “sinistri” tecnici del Comune. Se da un lato, i nostri “eroi” sono riusciti a farsi stanziare, come da decreto dirigenziale n. 84 del 25/02/2022, ben 4 milioni 763mila euro, per l’abbattimento e la ricostruzione dell’asilo nido Rocco Jemma, dall’altro hanno ottenuto soverchi 16 milioni di euro per la ricostruzione dell’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario, in condizioni fatiscenti e oggi centro sociale occupato, dopo il trasferimento nella nuova struttura di Secondigliano.

A proposito di edifici e ristrutturazioni

Nulla di strano, se non che la struttura scolastica napoletana, che oggi ospita anche le scuole elementare e media De Simone, si trova all’interno di un edificio che obbedisce ai canoni dell’architettura razionalista degli anni ’30, ex sede dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia creata con apposita legge del 1925 in risposta all’elevata mortalità infantile. La struttura è un possente modello di architettura circolare, unico esempio in città ed è tuttora perfettamente funzionale, tanto che il sito web del Comune la presenta come “una delle istituzioni più antiche della città di Napoli. Situato nel cuore del centro storico, […] vanta una tradizione decennale di accoglienza per la primissima infanzia. L’edificio, ampio e luminoso, è suddiviso in due piani, dotato di ambienti comodi e soleggiati, pensati e organizzati in funzione del bambino”.

I burosauri, però, hanno avanzato dubbi – finora mai espressi – circa la “tempra” della struttura, sui criteri di sismicità (il plesso sembra non avere questi problemi, stante i disastrosi terremoti del ’62 e dell’80 assorbiti e che non hanno minimamente indebolito la struttura). Dubbi propositivi, invece, della Soprintendenza dei Beni Culturali che ha vincolato la struttura quale bene storico, salvandola così dalla strumentale furia distruttrice della sinistra progressista, obbediente solo allo scempio del cancella-culture e alla tasca.

Milioni di euro (pubblici) per ristrutturare il centro sociale rosso

Discorso diverso per l’ex Ospedale Pediatrico Giudiziario, stesso quartiere, oggi centro sociale occupato dai collettivi di sinistra che vi hanno fondato lo “spazio di comunità “Je so’ pazzo”, in seguito, sede del partito Potere al Popolo; progetto che hanno tentato di esportare in tutta Italia. Non fanno mistero del loro modo di operare. Sul sito “ufficiale” del collettivo si legge: “Chi ha la fortuna di trovare un accompagnatore che apra i lucchetti, può esplorare alcuni corridoi e celle di quello che un tempo fu il carcere destinato ai criminali con patologie psichiche”, riferito a quando c’era una Legge in tal senso ma che loro evidentemente ignorano. Fa davvero ridere quel neomelodico “chi ha la fortuna di trovare un accompagnatore” nella loro proprietà (concetto dei tempi moderni) esclusiva, ab-usata a loro piacimento.

Il conferimento del sito è stato reso possibile grazie alla sinistra istituzionale cittadina; ieri, dall’ex sindaco Luigi de Magistris, amico dei centri sociali delle cui greggi necessitava per fare la “rivoluzione arancione” (incompiuta), quel sindaco con la bandana in testa e le pezze al cubo… di Rubrick, stante il costante deficit del Comune a rischio commissariamento. Oggi, ugualmente amministra una sinistra, forse meno “guevariana” ma con più raffinata mangiatoia bassa per quei figli di papà che giocano a fare i ribelli. Non sarà certo “la credit-card di papi” a ristrutturare la “casetta del popolo“, ma il paparino (o meglio, papocchio) riuscirà con qualche archistar a far felici i pupi, con i soldi degli altri.

Parlateci ora di popolo e bene comune

Chissà, se dopo queste laute elargizioni di denaro pubblico, avranno ancora il coraggio di andare in giro a parlare di popolo e collettività, di bene comune e di chiedere lo sgombero di “ben altri palazzi davvero utili alla società invisibile”: miracolo possibile solo contando sulle generose forze di volontari che si occupano fattivamente degli ultimi e dei dimenticati, tra ideali ed idee… mica come questi imberbi palazzinari “di potere”, riuniti nei loro covi asociali a giocare a “guerra di bande”, tra un involtino primavera e un Dom Perignon, mentre le lancette dei Rolex del papi continuano a segnare il tempo che scorre: il loro tempo sprecato rispetto al tempo di altri che hanno provveduto a edificare ciò che, nonostante tutto e nonostante loro, per dirla come loro, ancora “resiste”.

https://www.ilprimatonazionale.it/politica/napoli-pnrr-centro-sociale-milioni-256534/

L’ULTIMA FOLLIA: 16 MILIONI DI EURO DEL PNRR AGLI OCCUPANTI DELL’EX OPG!

Il Pnrr distrugge, il Pnrr preserva. Solo qualche giorno fa da queste colonne veniva lanciato l’allarme sulla furia distruttrice della sinistra istituzionale della città che avrebbe voluto “abbattere per ricostruire” – ovvero cancellare – la struttura della “Maternità” di Materdei, ex Opera O.N.M.I. (Opera Nazionale Maternità ed Infanzia), struttura unica nel suo stile in tutta la città ed esempio funzionale e ancora funzionante di quell’architettura razionalista della cosiddetta Era Fascista, tanto da dare ospitalità addirittura ad un asilo per bambini i cui utenti non solo non erano stati messi a conoscenza del loro “progetto”, ma addirittura per loro non era stata trovata alcuna soluzione alternativa adeguata. Sfrattati, insomma.
Campo Sud ha seguito la vicenda denunciando puntualmente nelle sedi opportune la vicenda e con gioia ha, poi, dato la notizia che, grazie alla mobilitazione dei comitati cittadini sensibili a questa sciagurata decisione e all’interessamento del napoletano ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, l’abbattimento della struttura era stato fortunatamente evitato.
Se il Comune avanza ancora dubbi (legittimi, per carità) riguardo l’adeguamento alle norme antisismiche mai avanzati prima, cioè dopo i disastrosi terremoti del ’62 e dell’80 che la struttura, ha assorbito, retto e sembra non averli proprio accusati, provveda in merito e in autonomia. Senza fondi del Pnrr che – non abbiamo modo di pensare – sarebbero stati destinati interamente all’uso dichiarato.
Ma l’attuale classe dirigente sembra che col Pnrr ci sappia davvero fare, visto che è riuscita ad ottenere e a destinare ben 16 milioni di euro dei fondi per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza addirittura per l’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Materdei.
Nulla di male, se non che la struttura, abbandonata nel 2000 a favore della nuova struttura costruita ex novo nel quartiere di Secondigliano, è stata occupata dai collettivi di sinistra che hanno fondato lo “spazio di comunità Je so’ pazzo”. Molto più semplicemente un centro sociale che, poi, ha dato vita al partito politico del PAP, potere al popolo che si è candidato alle ultime elezioni in tutta Italia. Non fanno mistero nememno della loro okkupazione tanto che sul sito “ufficiale” si legge proprio che “Chi ha la fortuna di trovare un accompagnatore che apra i lucchetti, può esplorare alcuni corridoi e celle di quello che un tempo fu il carcere destinato a ai criminali con patologie pscichiche”, ovvero quando vi era una legge in tal senso a loro sfugge. Ma ciò che che fa davvero ridere è quel “chi ha la fortuna di trovare un accompagnatore” cioè è loro proprietà (concetto dei tempi moderni) assoluta e ne usano e ne abusano a loro piacimento.
Tutto ciò è stato reso possibile grazie alla sinistra istituzionale del capoluogo campano, a quel Gigino de Magistris amico dei centri sociali, a quel rivoluzionario con la bandana arancione in fronte – o forse sarebbe meglio dire co’ la pezze ‘ngapo e un’altra… altrove, visti i debiti accumulati dal Comune di Napoli che ha sempre rischiato il deficit – e che per fare la sua rivoluzione colorata aveva bisogno anche di loro. Poi, si sa, la rivoluzione non l’hanno fatta e con il partito tentano di diventare istituzionali e conquistare il potere. In attesa di fare tutto ciò, avranno la loro sede abusiva ed okkupata completamente restaurata e a spese dei cittadini! Con il beneplacito della sinistra connivente che presenta per loro nelle sedi opportune anche le domande per accedere ai fondi. Raschiando veramente il fondo! Nel frattempo i soliti “figli di papà” che giocano alla rivoluzione con i soldi del paparino e che adesso paparino aggiusterà per loro anche la “casetta del popolo”, stavolta con i soldi degli altri, loro continuano a non fare niente per il “bene collettivo”, anzi l’ultima iniziativa è la solidarietà espressa ad una donna aggredita all’uscita della Metro di Materdei e chiedersi cosa succede alla nostra città. Ignorano del tutto, evidentemente, il problema sicurezza, l’abbandono di chi loro accolgono con megafono e… basta quando sbarcano dalle carrette del mare e che viene lasciato a dormire in strada, senza poter mangiare e costui deve anche mangiare. Ma loro chiedono lo sgombero di altri locali occupati e a loro volta okkupano anche l’università Orientale per protestare contro il 41bis  a favore di Cospito per le cui condizioni c’è un solo “colpevole”: l’attuale governo di “estrema” destra. Che, di fronte a tutti questi scempi, da Roma a Napoli, tace.

https://www.camposud.it/lultima-follia-16-milioni-di-euro-del-pnrr-agli-occupanti-dellex-opg/tony-fabrizio/

A MONACO ABBIAMO CERCATO L’ITALIA, MA NON L’ABBIAMO TROVATA

Nessun nostalgismo, a scanso di equivoci, né tantomeno una volontà di voler adattare situazioni e contesti a personaggi attuali che poco o per nulla calzano col passato; certo, però, che vedere un G7, che ha tutto il sapore di una conferenza di pace, convocata a Monaco apre a due riflessioni: la prima, ironica, che “o tocca essere malati o si è molto ottimisti” – tanto per rubare una battuta a Gabriele Adinolfi – e la seconda, iconica, al netto se si creda o meno nel simbolismo, è la concretizzazione della concezione tutta romana della tempo, quindi della storia, intesa quale spirale, ovvero l’eterno ritorno degli eventi che non si presentano identici in toto, ma maggiormente somiglianti, seppur con le dovute differenziazioni: l’accenno ai personaggi di altri tempi che mal si addicono a questi tempi moderni riproposto sopra non è un caso, anzi ha persino il sapore della conferma.

Si è concluso, dunque, il vertice convocato a Monaco di Baviera che ha visto i 7 grandi della Terra impegnarsi nel sostegno dell’Ucraina, anche militarmente. Che si condivida o meno, che rappresenti l’umore generale del Paese di rappresentanza oppure no, almeno a giudicare dai commenti che gli astanti alla conferenza hanno rilasciato: Macron vuole “una sconfitta della Russia, ma senza schiacciarla”, mentre Tajani dice che “non vogliamo fare la guerra alla Russia. Abbiamo dato armi difensive all’Ucraina. L’ultimo invio è un sistema di difesa aerea, quindi non serve per offendere ma per difendere”, mentre Orban propone l’Ungheria quale unico mediatore per la pace e per i rapporti con la partnership russa, la quale palesa la propria delusione per l’avvicinamento della Moldavia all’Unione Europea. Interlocutore unico per la pace si dice essere anche la Cina che, però, con il suo invio di droni alla Russia, sembra più volere raccogliere informazioni dai campi di battaglia a proprio uso e consumo.

Questo è lo scenario emerso dal meeting delle sette potenze che dobbiamo obtorto collo farcelo andare bene perché è un’autentica fortuna poter sedere ancora in mezzo ai sette che contano, anche se non sono i protagonisti. Ricordiamo che solo fino allo scorso anno, alla Farnesina sedeva un tale Luigi Di Maio che se è scomparso – ma solo in attesa di riciclo – non è affatto stato dimenticato: chi potrà scordare la crisi più grave provocata con la Francia che richiamò in Patria il proprio ambasciatore in Italia o lo “sgarbo istituzionale” derivato dal suo viaggio in Libia che costò bel 118 giorni di prigionia a 18 pescatori imbarcati sui pescherecci siciliani “Medinea” e “Antartide” e quasi altrettanti giorni di “ricovero” nelle tende per i familiari dei sequestrati accampati sul piazzale di Montecitorio perché ai telefoni della Farnesina non rispose mai nessuno?

Ora, 85 anni dopo, ritorniamo a Monaco e ritorniamo ancora per parlare di pace, ma da mere comparse se non addirittura da “utili attori” per un copione scritto da altri. Altri tempi quelli in cui a Monaco ci presentammo da mediatori, da protagonisti e Benito Mussolini – e con lui l’Italia nel mondo – fu salutato quale l’“artefice geniale di Monaco” dalla folla festante che, come racconta lo storico Renzo De Felice, costrinse il Duce ad affacciarsi più volte al balcone di Palazzo Venezia, da dove egli non rivolse che poche parole: «Camerati! Voi avete vissuto ore memorabili. A Monaco noi abbiamo operato per la pace secondo giustizia. Non è questo l’ideale del popolo italiano?». Entusiasmo del popolo che trova eguali solo nella dichiarazioni della proclamazione dell’impero, sempre secondo De Felice, ma che lo stesso Mussolini non accolse con gioia perché egli stesso, salutato quale “salvatore della pace” vide in questo atteggiamento della folla festante non realizzato quell’homo novus che il fascismo si era proposto di forgiare, quell’uomo che non aveva “dignità”, né “spirito di sacrificio” ma ancora permeato da quel “gretto egoismo borghese” e “pacifismo” proprie delle “putride democrazie”. Le informative della polizia non smentirono l’analisi del Duce che a Monaco fece con gli e degli altri davvero quello che lui voleva: innanzitutto diede “la pace mussoliniana all’Europa”, ovvero i rappresentanti delle quattro potenze – Italia, Germania, Inghilterra e Francia – nel Palazzo del Führer firmavano l’accordo sulla questione cecoslovacca raggiunto sulla base delle proposte del Duce; costrinse Francia e Inghilterra a procrastinare l’intervento armato già (per loro) imminente: non dimentichiamo che Churchill, di ritorno dalla conferenza, tenne un celebre discorso al suo Primo Ministro in cui pronunciò la frase “Potevano scegliere fra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore, avranno la guerra”. Però sui libri di scuola ancora si studia che lo scoppio della II Guerra Mondiale fu generato dall’invasione della Germania da parte delle truppe di Hitler; non ultimo, la Germania poté annettere il territorio dei Sudeti. In realtà, nessuno nemmeno capì che la “pace” di Monaco era stata una resa delle cosiddette democrazie al nazifascismo che guadagnava, così, margine nella guerra che ci sarebbe comunque stata. Per volontà mondiale.

Guerra che ora come allora, almeno stando alla maggioranza dell’opinione pubblica, nessuno vuole, anzi da tanti, se non da tutti, non è sentita come propria; appartenenza (leggi pericolo) del conflitto che solo Orban sembra riconoscere – “L’Europa, seppur indirettamente, in guerra c’è già” ha detto a Monaco – e nessuno che riesce a farsi promotore di pace. Ci ha provato il leader turco Erdogan, ormai alle prese con l’emergenza che ha sconvolto il suo Paese (dove tra un po’ si voterà proprio per scegliere il nuovo Presidente) e la vicina Siria, ci prova la Cina, anche se più a trazione russa. Ma l’Italia in questo scenario che ruolo ha? Un’Italia che a Monaco compare appunto, ma non primeggia, forse per la mancanza di quell’homo novus non ancora creato, che dimentica di fare il tifo per sé stesso e che popola questa Europa che sembra solo volersi scegliere il proprio prossimo padrone: confermare quello vecchio americano o avvicendarlo con quello nuovo russo. Questo pare sia il nuovo popolare concetto di “sovranità”. Un’Italia relegata ad un ruolo secondario che non le si addice, quando dovrebbe essere il perno, l’asse portante di una Europa forte, nazione. Europa dei popoli, non Unione europea. A Monaco abbiamo provato a cercare questa Italia, ma non l’abbiamo trovata.

 

Campania, De Luca “si traveste” da Salvini: ruspe sul bunker del boss Zagaria

Roma, 17 feb – È vero che tutto è accaduto nella giornata di giovedì grasso, è vero pure che ormai è tempo di maschere e mascherine, ma certa politica ha davvero esagerato: Enrico Letta che tesse le lodi della Meloni è qualcosa di troppo anche per Carnevale, ma non è il solo. Vincenzo De Luca, con quel suo stile inconfondibile, riesce persino a fare di meglio e si “maschera” addirittura da Matteo Salvini.

De Luca “travestito” da Salvini: ruspe sul bunker del boss

L’ultima uscita del governatore della Regione Campania, infatti, lo ritrae a Casapesenna (CE) tra ruspe, caschi e divise pronte ad abbattere il bunker (vuoto) del malavitoso Zagaria al posto del quale sorgerà un parco – il parco della rinascita – praticamente erba, speriamo non erbacce, quindi, niente. Alla fine della fiera, chiacchiere. E non di Carnevale. “L’abbattimento del bunker di Zagaria è un simbolo negativo che cade” annuncia tronfio sui canali social il governatore dal lanciafiamme facile con la sua inseparabile mascherina (non della festa) che, però, in italiano corretto – che non è il politichese – non sta ad indicare poi tutta questa vittoria che si intesta. Almeno, Salvini aveva uno spindoctor capace di scrivere senza lapsus e correttamente nella lingua madre! Ma De Luca non si è recato nel comune casertano fortino del clan dei Casalesi per parlare, ma per fare parlare, di sé ovviamente: ribadisce, infatti, più volte e a qualsiasi microfono gli capiti davanti alle labbra che la Regione – cioè lui – ha sostenuto economicamente il Comune nell’opera di demolizione, altrimenti non si sarebbe potuto realizzare nulla. Lavori che vedranno il loro completamento nei prossimi dodici giorni. Speriamo, altrimenti si sarà alzata solo polvere.

Meno coreografia, più sostanza in futuro

Il gesto, al netto di intestazioni e di padroni (e pure padrini), è di per sé importante in un territorio difficile dove non basterà certo un’area verde al posto di una villa per poter cambiare. Soprattutto se le istituzioni, locali in primis, non vigileranno e lasceranno all’incuria e all’abbandono, come da protocollo, il parco che ha da essere ancora creato. Sempre a proposito di parchi e di aree verdi, poco lontano da lì sorge il tristemente noto “Parco verde” di Caivano, succursale dello spaccio dopo lo sgombero e il parziale abbattimento delle Vele di Secondigliano. E la “coreografia” cambia poco o per niente fino ad arrivare nella città di Napoli, dove interi quartieri come il Vasto, il Lavinaio sono lasciati al degrado e all’insicurezza, dove delinquenza e criminalità pullulano. E non certo da dodici giorni.

Questa è la miglior politica e non solo la campagna elettorale che si dovrebbe fare. L’Inquilino di Palazzo Santa Lucia ha già annunciato che si candiderà “a vita” quindi per il terzo mandato e lo spettacolo di cui oggi si è reso protagonista ha tutto il sapore del ridicolo e del farsesco: distruggere un’abitazione dotata di ogni comfort quando si poteva destinare ad altro uso, sociale e più civile; presenziare alla demolizione senza invitare – pro forma – chi ha lavorato alla cattura del boss della camorra; celebrare questa “vittoria dello stato – per dirla con Zagaria – a distanza di oltre 10 anni dall’arresto. Cosa teme De Luca? Il governo di centrodestra? La disfatta locale, specchio di quella nazionale, di un Pd in calo verticale di consensi? Il proprio indice di gradimento che precipita, ora che si è sgonfiata pure la gestione della pandemia, vera fortuna di De Luca a cui non credeva nemmeno lo stesso Pd? Siamo seri e non facciamo più scherzi, altrimenti all’inaugurazione del parco toccherà invitare anche Saviano!

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LA CADUTA DEGLI DEI (parte seconda)!!

Ci ha provato l’onorevole pdino Andrea Cozzolino a non farsi trovare dalle toghe belghe che hanno bussato alla porta di casa sua a Bruxelles e ci ha provato a non farsi trovare nemmeno dai gendarmi partenopei che hanno tuzzuliato alla sua porta a Napoli. Ma che non si pensi male: non stava nascondendosi, bensì era solo ricoverato in una clinica napoletana per accerta-menti, date le sue ben note patologie cardiache. Poiché tutto questo dai giudici (af)fini sarà stato interpretato più come il gioco del gatto e del topo che qualsiasi altra cosa, senza nemmeno chiedere e chiedersi “ma che Cozzolino combini?”, i magi-strati di casa nostra hanno ritenuto di poter premiare il parlamentare europeo concedendogli gli arresti domiciliari perché non esiste pericolo di fuga. D’altronde mica può avere coperture all’estero, dato che era proprio lui a coprire l’estero e l’estero copriva per lui spese, come sembrerebbe emergere dalle indagini. Ragazzi, suvvia!, siamo garantisti perché la costituzione-più-bella-del-mondo ci dice di esserlo sino a prova contraria… che esista un buco nero. Un buco nero no, ma un uomo nero sì. Ma non quello da spennare e imbarcare su una carretta per poi spennare ancora e dimenticare già all’approdo. Un Marocco, non tarocco e men che meno taroccato. Tutto vero e con tanti contanti. Il pos no, quello lo lasciano a chi il marocchino se lo prende al bar. D’altronde non è mica la loro sola contraddizione! S’intestano da una vita il monopolio dei diritti umani, ma nel Qatar dei lavoratori trattati come schiavi loro hanno fatto affari d’oro; chissenefrega delle centinaia di operai morti per tirare su gli stadi, quando qui si mandano a morire in fabbrica studenti che ancora non lavorano, non regolarizzati e nemmeno pagati. E dicono pure che è una buona scuola!
Certo che questo sinistro anno è cominciato così sinistramente come si era concluso quello precedente: un altro annus pidinus horribilis. Chi non ricorda la telenovela del zignor Deputato proletario con le galosce di gomma, quel tal Soumaoro, che riuscì ad accendere un mutuo di 300 mila euro dopo aver venduto un libro che nessuno ha mai letto, finito a difendere il “diritto all’eleganza” della di lui consorte, dopo aver lucrato e sfruttato e pure negato di suoi connazionali e di altra gente impiegata a mo’ di merce umana, trattata alla pari degli schiavi qatarioti? E lo scandalo scoppiato nella penisola araba ha raggiunto pure Napoli via Bruxelles, luogo di lavoro del Cozzolino, da dove garantiva interessi e favori ai Paesi africani. Tutto lecito, per carità.
Peccato, però, che la scarcerazione sia arrivata in un freddoloso sabato di febbraio, mentre tutti erano intenti a guardare un bacio tra uno che si pitta le unghie, ma dice di essere maschio, padre e marito di una che per non farsi vedere nuda si veste, ma sul vestito disegna le sue stesse tette dalle quali ha fatto poppare la figlia che dice gli altri devono concepire in provetta. Peccato che l’eurodeputato, scaricato come una risorsa qualunque dal direttivo nazionale che sta per essere cambiato, era intento a spostare armi e bagagli da Poggioreale a Chiaia altrimenti una capatina a Sanremo con un sermone demenziale in autentico stile “cuccia del cane” della già di lui compagna lo avremmo visto bene. E nemmeno gratis, tanto pagano (pure questo) i contribuenti! Tardi pure per correre per la segreteria del Nazareno, tanto corre – ops “cammina diversamente” – contro il compagno pdesssino già PCI Bonaccini, anche la lgtbq-asterisco Elly Schlein, sostenuta, però, dai padri fondatori di questo partito ormai partito per davvero. Peccato per il pentastellato pdino dichiarato prof. Conte Giuseppe – Peppino è più inclusivo nell’ambiente – che in uno dei suoi disperati tour (di caccia alla preferenza) ebbe l’ardore di trovarsi sotto una foto di Berlinguer e l’ardire di autointestarsi le sue battaglie. Dio non voglia si trovi dalle parti del Nazareno…
Visto i tempi e gli errori ed orrori, il PD potrebbe pensare di ripartire addirittura da Alessandra Mussolini la quale, dopo aver stuzzicato in principio l’ormone italico, probabile valore unico per l’assicurazione del suo onorevole deretano, ha scoperto di non sapere più cosa sia la sessualità (e non diamo la colpa al marito!) e di non volerla più dichiarare sul passaporto. L’asinistra, allora, ricominci dalla Mussolini per tornare ad essere un* cos* seri*, certi che in questo guazzabuglio un posto lo troverà anche Cozzolino, l’unico e il solo a sapere che cozzolino combinare ancora….

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IL GIORNO DOPO DEVE ESSERE ANCORA …….. IL GIORNO DEL RICORDO!!

Leopardi continua ad avere ragione e il suo “Sabato del villaggio” è pura verità: l’attesa è sempre migliore della festa in sé, ma il giorno dopo è la giornata della consapevolezza, dei bilanci e della raccolta di quanto si è seminato. È vero, la Giornata del Ricordo non è di certo una festa – per fortuna – ma il ragionamento che si può applicare è il medesimo. Le celebrazioni in ricordo di quello che ancora si stenta a definire, e non perché inconcepibile logicamente, esodo nella propria Patria non è che ridotto a questa singola giornata. Eccezion fatta, per ragioni di Auditel, per il il palinsesto della terza rete della tivvù nazionale che anticipa alla serata del 9, dunque di qualche ora, la proiezione del film Red Land, Rosso Istria, del regista al quale proprio mamma Rai, in altri tempi e sotto altri padrini e padroni, tagliò i finanziamenti (dei contribuenti italiani) destinati alla cultura, per la produzione di un film sull’esodo Istriano Dalmata e l’orrore delle Foibe.
Qualche lauto convegno, perlopiù nozionistico, a macchia di leopardo – che non è quello de Il Sabato del villaggio – in qualche scuola che ancora stenta per quanto si tenti a fare attecchire anche questo tema, tematica su cui bisogna interrogarsi seria-mente. Numerose le iniziative, perlopiù politiche (che non è completamente un male) di ricordo verso gli istriani, i dalmati, i giuliani che subirono, quando andò bene, una vera e propria persecuzione dai loro stessi connazionali, ormai al soldo del boia iugoslavo, appena usciti da qualche pollaio o palesatisi da qualche montagna o, nella peggiore delle ipotesi, l’infoibamento, la pratica che vedeva gettare coloro che erano “colpevoli di essere italiani” nelle cavità carsiche ancora vivi, spesso legati ai polsi, in fila indiana, con del filo spinato e, non di rado, ammazzato uno sì e l’altro no, in modo che il peso morto di chi precedeva trascinasse giù nella foiba anche chi fosse rimasto ancora vivo e avrebbe fatto anche risparmiare una pallottola al boia titino.
Le pratiche e i riti di tortura, dopo 80 anni dai primi infoibamenti, grazie all’incessante  lavoro di chi non si è mai accontentato della storia scritta dai vinti, in questo caso non scritta, ma cancellata addirittura, iniziamo a conoscerla. Le torce delle fiaccolate della serata del 10 di febbraio continuano a fare luce su una pagina buia, anzi strappata addirittura, della storia d’Italia, ma non è abbastanza. Il giorno dopo è quello in cui si deve ripartire e dare un senso alle targhe ripulite dalla Z – “identificazione” della guerra che si sta combattendo in Ucraina e che nulla c’entra con le foibe – o a quella di Capodimonte imbrattata a Napoli lo scorso anno, tanto per contestualizzare. Altrimenti la targa starà lì, come una fredda pietra di tomba, in attesa di un altro 2 novembre che ricorre il 10 febbraio, non diversamente da chi (non) sa cosa faccia la nave della legalità dopo il 23 maggio o l’albero di Falcone e Borsellino a Palermo lasciato solo persino nella ricorrenza dell’arresto di Riina o di Messina Denaro.
Chi conosce i campi IRO a Capodimonte, ricovero per gli sfollati del “nord” della nostra Nazione? E l’animo da sempre accogliente dei napoletani verso chi aveva davvero bisogno? Il credito che i commercianti napoletani facevano agli esuli provenienti dal campo, segno tangibile di cosa significhi in termini pratici solidarietà e accoglienza: ne fa menzione il professor Claudio Antonelli, fratello della compianta attrice Laura, e testimoni di ciò che è stato l’esodo e ciò che è stata Napoli. O abbiamo bisogno di una fredda struttura di ferro dal titolo “Nessuno escluso” piazzata all’ingresso della città piuttosto che della chiave di Milot, in primavera smontata, impacchettata e portata chissà dove, ma voluta dal Comune di Napoli? Il Comune, che oggi si recherà a depositare una corona di alloro, come conferma dell’etichetta vuota, retorica e d’occasione prevede, a Capodimonte, ha pubblicizzato il docu-film andato in onda il pomeriggio del 10 sempre sul terzo canale di stato dal titolo “La diva malinconica” che vede protagonista proprio l’attrice Laura Antonelli e la vita nei campi IRO dove lei, e tanti come lei, con le loro famiglie furono ospitati dal 1948 al 1951? Le scuole hanno mai programmato un viaggio d’istruzione in questi luoghi? Chi a scuola parla – almeno il 10 febbraio – di tale Mario Maffi, classe 1933, scomparso nel 2017 e testimone diretto delle sue scoperte nelle foibe? Appassionato di storia militare, sotto le armi fu inviato in missione segreta, più che speciale, a calarsi nelle cavità del terreno del confine nordorientale per poi ritrovarsi a camminare tra braccia di bambini, mandibole umane o su una sostanza schiumosa che si è rivelata essere grasso umano di persone ormai decomposte. Particolare descrizione riserva a quello (ormai) scheletro abbracciato ad una roccia, quasi saldatosi ad essa, e che i suoi studi hanno finito per concludere che quella persona era morta nel tentativo di risalire dalla foiba, dove era caduta ancora viva in mezzo ai morti. Chissà in quale archivio militare è sepolto il frutto di questo preziosissimo lavoro, commissionato e poi bollato dallo stesso stato quale “top secret”. E questo bollo di stato è l’emblema di questa storia unica che è concesso negare. A proposito: ma Enrich Gobetti e il suo “E allora le foibe?” che fine hanno fatto? Precario e a tempo determinato pure lui? Gobetti a parte, il giorno dopo il Giorno del Ricordo, il giorno dopo le manifestazioni, i convegni e le fiaccolate è necessario ricordare, instancabilmente ricordare perché ancora il giorno dopo aver subito l’esodo non è condizione sufficiente per la nomina a senatore a vita di questa disastrata repubblica, come concesso alla Segre, è il giorno in cui Broz Tito Josip continua a fregiarsi del titolo di cavaliere di gran croce ordine al merito della repubblica italiana e Pertini continua ad essere rappresentato con la pipa in bocca – guai chi lo tocca! – come il “più amato dagli italiani”, giocare a carte in aereo di ritorno dal Mondiale vinto e non come quando baciava in ginocchio la bara di Tito, autore di questo autentico massacro.

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LA SCUOLA MATERNA DI MATERDEI VIVRA’!! ( Scongiurato l’abbattimento dell’edificio storico dell’ex O.N.M.I disposto scelleratamente dal Comune)

L’ex O.N.M.I. di Materdei vivrà!
Alla fine Campo Sud c’aveva visto giusto! Gli interrogativi posti attraverso queste colonne dalla penna del direttore dr. Carlo Lamura non solo erano fondate, ma sono in toto quelle che hanno decretato lo stop alla follia distruttrice che il Comune avrebbe voluto perpetrare. Tempestivo e risolutivo l’intervento della Soprintendenza all’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli che ha sentenziato perentorio: l’ex Opera Nazionale per Maternità e l’Infanzia di Materdei non va abbattuta!
L’edificio che oggi – ebbene sì, ancora oggi! – ospita tra mille vantaggi e innumerevoli comodità la Casa della madre e del bambino Rocco Jemma ha più di 70 anni ed è, dunque, sotto l’egida del vincolo architettonico e va protetto e salvaguardato, non abbattuto per essere ricostruito. Ma solo una sinistra mente può pensare di abbattere e ricostruire qualcosa che c’è già! Solo ad un sinistro tecnico, perito più perito che mai, può venire in mente di sollevare dubbi di obbedienza ai “burocratosi” canoni antisismici, dopo che “la Maternità”, come per antonomasia è chiamata dai napoletani, è ancora in piedi in tutto il suo circolare splendore nonostante i terribili terremoti subiti nel 1962 e 1980.
Certo che a vedere lo stato dei luoghi e il suo inconfondibile stile di costruzione che obbedisce e soddisfa i canoni dell’architettura razionalista non potevano nemmeno essere sollevati dubbi in merito alla funzionalità e alla “tempra” della costruzione. O, forse, chissà, tanto è bastato ai soliti odiatori progressisti che oggi obbediscono a quella assurdità tipica del cancella-culture per pensare di abbattere, mascherando lo scempio, una struttura che, a quasi un secolo di distanza dalla sua costruzione, continua ad assolvere ininterrottamente la sua funzionalità sociale. Senza distinzione di sorta, purtroppo per loro. Eppure, bastava dare anche solo un’occhiata al sito istituzionale del Comune che lo presenta esattamente come “una delle istituzioni più antiche della città di Napoli. Situato nel cuore del centro storico, nella zona di Materdei, vanta una tradizione decennale di accoglienza per la primissima infanzia.
L’edificio, ampio e luminoso, è suddiviso in due piani, dotato di ambienti comodi e soleggiati, pensati e organizzati in funzione del bambino.
La struttura può ospitare fino a 54 bambini suddivisi in lattanti, medi e grandi”. E giù di lì con i proclami per portare non tanto acqua al loro mulino, quanto fondi per rimpinguare le casse del Comune. Ma questo Comune, che ha dormito per oltre 10 anni, non solo non s’è fatto scrupoli nel volere smantellare una struttura in perfetta salute, attualmente funzionante e fruibile e sulla quale lo stesso Ente MAI ha sollevato dubbi circa criteri di sismicità, continuando a pubblicizzare l’asilo – il perché è facilmente intuibile – ma non ha nemmeno minimamente pensato di informare in primis le numerosissime famiglie dei dubbi (auto)sollevati – azzarderemmo, pure, inventati – al riguardo, in secundis se n’è pure “strafregato” (per usare una locuzione a loro invisa, ma che rende perfettamente la situazione) di trovare una soluzione alternativa per i tanti utenti, evidentemente dal Comune stesso visti solo quali meri contribuenti. Indice della politica del fare, o meglio, di come questa gente fa politica. Meglio dire tenta di amministrare, perché nel caso specifico, che non è isolato, perseguire il bene della cosa pubblica è agli antipodi di questa condotta. Il tutto per accaparrarsi i fondi del Pnrr, che poi, non sono che soldi nostri, versati ad una “cassa comune” per essere poi prestati per l’importo che altri decidono e restituiti con gli interessi. Pecunia non olet dicevano i latini, che tradotto nel linguaggio spicciolo del vernacolo suona pressappoco come “‘e solde ‘mbezzecanno ‘mmano ‘e sante!” ma, quanto a risultati conseguiti, questa Amministrazione non è per niente santa ed è pure evidente che santi in paradiso non ne ha!
Ora vedremo se sarà in grado almeno di vigilare sulla promessa – ormai sinonimo di certa politica – quantomeno circa i tempi di consegna dei lavori. Due anni per adeguare i tramezzi, tutti interni, ai criteri di sismicità, ma la struttura non si tocca. E menomale!
Una vittoria della gente che potrà essere il giudice migliore attraverso quei rappresentanti fidati e veramente interessati alla socializzazione, al bene della gente e che perseguono questi fini.
L’ennesima figura di palta degna di questa classe politica, inetta, autoreferenziale e interessata solo al proprio tornaconto e a quello dei soliti amici, ormai incapace persino di distruggere quello che resiste al logorio del tempo e di annientare quella parte di storia a loro indispensabile per essere ciò che palesemente sono. Con le dovute differenze, che sono i soli a non sapere cogliere.
Complimenti!
A questo punto ci corre il doveroso compito di ringraziare di cuore il nostro Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano che, avvertito immediatamente delle “bellicose” e scellerate intenzioni del Comune di Napoli, in ordine al disposto abbattimento dell’edificio storico di Materdei, ha immediatamente allertato i suoi Uffici napoletani della Sovrintendenza affinchè si procedesse  immediatamente ai doverosi e obbligatori rilievi tecnici  e le competenti valutazioni in capo alla stessa Sovrintendenza, che poneva, senza alcun dubbio, il necessario vincolo di tutela che Campo Sud aveva a gran voce reclamato. Pertanto, in questo momento, la nostra soddisfazione sulla conclusione auspicata di questa vicenda é duplice!
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