IN NOME DEL COVID

Si può preservare in maniera ossessiva la vita fino al punto di perderla? Qual è la linea di confine tra il ligio professionista ed il medico che salva le vite? Può un protocollo sanitario-governativo essere più importante persino del giuramento d’Ippocrate?
Napoli, un giorno qualunque dell’emergenza sanitaria-ospedaliera, quella Napoli “ca faceva ridere e pazzià” e dove oggi sono banditi persino i festeggiamenti, dove finanche un normalissimo parto si trasforma in tragedia. In nome del Covid.
Una giovanissima partoriente arriva in clinica con dolori preparto: viene sottoposta a tampone, come da prassi, i cui risultati arrivano dopo sei ore. Troppo per il feto che non sopravvive. Per poco.                                              Numerose, ma senza esito, a dire dei familiari, le preghiere del loro ginecologo di fiducia che si scontrano contro l’impeccabile applicazione del protocollo da parte del Direttore della clinica: bisogna attendere l’esito del tampone e in caso di negatività si potrà procedere al parto, altrimenti bisogna disporre il trasferimento in altra struttura.
Dopo sei ore di estenuante attesa arriva il risultato del tampone – negativo – per cui si può procedere al parto che diventa un cesareo, sempre più preferito da certe strutture, per via delle complicazioni cardiache e renali patite dalla partoriente e che saranno addirittura fatali per il nascituro, che non vedrà mai la luce.
In nome di Ippocrate, si può condannare ad un ritardo mortale una giovane vita? Che fine hanno fatto i medici che sono chiamati a spendere parole di conforto anche verso i malati terminali? È possibile che tutto ciò accada ancora nel 2020, nella città che ha dato i natali – e la gloria della terra e dei cieli – a San Giuseppe Moscati, un santo medico diventato poi medico Santo? Possibile che anche in un’emergenza continua che ha scosso l’esistenza di ognuno si diventa così fedeli e devoti di un pezzo di carta, forse nemmeno condiviso e rivelatosi poi vano, al punto da bistrattare il miracolo più grande che è quello della vita? La deontologia professionale ottempera, dunque, maggiormente a protocolli sanitari-governativi piuttosto che al dono della vita e al peso della coscienza?
È questo il significato che assume e il valore che ormai è attribuito alla vita umana in quegli ospedali – sempre più aziende – in cui non si riesce nemmeno più a preservarla? Ospedali oramai a numero chiuso, che decretano la fortuna/sfortuna per chi ha la possibilità di potervi ancora accedere. Luoghi oligarchici, altro che nosocomi, nell’accezione greca quali luoghi dove si curano le malattie!
In tempi passati, solo lo scorso anno, il caso avrebbe suscitato clamore ed indignazione, si sarebbe gridato all’ennesimo caso di malasanità, qualcuno avrebbe inzuppato il biscotto nel fango gettato sulle condizioni del Sud, ci sarebbero stati attacchi alla gestione regionale da parte dell’opposizione e l’invio degli Ispettori da parte del Ministero per fare luce sulla vicenda. Oggi, nemmeno questo: il caso è sottaciuto persino dalla stampa-straccia, nessuno amplifica il grido di dolore di una giovane coppia a cui nessuno darà più il loro primogenito; il Presidente della Regione, con le mani pasticciate di colore come le avrebbe potute avere questo bimbo mai nato e che mai le avrà, non ha ancora deciso se conviene più giocare e continuare a minacciare i cittadini campani attraverso il suo pugno di ferro, il lanciafiamme e le offese per gli adulti​ fratacchioni​ e che non risparmiano nemmeno i bimbi alimentati al plutonio, oppure cavalcare l’onda increspatagli dal Presidente del Consiglio che, mal digerendolo, colloca la Campania nella fascia gialla, ovvero completamente guarita. Un miracolo a cui nemmeno De Luca crede e che a malincuore, magari per via del mancato accesso a quei fondi che fanno sempre comodo, sarebbe utile ostentare. Almeno per ora. Non una parola dal Ministro della Salute, forse perché non è un medico o forse perché troppo preso dal suo libro scritto in piena pandemia la cui seconda ondata, annunciata ed evidentemente non temuta, ha ritardato la pubblicazione delle sue memorie. Né sentiremo una parola dal Santo Padre, ovvero quello che si dovrebbe scagliare più di tutti contro questi crimini, che si dovrebbe battere per il valore della vita e per la sua difesa. Sempre. Comunque. Ovunque. Ma che non dice una parola nemmeno sul folle progetto di Ingegneria medica che sarà il nuovo ordine per il concepimento mondiale, rivolto soprattutto alla Cina che deve riprodursi anche al posto nostro; quindi circa la nuova infernale macchina che subentrerà all’utero materno, che simula la placenta e che sostituirà la procreazione naturale. Troppo impegnato pure lui nella stesura di qualche altra enciclica che di religioso, di cattolico, di cristiano ha poco o nulla. “Fratelli tutti”, la sua ultima fatica sembra avere tutti i canoni della propaganda politica schierata, perfettamente calzante e attuale più che mai in questi giorni di fuoco negli USA, sponda​ dem, pro-Biden, l’”annusatore di bambini”, già avvezzo all’adrenocromo e agli scandali sessuali, pedofilia inclusa, con tanto di abbraccio al satanismo e da cui sembra non essere immune nemmeno il figlio. Vizietto di famiglia o (dis)valori che si trasmettono… col sangue.                              La posizione antipodicamente opposta a quella che Bergoglio – almeno professionalmente – dovrebbe avere, o meglio, a quella della Chiesa. Eppure questo papa è fratello anche di costoro!
Chissà se si sono sentiti tutti fratelli le vittime sgozzate a Notre Dame a Nizza. Chissà se sono fratelli tutti il professore francese con i suoi assassini. Chissà quanti Cattolici sentono questo papa come loro fratello. E non ci stupirebbe neppure un altro silenzio se l’ennesimo dipiciemme decreterà la mancata nascita di un altro Bambino che nasce ininterrottamente da oltre duemila anni, che non hanno fermato guerre e carestie, pestilenze e terremoti. Un dipiciemme “fratello” dell’altro dipiciemme che ha impedito dopo duemilaventi anni persino la sua Resurrezione, sospeso la funzione religiosa e abolito in fieri addirittura la Comunicazione, la Santa Comunione, il rapporto con Cristo, corpo e sangue fattosi cibo per noi.
Bisogna avere fede nei dipiciemme e confidare in sorella mascherina perché anche un papa può avere paura di sorella morte. E al vespro, visto il tempo d.C. in cui sopravviviamo ringraziamo il Covid che anche oggi non ci ha abbandonato in tentazione e che ci ha liberato dal tampone.

https://www.camposud.it/2020/11/in-nome-del-covid/

IN NOME DEL COVIDultima modifica: 2020-11-09T02:05:52+01:00da tony.fabrizio

2 risposte a “IN NOME DEL COVID”

  1. L’analisi della situazione è perfetta, il problema è che la maggioranza non capisce e non vuole capire, preferisce cullarsi nell’illusione delle protezioni: la mascherina, De Luca, il DPCM, condannare gli untori che vanno a prendere un po’ d’aria al lungomare, i bambini che giocano tra loro.
    Ormai vanno avanti per etichette: Trump è cattivo, il Papa è buono, il virus galoppa.
    Il 2021 non promette nulla di buono.

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