GUERRA ALLA PROPAGANDA OVVERO LA PROPAGANDA ALLA GUERRA

Più guardo la guerra in Ucraina e più ci vedo il Covid. Che è (stato?) una guerra anch’esso. Osservo le reazioni e vedo che, nonostante sia chiaro persino agli’idioti l’esperimento di ingegneria sociale cui siamo stati sottoposti, le reazioni dell’opinione pubblica sono le stesse, identiche, precise di quelle della pandemia. Ovvero un’emergenza sanitaria globale. Delle dimensioni di un conflitto. Mondiale, appunto.
Hanno diviso la gente prima in no-mask e si-mask, poi in no-vax e si-vax. Ora sono spuntati i si-pax e i no-pax. Ciò che conta è che hanno diviso. Ancora. Di più. Come per il Covid – e non solo per i vaccini – una fetta di gente non parla all’altra. Per un motivo che è uno e che è sempre lo stesso: non si ascolta per capire, ma si ascolta per rispondere, possibilmente male e in maniera definitiva; si deve vincere l’avversario, piuttosto che con-vincere. Che sarebbe una vittoria doppia. Ognuno ha la granitica certezza di aver capito tutto, che, forse, è la sola cosa che si è capito. Senza contraddittorio, senza repliche. Si esclude. Come su un (a)social. Ban. Ma questa è una guerra e in guerra ci si schiera. Una guerra che si vuol (s)piegare alla distorta logica moralista che vede la pace come un valore e non come uno stato. Magari, non si dà valore alla guerra che sfocia conseguentemente nella pace. Così come non si dà valore alla morte, in guerra. Al coraggio. All’accettazione. Alla sopportazione. Di una Idea. Di una Identità. Il tifo dovrebbe venire dopo. Perché si tifa pace anche se ci si schiera con l’aggressore. Perché c’è un aggressore e un aggredito, un provocatore e uno che abbocca. Con grandi sbagli e piccole ragioni o con grandi ragioni e piccoli sbagli. Una guerra che si chiama “operazione militare speciale” e che sa tanto di un surrogato di cancella culture. Quella cultura andata a farsi fottere quando rievochi il Donbass, ma la stessa violenza – se è vero che quelli erano russi e persino gli ucraini sono russi – non può dirsi fratricida, guerra civile, sangue fratello, se a spargerlo è Mosca. Anzi, diventa giusta e necessaria.
Ci avevano già abituato alla guerra, già nella terminologia: virus come minaccia, vaccino come arma, tessera, permesso, road maps, coprifuoco. Perché la guerra era già preparata, da tanto tempo. L’informazione che diviene formazione e la controinformazione giocano un ruolo alternativo col medesimo obiettivo, ma che recitano un copione troppo simile precedente: un buono e un cattivo, senza cercare la verità che sta nel mezzo, due blocchi contrapposti e in mezzo il popolo diviso e inviso a se stesso, la truffa e l’inganno, la versione, che sfiora il complotto, alternativa all’ufficiale che raggiunge l’impensabile, il Bene e il male, il Diavolo e l’acquasanta. E le malattie. Che colpiscono anche i leader. Prima Draghi, poi Bergoglio, adesso Putin. Sta crollando. Sta finendo. Hanno i giorni contati. Il governo cade. Il mondo cade. L’ultimo atto. La canna del gas. Il piano. Trust the plan. Persecuzioni. Arresti. Q. Controfigure al posto dei figuranti. La torre di Babele che brucia. Come tutti carnevali precedenti. E la guerra che non c’è. C’è il giornalista con l’elemento e il gap e la signora con le buste della spesa. Non c’è la guerra. È una guerra che combatte lo stesso esercito. I russi manco ci sono in Ucraina. Ma se ci sono, avvisano prima di bombardare. Anzi, fanno evacuare perché nessuno deve morire. In guerra. Una guerra con gli ospedali vuoti. E se muoiono i civili è perché sono usati quale scudo dagli ucraini. Quelli che sono andati a combattere una guerra già persa. Quelli che attendono dietro la barricata improvvisata, in piedi oltre l’ultimo respiro la mutilazione o, peggio, la morte. Quelli che fermano i carriarmati con armi rudimentali e che hanno lasciato la bella vita comoda fatta in giro per il mondo e hanno portato le chiappe in Patria per difenderla. Se proprio non riusciamo a capirlo, non critichiamo. E se qualcuno riesce a capire e persino a condividere una simile Idea li elevi quali esempio. Proprio qui in Italia. Per primi noi in Italia. Avete mai corso un rischio per una Idea? Qualcuno è disposto a morirci. Quel qualcuno che da qualcun altro è etichettato – vizio tipicamente UE – quale miliziano, addirittura mercenario. Ma non i Ceceni. Quelli che sono andati a portare via dal pantano Putin. Che, se non ha sottovalutato gli ucraini, ha quantomeno sopravvalutato la sua Armata rossa. Quell’Armata rossa che vede un’emorragia di soldati che scappano perché non approvano la guerra di Putin e riparano a Belgrado per poi sparire nel mondo. Si spera. Magari seguaci di quei otto Generalissimi licenziati dallo zar. La Kiev presa e Mariupol assediata dove funzionano i telefoni e arrivano i treni. Ma questo la contro(in)formazione non lo dice. Non lo propaganda. Così come non dice dell’ispezione dei soldati russi al confine alla ricerca di un tatuaggio a loro non gradito sul corpo degli ucraini. Perché Putin è stato chiaro: vuole denazificare! Ottant’anni dopo. Forse ancora troppo pochi per digerire quell’Ucraina schierata proprio a fianco della Germania. Vi fanno più paura i tatuaggi che le bandiere rosse sui carrarmati. Stile Praga, stile Budapest. Nulla di male, per carità, se non fosse che fino a qualche mese fa stavate da quest’altra parte. Vizietto tipico e topico di una certa italietta – perché si chiama così, cari i miei italioti col torcicollo – perché un’altra italietta c’è già stata. E voi ne siete la rifondazione. Eh, ma il Battaglione A3OV in Donbass… è il jolly che si gioca, così come il Nazismo e il Fascismo quando si è in difficoltà. Quel Donbass che conta 4400 soldati ucraini caduti e 6500 filo-russi, oltre a 3404 civili che fanno 1400 morti oltre la stima della stessa contro(in)formazione. Quella contro(in)formazione che spaccia Vangelo per antico Testamento – lì è contenuta la citazione di Putin – che a leggerlo sembra il diario del perfetto guerrigliero. La stessa contro(in)formazione che propina solo A3OV, svastiche e croce celtiche, ma non vi parla di rune, sole nero e Battaglione Militia. Magari un giorno vi dirà che i Leoni della Folgore sono brutti, sporchi e cattivi e che ad El Alamein hanno dato un pessimo esempio – anche loro come gli Ucraini sapevano di perdere, ma non per questo si sono arresi – perché magari anni dopo hanno marciato su Pisa. Probabilmente i contro(in)formatori nemmeno sono mai entrati in una camerata della Brigata o hanno mai aperto un armadietto di un parà. Di cui non mi pare in Italia non se ne vada fieri. Magari a qualcUno verrà in mente di sostituire il basco amaranto col colbacco, ma gli ultrà diranno che è cosa buona e giusta. Così come lo hanno detto del nazionalismo di Putin che, però, veste italiano o del Mc Donald’s in salsa russa: ditemi voi se non è l’altra faccia della me(r)daglia globalista del cibo spazzatura. Quella fetta di mondo che l’Orso ha colpito proprio nel momento maximo di difficoltà per tenerlo ancora un po’ in vita. Come ha fatto esattamente con la NATO che, prima dell’operazione speciale, non aveva più ragione di essere. E così mentre il nuovo inno nazionale è l’osanna allo zar e la preghiera più in voga è lo sputtanamento di Zelensky & Biden pupazzi manovrati – e concordo – fino a quando non rilasciano dichiarazioni imbarazzanti, buone per farvici inzuppare il pane, Usa & Cina – che è il padrone di Putin – s’incontrano per parlare di pace. Ma voi, cultori della ricerca e della comparazione di vecchi fotogrammi divenuto nuovo spo(r)t nazionale, interrogatevi sulla foto sotto riportata. Informatevi. Formatevi. E propagandate. A partire da compasso e squadra sul drappeggio.

GUERRA ALLA PROPAGANDA OVVERO LA PROPAGANDA ALLA GUERRAultima modifica: 2022-03-21T07:55:16+01:00da tony.fabrizio

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