NAPOLI, SCONVOLTA E CAPOVOLTA


Napoli continua a morire. Ad una settimana dai tragici fatti occorsi a Santa Lucia costati la vita al giovane Ugo Russo, il quindicenne napoletano che aveva tentato una rapina ai danni di un carabiniere nella parte “buona” della città partenopea, nessuno sembra ancora trovare pace. Solo scusanti, involontari colpevoli e presunti innocenti. Per oscurare qualche fioca luce, per depistare dalla retta via, per riempire qualche vuoto, ormai incolmabile. Meglio allora servire un capro espiatorio piuttosto che un colpevole, raccontarsi una bella bugia piuttosto che una cruda verità, confondere bene e male, giusto e sbagliato, illecito e onesto. Tra i preferiti, nella folle lista dei folli, ci sono le istituzioni, concetto tanto vago quanto generico, assenti e non soddisfacenti che pure avevano organizzato un corso per pizzaioli che il giovane Ugo Russo non frequenterà mai. Quel lavoro che al Sud non c’è e che Ugo l’aveva trovato nel settore ortofrutticolo. Forse un assistenzialismo statale non sufficiente come i soldi che Ugo guadagnava. Come tanti. Difficoltà non tanto diverse da tanti altri lavori, diversi eppure uguali. Che, forse, davvero insegnano a fare l’<<omm>>. Esigenze e bisogni non certo diversi da tanti altri coetanei che non trovano vie alternative alla legalità. Non in questo caso, però, diventato tristemente, doppiamente tragico.
Una mano sinistra che diventa pericoloso e fuorviante megafono sembrano darla quei veicoli che dovrebbero trasmettere messaggi ben diversi. Che hanno la responsabilità di educare prima che di raccontare. Penso a Napoli Fanpage, prima testata locale, molto vicina al senatore Sandro Ruotolo fresco di nomina a Palazzo Madama, a dare voce al padre di Ugo diventato guest star urbi et orbi, onnipresente e dotato di sopportare ore ed ore di servizi e dirette che, tra un delirio ed uno sfogo chiama ragazzata una rapina mentre impartisce istruzioni al Carabiniere assassino su come mirare alle gambe e su come avrebbe dovuto “far fujre” suo figlio, ma incapace di chiedersi come mai a 15 anni si esca con una pistola in tasca. Quelle testate giornalistiche che insistentemente parlano di carabiniere fuori servizio quasi a ricercare una presunta colpa ignorando che un carabiniere è tale 24 ore al giorno ed è ritenuto colpevole a “non impedire un evento, che si aveva l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
Un carabiniere omicida volontario e non un 15enne che esce di casa con una replica per commettere intenzionalmente reati. Di certo più di uno in una serata e chissà se e quanti ancora prima di quello che è stato l’ultimo. Non dando voce, però, a quel pacifico “te sparo ‘ngapa” così come a quel sanguinoso “non preoccuparti, non ti lascio morire”. Prestandosi a riprendere quel padre superstar del sit-in con tanto di cartello di vicinanza ai Carabinieri davanti al Comando Provinciale Pastrengo, solo pochi giorni prima obiettivo di una vergognosa stesa seguìta alla morte del giovane figlio.
Voci unanime e solidali arrivano anche da Pietro Ioia, ex pluridecennale carcerato ed oggi Garante dei detenuti presso il Comune di Napoli, ruolo complesso quindi riservato ad avvocati, sociologi, personalità importanti, ma che a Napoli ha trovato in Ioia il rappresentante eletto e che oggi sostiene che “a Napoli non giri con il Rolex”. Una nomina la sua che già in illo tempore suscitò reazioni negative, ma se per de Magistris vi era “troppa strumentazione politica”, per il presidente Fico era “giusto dare una seconda possibilità a chi ha fallito la prima”.
Gli fa eco il gomorrofilo Roberto Saviano le cui parole trasudano una irreprensibile invidia sociale nei confronti di quel carabiniere che indossa il Rolex e guida una Mercedes. Parole assurde quelle del guagliunciello sagliùto che abita nell’attico a Manhattan, per dirla con l’amica e scrittrice Marina Salvadore, che suonano come una scusante per il guappo che impara a fare l’<<omm>> che non poteva sapere che chi indossa un Rolex, autentico o pezzotto, e guida una Mercedes, nuova o pluriusata, possa essere un Carabiniere. Sdoganando il furto anche compiuto con la violenza e disprezzando il lavoro onesto, coronamento di impegno e dedizione. Sminuendo la vita, attribuendole il valore di un orologio, autentico o presunto tale che dovrebbe scandire gli attimi di una vita bella, ma le cui lancette adesso sono inesorabilmente ferme. Per entrambi. Per sempre.

SE TUTTE LE VITE SONO UGUALI NON LO SONO TUTTE LE MORTI


Se tutte le vite sono uguali non lo sono tutte le morti. O meglio, tutti i modi di morire e le riflessioni che ad esso si accomoganano. Se 16 anni sono pochi per perdere la vita e un’età in cui alla morte nemmeno pensi, 23 anni non sono diversi per pensare di doverla difendere la vita. La tua vita e quella di chi ti sta accanto. In quel momento, fossi anche un Carabiniere, non ragioni, vai d’istinto e, mantenendo il sangue freddo, impugni la tua pistola (d’ordinanza) e metti in pratica ciò che al corso ti hanno insegnato, le regole base: tre colpi. Come da manuale.
Mentre hai la pistola alla tempia, di sera, al buio, di sorpresa e tenti di uscirne vivo, meglio se indenne, con una forza di difesa che è sempre minore rispetto a quella di chi offende, non riesci a distinguere una pistola giocattolo da una vera. Anche perché le riproduzioni sono pressoché identiche. Per colore e per peso, armano e scarrellano, finanche il cane riproduce gli stessi movimenti. Mentre hai la pistola alla tempia e due delinquenti difronte sei responsabile della tua vita e di chi sta con te e non sai nemmeno se la rapina terminerà con l’oggetto portato via. Pistola contro pistola, non ha vinto nessuno. Il Carabiniere è salvo, ma non è detto che non sia morto dentro. Psicologicamente. Professionalmente. È già indagato, come da manuale, per eccesso di legittima difesa.
Il 16enne è rimasto a terra, anch’egli vittima del suo essere o forse del suo assomigliare ai modelli descritti, rappresentati ed emulati, ma che non sempre corrispondono alla realtà. Della sua educazione, della sua famiglia, del suo abbandono. Descritto, purtroppo postumo, come un bravo ragazzo, un lavoratore che aiuta la famiglia in una età in cui i fatti hanno dimostrato che, forse, non avrebbe dovuto aiutare, ma essere aiutato. Essere uno studente prima che un lavoratore.
Uscire un sabato sera qualunque con una riproduzione addosso per imparare a fare l’ 《omm’》non significa essere bravi ragazzi e lavoratori. Magari a spese di chi a posto lo era per davvero. E oggi si ritrova, per un assurdo gioco del destino, ad essere colpevole per aver deciso di stare dalla parte giusta. Sulle cui spalle si chiede giustizia e non si ricorda che è stato lui il primo a prestare soccorso alla sua vittima, di cui è rimasto vittima a sua volta. Perché lui, il carabiniere, a 23 anni aveva già scelto da che parte stare ed aveva la mira buona, era preparato ad offendere per difendere e che forse solo uno sfortunato scherzo del tempo ha permesso che si incontrasse un delinquente inesperto, ancora in erba o non ancora del tutto formato. Forse. Perché fa strano raccontare a parti inverse questa rapina finita male. Forse solo per una sorta di giustizia temporale. Fosse successo dopo, saremmo a raccontare un altro Carlo Giuliani, un altro maresciallo Di Gennaro, un altro Mario Cerciello Rega, un altro Filippo Raciti.
Non sono binari della stazione, ma la “parte buona” di quella Napoli che inizia al Vasto, diventato terra di nessuno, continua al Borgo Sant’Antonio dove il Questore ritira i suoi uomini inviati poco prima per il controllo dei tradizionali falò e aggrediti con ogni oggetto da ragazzini tra l’indifferenza complice e partecipata degli adulti. È la Napoli che risponde a questa rapina finita in omicidio incassando la stesa contro la caserma Pastrengo. Quella Napoli dove il Carabiniere è stato iscritto nel registro degli indagati per eccesso di legittima difesa e ai familiari del rapinatore, perché – purtroppo – tale è, che hanno sfasciato il Pronto Soccorso del Vecchio Pellegrini, che tentava di salvarlo, tanto da doverlo chiudere, nessuno ha chiesto nemmeno conto circa l’interruzione di pubblico servizio. È la Napoli partita da Scampia e Secondigliano, trasformatasi in Parco Verde a Caivano, annoverata per il rione Traiano e “preservata” affinché resti così com’è, perché nulla cambi. Ma che si pensa possa rinascere abbattendo le Vele perché sono simbolo di degrado. E la Napoli che dà voce al dolore di un padre che dovrebbe essere silenzioso se non muto. Lo stesso silenzio se non mutismo calato sul valoroso Carabiniere che ha difeso la propria vita e quella di chi era con lui da chi commetteva un’ingiustizia. Lo stesso silenzio e lo stesso mutismo sul personale del Vecchio Pellegrini. Ieri come domani. Lo stesso silenzio e lo stesso mutismo nel parlare di eroe e di vittima, del bene e del male.

IN VIRUS VERITAS

In virus Veritas.
In un futuro, magari non troppo lontano, forse già lunedì quando apriranno scuole e uffici, quando la gente toglierà le mascherine e gli scaffali di Amuchina saranno rimpiazzati da abbronzanti e oli solari, ci accorgeremo che questo COVID-19, ribattezzato coronavirus, è stato il “re” delle paure, una globale arma di distrazione di massa. Non un pericolo mondiale, ma solo un veicolo per spaventare le persone e danneggiare la loro economia. Sarà un caso, ma il coronavirus ha colpito in primis la Cina, una potenza economica che sembrava inarrestabile (il rivoluzionario 5G è cinese) anche in piena guerra dei dazi. E il posto dove scivolare più facilmente è stata la Via della Seta, che unisce la Cina con l’Italia, quel Paese che, però, ospita ben 52 basi NATO.
In Italia il virus pare abbia avuto preferenza per il lombardo-veneto ovvero per quella parte di Stivale che pullula di industrie e che rappresenta oltre la metà del PIL nazionale e il 2% di quello europeo. Quella Europa “madre protettiva” ma solo verso se stessa con il suo silenzio interessato alla chiusura di ogni frontiera verso la figlia-Italia che, in rispettosa ottemperanza di Bruxelles, non ha sospeso né Schengen né i voli indiretti provenienti dall’Asia, rischiando di diventare un lazzaretto a cielo aperto.
Risultato: Italia paralizzata ed isolata nel suo (?) psicodramma, rivelatosi più psico che dramma, per dirla con Capuozzo. Viene da chiedersi se tutto ciò sia stato possibile solo con un governo totalmente prono a Bruxelles e fino a che punto possa ravvisarsi una propria responsabilità (o compartecipazione). Sempre nell’ottica della distrazione, il governo nazionale ha pensato bene di sparare sulla croce rossa, rappresentata dall’ospedale di Codogno, colpevole di aver disapplicato delle norme di un inesistente protocollo di emergenza messo a punto dopo che l’emergenza era stata fatta passare come realtà, nello stesso tempo minimizzando sull’emergenza stessa. Quella emergenza importata su cui né la Farnesina, né il Viminale si sono pronunciati, ma che ha consentito ugualmente sbarchi incondizionati sulle coste italiche. L’Italia si è così ritrovata di nuovo divisa a metà, con l’avvocato degli Italiani in veste di PM che accusava quella eccellente sanità lombarda (anche) da lui finanziata per il doppio rispetto ad ogni altro pezzo d’Italia alla quale non ha, tuttavia, risparmiato tagli. Allora meglio giocarsi la carta della guerra dei poveri, meglio far scannare gli italiani del Nord che ce l’hanno con quelli del Sud che paradossalmente non li accolgono, nonostante il Premier minacci sanzioni pecuniarie verso chi disattende l’obbligo di quarantena imposta. Che poi se non riesce a controllare lo sciacallo scarrozzamento in lungo ed in largo per la Penisola è solo per giustificare il mancato controllo dei 48 varchi di accesso nazionale. Allora stavolta meglio far parlare loro, i cittadini che mai si ascoltano, farli ammazzare tra di loro. Tanto se al nord la morte è nell’aria e uccide i vecchi, al Sud la morte viaggia persino sottoterra (dal Nord) uccidendo bambini ai cui funerali sono ammessi solo il parroco e due familiari. Per ordine di governo. Quel governo che non incentiva le nascite, ma che puntualmente emette prosopopee sulla denatalizzazione e che prende ordini da quell’Unione la cui Presidente ha chiaramente espresso il proprio disappunto sulla longevità della senilità, sui costi che una persona anziana ha per le casse dello stato. Quell’unione a cui giova avere una Nazione divisa, perché meno Italia in Europa significa più Europa in Italia.
Questo allora è il momento opportuno ed il clima adatto per mettere le mani nelle tasche degli Italiani, per toccare i propri conti correnti, per non parlare più del MES (già firmato contro ogni legge!) ossia di come i risparmi degli Italiani finiranno per salvare le banche tedesche. La Francia, saccheggiatrice più che mai, in rispetto all’asse Parigi-Berlino santificato ad Aquisgrana qualche tempo fa, verrà in Italia ad acquistare le poche aziende italiane rimaste (la Germania verrà addirittura con i nostro soldi!) facendoci lavorare, per chi ci arriverà, fino all’età di 70 anni e ci “spiegheranno” – proff. Monti e Prodi docent- che questo è un processo inevitabile per la nostra Nazione.
Quella nazione che trova ancora al proprio governo quella sinistra sconfitta alle urne e che, nonostante ciò, riesce ancora a sedersi sugli scranni più alti. Inspiegabilmente. O forse no. Quella sinistra che ormai nemmeno conta più i decorati dalla Repubblica Francese con la massima onorificenza e che -inspiegabilmente o forse no- annovera tra i suoi il Presidente del Parlamento europeo e il più stretto consigliere di Macron. Verrebbe allora da chiedersi cosa abbiamo fatto di tanto male, ma forse la domanda giusta è chiederci quanto bene abbiamo noi per poter fare tanto male agli altri. Con ciò si spiegherebbe anche il continuo affossare l’Italia, l’inarrestabile voglia della sua distruzione, l’appiattimento delle proprie menti, l’annullamento delle proprie forze, la cancellazione delle nostre eccellenze. Del nostro essere popolo. Del nostro essere Italia. Che è il vero virus.

RI(S)CATTO MERIDIONALE

RIS(C)ATTO MERIDIONALE
Ci hanno provato. Ancora. Ininterrottamente dal 1861. Dando ulteriormente prova di grande fantasia e abilità sfiorando il goffo e a tratti il ridicolo.
L’ultimo ris(c)atto meridionale, sorta di accanimento terapeutico per il Meridione da parte dei fratelli nordici, passa niente meno che attraverso il cervellone nazional-meridionale, ricorrendo al neurone post-borbonico, millantando addirittura una scoperta globale in grado di salvare la specie umana, ma in realtà si scopre essere una bufala, non certo quelle autentiche e genuine dell’agro-aversano, ma delle medesime dimensioni.
Sono state riempite le pagine di ogni quotidiano del Belpaese e le cronache nazionali per dire che un team di ricercatrici universitarie tutte meridionali, manco fosse questo il vero contagio, aveva isolato il Coronavirus, la sola cosa cinese (?) che funziona e… resiste.
E giù di lì a “beatificare” l’origine meridionale delle ricercatrici che faceva davvero pensare che fosse la loro provenienza il vero virus da cui guardarsi e non la malattia cinese che ha seminato morte e contagio in tutto il globo terrestre.
Addirittura in una sinistra atmosfera buonista che fa tanto politically correct alla ricercatrice moliSANA che ha prestato i propri neuroni nonostante la firma del co.co.co quindi precaria, è stato offerto una regolarizzazione della propria posizione lavorativa (nessuno ha mai detto che si tratta di un contratto a tempo indeterminato) pur lavorando a Roma, in quella centralissima capitale d’Italia dove ancora vige quella regola secondo cui la meritocrazia non è la consuetudine né il metro di valutazione di questa bella Italia, ma il premio da dare non solo al merito appunto, ma soprattutto (anche) alla fortuna. Ma precaria fa molto più sinistra che fa molto più buonista che va molto più di moda che dà molte più garanzie.
Poiché detta bufala è durata il tempo di una puntura pur sperando nella propria diffusione (auspicando noi) solo nell’italica nazione e non ottenendo il risultato desiderato nemmeno attraverso il silenzio complice del Provenzano ministro del Sud (non è già questa una dis-crimi-nazione?), ci hanno spedito le “sardine”, presto rivelatesi sarPDine. Che se si è ben capito chi siano, non è altrettanto chiaro cosa vogliono e cosa facciano davvero, ma tuttavia sono ricevute al Senato, nelle istituzioni al pari di come Grillo, ideatore politico del (fu) Movimento 5 Stelle, è ricevuto in Commissione Giustizia, in Commissione Bilancio e nelle Ambasciate (cinese, ma solo in tempi non sospetti).
E se le sarpdine non erano a bordo del famigerato Britannia per mere questioni anagra-fiche, acclaratamente vi era qualche loro “padre-creat(t)ore”.
Sembra già vederle le SarPdine reclutate per la conquista del Meridione e di Napoli sua capitale al grido euro-italiota di “lavorare di meno e guadagnare di più”.
Quindi, coloro che nulla rappresentano se non il loro essere nulla, tra un “flop” a Scampia ed una magistrale moria in Piazza Dante, riescono a fare persino peggio del p.c. (primo cittadino) e dell’autoctono di provincia e bis-ministro e vice Di Maio dove, davanti agli stabilimenti (ormai in chiusura) della Whirlpool, il Ministro aveva promesso la risoluzione della crisi quindi lo scampato pericolo della chiusura dello stabilimento (poi avvenuta) e l’altro, seppur povero di idee, aveva ripiegato sull’immarcescibile “bella ciao”. Tanto per non fare niente.
Matteo Santori, sarpdina capo, fresco di convocazione di palazzo, in ossequio ai suoi predecessori inetti e sulla scia della coerenza (del non fare nulla) si è limitato a indossare la maglietta della Whirlpool, in barba ai tanto criticati simili atteggiamenti, non quella dei lavoratori, ma solo una t-shirt bianca con la scritta “Napoli non molla” facendo sapere che “non spetta a loro trovare le soluzioni della crisi”. Poi, tronfio come un kapo, scopre l’acqua calda affermando che “la mancanza di prospettiva e la disoccupazione sono i problemi principali. Non sta a noi risolverli, ma conoscere, approfondire e provare a dialogare con quella parte di società che si allontana dalla politica” sono i loro obiettivi. La via? Un flash-mob contro la presenza di Salvini in città. Che non è stato Ministro del Lavoro né è più al governo.
A questo punto viene da chiedersi cosa vogliono tutti questi “sudici” avvoltoi da questo Meridione incapace di risollevarsi, perennemente in ginocchio e pignone, ma a cui nessuno ha tentato almeno di spiegare gli ultimi dati SMIVEZ ovvero quello secondo cui una famiglia meridionale preferisce far studiare la propria prole in una Università del Nord Italia in quanto i costi da sostenere sono addirittura minori. Perché le risorse stanziate alle Regioni meridionali sono dunque di meno rispetto al Nord quindi l’offerta formativa è minore se non scarsa e tuttavia non è singolare il caso secondo cui le giovani menti laureate che trovano impiego al Nord, anche se formatesi nel Sud dello Stivale, siano cervelli in gamba nonostante le minori possibilità. Forse solo con una maggior voglia di riscatto. E non me ne voglia Saviano che li vede tutti come fanciulli criminali.
Nessuno è venuto a spiegare al Sud che tra poco più di un mese si terrà in tutta la Nazione un referendum costituzionale per tagliare i parlamentari che non significa taglio di poltrone e nemmeno risparmio (l’equivalente di un caffè al giorno) visto che tra i propositori vi è lo staff più costoso dell’intera vita repubblicana, ma significa che si avrà sempre meno rappresentanza in sede di governo, si legga di comando, che significa che maggiore sarà la possibilità di corrompere e, soprattutto, che regioni come la Basilicata o lo stesso Molise della ricercatrice precaria e premiata non avranno più voce in capitolo.
Mi chiedo cosa ne sanno le sardine di Meridione se al Sud sono venute solo per le vacanze; se l’offerta formativa è bassa e direttamente proporzionale alle risorse stanziate, eufemisticamente per dire che fa schifo, come fanno a proporre l’Erasmus interno.
Eppure, di eccellenze meridionali che insistono e resistono il territorio ne è pieno. E non sono dentro i palazzi, ma spesso dentro le ambulanze assaltate che tuttavia salvano una vita. Dentro un pronto soccorso dove si lavora con mezzi di fortuna o con mezzi messi a disposizione dalle proprie tasche riempite solo del proprio lavoro, in una scuola di confine non sentendosi supereoi, ma testimoniando con la costanza della presenza quotidiana il proprio essere speciale, indossando una divisa ed essendo già derisi quando solo accompagni tuo figlio a scuola. Sono quelle eccellenze meridionali che non scendono in strada con pistola e coltelli ma se in mano hanno una moneta la investono in un caffè sospeso. Ciò che nel resto d’Italia nemmeno si sa cosa sia.
Il Sud è pieno di problemi, ma non molto differenti dall’evasione fiscale padana o della criminalità appaltatrice dell’Expo, la crisi idrica pugliese non è molto differente da quella vissuta dal Piemonte in questo inverno, quella parlata napoletana e siciliana che ha il riconoscimento di essere considerata lingua rispetto ai dialetti veneti. Quel Sud che aveva già fondato il Banco di Napoli quando altrove si faceva ricorso al baratto, quel Sud che pullula di palazzi e parchi reali a dispetto della palude diffusa altrove, quel Sud già fiorente repubblica commerciale quando altrove non si riusciva nemmeno a comunicare.
Se non si capisce che il Meridione è la vera ricchezza (inesauribile visto che da esso si attinge da oltre 150 anni) soprattutto attraverso l’erario, lo sfruttamento del suolo con la creazione di aziende fantasma che producono solo l’evaporarsi del “finanziamento”, ormai ridotto anche a “cimitero della monnezza”, se non provate a volere il suo bene ve lo trascinerete dietro sempre a mo’ di appendice territoriale, espressione geografica di “alè-magna” memoria, se queste sono le vostre volontà lasciate almeno risolvere a noi stessi i nostri problemi. Di sardine che abboccano, ormai, ce ne sono pure troppe.

https://www.camposud.it/2020/03/riscatto-meridionale/

THE DAY AFTER

THE DAY AFTER
Il giorno dopo è quello del silenzio, quello deputato alle riflessioni e ai bilanci.
Accade, però, che il giorno dopo sia diventato quello dell’incredulità e del diniego, del disprezzo e dello schifo.
L’11 febbraio è il giorno dopo il Giorno del Ricordo, quello negato, quello che infastidisce, quello ancora avversato.
Non è la giornata della Memoria, per cui deve passare sotto silenzio questa giornata dedicata ai morti di serie B e in cui sotto silenzio passa ogni schifezza ad esso connesso.
Proprio ieri, nella Giornata del Ricordo e proprio nella martire Trieste è stato esposto uno striscione che invitava alla resistenza (quando manco più la Whirlpool le produce!) contornata da bandiere garrite con tanto di stella rossa innegianti al maresciallo Tito.
Accade che ieri nella commemorazione nei pressi della Foiba di Basovizza (che esiste!) alcuni esponenti locali del Pd, che è la continuazione di quell’anima comunista che in una sua roccaforte non ha potuto presentarsi con la propria faccia, hanno abbandonato la commemorazione quando ha preso la parola il forzista Maurizio Gasparri che non era lì in qualità di senatore azzurro, ma come Vicepresidente del Senato. Come Istituzione. Quel Senato oggi snobbato e ieri “preso” dall’ANPI, che per ovvie ragioni anagrafiche di partigiano non ha proprio nulla, per ospitare un soliloquio monòtono è monotòno sulle Foibe. Forse nell’estremo tentativo di ostacolare ed indirizzare quel revisionismo storico che dopo 70 anni di negazione ha portato alla luce la tragedia fratricida delle Foibe.
Accade che nel Giorno del Ricordo, il politico del Partito della Rifondazione Comunista Paolo Ferrero afferma in Tv che al boia Tito spetta la massima onorificenza della Repubblica italiana (concessagli dai suoi complici) perché ha contribuito a liberare l’Italia dal nazifascismo.
Evidentemente nella falsificazione storica finora raccontata hanno dimenticato, forse per le tante loro omissioni, che le truppe slave sono arrivate in territorio italiano a guerra conclusa, ovvero dopo la vergogna della resa incondizionata del Regio Esercito, capolavoro badogliano.
La loro spietata vendetta, la carneficina della pulizia etnica, è stata mirata e indirizzata verso ogni italiano. Non verso coloro che avevano, a torto o a ragione, avuto a che fare con il Partito Nazionale Fascista, ma contro tutti coloro che avevano la sola colpa di essere italiani. Sì, se il luogo di nascita può essere considerato una culpa. Quel luogo di nascita che oggi significa cittadinanza italiana e che adesso gli stessi vogliono sfruttare per estendere ad ogni singolo individuo proveniente da ogni angolo più remoto della Terra.
A nulla sono valse le chiare parole pronunciate in maniera inequivocabile (persino) da parte del Presidente, sempre più (loro) protettore, Sergio Mattarella che, in qualche suo raro sprazzo di lucidità politica, onestà intellettuale e, speriamo, orgoglio patrio ha definito le Foibe come una “scaigura nazionale”. Registriamo che nei dizionari ancora esiste questo aggettivo, ormai desueto.
È emblematico che i diretti discendenti dei carnefici con la Stella Rossa, assassini orgogliosi della lotta fratricida, oggi non perdono occasione per richiamarsi all’odio.
“Dimenticando” però lo stupro, uno su tutti, di Norma Cossetto che aveva la sola colpa di essere figlia di un dirigente fascista, stuprata da 16 titini, picchiata, amputata di entrambi i seni e solo infine infoibata.
È significativo che coloro che non perdono occasione per inneggiare all’odio non sono quelli che nel giorno della memoria espongono svastiche o altre infamità. Svastiche che nulla hanno a che fare con l’Italia come distinti e separati sono nazismo e Fascismo. Quell’Italia che ha ospitato anche campi di concentramento come quello di Ferramonti di Tarsia, nel cosentino, che sfilava gli ebrei salvati nei Balcani. Con tanto di sinagoga, biblioteche e parco giochi per bambini.
Banale che nel giorno del ricordo a Palermo, porto di approdo, viene preso a pugni una persona di colore con tanto di giustificazione razzista prima di sferrare il colpo. Come troppo prevedibile è il richiamo alla stella di Davide con la scritta “Jude” comparsa su una porta di un’abitazione in lingua rigorosamente non italiana.
Questi non sono atti di intimidazione né di razzismo, ma solo esternazioni isolate di ignoranti abissali e tali debbono rimanere. Come dovrebbe essere confinato nello stesso isolamento il comportamento di questa sinistra allo sbando che a tutti i costi vuole e disperatamente deve far parlare di sé. Anche andando via, anche inventando, anche negando, anche a discapito di ogni valore e ideale.
Per fortuna il tempo ci sta conducendo alla verità e su tanti argomenti tabù si sta facendo luce. I tempi sono ormai maturi per infoibare certi sinistri comportamenti e condannare all’oblio questo pericoloso tempo in cui alla sinistra tutto è con-cesso.

TERRA DEI FUOCHI: BRUCIANO LE ISTITUZIONI

La Terra dei fuochi rischia un’incredibile inversione a “U”, uno stop inspiegabile che potrebbe riportarla a essere di nuovo terra di nessuno, dove se finora lo Stato non era mai arrivato, adesso, che vi erano pur stati un’azione e un interessamento, rischia addirittura di abbandonare il territorio, “condannandolo” al fuoco eterno.
Il 17 dicembre scorso, infatti, è terminata la gestione commissariale decennale affidata a Mario De Biase, nominato nel 2010 con un’Ordinanza della Protezione Civile che, a suon di proroghe, spesso effimere, è arrivata a ottenere ottimi risultati se non addirittura miracolosi. E interessando ogni campo. Primo fra tutti “amministrare” i quaranta milioni stanziati per bonificare quell’area dove si muore di cancro e leucemia il 47% in più che altrove in Italia a causa dei rifiuti tossici, amianto e scorie radioattive – in una zona che non pullula certo di industrie – che sono (stati) interrati nei campi di piantagione, sotto i palazzi, dentro le strutture dei cavalcavia oppure dati alle fiamme. Dove si registra, per dirla con i numeri, una “mortalità in eccesso”, dove una vita media non supera i cinquant’anni, dove un pomodoro è nocivo anche al tatto.
Grazie a questi fondi, la maxi-discarica Resit di Giugliano in Campania, che a detta del Tribunale di Napoli, con i suoi seicentomila quadrati di estensione e due crateri dalla portata di un milione di metri cubi ognuno, rappresentava una bomba ecologica pronta a esplodere causando un immane disastro ambientale, è stata messa in sicurezza: non vi è più fuoriuscita di percolato né di biogas. Perdipiù la Resit è stata “trasformata” in un parco con 500 alberi piantumati e abbellita da due grandi murales, uno ritraente il volto del giornalista Giancarlo Siani, assassinato dalla camorra, proprio a testimoniare il ritorno alla legalità.
Sempre a Giugliano, in zona San Giuseppiello, è stato portato a termine non sono un altro successo, ma addirittura la riuscita ha interessato anche un progetto sperimentale. Nell’area dove la famiglia Vassallo aveva sversato liquami e veleni provenienti dal Nord Italia, in particolare dalla Toscana, è stato applicato il protocollo “life ecoremed”, in collaborazione con la Facoltà di Agraria dell’Università Federico II di Napoli: anziché utilizzare le tecniche ingegneristiche tradizionali, costose per la flora e per la fauna (il terreno non può essere utilizzato per la coltivazione) e per le casse pubbliche (800mila euro a fronte dei 20 milioni), si è deciso di piantare 20mila pioppi, pianta in grado più di ogni altra di assorbire i metalli dannosi stipati nelle profondità del terreno, bonificandolo, e rendendolo addirittura capace di ospitare colture nel giro di poco più di un triennio. In questo modo, al posto di discariche a cielo aperto furbescamente occultate, vi sarà un polmone verde, benefico e che rappresenta un punto visibile di legalità.
Ma se nel Luglio scorso, le Autorità invitate hanno disertato la cerimonia d’inaugurazione del Parco alla Resit, il 17 Dicembre tutto si è fermato. Allo scadere del mandato di Di Biase, che avverte che tanto c’è ancora da fare. A quanto pare, però, l’unica cosa che le istituzioni di ogni grado e livello riescono a fare è bruciare i risultati (miracolosi) fin qui ottenuti e incenerire sacrifici e dispiegamento di forze.
Questi sono i giorni in cui il governo centrale, nella persona del Ministro dell’Ambiente Sergio Costa (da Generale della Guardia di Finanza tra i primi a scoperchiare le porcherie della Terra dei Fuochi!) e il Governatore uscente Vincenzo De Luca si rimpallano le responsabilità e tessono una tela di Penelope che serve solo a decidere di non decidere. Mentre il Ministro considera conclusa la gestione commissariale indicando la Regione Campania come responsabile della gestione ordinaria, o della continuazione della gestione straordinaria visto che non è cessata alcuna emergenza, da Palazzo Santa Lucia si chiede la proroga di tale gestione almeno fino al 31 dicembre 2020 e ci si domanda pure per quale ragione da Roma non abbiano sortito risposta le richieste partite da Napoli in tal senso.
Più che l’ennesimo caso di mala burocrazia, qui sembra assistere ad una – seppur implicita – incapacità di ammissione di colpa e, di conseguenza, ad una inadeguatezza di ruolo che sfocia nel non avere fiducia nemmeno delle proprie capacità. Nemmeno quando a Roma si governa insieme e a Napoli si riesce solo a disinteressarsi di gente e territorio. Pure quando ci sarebbero meriti ed elogi da spartirsi. Forse, consci che sarebbe meglio non rivelarsi per ciò che si è (stati) proprio alle porte delle imminenti Regionali!

COMUNQUE VADA SARÀ UN INSUCCESSO

COMUNQUE VADA SARÀ UN INSUCESSO Ci hanno provato in ogni modo. L’asinistra ha tentato con tutte le sue forze di rimanere a galla, ma prevedendo (bene) che sarebbe sprofondata ha creato all’uopo le sarPDine. Essendo loro, però, per costituzione pesci senza cervello, vano è stato il tentativo di mascherare il vuoto pneumatico coprendo la testa con un cartone. Allora meglio ricorrere alle strategie vecchie e ben oleate (ma non a ricino!) ritornando allA solitA, usatA, abusatA (così pure la BoldrinA sarà contentA) e ancora ottimamente funzionante magica struttura: la magistruttura, ovvero il discount del diritto in salsa rossa togata. Se politicamente e politticamente – ossia con la plurima menzogna delle sardine – non si riesce ad avere gioco con e dell’avversario, allora i rossi-giallo-arancio-fucsia-arcobaleno-già-viola-girotondi sfoderano l’asso nella… toga. Vorrebbero processare Salvini, ma forse non conviene (a loro) farlo in quanto diventerebbe un martire perché crede (anche se ora suona campanelli come un testimone di Geova qualunque!) e per loro che non (ci) credono significherebbe perdere le elezioni regionali. Non è loro interesse, infatti, andare a comandare (sono già abbondantemente intarlati nei palazzi dei poteri e delle istituzioni), ma perdere nell’altra roccaforte rossa, dopo l’Umbria, significherebbe bissare (per dirla con Giuseppi) la di merda figura. Allora processeranno sì Salvini, ma quando lo diranno loro (manco il miglior Giucas Casella!), tanto certi giudici son loro amici e fanno ciò che dico loro. In realtà certi giudici si servono di certi polituculi (che non è un volitivo siciliANO!), per esercitare i loro poteri/voleri, inventando reati, processando chi è innocente e condannando chi fa il proprio lavoro con mandato del popolo. Tanto per loro tutto è indifferentemente uguale: un seggio elettorale è uguale ad un’aula di tribunale, un ministro della Repubblica è uguale ad un delinquente, un clandestino ad un regolare cittadino, un raffreddore o una cotoletta ad un bambino (Zingaretti meglio quando i comunisti mangiavano i bambini!), una coop ad una cupola, un barcone o una ong ad una moto vedetta della Guardia di Finanza dello Stato. Invece loro esistono e resistono e hanno la faccia tosta almeno quanto duri sono di comprendonio. Senza capire che sconfitta dopo sconfitta, indagati dopo indagati, sparizione dopo sparizione hanno barattato la piazza con i salotti buoni, la gente comune con l’oligarchia, i più deboli con le élite finanziarie, le persone comuni con “quelli che… contano”. Ma loro esistono ed insistono anche se sono costretti a non metterci la faccia e nemmeno il simbolo di partito! In questo clima sinistro un posto di tutto rispetto spetta al movimento 5 Stelle, ovvero a ciò che avrebbe dovuto significare la rinascita della sinistra e che invece è stata solo una MoViMento di sinistro occultaMento, che solo i diretti interessati faticavano a capire tutto ciò che gli altri avevano già capito. Una sinistra in MoViMento che mente persino a se stessa e che spera addirittura di “fare futuro” partendo dal passato con gli uomini del passato ritornando al passato. E se il Pd e compagni nelle regionali, per constatata paura, non compaiono né scompaiono, Gigino Di Maio, attuale Ministro e Capo di quell’apriscatole che avrebbe dovuto essere il Mo-Vi-Mento a cui egli ha solo prestato la faccia e fetiene tuttavia il maggior numero di scranni okkupati, pensa addirittura di dimettersi pur restando saldamente col deretano sul velluto. E per essere coerente con i suoi frequenti cambi di idea, nel discorso di commiato-permanenza, dipinge il movimento come una “splendida creatura” all’interno della quale si annidano “franchi tiratori, nemici interni e personaggi pronti a pugnalare alle spalle”. Che cosa abbia di splendido questa creatura a questo punto lo capisce solo lui: unica coerenza il fatto che egli non capisce più nemmeno ciò che dice. Triste destino quello di Giggino che se faticherà a ricorrere all’assistenzialismo del reddito di cittadinanza, faticherà di più a ritornare alla precedente occupazione al San Paolo grazie ai suoi (in)successi parlamentari: rendere più salate (economicamente) le bibite zuccherate qualora sopravviva ancora qualcuno che potrà confezionare snack e bevande in confezioni in plastica. Dunque, se l’accozzaglia sinistra vincerà non potrà gloriarsi in quanto non compaiono leader di partito, né simboli e né sì registrano loro apparizioni manifeste. Se invece perderà, come anche loro stessi sanno bene, non potrà sentirsi colpevole, in quanto per le stesse ragioni sono stati assenti da una Regione (da due al momento) ai cui elettori facciatostamente chiedono ancora di continuare ad abbuffarsi. A questo punto sarebbe dignitoso solo fare silenzio: magari potrebbero occuparsi di pensare a come ammorbaci con la solita solfa della Giornata della Memoria. Che per loro fortuna ricorre proprio il giorno in cui verranno palesati i risultati elettorali di Emilia Romagna e Calabria e prese di coscienza delle sconfitte. Il day after rosso. Ruggine. Che abbiano, almeno oggi, la decenza di fare silenzio. E non perché lo impone la Legge, ma per rispetto degli elettori, coloro che sono i veri datori di lavoro. Sarebbe opportuno tacere anche in segno di rispetto le vittime dell’Olocausto vergognosamente arruolate e schierate e colorate. E adesso, per piacere, silenzio!

GUAPPI DA PARANZA


Esistono delle responsabilità di cui inevitabilmente si viene investiti e a cui altrettanto inevitabilmente non ci si può sottrarre.
Potrebbe essere il caso degli abitanti del popolare quartiere napoletano di Sant’Antonio Abate, 800 metri di strade dalla inalterata struttura quattrocentesca, che, per “difendere” le proprie tradizioni – il “fuocarazzo” in onore del santo il 17 gennaio – si schiera nientemeno che contro la Polizia. Di Stato.
Cinque agenti, infatti, erano intervenuti in supporto dei Vigili del fuoco, allertati da alcuni residenti, per la pericolosità dei falò, invece sono stati oggetto una sassaiola e di una aggressione con ogni tipo di oggetto: da pezzi di rami usati per i falò ai petardi, finché sono stati costretti alla ritirata. D’altronde Sant’Antonio Abate protegge gli animali e non certi uomini che del Santo e della sua storia hanno dimostrato di non saperne proprio nulla.
Se gravissimo è stato il violento episodio, ugualmente grave è stata la gestione dei risvolti occorsi: gli agenti, cui va l’insufficiente e perpetuo ringraziamento, non andavano ritirati bensì andavano affiancati. Facendo leva proprio sulla loro professionalità di non cedere alla provocazione, per dare una dimostrazione che lo Stato, rappresentato dal Questore, c’è e Napoli fa parte di questo Stato che è Sovrano perché esistono delle leggi che vanno rispettate.
La resa, perché di questo si è trattato, ha fatto intendere ai minorenni, perché tali erano, che l’hanno avuta vinta, che quello è il loro territorio dove vigono le loro leggi, tra l’indifferenza di quegli adulti, genitori e nonni, che se non lo hanno capito, hanno sbagliato anche loro. Che il silenzio è parente stretto dell’omertà.
La pezza poi, anche in senso temporale, è persino peggio del buco: identificare i minorenni per poi – sempre poi – schedarli per poi pulirli non è azione bastevole per dei criminali in erba che, all’uscita della Questura, si onoreranno della denuncia a mo’ di medaglia, magari con tanto di pacca sulla spalla di mammà e papà, per l’autoiniziazione. Se mai avverrà, perché molti degli aggressori sembrano non raggiungere nemmeno i 14 anni, quindi non sarebbero nemmeno perseguibili. Però, secondo qualche onorevole “amico” (di palazzo) del Questore, potrebbero essere in grado di votare. Pur non avendone acclaratamente la maturità.
E se non sono pronti i capi di imputazione perché non sono pronti i nomi dei delinquenti, è pronta la manifestazione postuma perché “Napoli deve poter tenere alta la testa”. Peccato che Napoli lo scorso 17 pomeriggio, la testa l’ha piegata. Per ordine (di palazzo) ricevuto. Tappandosi le orecchie, chiudendo gli occhi, cucendosi la bocca e voltando le spalle. In primis ai cinque povericristi in uniforme che sono intervenuti pagando per il danno degli aggressori e per la beffa di chi li comanda.
Questi sono i risultati di chi si arricchisce propagandando Gomorra e di chi pubblicizza El Chapo su ogni gadget, ma che sceglie di vivere a migliaia di chilometri. E che sulla vicenda non emette retorici peti di condanna, né si reca presso queste famiglie per accompagnarle presso il più vicino commissariato. O al puntone del vico semplicemente per parlare loro. Per spiegare.
Questo non è il tempo delle parole, ma quello del silenzio (anche dei religiosi) che fa più rumore dello sputtanamento urbi et orbi, gratuita pubblicità a questi indegni abitanti.
Questo non è il tempo della lotta, né della formazione, ma quello della vanagloria, della lontana vicinanza, della visibilità. Della piazza e non delle stradine dimenticate e pericolose, della folla e non della solitudine di quei residenti che hanno avuto il coraggio di chiamare in aiuto lo Stato. Napoletani tristemente ingenui e inguaribilmente speranzosi, incarnazione dell’adagio popolare secondo cui ‘o napoletano se fà sicco, ma nun more. Con l’intercessione di Sant’Antonio dalla barba bianca che faccia trovare quel che a Napoli ancora manca.

AMERICANIZZATI, MA IN BRUTTA COPIA

Black Friday, XMAS, week end, happy hour… ci siamo americanizzati, ma siamo venuti in brutta copia. Abbiamo voluto “e-mularli”, nel senso di rimanere asini e loro hanno permesso che ci americanizzasimo, ma per il loro tornaconto. USA e getta, insomma.
America e Italia potrebbero essere accomunati dalla situazione politica, o meglio dei politici, che li sta interessando: il presidente Donald Trump e Matteo Salvini, dimissionario del governo e capo dell’opposizione.
Il Tycoon ordina un assassinio politico per sfuggire all’impeachment e assicurarsi un altro quadriennio da inquilino alla Casa Bianca, il Senatore del Carroccio, invece, viene addirittura processato per fstti commessi durante la sua carica di Ministro. Solo lui, però, senza il “suo” Presidente che pur dirige la politica del Consiglio dei ministri di cui ne è responsabile.
A chiedere a gran voce la messa in stato di accusa sono gli avversari politici, veri e propri nemici, di fatto trombati in termini di consenso elettorale ad libitum italico e gli ex alleati, che ora disapprovano ciò che loro stessi hanno precedentemente appoggiato. Ma la contraddizione e la mancata coerenza sono peCULIarità del Mo-Vi-Mento.
La collera per avere staccato la spina è capibile, ma la loro “vita istituzionale” si è comunque allungata. Di poco e per poco, contro ogni principio etico e morale seppur inesistente o irrintracciabile, in barba ad ogni (il)logica accezione di un fantomatico e fanatico post-ideologismo, infischiandosene di ciò che si è detto (critiche al vetriolo e giuramenti “MAI CON”), fottendosene di Bibbiano e dei crimini ivi perpetrati a danno dei più indifesi, ma si è comunque allungata. A braccetto con gli orchi da cui avevano preso le distanze, scegliendosi.
Il Presidente del consiglio (o dei consigli), che precedentemente svolgeva l’attività di docente di diritto ed avvocato, mentre Salvini difendeva l’Italia sulla banchina del porto di Agrigento, dimentica(va) l’articolo 95 della Costituzione che lo obbliga a coordinare le attività dei Ministri per la quali ne è responsabile!
Cosa importa se mentre un Ministro, quello, non uno, deputato all’ordine ed alla sicurezza pubblica della Nazione, “sequestrava” i trasbordati rifocillandoli per quattro giorni garantendo loro acqua, cibo e assistenza sanitaria in attesa che l’Eu(t)ro(p)pa stabilisse chi dovesse ospitare chi.
Il Presidente del consiglio che precedentemente svolgeva l’attività di docente di diritto ed avvocato dimentica(va) – anche – l’art. 40 del Codice penale che recita che “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”!
Se Matteo Salvini all’opposizione non è sufficiente perché l’accozzaglia pd-stelle governi, bisogna processarlo. Ma non facendo giustizia, bensì ricorrendo a certi giudici politicizzati (esistono! Pur essendo vietato… per legge), dalla sigla degna di un discount del Diritto, utilizzati ad orologeria e a convenienza, a se e quando, per i propri scopi non capendo che sono certi ermellini, attraverso sentenze politiche e avvalendosi di marionette seggiolate, a fare polit(t)ica.
I soloni della sinistra già esultano, forse già conoscono l’esito del pro-cesso, per il ritrovato “stato di diritto” ovvero permettere agli altri di fare come gli pare in casa nostra. Un po’ come ha fatto Mr. President in Iran ordinando di ammazzare il generale Soleimani, ma che nessuno sogna, seppur americano, di processare.
Se Salvini ha sequestrato i clandestini (perché tali sono) e la (s)Carola è libera di raccattare, quando va bene, genti inviate su prenotazione, processiamo anche i militi della Guardia di Finanza per aver impedito l’anarchico sbarco e decurtiamo loro, oltre ad IRPEF, IRAP, addizionale regionale, addizionale comunale, IMU, TARI, TARSU, IVA et similia anche i danni cagionati al mezzo dello Stato. Anzi, aboliamola pure la GdF visto che, se non può fare ciò che deve, a niente serve. Così come anche i Carabinieri, la Polizia di Stato (la cui Amministrazione risparmierebbe almeno il costo della maglietta per Salvini), l’Esercito, la Marina Militare e l’Aeronautica. Tanto a Vicenza ha sede (unica! E proprio in Italia!) l’Eurogendfor, la Gendarmeria Europea che fa paura per il suo Statuto (già in vigore!) che consente di fare ciò che vuole. Illeciti inclusi. Senza dovere dare conto a nessuno. Un po’ come la (s)Carola, paladina di quell’asinistra cui, ormai, tutto è permesso.
Aboliamo, allora, anche il Senato della Repubb(l)ica, il Parlamento repubb(l)icANO tutto ed il di lei dormiente preSIdente ché non onorano il loro onorario e prodighiamoci a rimpinguare le tasche dell’ultimo giudice di pace che si alza la mattina e detta legge.

PADRONI DEL MONDO

La reazione iraniana è arrivata e porta il nome del martire Soleimani. È arrivata dopo i tre giorni di lutto e nella stessa ora in cui il Generale è stato ammazzato. È arrivata ed è stata manifesta e rivendicata. Senza l’utilizzo di milizie clandestine. Così come Trump non era ricorso a fantomatici incidenti o a curiosi gesti di facinorosi rimasti coinvolti nell’attentato.
Curioso è che, adesso, nessuno abbia il coraggio di coinvolgere direttamente Putin nella guerra (perché guerra è!) e fa casualmente precipitare un volo diretto a Kiev da Baghdad.
Curioso è che un terremoto abbia interessato proprio ora un impianto nucleare iraniano.
Queste curiosità sono le nuove armi della guerra.
Non sono americano né iraniano, ma non posso non equiparare questo gesto del Tycoon a quello dell’eroina stupefacente Carola Rachete che violò le leggi di uno Stato sovrano scaricando la sua mercanzia secondo le proprie regole (leggasi ordini), spacciata poi dal mainstream addirittura per filantropa quando in realtà era solo il braccio di una mente razzista.
All’Italia, nella veste dei militi della Guardia di Finanza, andò bene in quanto lo speronamento permise di riportare la pelle a casa, a Soleimani no. Eppure pare che il Generale, il suo ultimo giorno, non stesse combattendo alcuna battaglia, ma dovesse “solo”​ incontrare il Primo Ministro iracheno per portare la risposta iraniana ad una proposta di pace. Risposta evidentemente positiva, altrimenti un Generale non sarebbe andato ad incassare un niet.
Tale proposta conteneva anche le richieste di Mr. President al governo iracheno affinché mediasse la fine delle azioni dimostrative contro l’Ambasciata americana.
Sono Italiano e più che sovranista mi reputo Nazionalista, dunque mi chiedo cosa ci fanno in Medioriente coloro che hanno giurato di servire fedelmente la Repubblica Italiana. Ora che la presenza a stelle e strisce è avvertita come ostile in quanto gli yankees sono considerati degli “invasori”. Se non è un caso giorno ed ora dell’attacco, non è certo un caso l’obiettivo: la base colpita è la stessa che il presidente Trump visitò nel 2018 promettendo che gli Stati Uniti avrebbero mantenuto una presenza in Iraq per tenere d’occhio (e anche le mani) la Repubblica Islamica.
Mi chiedo che strano modo è quello di fare la guerra rifugiati in un bunker americano, per motivi prettamente americani: la benzina in Italia costa già 3000 delle vecchie lire e non accenna a diminuire. Il prezzo è il medesimo anche per un orfano di guerra e l’Italia è già nelle grinfie dei banchieri Rothschild, non l’Iran però. Che ancora r-esiste. Gli stessi Rothschild che, mentre si occupano di finanza globale, dichiarano (già due anni orsono) che la popolazione mondiale va dimezzata.
Mi chiedo perché se gli altri, direttamente coinvolti, non smorzino tensioni e non stemperino comportamenti, l’Italia, dopo aver rintanato i suoi soldati trasformati in mercenari, sia costretta a smentire che il razzo “assassino e protettore elettorale” non sia partito da Sigonella. Mi chiedo perché continui a negare che ad Aviano (ancora e sempre!) non vi sia un allerta massima ed i caccia siano pronti a decollare. Mi chiedo se le 113 basi americane disseminate per lo Stivale non siano un coinvolgimento diretto. Mi chiedo perché apparire come la Svizzera per il mondo quando in realtà contiamo quanto l’Umbria conta per l’europa.
L’Italia dovrebbe ritornare a fare l’Italia! Dovrebbe difendere i confini e il proprio interesse nazionale. Che non è certo quello di mettersi sotto l’ala protettiva del più forte (economicamente) e sentirsi forte quando in realtà si rischia di diventare solo zerbini amorfi e senza vita.
Eravamo al fianco degli Americani quando invasero l’Iraq con la scusa delle armi chimiche e fecero fuori Saddam Hussein il cui assassinio fu più facile del dimostrare le armi chimiche da egli detenute. Col senno di poi e adesso che l’ONU (USA compresi!) ha riconosciuto lo Stato Iracheno il cui governo, formatosi dopo un lungo processo di normalizzazione politica, vota l’espulsione di tutti gli eserciti stranieri dal suo territorio, sentendosi autorizzato ad attaccare l’esercito americano (quindi anche la coalizione italiana) in quanto occupante, noi continuiamo ostinatamente a stare al fianco dei soldiers.
Un governo non sovranista, non nazionalista, ma semplicemente ITALIANO si mobiliterebbe per il rientro in Patria delle nostre Forze Armate e prenderebbe le distanze dalla follia guerrafondaia di Donald Trump (siamo proprio sicuri del suo assolutismo?) che minaccia il mondo intero, unica possibilità per allontanare da sé l’impeachment e lo sfratto dalla Casa Bianca.
Ma il “nostro” Ministro degli Esteri si chiama Luigi Di Maio la cui proposta di missione in Libia viene bocciata al meeting dei ministri degli esteri europei. E gli USA non ci prendono minimante in considerazione. ​ Mentre Turchia e Russia sono già operativi sul territorio, dalla Farnesina esultano perché la proposta è stata accolta dagli omologhi, ma è in via di definizione. Non siamo mica tutti Gigino che condanna l’Iran per aver reagito (che è altro da provocare) a un attacco militare in cui è morto “il” loro Generale
Veramente possiamo solo spettegolare sulla presenza della giornalista israeliana naturalizzata italiana Rula Jebreal al Festival della canzone italiana di San Remo, dove anche il sovranismo è rappresentato da Rita Pavone, che, però, in quanto cantante canta, mentre l’ospite straniera, pagata con i nostri soldi, ci dirà quanto le facciamo schifo. Ma in Italia ormai tutto è permesso. Compreso rinunciare ad essere Italiani.