ANCORA UNA BABILONIA

È bastata appena svegli sentire la parola Iraq in una qualunque mattina di Novembre perché in ognuno di noi si mescolassero angoscia, dolore e rabbia, già provati.
E’ bastata sentire la parola Iraq per ricordare quel triste 12 novembre di 16 anni fa. Poco importa che Kirkuk non sia Nassiriya o se è peggio: il solo menzionare questa cittadina o villaggio sconosciuto che sia fa presagire che il prosieguo dell’ascolto non riserverà nulla di buono.
Non ci sono morti stavolta, ma ci sono feriti gravi, come se un uomo lo uccidi solo fermando il cuore.
Insieme con uno Ied, ordigno rudimentale ed imprevedibile, sono saltati in aria pezzi di corpo umano. E quelli che sono rimasti attaccati non serviranno più. Insieme con lo Ied è saltata anche la spavalderia di quelli che, esultando, campano ammazzando, di quei martiri assassini che colpiscono vigliaccamente.
I nostri soldati del 9° Col Moschin e del Comsubin, reparti scelti di Esercito e Marina, sono forze speciali, l’élite e le colpisci sono alle spalle, solo a tradimento, solo vigliaccamente.
Erano a piedi per strada per insegnare alle forze locali come poter stare ancora per strada e portarci di nuovo la gente. In sicurezza. In normalità. Come in mezzo alla gente avevano scelto di stare i Carabinieri e gli altri militari che nel 2003 fecero della caserma Maestrale, nella missione Antica Babilonia, la loro base vicina alla gente. A Nassiriya come in un qualsiasi paese in Italia, dove la caserma è un luogo prossimo alle persone e non un fortino isolato ed inaccessibile.
Perché i Carabinieri e i militari sono questi: gente comune da parte della gente che vuole portare a termine un compito affidatogli, vuole tornnare a casa, magari vuole comprare casa.
E magari a casa ti porti l’esperienza e la sofferenza, ti porti gli occhi di un bambino che ti segneranno fin quando avrai respiro, che ti viene incontro per una comunissima bottiglietta d’acqua e che può farti saltare in aria come un kamikaze, così come può farti saltare dalla gioia dopo un gesto per te semplice, ma per lui vitale. Ti porti la sofferenza per gli occhi di un tuo bambino che non vedi o che non potrai più vedere mentre il destino beffardo ti ha marcato come “il brigadiere dei bambini”. Porti con te i motivi di una scelta che da bancario della Milano dagli alberi di trenta piani ti trasforma in un ufficiale in mezzo alla sabbia e che, purtroppo, diventanno segreti poiché nessuno ha avuto il tempo di chiedere. Di parlare. Di raccontare. Ti chiedi se proseguire nell’impegno, nell’aiuto, nella lotta non sia il modo migliore per onorare quel commilitone con cui hai condiviso l’alloggio e che era diventato più di un amico. Ti chiedi cosa provava il piantone di guardia la sera prima dell’attentato quando tu tentavi di farlo ridere e rilassare, senza tuttavia riuscirci. Ti chiedi cosa abbia pensato alla porta il semplice appuntato dell’Arma quando ha aperto il fuoco contro il convoglio esplosivo per far sì che non perpetrasse all’interno della base, quasi a limitare i danni, ad evitare delle morti, a proteggere quelle uniformi, sconosciute fino a qualche giorno prima. Quelle morti che hanno reso per qualche giorno, per quel giorno, l’Italia davvero una Nazione. Subito dopo a tratti dimentica, a tratti ingrata. Tanto da far pagare i costi per la coniazione di una medaglia commemorativa, per chi l’ha ricevuta, senza interrogarsi sul motivo per cui quel servitore l’abbia restituita. Tanto da processare civilmente un militare e condannarlo a risarcire le vittime di propria tasca, come se qualcuno potesse non chiedersi se un solo uomo possa essere ritenuto responsabile a fronte di 1100 unità impiegate piuttosto che un capro espiatorio. Come se le parole di circostanza in cerimonie ufficiali non siano pronunciate dagli stessi personaggi che scagliano parole pesanti come pietre e che lacerano l’anima. Di tutti, non solo di quelli che hanno la (s)fortuna di poter essere (ancora) identificati con matricola su casco e pettorina, che sempre più spesso diventano le sole “accortezze” fornite dall’Amministrazione. Che vuole ulteriormente disarmarli. Come se non fossero impoveriti già abbastanza. Che non disdegna di rispolverare il ricordo arrugginito una volta l’anno, per riporlo immediatamente nuovamente nel dimenticatoio. Perché per dimenticarli non occorre la targa sul muro ed il tricolore sulla bara così come per ucciderli non serve mandarli negli angoli più violenti della Terra. Difronte a questi uomini, difronte a simili dolori, al posto di tante parole di inutile ideologia e di becera propaganda che qualifica il vuoto umano ed istituzionale il silenzio sarebbe gradito e persino dignitoso. Sarebbe il commiato più meritevole. Quello che ogni soldato non vorrebbe mai sentire. Quel silenzio con cui i cittadini di Nassiriya spostarono, senza parlare, le pietre di ciò che rimaneva della Maestrale dai 19 tricolore sull’avambraccio. Appena placato il boato. Appena scese la calma surreale. Appena la polvere iniziò ad impastarsi con le lacrime.

ANCORA UNA BABILONIAultima modifica: 2019-11-27T20:07:36+01:00da tony.fabrizio

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