E QUINDI USCIMMO A RIVEDER LE STELLE

​QUINDI USCIMMO A RIVEDER LE STELLE

Il 25 marzo u.s. è tornato a riunirsi il Parlamento italiano per la prima volta dopo l’esplosione del contagio del Coronavirus in Italia. E questa è la vera notizia che, in sé, non dovrebbe neppure far notizia. Il 25 marzo, però, non avrebbe dovuto essere lo start-up day, forse più pit-stop, del governo giallorosso, bensì il Dantedì, ovvero l’inizio delle celebrazioni per il settecentesimo anniversario della morte del Sommo Poeta. E tutte da svolgersi in Italia, non come accaduto per il cinquecentenario in ricordo di Leonardo da Vinci, delocalizzato in Francia in stile Monalisa.
Un 25 marzo mondiale, partito ufficialmente dal Ministero per i beni e le attività culturali e definitivamente approvata dal Consiglio dei ministri il 17 gennaio 2020 su idea del giornalista e scrittore Paolo Di Stesano per ricordare l’inizio della discesa agli inferi di Durante Alighiero degli Alighieri e per convenzione in giorno di inizio della Divina Commedia.
Commedia divina, invece, quella di cui sta rendendosi protagonista l’Esecutivo II secondo il de-cretino avvocato non dantesco, ma del popolo Conte Giuseppe circa la gestione della suddetta emergenza sanitaria. Nome in codice Covid-19.
Commedia aspra e chioccia la gestione dell’emergenza tra elargizioni pecuniarie (manco fosse la fu Inquisizione!) e materiali (dispositivi DPI a quintali) dell’inquilino della Farnesina dalla Cina alla Tunisia passando per la Colombia. Tanto i medici nostrani, quelli in attesa del “posto” per dirla alla Di Maio maniera, arruolati, o meglio auto-arruolatisi, per combattere in sostituzione di quelli che hanno già combattuo e sono caduti per colpa del vairus (cit.) li ripaghiamo con “vitto, alloggio e rimborso spese”. E divina perché sta mandando parecchi connazionali al Creatore. Proprio Quello cui Dante tendeva.
A guardare bene, gli emicicli di Palazzo Madama e di Montecitorio ricordano non poco la struttura a gironi dell’inferno dantesco e, mai come ora, sono tanti quelli che vorrebbero al posto degli stenografi d’aula – pianisti (non politici) per i più – un Minosse che “ringhia, con una lunga coda che avvolge attorno al corpo tante volte quanti sono i Cerchi che il dannato (politico), che gli confessa tutti i peccati, deve scendere”.
Chissà cosa penserebbe oggi l’amante dal dolce stilnovo di Beatrice di quell’Italia già serva e di dolore ostello, quale la ricetta divina per una Vita Nova. Proprio egli che è stato Patriota ante litteram, di una Patria che ancora doveva essere creata geograficamente eppure precursore dell’unità di linguaggio, principio di ogni comprensione. Chissà quale l’invettiva, non solo nel canto VI di ogni cantica, per questa sua Italia ormai “donna malata che non trova più pace”. Quante terzine a rima alternata per descrivere l’attuale selva oscura, quanti Ciacco e chissà se il Conte… sarebbe ancora solo Ugolino! A quale “Caron dimonio con gli occhi di bragia che batte col remo chiunque si adagia” affidarci per raggiungere l’altra sponda, quale il Virgilio che “cammina di notte, e porta un lume dietro di sé, e con quel lume non aiuta se stesso. Egli cammina al buio, si apre la strada nel buio ma dietro di sé illumina gli altri” e sperare di ritornare ad essere quel faro per il mondo che era l’Italia. Quella speranza virtù teologale cristiana persa e persino ottemperata ai DPCM per cui anche la fede urbi et orbi viene sospesa e le chiese, luoghi di miracoli, vengono sigillati. Persino la mariana Lourdes, luogo di miracoli per eccellenza viene vietata, l’acqua santa stipata in fieri che con l’acqua corrente si finisca di “lavare spesso le mani” – novella giaculatoria – e si ritorni a segnarsi col segno della croce. Poi, però. Quando, se non serve più, servirà sicuramente di meno. Il potere spirituale che si uniforma al potere temporale senza forma e fermo con una firma. Di un non eletto che ci ha costretti ad una laica clausura. Un po’ come l’esule Dante. E ci ha illusi con la speranza non catto, ma unica che sa di peccato e di segreto confessionale. “Ma vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”. Solo che Patria e futuro sono affari tremendamente seri, sacri come lo è la vita. Come Dante, primo Italiano tra gli Italiani, filologo, poeta, scrittore, politico, persino populista e teologo. Cattolico. Radice della stirpe italica e dell’immenso patrimonio culturale tramandatoci. Di un inestimabile valore tanto da rappresentare persino una minaccia a causa dei suoi scritti senza dei quali nemmeno riusciremmo a capirci e che si vuol vietare in nome di un moderno indice di una novella inquisizione. Dante Alighieri da settecento anni continua a dare tanto ad ognuno di noi, non solo in Italia, ma nel mondo intero e va onorato come gli si addice! Uscendo dalla “natural burella” che a “dire è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier mi rinnova la paura” che conduce alla “retta via” per uscire a riveder le stelle, quelle belle, quelle che brillano forte in una notte oscura e non quelle cinque di prossima futura e già avvenuta polverizzazione.

E QUINDI USCIMMO A RIVEDER LE STELLEultima modifica: 2020-03-30T07:00:00+02:00da tony.fabrizio

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