Il Cardarelli è fascista: la follia della Boldrini contro l’ospedale napoletan

LAURA BOLDRINI PD

Roma, 20 gen – A volte ritornano. Avvolti da una spessa coltre di cancella-culture, da un drappo di politically correct in burqa stile, ma che alla fine fa apparire senza veli ciò che tentano di celare: l’antifascismo d’accatto. Se dici fascismo dici Laura Boldrini e stavolta la pasionariA con la A finale su tutto ciò che è rosa si scaglia addirittura contro l’ospedale “fascista” Cardarelli di Napoli, l’ospedale più importante di tutto il centro-sud.

Boldrini e l’ultima ossessione: il Cardarelli fascista

Nonostante Mussolini abbia fatto cose buone, la bile della rossa deputata stavolta è scattata a causa della presenza di un busto del Duce che fa(ceva) bella mostra nella Sala Medici del reparto di Chirurgia – dove lei non è stata – e che, pare, non abbia ripreso a parlare, né abbia ancora operato miracoli. Attendeva l’inchiesta interna del nosocomio partenopeo Laura Boldrini per fare luce (si può dire, sì? O è un concetto fascista?) su non si sa cosa, ma l’inchiesta ha solo accertato che il busto non è stato trovato. Pare sia stato solo collocato lì in attesa di essere portato via da un medico diventato, nel bene o nel male, “famoso”.

I soliti bene informati che, sulla scia della Boldrini, sul sempiterno tema del fascismo si lanciano a capofitto, come l’autoctono onorevole Francesco Emilio Borrelli, il deputato napoletano ossessionato dal patriarcato di cui già abbiamo raccontato su questo giornale, rilancia e addirittura denuncia (solo oggi) che quel busto è presente nientemeno che dal 2019! Borrelli forse dimentica che l’ospedale in questione, oltre ad essere un’eccellenza dell’intero Mezzogiorno, polo di ben due università, registra – notizie Ansa – il record di ingressi anche per quei pazienti che soffrono semplicemente il caldo d’estate. Record di ingressi eppure nessuno si è mai infastidito dalla presenza del Duce. Un paradosso come quello secondo cui l’Italia è un paese (sic!) antifascista, eppure pullula di nostalgici che si decuplicano a vista d’occhio.

Il busto da eliminare con antifascista solerzia

Il busto di Mussolini potrà anche sparire, ma ciò che resta è il polo d’eccellenza costruito e inaugurato in soli 5 anni e poi sempre più perfezionato, persino durante la guerra, fino a diventare il pù importante ospedale in Italia per la cura delle ustioni. Ma non è solo il complesso architettonico in sé: innanzitutto il Cardarelli faceva da apripista alla moderna concezione di “città ospedaliera”, visto che inglobava più centri in un solo posto. Nel resto d’Italia si dovranno aspettare gli anni ’60: gli intellettuali fascisti avrebbero (non solo) detto di essere avanguardia. Tale organizzazione fu concepita per ovviare alla frammentazione delle tante strutture ospedaliere sparse tra vicoli e vicarielli di quella città che ancora oggi conserva la sua struttura secolare. E non finisce certo qui! L’ospedale fu costruito in una zona “nuova” della città, dove tanti dicevano l’aria fosse miracolosamente salubre, ma soprattutto facilmente raggiungibile da ogni punto della città. E – e non è certo megalomania – furono asfaltate le strade già esistenti e costruite nuove arterie per velocizzare i tempi di percorrenza di quelle automobili che si stavano iniziando a diffondersi e facilitarne il percorso. Disegni, progetti realizzati che sono troppo persino da concepire per gli antifascisti da riporto che di quell’ospedale se ne sono sempre fregati – mica si offendono, se lo diciamo? – altrimenti si sarebbero resi conto che non è un busto in una sala di non accesso al pubblico il problema, ma lo è la carenza di personale medico, l’assenza della più elementare dignità del malato, le file chilometriche che durano giorni, i tempi di attesa anche per l’esame più banale. Se si occupassero disinteressatamente delle condizioni in cui versa l’Ospedale più importante del Sud Italia, si renderebbero conto – speriamo! – che il vero miracolo è quello che compiono ogni giorno medici e paramedici che, pur lavorando nelle condizioni cui abbiamo appena accennato – riescono a fare del nosocomio un polo d’eccellenza italiano. Mica come i miracoli che si intesta il loro compagno(?) De Luca che ha inaugurato più volte gli stessi reparti di ospedali mai entrati in funzione! Purtroppo il solo miracolo riuscito è stato quello di distruggere la sanità campana di cui non ha mai cessa-to di essere commissario straordinario.

Se Boldrini, Francesco Emilio Borrelli, la Cgil – che subito si è unita al coro dei piagnoni – si fossero mai interessati realmente del Cardarelli, saprebbero che la prima intitolazione non era per il medico politico indipendente italiano, ma recava il nome di “Ospedale 23 Marzo”, data della creazione dei Fasci di combattimento: c’è anche tanto di targa a testimoniarlo, ma non vi diciamo dov’è. Al massimo diremo che non è nella Sala Medici.

https://www.ilprimatonazionale.it/approfondimenti/il-cardarelli-e-fascista-la-follia-della-boldrini-contro-lospedale-napoletano-273850/

 

LA CADUTA DEL DUCE CHE HA FATTO CADERE ANCHE LA RAI !

Il vento è cambiato in Rai, seppur fischia ancora. Non spadroneggiano più i Saviano e i De Giovanni – vogliamo, però, rassicurare i telespettatori perché è già in produzione la nuova stagione del Commissario Ricciardi – e i soloni di Viale Marconi, in attesa del flowers time in perfetto Sanremo style, fingono di diventare pluralisti. Si stava meglio quando si stava peggio!

La lunga notte, presentata con il “mea culpa” previo del protagonista Dino Grandi, al secolo Alessandro Boni, che, prima della messa in onda, puntualizza che lui è antifascista “per genetica ereditaria” e ha avuto grossi problemi a fare un saluto romano e nessun problema, però, ad incassare il cachet  – pecunia non olet. Oggi come ieri, per certa gente – è la migliore pubblicità.

In realtà si era già capito lo spessore degli pseudo-intellettuali della TV pub(bl)ica che avevano avallato la scelta della “manifestazione” di Rituccia in “Napoli Milionaria!”, andata in onda qualche settimana fa, evidente allegoria dell’Italia, dell’Europa, del mondo ammalato per via della guerra, seppur finita. Facendola apparire – evidentemente, avranno pensato loro, Eduardo era un fesso! – si perde tutta la poesia, l’allegoria, la metafora. Viene meno proprio il significato (che loro non hanno colto).

Ritornando al thriller, così è stata definita una vicenda storica complessa che, per occupare ben tre serate consecutive, (ci saremmo aspettati che i soldi dei contribuenti sarebbero stati spesi in maniera nettamente migliore)  utilizza l’abusato stratagemma: il personaggio inventato. E cioè Nicolai. Allora è proprio vero: la storia si inventa! Che stupidi quelli che pensano che la storia si faccia attraverso gli archivi, i libri, le ricerche! Se diamo sfogo alla fantasia, allora sì che può venir fuori l’immagine di un Duce che parla nei palazzi con lo stesso piglio di come se si affacciasse al balcone di Palazzo Venezia! Ne viene fuori un padre che intimorisce i figli, mentre, in realtà, Anna Maria, l’ultima nata, aveva una vera e propria venerazione per il papà con cui era solita giocare. Come Edda.

E i gerarchi tutti residenti in lussuosi palazzi, senza eccezione di Mussolini e famiglia? Non è un mistero, proprio perché è storia che il Re fece pressione affinché il futuro Capo del governo dimorasse a Villa Torlonia. Il Duce acconsentì solo dietro pagamento di un fitto, seppur simbolico. Stiamo parlando dell’uomo più potente d’Italia che si “dimenticò” di versare i contributi pensionistici, mentre i “buoni” si attivarono affinché Rachele Guidi Mussolini ricevesse sì la pensione, ma quella sociale e un anno prima della morte. Per non parlare di Claretta, appartenente ad una famiglia benestante ( quindi non aveva certo bisogno che Mussolini sistemasse anche loro in ricchi palazzi ) il cui valore, ovvero quello di amare un uomo e seguirlo fino alla morte, fu pagato a caro prezzo.

 Quanto vale una vita?
E la fiction, nientemeno che prodotta dall’attore-regista ex parlamentare  Luca Barbareschi, nemmeno stavolta ha fatto chiarezza su quella che è una verità non facile da accettare, ma incredibilmente facile da nascondere. La convocazione del Gran Consiglio, a cui Mussolini, messo in guardia dalla moglie che anche a Villa Torlonia aveva continuato a trafficare con galline e tagliatelle, rifiutò il titolo nobiliare e dimostrò in più occasioni di avere attributi almeno quanto il marito (che femmina! Mica una femminista) non si sottrasse andando incontro all’arresto, in realtà non fu che un vero e proprio colpo di stato. Se i gerarchi chiedevano il ripristino della Costituzione e la “destituzione” – termine mai citato nei documenti ufficiali, appartenente perlopiù ad una certa politica liberal-parlamentare – di Mussolini, quale altra costituzione se non quella fascista, come la chiamava Bottai, sarebbe dovuta ritornare in vigore?
Un falso storico? No! È la pura verità di ciò che successe. È storia! Non quella riscritta a tavolino a proprio uso e consumo. Quello che seguì alla riunione del 25 luglio, lo ribadiamo, non fu altro che un colpo di stato con conseguente dittatura militare. Sarebbe stato bello vederlo riprodotto sul piccolo schermo, rivelarlo ai più, visto che i libri di scuola tacciono in tal senso. E, allora, diciamola tutta! Il famoso o.d.g. Grandi, a cui non tutti aderirono convintamente, secondo quanto riportano ancora Bottai e addirittura Ciano, non doveva contenere la summenzionata “sfiducia” a Mussolini, ma in realtà non era altro che un avvicendamento del potere in maniera collegiale rispetto a quello autocratico del Duce. Nessuna fine del fascismo – semmai del mussolinismo, per dirla alla Bottai – anche perché il Fascismo-regime, come lo etichettò lo studioso antifascista più eccellente quale Renzo De Felice – finì per mano del fascismo stesso, ad opera del suo maggiore consesso: il Gran Consiglio.
Al netto di questi brevi cenni storici, elementari, che costituiscono le basi di cui, a quanto pare, si difetta e che non possono certo esaurirsi nelle poche righe di un giornale seppure di approfondimento quale Campo Sud, il “thriller” non brilla certo per bravura degli attori o per quella degli autori – i dialoghi sono fiacchi e spesso sono poco più che biascicati. A proposito: a che pro introdurre il personaggio inventato, il buon, partigiano del Partito d’ Azione? L’ex combattente pentito? Il figlio del pluri decorato della 1ma Guerra Mondiale? Quel tal Nicolai anch’esso inventato di sana pianta nella trama e che fu scaraventato nelle scale di casa per ordine diretto di Mussolini? Altro falso storico!
Si salvano, però, i costumi. Il che, ironia del destino, fa sì che il lavoro di Giacomo Campiotti possa tradursi in nient’altro che una mascherata della Storia (Per l’appunto siamo a Carnevale!)  Della ricerca. Dell’onestà intellettuale. Della verità. Della giustizia. È giusto ritrarre una donna come Claretta che non ha pensato a salvare la pelle, la malapartiana pelle, per seguire il suo uomo fino alla fine dei loro giorni, scosciata e con le poppe al vento a cavalcioni su una scrivania e il Duce che si sbraca già sulla porta per poi saltarle addosso? Hanno mai letto che la lunga notte, quella prima della fucilazione, l’unica in cui Claretta riuscì a stare accanto al suo Benito, “ospiti” della cascina De Maria “non dormì che qualche ora, salvo poi scoprire al mattino che il cuscino di lui era ancora intonso”? D’altronde stiamo parlando di autori che hanno appellato “Re Sciaboletta  “altezza” e non “maestà”. Questa è la loro levatura. Quindi donna Rachele sottomessa al marito e destinataria delle “mazzate” che il marito non le risparmiava – ma non avremmo difficoltà a pensare una situazione completamente ribaltata – e Mussolini, un vecchio satrapo rincoglionito – uno di cui gli Americani pensarono (male) di studiare il cervello che consegnarono in un barattolo a Donna Rachele, assicurandole che fosse “sano”. “Non dovevano certo dirmelo loro” chiosò donna Rachele che, quando le restituirono (ciò che rimaneva) il corpo del marito in un baule per la posta, pretese non solo che fosse aperta la cassa, ma che nessuno uscisse da quella stanza dove si era recata addirittura da sola e di nascosto dal figli, affinché tutti i presenti assistessero allo scempio consegnatole. Proprio uguale alla fotografia della sceneggiata la cui notte più lunga è solo quella in cui si esaurisca la messa in onda.
Che storia è quella storia che non è storia, ma nemmeno una storia inventata bene?
Ha da passà ‘a nuttata…..
https://www.camposud.it/la-caduta-del-duce-che-ha-fatto-cadere-anche-la-rai/tony-fabrizio/