Alla fine Lavrov ha tenuto banco per lo stesso tempo che sono durati i post demenziali e tutti uguali sul condizionatore secondo Conte, il termostato a 28°, il vanto sull’essere i soli – solo il primo di maggio – a non indossare la mascherina, il doppio cognome.
Sull’intervista, che tale è e quindi non necessita affatto di un contraddittorio, si è detto tanto e, forse, si può dire ancora qualche altra cosuccia.
Atteso che Brindisi fa il giornalista, ha fatto lo scoop e fa solo il suo mestiere, da una intervista – come potrebbe succedere anche per Putin che spera di poter intervistare – non si può certo capire o chiedere quali siano le prossime mosse, se la guerra finirà e quando.
La guerra finisce quando reputi che il numero di morti da una o dall’altra parte sia sufficiente per dire basta. Se il sacrificio di quegli uomini sia valso un accesso al mare piuttosto che aver tenuto quel passo in montagna.
Il numero due del Cremlino era simpatico a tanti in questo martoriato Paese già solo per aver detto a Gigino che la diplomazia non è un pranzo di gala (cfr. Mao Tze Tung “La rivoluzione non è un pranzo di gala” e striscione del movimento innominabile sui social affisso alla sede del giudice di pace a Napoli, quando Napoli divenne capitale della protesta due anni orsono).
Nell’occasione non ho proferito parola, ma a me diede fastidio. E parecchio pure. Lungi da me difendere l’indifendibile Di Maio, ma in quel momento Gigino rappresentava l’Italia e non se stesso, compreso me che lo detesto e non l’ho votato. Una persona minimamente italiana si sarebbe quantomeno indignata e, invece, ne è scaturita solo approvazione. Per Lavrov. Per la stessa logica illogica secondo cui se sei contro Putin devi essere per forza a favore di Biden e della Nato.
Per tutto il corso della durata delle minacce – perché tali sono state ed io dico pure che ce le siamo meritate tutte, noi compresi che abbiamo eletto quel parlamento di nullafacenti e similgigino che tengono in vita il governo e hanno dato nuova vita al vecchio inquilino quirinalizio – c’è stato chi ha visto addirittura una “alleanza” della Russia con il popolo italiano perché Putin dal Cremlino, mentre dirige una guerra e licenzia i militari rimasti in vita più che restatigli fedeli, sa che il popolo italiano non approva. Magari visto che abbiamo i suoi missili puntati in testa e le atomiche altrui sotto al culo, senza uno straccio di mezzo che possa difenderci, Putin per grazia di Dio avvertirà come in Ucraina che domani alle 10 bombarderà via Togliatti, per cui evitate di andarci.
In questo folle scenario minacciatorio-propagandistico, qualsiasi Italiano si sarebbe dovuto risentire e fare leva sulla dignità per essere stati minacciati in casa, seppur “noi non c’entriamo e, anzi, sono dalla tua parte”. E, invece, niente.
Finché ci saranno questi personaggi – e ce ne sono tanti – si potrà continuare a parlare beceramente di Fascismo perché sono ancora vivi i venticinqueluglisti e gli ottosettembrini.
E visto che siamo in tema, vogliamo parlare della genìa (quindi le razze esistono per tutti! Mal “comune” è messo gaudio…) di A.H.? Al netto dei periti di genetica – manco fossero tutti la mamma di Bill Gates! – i tifosi figli di Putin si sono divisi tra gli ultrà della purezza della razza che, non si danno pace perché include il III Reich – e gli offes(s)i dalle affermazioni neobolsceviche. Nessuno e dico nessuno che identifichi H. come il male abbia preso in considerazione, magari anche solo per provoc-azione – il fatto che lo stesso può essere il male proprio perché proprio di quella genìa. Visto che dagli ebrei discendono i sionisti che si sentono i padroni – e padrini – del mondo. Il termine di paragone, il riferimento sono gli ebrei, ma intesi come incarnazione, come identificazione, come sinonimo di bontà, di bene, di valore.
E mentre in Italia siamo alla masturbazione catodica, alle sanzioni e alla richiesta di spiegazioni per la mancata censura – razza di incapaci anche su questo tentato fronte – Macron parlerà con Putin. E non è escluso che dall’Eliseo riesca a ritagliarsi un ruolo di primo piano in questa crisi che pare non voglia/possa avere fine: che l’unione europea sia un rozzo motivo di convivenza meticcia e bastarda che tutto segue tranne che una via comune è ormai acclarato a tutti, come che l’asse Parigi-Berlino è filorusso da sempre. Inoltre, Putin potrebbe avere bisogno di una pace, visto che il suo esercito in due mesi di guerra ha avuto perdite superiori a quelle patite in quindici anni di Afghanistan; il che vuol dire anche una forza armata decimata. Con la quale potrà andare all’assalto di Odessa che, però, non è sui confini, diventati (ex?) minaccia per casa sua? Quella casa sua che è l’Ucraina da ricostruire, ma prima da finire di demolire. Come l’acciaieria Azovstall’. Che si assalta – dicono i Ceceni – ma poi non più – fa sapere Putin – perché bisogna salvaguardare vite umane e poi nuovamente sì perché i ceceni pare vogliano lasciare a piedi il Cremlino. E Odessa, che non sta sui confini, come la prendono? Non certo come non hanno preso Kiev!
Se Macron riuscirà nel cessate il fuoco, sarà un duro colpo innanzitutto per gli inglesi. Che sono, almeno fino ad ora, i veri vincitori di questo conflitto. Insieme con i compari a stelle e strisce. Che hanno tutto l’interesse a far cadere Putin nella trappola ordita per indebolire l’asse filorusso di Aquisgrana, quindi i lacchè tutti di Bruxelles, veri obiettivi della guerra per interposto territorio (ucraino).
Ma noi pendiamo dalle labbra di Lavrov che non si accorge di noi e, se se ne accorge, ci tratta come uno sputo. Visto che noi insistiamo a voler dare le carte quando il gioco è il rubamazzetto. Visto che siamo “da secoli calpesti, derisi perché non siam popolo, perché siam divisi”. E Lavrov lo sa. Ecco perché ci ha scelti.
SIAMO FUORI!
È veramente così: da oggi 1 aprile siamo fuori dallo stato di emergenza. Quell’emergenza proclamata e prorogata ad cazzum, come un accanimento terapeutico, come una vigile attesa di chissà quale immane catastrofe che – vivaddio – non è arrivata.
Pare non sia nemmeno un pesce d’aprile. O, forse, sì. Della gente, del governo, dei mandati in Parlamento tutti che si sono rivelati essere i veri mandanti.
Fuori dallo stato d’emergenza da oggi e abolizione del supergreenpass che resta obbligatorio per cinema, palestre, piscine, teatri e discoteche i cui gestori saranno morti di fame, intanto.
Abolizione del supergreenpass anche per i lavoratori ultracinquantenni, categoria a rischio, fragile e da buttare nel cesso, ma troppo tutto per mandarla in pensione. Costoro, potranno addirittura tornare a lavoro, ma con il green pass base, ovvero con il tampone. Regalando, dunque, mezzo stipendio alla santità di Speranza, dopo che paga per andare a lavorare. Pagarsi il tampone per andare a lavorare per pagarsi il tampone per lavorare è il nuovo leitmotiv.
Ovviamente non sono esenti i bambini che non dovranno più indossare le FFP2 per bambini che poi non sono tali, ma erano solo occlusioni delle vie aeree di misura più piccola, non adatte a loro con tanto di certificato, ma indicate solo per lavoratori che hanno a che fare – non di sicuro per 8 ore – con sostanze pericolose quali vernici, zolfo ed altre esalazioni “pesanti”, ma non certo di più di quelle che già si respirano in questa buona squola. Dovranno obbligatoriamente continuare ad indossare le chirurgiche, cioè perdura per loro l’immissione nel corpo di anidride carbonica che il corpo espelle automaticamente e autonomamente da miliardi di anni. Ricordate il leitmotiv “andare a lavorare per pagarsi il tampone per lavorare”? Il principio è lo stesso, la ciclicità identica, la follia idem.
L’esperimento sociale ha funzionato, l’impalcatura regge e pure alla grandissima.
Il lavoro è ormai divenuto una concessione, altro che articolo primo di quella costituzione bellissima, purissima perché antifascistissima che vale – perché è sempre valsa – meno di uno strappo di carta igienica monovelo. La gente continua a tenere la mascherina anche quando è all’aria aperta o, peggio, da sola in macchina. Perché si sente sicura. Perché si è abituata. E qua scatta l’orgasmo cosmico mondiale-mondialista degli ideatori dell’esperimento transumanista.
E il certificato verde è diventato il nuovo accessorio da mostrare, da esibire, di cui andare fieri al pari di una borsa griffata, di una pelliccia esosa, di un paio di labbra gonfiate a culo di gallina.
Nemmeno più ci sono i guardiani a vedere se ti comporti bene. Tu arrivi, misuri la febbre che a casa non avevi e ti guardi bene dal prenderla, mascherina che ti rende irriconoscibile tanto al posto dei tratti somatici e del QI c’è il QR code, il catcalling è pratica desueta, tanto poi persino i rapporti tra congiunti sono sconsigliati, la manomorta si fa rigorosamente con i guanti che rende il tutto più irriconoscibile di una mascherina.
Il tutto a partire da oggi che è l’anno 0 della nuova (a) normalità. Accolta come progresso, come sicurezza, come fedeltà all’obbedienza che è il nuovo per essere buoni. Che non vale.
Siamo fuori, ma non ne siamo usciti e più ci siamo dentro e meno si rendono conto di essere fuori!
ADESSO TOCCA A NOI
Alla fine Zelensky non ha chiesto nulla al Parlamento italiano.
Non ha chiesto l’interdizione dello spazio aereo, sottoposto a controllo militare, a tutti i velivoli non autorizzati – gli anglicismi mal li digerisco – non ha chiesto di incrementare l’invio di armi; ha invitato molto retoricamente di inasprire le sanzioni alla Russia e ha ricordato che anche l’Ucraina fece la sua parte con l’invio di medici e paramedici ai tempi (perpetui) del Covid.
Ma soprattutto non ha fatto alcun cenno alla resistenza, nonostante deputati e senatori erano già pronti e proni per eiaculare e qualcunA era pure già inginocchiata.
Probabilmente anche in Ucraina ormai è nota la pochezza dell’attuale classe politica nostrana, tanto da non chiedere nulla e anche difronte al nulla Montecitorio è riuscito a contare niente.
La cosa che più fa male non è l’uscita di Mario Draghi del quale è pur troppo scontata la sua (?) volontà di volerci trascinare in un conflitto perché evidentemente il grado di distruzione del Paese non gli è ancora sufficiente; non è il fatto che, dormendo a Palazzo Chigi, parli a nome dell’Italia e degli Italiani – mi fanno ridere quelli che “non in mio nome” fanno notare che l’ingresso dell’Ucraina nella UE non spetta a lui, ma agli elettori e al Parlamento che ha dato più volte prova di essere un duplice Mario Draghi, come se il liquidatore finora avesse avuto anche mezzo rispetto di uno sputo di legge.
La cosa che più mi fa male è che anche l’Ucraina, come la Russia e la sua “occultata buona fede”, non perde occasione per ricordarci di averci inviato medici, medicine e tutto l’occorrente necessario come se l’Italia fosse al pari del disastrato Burundi. Evidentemente così ci vedono. E, forse, non hanno tutti i torti.
Giovedì partiranno le sanzioni, altre, nuove, inasprite verso Mosca e vuoi che Draghi per l’Italia non faccia la sua parte? Nonostante Putin abbia fatto sapere che ci saranno azioni irreversibili nei confronti di chi applicherà nuove sanzioni, Gigino Di Maio replica che un ricatto del Cremlino è inaccettabile e non intendono cedere: “pure ‘e pullece tenene ‘a tosse” si dice dalle parti di Gigino.
Lo stesso pugno – è proprio il caso di dirlo – duro mi sarebbe piaciuto vedere quando Mosca ha fatto sapere che in caso di ulteriori ostilità potrebbe rivelare ciò che hanno scoperto grazie ai “medici che hanno inviato in aiuto nella lotta al coronavirus”. Ho sempre sospettato che non tutti i russi fossero medici. Ma Mosca da questo affare ne esce ancora più sporca dal come ci è entrata: se mi sanzioni sputo il rospo, ma se fai la brava tu, la faccio anche io. Comprerà il silenzio l’Italia? La Russia glielo venderà? I bensanti putinisti giustificheranno e assolveranno sicuramente lo zar. Che poi sono gli stessi che faticano a trovarci una matrice ideologica in questo prosieguo della guerra fredda che si riscalda ogni giorno di più. D’altronde questa è una guerra e in guerra ci si schiera. Ma non si dovrebbe tifare. A loro che tutto sanno e lo sanno subito vorrei chiedere che cosa fosse successo se gli ucraini non avessero approntato una difesa contro l’invasione. Che cosa se ne farà Putin di una Ucraina da ricostruire. Se saranno sufficienti cinquant’anni dalla fine dell'”operazione speciale” – Putin, non il parlamento, ha previsto l’arresto per chi nomina la guerra – per fare cessare anche l’odio degli ucraini verso la Russia. Come ne uscirà la Russia che conta già otto Generalissimi licenziati da Putin nel bel mezzo di una guerra e qualcosa come diecimila soldati russi morti in un mese. In Afghanistan ne sono caduti quindicimila, ma in quindici anni. Oltre ad un ingente numero di mezzi distrutti. Ma questa è la guerra. E la guerra va fatta così. Più persone ammazzi, prima finisce. E Russi e Ucraini ancora combattono. E sono loro gli unici ad avere ragione. Tutte le ragioni. Più di tutti. Diverse, ma uguali. Distinte, ma altrettanto valide. Professione. Mestiere. Dignità. Identità. Confini. Patria. Sono loro gli unici a poter parlare, ma preferiscono tacere per fare parlare le armi. Come i Generali in tivvù che sono i soli a poter parlare, ma che spesso tacciono. Gli unici a non essere andati nel teatro di Mariupol, a differenza dei soldati del tifo che dal divano sanno dirti anche quanti peli ritrovati. Che professano una guerra con avvertimenti, con accortezza e senza farsi male. E ci credono pure. D’altronde quando si finisce di credere in Dio si comincia a credere a tutto. Si crede alle invenzioni del missile educato che entra in casa e non distrugge i muri, ma non si crede alle bandiere rosse con falce e martello issate in segno di vittoria perché tale è il significato assunto nel secondo conflitto mondiale. Anche da chi non ricorda nemmeno l’Urss. Forse, perciò lo fa. Ma loro no, i tuttodietrologi di Netflix rifiutano il movente ideologico, anche se poi chiamano tutti indistintamente “nazisti”. Ottant’anni dopo. E non si chiedono se quei nazisti, che sono lo zoccolo duro identitario, non possano essere anche il fronte interno duro e puro qualora Zelensky dovesse arrendersi alla Russia. Loro, A3OV, rappresentano la Nazione, l’Idea. Così come i soldati russi. Capaci di sacrificare ciò che di più prezioso hanno, la vita umana, capaci di sacrificarsi per un ideale. Che è un valore. E per questo meritano silenzio e rispetto. Sono loro la meglio gioventù. E se, invece, dovesse succedere anche in Italia?
ITALO BALBO
Sono d’accordo con Frantoianni.
Dice bene quando dice che, rimuovendo il nome di Italo Balbo dalla cadrega degli aerei di stato, si è evitato una figuraccia internazionale all’Italia e alle Alte cariche istituzioanali:
effettivamente come si fa a presentare con un volo di stato le Alte cariche di uno stato quando un uomo non di stato quello stesso stato lo ha reso Nazione?
Come si fa a giustificare il fatto che un uomo che, in illo tempore, fu accolto dall’altro capo del mondo, quando le navi considerate inaffondabili colavano tragicamente a picco, fece nascere il (suo) mito in America – che gli dedicò una via ancora in vita – e nel mondo dopo le sue temerarie trasvolate dell’Atlantico, da Orbetello a Rio de Janeiro e poi a Chicago, a New York, dove fu accolto trionfalmente come il Cristoforo Colombo del Novecento, mentre oggi il governo dei migliori non apparecchia nemmeno la tavola degli incontri tra le Nazioni?
Con la cancellazione del nome dalla cadrega, Frantoianni, compagno di FiAno compare della BoldrinA, che potrà vantarsi a vita di questA suA unicA gestA, avrà ottenuto il suc-cesso di quando, messi al bando i manganelli, Balbo si inventò lo stoccafisso?
Avrà pure cancellato il nome dall’aeroplanino, ma non lo cancellerà mai nei cieli solcati, ammaestrati e che lo hanno glorificato.
Gheregheghez!
GUERRA È PACE
Oggi s’incontrano di nuovo. Di nuovo per trattare la pace. Oggi potrebbero iniziare a fare sul serio, tant’è vero che le due Nazioni sfoderano i pezzi forti, i Ministri degli esteri, gli omologhi di Gigino, il fagocitatore di cibi esotici durante le cene di gala. Quelli sì che andranno a trattare e a discutere di questioni serie e delicate, al cospetto di Erdogan, quello che, pur non usando le parole di Lavrov, sequestrò 18 pescatori per 108 giorni “solo” perché Gigino non era passato a salutarlo. Eppure noi da Erdogan ci siamo sempre recati con borsoni pieni di soldi per non farci invadere di clandestini, ma almeno per razionarli.
In Turchia, dunque, potrebbero decidersi le sorti dell’Ucraina. E non solo.
Le indiscrezioni confermano che Zelensky – che vuole incontrare de visu Putin – è pronto a trattare sulla rinuncia alla richiesta di entrate nella NATO – dopo che la NATO ha detto chiaramente che non c’è spazio per Kiev (no fly zone! Ovvero nessuno di noi è disposto a morire per voi) – magari rinuncia all’Unione europea, è pronta a dichiararsi neutrale e c’è pure un trattamento di favore da riservare anche alle repubbliche separatiste. Una pace, ma non una resa, dice l’ex (?) comico, che ricorda molto l'”armistizio” no-strano dell’8 settembre ’43.
Certo, una simile accettazione di tali condizioni, già visionate a casa, sono state sicuramente autorizzate da Whasington. Che, dopo aver provocato l’intervento di Mosca, non solo non si è mossa, ma ha addirittura lasciato sola l’Ucraina. La stessa Ucraina che, nella guerra del petrolio, del grano, del gas, delle fonti energetiche, non è che un sanguinoso pretesto.
“Già nelle scorse settimane il Global Times in Cina riportava le previsioni degli analisti di Pechino secondo cui si sarebbe sospinta Mosca ad “approfittare delle tensioni regionali che consentono agli USA, attraverso la relazione con una potenza – la Russia – di condizionarne un’altra, la UE”. Prevedevano che Biden avrebbe fatto capire a Putin che una sua invasione era bene accetta.
In modo più diplomatico, ma non meno chiaro lo stesso concetto veniva espresso da Le Monde che paventava che i russi venissero mossi contro l’Europa dagli interessi americani.
Sull’Indian Express gli analisti indiani avanzavano la stessa previsione, allarmati però dal fatto che così facendo Putin, qualora si fosse imbarcato in una tensione troppo alta, si sarebbe consegnato mani e piedi alla Cina, ma per gli indiani era scontato perché considerano la Russia “un importante attore globale che cerca di allargare la sua sfera d’influenza geopolitica basandosi in gran parte su una logica a somma zero”. Insomma non hanno molta stima dell’intelligenza russa da KGB.
Gli articoli italiani che riportano le informative dei nostri servizi davano per scontata l’invasione dell’Ucraina, ammonendo che non si sarebbe limitata al Donbas e facevano capire che c’era l’assenso americano.
Dall’Iran Ahmadinejad ha parlato in questi giorni addirittura di complicità diretta tra Putin e Biden.
Infine, Biden non ha perso occasione per ricordare che la Nato non si sarebbe mossa, quindi quasi a tranquillizzare ripetutamente il Cremlino.
Comunque si sia concretizzata quest’intesa strategica Biden-Putin, se sia il frutto di un accordo o di una convergenza oggettiva, quel che ci interessa sono i fatti.
E i fatti dicono che il gas e il carburante sono alle stelle in tutta Europa, e questo non riguarda solo il pieno delle auto ma tutto il comparto produttivo e l’indotto. Dicono che le borse crollano ma solo qui e in Russia mentre volano negli Usa. Dicono che il grano che già scarseggiava e ci costava eccessivamente da quando i cinesi vi hanno messo sopra le mani in Canada, s’impennerà fino a esaurimento scorte se i cinesi s’impadroniranno, come hanno detto, anche di quello ucraino, dopo aver messo le mani sulla Borsa di Kiev.
Se la guerra non si risolve ma tira per le lunghe ci rimetteranno soprattutto gli europei e anche i russi (ma non gli oligarchi che governano la Russia) e ci guadagneranno cinesi ed americani.
In Europa si spezzerà la politica di rigenerazione e il nostro continente verrà, allora sì, commissariato dai soviet della finanza cosmopolita anti-europea.
È sempre la stessa guerra che prosegue e sul terreno gli americani continuano a usare i russi per premerci da est mentre ci spremono ad ovest.
L’Europa stavolta si è comportata bene:
chi sostiene che ce la siamo cercata perché avremmo accettato di sostenere gli americani contro i russi probabilmente non sa proprio di cosa parla. In Germania c’era e c’è un governo pro-russo, la Francia ha riservato a Putin cerimoniali non da Presidente ma da Monarca. Dal 2014 il CFR ha stabilito che il peggior nemico degli Usa non è la Cina ma l’intesa russo-tedesca ed ha operato per spezzarla. Non ha mai trovato sponda a Berlino, spesso a Mosca dove la politica oscilla tra le intese con Washington e con i tedeschi, ma evidentemente la scelta dei russi è subordinata perché si rivolgono a noi solo quando in Usa ci sono i repubblicani, con i democratici c’è sempre Jalta.
Insomma è la Casa Bianca a orientare sempre il Cremlino.
Siccome in politica i toni nascondono la verità, anzi la occultano, è proprio quando s’insultano reciprocamente che russi e americani vanno a braccetto, come ora.
Noi volevamo, e vogliamo, un’intesa stretagica con la Russia in chiave gran continentale, gli americani la temono e offrono altro.
Si noti che è stato proprio Putin a rovesciare il tavolo delle trattative e dell’intesa eurorussa che sembrava risolvere la crisi, affermando che se la sarebbe vista con Biden e procedendo all’invasione.
Mentre l’invasione prosegue e i suo effetti ci strangolano, la Nato – che guarda e ride – si rianima e avanza.
Le provocazioni, specialmente inglesi, sono volte a togliere l’influenza tedesca sull’est, non davvero a minacciare militarmente Mosca.
Non dimentichiamoci peraltro che se i popoli dell’Est vogliono entrare nella Nato non è perché sono corrotti ma perché Mosca non ha mai cessato di considerarli Cosa Sua, come ha appena confermato con i fatti.
In quanto al resto non è assolutamente vero che l’Ucraina sarebbe entrata nella Nato e men che meno che avrebbe installato missili. Ma se anche fosse, i missili sono ovunque, anche sulle frontiere russe, senza contare che quelli più formidabili sono piazzati ben lontano, quindi non ha alcun senso saltare sulla sedia oggi.
I russi non dormono tranquilli per i missili? Da quando, da ieri? E noi che abbiamo testate nucleari russe e israeliane puntate sulle nostre città, e probabilmente inglesi se non hanno smontate quelle del piano atomico “d’emergenza”, oltre a più qualche atomica a stelle strisce sotto le chiappe che dovremmo dire?
Tutte le giustificazioni dell’invasione russa sono pretestuose e in mala fede.
È una scelta precisa e materialistica che pone di nuovo la Russia in rapporti privilegiati con gli Usa e ambo i compari insieme contro di noi.
Poi ci si può divertire a immaginarsi uno scontro di civiltà tra oligarchi e potenze che continuano a rifornirsi reciprocamente di gas, di petrolio, di informazioni (in Siria c’era il telefono rosso russo-americano) e che lasciano comunque passare armi perché più la guerra continua più fanno soldi, e chissenefrega dei civili e dei fanti!” Che sono i veri vincitori della guerra. Che potrebbero rappresentare il fronte interno con(tro) cui Zelensky combatterà la vera guerra che, adesso, Putin vuole (continuare a) fare. E che sarà stravinta dai nazionalisti, se riusciranno a capitolare a Kiev dopo i 10 giorni di viveri garantiti. Quelli da cui Putin – che sta facendo la guerra – vuole denazificare e che sono gli unici vincitori, gli unici a poter parlare di Patria, di valori – eccetto quello della pace che tale non è – gli unici veri che hanno conservato una Identità.
Quanno fanno sciarre le molenare, attaccateve le sacche (quando i mugnai litigano tieni sotto controllo la farina) diceva mia nonna che non era un’esperta di geopolitica, come non lo sono io per cui ora attendo le analisi politicologiche con annessi intrecci fantasy dei “consumati” periti della novella geopop che da subito hanno avuto la verità in tasca.
I SOGNI BELLI MUIONO ALL’ALBA
I sogni belli muoiono all’alba.
È fallito il tentativo di mediazione della Cina, partner della Russia e “amica” dell’Ucraina di Zelensky.
Da oggi si fa sul serio.
Non è più la guerra delle parole, ma da oggi muscoli e armi si mostrano davvero. Avrebbe dovuto essere una guerra lampo, ma il fatto che non lo è, il fatto che cominci solo ora dimostra che anche una superpotenza come la Russia e uno stratega come Putin possono fare male i loro conti.
Ogni giorno che passa è una sconfitta cocente per Putin e la sua Russia, ogni giorno che passa è una vittoria in più per l’Ucraina. Che verrà schiacciata, che sarà la destinataria di armi sempre più pesanti, di cui lei con tutta probabilità non dispone ma che, minuto dopo minuto, offre al mondo l’esempio di coraggio in quella lotta alla libertà di cui tutto il mondo, mai come ora, ha bisogno.
La NATO non è intervenuta, l’UE ha stanziato fondi, da unione bancaria che non è altro, gli USA, i veri colpevoli della loro esasperata esportazione della democrazia, l’hanno lasciata sola, allora si capirà bene, prostituta o meno, che l’Ucraina sta combattendo la sua battaglia migliore con i suoi uomini migliori. Quelli che non si arrendono. Quelli che lottano per la libertà della propria terra. Sì capirà bene che ogni posizione, scevra da ogni tifoseria, adesso va rivista: se a Kiev non ci sono soldiers di quella colazione nata già morta, Putin a chi fa la guerra? Perché inasprirà il dialogo con le armi? L’Ucraina sarà pure stata usata, ma Putin non ha dato prova di essere il grande stratega che dicono di essere. È stato provocato ed ha abboccato e adesso non sa più come tirarsi indietro. Rendendosi piccolo. Così come non si stanno tirando indietro i soldati ucraini. Rendendosi grandi. Giganti. Più di Putin. Che stanno sacrificando la loro vita in nome della libertà del proprio popolo e della propria terra. Che stanno andando incontro alla morte ben consci della loro libertà mortale. Come i 13 soldati che all’Isola dei Serpenti sono diventati eoi, morti senza arrendersi. Che all’intimazione della nave russa di arrendersi e deporre le armi altrimenti sarebbero stati bombardati, i 13 ucraini hanno risposto testualmente “Nave russa vai a fare in culo!”.
Se è vero che l’allargamento a est è stata vista come una minaccia ai propri confini, è altrettanto vero che i confini russi finiscono lì dove iniziano quelli ucraini e che, minaccia o meno a stelle e strisce, la sovranità di Kiev è sacrosanta almeno quanto quella dei confini di Mosca. Che distano solo 4 km nello stretto di Bering. O, se vogliamo, confinano. Pacificamente.
L’Ucraina fa gola a tutti perché è ricca. Nel sottosuolo. Nel comprare ciò che Mosca esporta. Ma anche di quegli uomini che Putin vuole “denazificare”. Quelli che sì, hanno la runa sul braccio, ma anche tanto coraggio da arrivare a morire per una Idea. Di Terra. Di Patria. Di Nazione.
Ma prima di oggi, ieri sera è stata dichiarata un’altra guerra. A noi. Italiani. Dal “nostro” Presidente del Consiglio. Ma non l’abbiamo vista. Come la guerra del Covid. Della certificazione verde. Dell’euro e dell’Unione europea. Del ’92. Di Tangentopoli e del Britannia. Guardiamo all’Ucraina sì, ma con altri occhi. Non dello spavento, ma dell’esempio. Senza andare a dormire pure stavolta.
GUERRA?
Ci siamo addormentati con la mascherina e ci siamo svegliati con l’elmetto.
Strano, vero? No, nient’affatto.
Ormai è così che i padroni vogliono vada il modo, è così che chi decide delle nostre vite vuole che viviamo: in un perenne stato di agitazione, di paura, di sconforto, sempre in allerta, sempre in bilico, un’emergenza perenne, un’insicurezza senza fine.
Più che la guerra fa paura l’attesa della guerra, paventata e osannata come l’ultimo atto virile di un maschio alfa che non si rassegna all’andropausa. Una guerra e una vita in attesa di essa, manco fosse il me$$ia per gli ebrei.
Sarà una guerra convenzionale? No, non tutti sono americani. Il tempo della forza impotente e gratuita di Dresda e Hiroshima e Nagasaki è finita. Gli Yankees hanno aperto filiali NATO come Mc Donald’s che ai macellai russi non hanno dato fastidio fin quando le hanno inaugurate difronte a casa loro. In Ucraina, diventata la Natascia del film Così parlò Bellavista: con 10mila lire ti fa servizio completo, sopra e sotto.
D’altronde, ci si sveglia solo adesso, sarà stato l’effetto soporifero del Covid, visto che le intenzioni erano chiare e mai nascoste. Già subito dopo l’elezione (?) di Biden, cioè da prima, perché Bidenich fosse eletto.
Al primo G7 in Cornovaglia – dove l’invito alla Russia è sospeso dal 2014 proprio per la questione Ucraina – si partorì un documento, il Carbis Bay, sottoscritto da tutti i presenti, o meglio da tutti gli invitati, che istituiva di fatto la costituzione (la riflessione sui termini è d’obbligo!) di un fronte mondiale politico, economico, ma principalmente militare, contro Russia e Cina.
Al summit era presente, ops fu invitata, anche l’Australia, quella “quasi Italia” in quanto a restrizioni Covid, che fu dotata di una flotta di sottomarini nucleari sguinzagliati come controllo (leggasi provocazione) in luogo e in largo in tutti i mari contro la Cina.
Tuttavia, esisteva un altro documento risalente ai tempi dell’unificazione della Germania che prevedeva la non espansione ad est da parte della NATO; documento cui si è riservato lo stesso trattamento destinato alla nata partigiana e battezzata democraticacristaina Costituzione.
L’arroganza americana ha ormai valicato i confini del tollerabile e la tolleranza russa è terminata. Mosca inizia a difendere la sua sicurezza e la sua incolumità. Le agenzie di stampa, quella già arruolata nella guerra Covid, lancia veline di attacchi russi in numero probabilmente maggiore dei reali colpi esplosi. Praticamente zero da parte degli invasori-alleati-protettori americani. La risposta di Whasington è partita con le sanzioni e continuerà con le sanzioni che saranno solo una ferita di striscio per Mosca. Ci saranno morti, certo, ci saranno persone in fuga e la guerra negli occhi dei bambini, ma a questo avrebbero dovuto pensarci quei padri che approntavano la loro Ucraina in funzione anti-russa. Quella stessa Ucraina che non è membro (obbligatoria riflessione sui termini!) NATO e non è un cazzo nella UE, per cui gli esportatori di democrazia since 1776 dovrebbero inventarsi altro rispetto all’intervento armato diretto. Le sanzioni appunto.
Non ci sarà alcuna guerra mondiale, l’Ucraina-Natascia verrà sistemata in poco tempo, una botta e via che fa tanto consumismo yankee, ma la tensione – non solo lì – continuerà. È una strategia.
E l’Italia? Al massimo ospiterà sparute migliaia di sfollati. Fa parte del copione. Quello della realtà preveda che i civili non sono oggetto di rappresaglie e sono al sicuro, visto che i combattenti ucraine depongono le armi.
Li rifocilleremo e ce ne faremo carico. Come già facciamo con i soldiers U.S. Come già facciamo con qualunque clandestino si dica profugo, rifilugiato o disertore, che nel Bel Paese non è più una brutta parola.
Quella Italia che forse già sapeva, tanto da prevedere un aumento 5% per le spese militari nel 2022. Ben 26 miliardi di euro. In piena pandemia. E con una inflazione che si prevede più letale del virus e i cui effetti sono già noti e evidenti.
La stessa Italia che oggi, già in prima lettura, ha fatto sapere porrà la fiducia sull’obbligo vaccinale (solo per adesso) per i cinquantenni e l’obbrobrio del relativo green pass. Per sempre. Mentre dal prossimo Consiglio dei Ministri, di cui fanno parte i diplomatici Gigino il fagocitatore di delizie tropicali durante le cene di gala a seguito di viaggi vuoti e il contabile Draghi, fautore delle tavole rotonde stile Aspen, un omologo francese siederà alla loro stessa tavola, perché così ha deciso Mattarella, defecando sull’intero Parlamento, riunito in seduta silente e complice. Ma le invasioni di campo sono quelle di Putin e la sovranità da difendere è solo quella di Natascia.
DICHIARAZIONE DI GUERRA
Che si dichiara così una guerra? Senza che nessuno abbia prima detto che il Covid è fin(i)to? E non perché qualche Nobel(lo) secchione con gli occhiali a culo di bottiglia e la testa quanto una televisione abbia affermato che, dopo due anni di emergenza che non è emergenza ma solo “nuova normalità”, il virus ormai è endemico e ha perso la propria virulenza, ma perché i “padroni del mondo” hanno deciso di concentrarsi sul fronte orientale. Nel senso che si sono concentrati lì e dicono a Putin di ritirarsi non dicendo, però, che Mosca non ha mai sconfinato e non può ritirarsi da nessuna parte, visto che da nessuna parte è andata. È rimasta a casa sua. Che in americano suona come “il nemico non ha accettato le nostre condizioni di peace”. Te piace o non ti piace. La stessa America che aveva diramato al mondo intero la notizia secondo cui Putin avrebbe attaccato il tal giorno, alla tale ora. Cosa rivelatasi vera e verificabile almeno quanto l’esportazione della loro democrazia. USA & getta. Consumismo esasperato.
Mosca avrebbe dovuto attaccare, ma l’Ammerega era già sui confini a “difendere”. L’Ammerega schiera l’arsenale bellico, ma la colpa è di Mosca. Appare evidente che l’unica mosca – e pure bianca – è quel figlio di Mosca, allievo del KGB: mentre vanno in onda le conferenze in diretta mondiale per raccontare la III guerra mondiale, la controffensiva a stelle e strisce sta tutta in sanzioni economiche, già annunciate. L’Unione europea fa addirittura di più – che significa di peggio – e annuncia delle “sanzioni personali” verso Putin. Cioè? La sovrattassa turistica o il divieto di sosta se Putin dovesse mai recarsi a Bruxelles?
L’Ucraina, da parte sua, dopo la Crimea, perde anche il Donbass. Vivi il sogno americano…
E Putin, dopo aver riconosciuto l’indipendenza delle repubbliche separatiste, in accordo coi due Presidenti, invia le proprie forze militari per difenderle… dalla peace americana.
Ma solo la Russia è cattiva? Nooooo. Anche la Siria di Assad annuncia che è pronta a riconoscere le repubbliche del Donbass di Donetsk e Luhansk. Anche Venezuela, Cuba e Nicaragua riconosceranno probabilmente le repubbliche di Donetsk e Lugansk a breve, secondo lanci di agenzia. Si attende di conoscere le risposte di Cina e Brasile, ma a considerare da come sono state ricevuti al tavolo del Cremlino, rispetto ad un Macron…
Non sono forse schieramenti questi? Alleanze? Nazioni Unite?
E la NATO? E l’ONU?
Inutili. Come l’Unione europea. Morte. Finalmente.
E l’Italia? L’Italia attende che il ministro degli Esteri Di Maio riferisca in Aula. Riferire. In aula. Di Maio. Capite? Di Maio che riferisce in aula! Non capisco.
Persino più ridicolo di Letta che parla di difesa dei confini!
Figliuolo. Il generalissimo plurimedagliato, pennuto, ma in camice white! Le Forze Armate di aggeggio elettronico per il controllo della propiska.
Ma in Italia c’è il Covid! Ci vogliono i vaccini e le mascherine. Il green pass e le restrizioni. Ma il virus non era sparito? Sì, ma è meglio tenerle. Per precauzione. Non si sa mai. Questa potrebbe essere solo una boccata di ossigeno. E poi, se scompare il virus, non è detto debbano necessariamente scomparire i suoi postumi. A volte, gli effetti finiscono per rappresentare le vere cause. Magari le premesse per una emergenza infinita. A cui, prima o poi, ci si abitua. E l’abitudine è sorella gemella della normalità. E così appare normale che non puoi più guadagnarti il pane solo perché hai cinquant’anni. Che sei vuoi lavorare, studiare, divertirti e vivere devi essere autorizzato. Che non sei più padrone di stare in casa tua con chi vuoi o decidere di riprodurti come e quanto vuoi. Che il lavoro che hai deciso di fare o che comunque ti consente di vivere, tutt’a un tratto, viene considerato “non essenziale”. Allora le attività chiudono, la disoccupazione aumenta, i poveri si moltiplicano, l’Italia si impoverisce. Sparisce. E si vende. Si svende. Ricchezza. Potenzialità. Eccellenza. Dignità. Che sono le macerie evidenti della guerra vera. Non combattuta, ma già abbattutasi. Subita. Solo che non si è vista, grazie alla mascherina. Alle restrizioni che ti hanno tappato in casa. Al diritto alla puntura di vita, con scadenza rinnovabile. Ma noi non possiamo fare altro che subire. Subire con 59 basi NATO sul nostro territorio e parecchi metri cubi di gas della Gazprom. Subire, nonostante le 59 basi NATO sul nostro territorio e i migliaia di metri cubi di gas della GAZPROM che consumiamo. Quando la smetteremo di praticare il tifo non agonistico anche in politica, a non essere filo-americani, filo-russi, filo-qualsiasi cosa, patrioti europei e saremo essenzialmente Italiani filo-italiani allora saremo pure più orgogliosi e consci della grandezza nazionale. E solo allora potremo anche farci finalmente i cazzi nostri.
Fenomenologia dell’ICTUS ITALICO : da squali e piranha a piscitiell’ ‘e cannuccia!
Alla fine sono arrivati anche loro. Anche loro sono insorti. Quelli che erano stati lungamente assenti nelle proteste per il presente che è il loro futuro. I giovani. Sono scesi in piazza per protestare. O meglio, sono entrati a scuola, per protestare. Pro-testare, secondo le logiche sperimentali del ministero per la transizione ecologica e digitale, che mescia, alza i calici e brinda. Prima di blindare.
Nell’ottica della tradizione che è coniugazione del passato col futuro, è ancora Roma ad esser caput mundi. Galeotto fu il liceo capitolino Augusto Righi dove è successo il fatto: una giovane fanciulla sedicenne – e forse pure sedicente – colta in fallo mentre si faceva un tik tok, ovvero registrava un breve filmato nei locali della scuola per poi pubblicarlo in internet, alzandosi la maglia. Un poco troppo per un’insegnante che ha assistito alla scema/scena e ha chiesto alla fanciulla se credesse di trovarsi sulla Salaria, metonimia per il luogo di assembramento delle lucciole.
Immediata la replica dell’alunna che, consapevole di aver infranto il dress code, quello che prima del forzoso angliscismo di Schengen si chiamava italianamente “decoro”, gioca il jolly e si attacca al sessismo. Che ormai ha fottuto pure il politically correct e le quote rosa e va addirittura meglio del cacio sui maccheroni.
Immediatamente precettata la falange di gioventù che collettivamente ha solidarizzato con l’influencer influenzata e ha deciso di infrangere a sua volta il dress code e si è un recata a scuola in short, canotta e minigonne. La risposta dal mondo dell’informazione non s’è fatta attendere e repentinamente è iniziata la caccia alla Preside la quale, con fare andreottiano, non era presente e non s’è accorta di nulla, ma, in compenso, ha provveduto a scusarsi per l’insegnante che sicuramente non intendeva offendere la giovane. La quale, però, non si accontenta e pretende le scuse dell’accusatrice che ancora non sono arrivate. Forse pretende l’abiura e poi il rogo, senza aver minimamente proferito e preferito discettare sulla propria condotta. Un atteggiamento tipico del piscitiello di cannuccia, ovvero della persona stupida, ingenua che viene pescata con facilità. D’altronde questa è la generazione dei pronipoti dei partigiani, nipoti dei sessantottini, persino la loro degenerazione. I loro antenati, a differenza loro, anziché scoprirsi, si coprivano con eskimo e Hazaret 36, e andavano in piazza a dare e (soprattutto) a prendere mazzate contro i coetanei in bomber e anfibi in nome di una ideologia. Ma questa è la (de)generazione delle sardine, che non sono altro che i baccalà dei loro nonni squali e bisnonni piranha, pur confrontatisi e scontratisi con la generazione dello stoccafisso.
A giudicare dall’argomento della protesta, dei meri “pesci pigliati co’ ‘a botta”, ovvero senza spina dorsale, verso quella scuola che più non forma, che non prepara al futuro e che non dà più nemmeno un metodo per studiare. Quella scuola europe(ist)a misurata a colpi di crocette da test “Invalsi” e sui cui l’Europa non ha mai avuto da ridire, da pretendere per alzarne gli standard. Quelle scuole dove ormai non insegnano più la ricerca, che è filosofia, che è amore per il sapere e dove manca persino la carta igienica, usata al posto dello spirito critico. Quella scuola sostituita dalla DaD che è solo la variante all’edificio freddo, malfunzionante e fatiscente.
Eppure proprio in questi giorni il mondo della scuola vive una tragedia doppia, la conseguenza di quella riforma spacciata come “Buona Scuola” che pre-vede l’alternanza scuola-lavoro, ma che ha fatto due vittime. Minorenni. Non retribuite. E di qui al caporalato il passo è breve… a istituzionalizzarlo.
Il Righi di Roma non è che solo l’oblò di un acquario nazionale in cui esiste – Vivaddio! Nel senso dell’acronimo greco ictùs, non “colpo”, ma “Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore” – anche quella scuola che è scesa in piazza per solidarietà nei confronti di queste due giovani vittime cadute nemmeno nell’adempimento del proprio lavoro e che hanno trovato la risposta dello stato nei manganelli inviati dal Viminale. Perché evidentemente tra i banchi, seppur non a rotelle, c’è ancora chi osa e usa pensare. Al confronto della massa, nemmeno minimamente infuriata dalla mancanza di fondi, dai turni a scuola per via non del sovraffollamento, ma perché le aule sono troppo piccole per con-tenere il covid; non per l’obbligo di mascherina o per un obbligo di cui non esiste obbligo circa il vaccino che è strumento propedeutico per la frequenza in presenza e per sostenere gli esami. Per questa scuola che non fa accedere ai laboratori per… boh; perché non forma, ma uni-forma, figlia perennemente minorenne e inguaribilmente minorata di quel 6 politico a dispetto della competitività e della meritocrazia. E loro ci cadono come dei perfetti “pesci a broro”, esseri rammolliti e amorfi che nulla pretendono per il proprio presente, condizione essenziale per il proprio futuro. E chissà, se anche questa protesta dai contenuti penumaticamente vuoti e retorici, a giudicare anche dallo spazio riservato dalla complice in-formazione, non sia solo una controprotesta creata ad arte per mascherare problemi fin troppo evidenti anche con tutte le precauzioni e le mascherine del (nuovo) mondo. E voi, ancora una volta, avete abboccato.
https://www.camposud.it/fenomenologia-dellictus-italico-da-squali-e-piranha-a-piscitiell-e-cannuccia/tony-fabrizio/
UN CATTIVO MAESTRO………
lla fine non ce l’ha fatta. O forse sì, l’insegnante trentatreenne calabrese che ha deciso di darsi fuoco davanti alla caserma dei Carabinieri di Rende, in provincia di Cosenza, per protestare contro le misure restrittive del governo.
Misure restrittive illogiche secondo gli esperti, inefficaci alla prova provata che hanno di fatto escluso il professore, e tanti altri come lui, dal diritto al lavoro su cui si fonda questa democratica repubblica sin dal 1948.
Si dice fosse vaccinato. Si dice non lo fosse. Ma solo che non volesse piegarsi all’obbligo velato del green pass ottenibile con la somministrazione di tre dosi di vaccino. Certificazione che ha tutte le caratteristiche per essere un vero e proprio ricatto, ma non è questo il punto. Ciò che è incredibile è che nulla si sa di questo professore disperato perché gli unici deputati ad informare, così formati e in-formando a loro volta, si sono omologati al silenzio. O all’assenza di informazione che sovente viene imposta attraverso la cernita delle notizie.
È vero, in rete si trovano vari video di questa nuova torcia umana, addirittura per il comune cittadino è possibile riuscire a vedere la foto dell’uomo ustionato appena entrato in ambulanza. Non vale la pena riproporle perché non hanno più forza del gesto dell’insegnante disperato. Anche se verrebbe da chiedere se il primo soccorso praticato a bordo del mezzo dal personale d’emergenza sia quello di immortalare l’immagine dell’eroe del giorno. O del povero disperato, se volete.
Lo sconosciuto insegnante è diventato la nuova torcia umana, un emulo di Jan Palach dopo oltre mezzo secolo. Necessario. Vergognosamente necessario. Anche a Praga tutto iniziò annullando la libertà di stampa, limitando il diritto di riunione e poi di sciopero. Poi a parlare solo la “Zpravy”, la voce del regime sovietico. Ad acuire la drammaticità della situazione, la mancata partecipazione della maggior parte della gente. Quella era la Cecoslovacchia dell’invasione sovietica del ’68. Questa, invece, pressoché identica, è l’evoluta Italia di Draghi, del governo della transizione ecologica e del modernismo sfrenato. Come nell’ex Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche occorreva la propiska anche solo per circolare, in Italia oggi ci vuole la carta verde anche solo per guadagnarsi da vivere. Come a Praga allora, anche qui ormai la gente è costretta a bruciarsi viva in piazza per scuotere la coscienza di questi corpi vuoti a perdere. A perdere i diritti. A perdere la libertà. A perdere la dignità. “A sperare che è sparire, eclissarsi dallo spazio pubblico come soggetti attivi e padroni del proprio destino”. Ricordate Domenique Venner e il suo monito di insorgere contro il fatalismo? “Non si spera, si vuole. Si agisce, ma sempre senza speranza.
“Senza speranza significa senza illusioni, ma anche senza paura. Senza zavorre, senza padroni. Ma sempre con il cuore. Chi spera non sa amare perché non sente quel certo fuoco dentro che ti fa gettare il cuore oltre l’ostacolo. Quel qualcosa, quell’elemento magico che a noi piace chiamare appunto disperato amore. Perché non spera, perché non muore. Perché ostinato. Perché combattente. Forse romantico. Come solo gli innamorati sanno essere”, come scrive Scianca in “Riprendersi Tutto”.
Un martire, forse un eroe, sicuramente un altro suicidio di questo stato che ha cessato di essere Patria, terra dei padri, che non si cura più del suo humus vitale, dei suoi figli che ancora, nonostante tutto, sono costretti e disposti ad immolarsi per lei.
Il professore è un esempio scomodo, da non riportare non ricordare, da eclissare perché non diventi esempio.
Perché non diventi il primo di tanti come per gli imprenditori suicidatisi ai tempi di Mario Monti presidente del Consiglio. Come Jan Palach, la torcia umana numero uno. Che ha voluto insegnarci a insorgere, a ribellarsi, a lottare. Un cattivo maestro!
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