GUAPPI DA PARANZA


Esistono delle responsabilità di cui inevitabilmente si viene investiti e a cui altrettanto inevitabilmente non ci si può sottrarre.
Potrebbe essere il caso degli abitanti del popolare quartiere napoletano di Sant’Antonio Abate, 800 metri di strade dalla inalterata struttura quattrocentesca, che, per “difendere” le proprie tradizioni – il “fuocarazzo” in onore del santo il 17 gennaio – si schiera nientemeno che contro la Polizia. Di Stato.
Cinque agenti, infatti, erano intervenuti in supporto dei Vigili del fuoco, allertati da alcuni residenti, per la pericolosità dei falò, invece sono stati oggetto una sassaiola e di una aggressione con ogni tipo di oggetto: da pezzi di rami usati per i falò ai petardi, finché sono stati costretti alla ritirata. D’altronde Sant’Antonio Abate protegge gli animali e non certi uomini che del Santo e della sua storia hanno dimostrato di non saperne proprio nulla.
Se gravissimo è stato il violento episodio, ugualmente grave è stata la gestione dei risvolti occorsi: gli agenti, cui va l’insufficiente e perpetuo ringraziamento, non andavano ritirati bensì andavano affiancati. Facendo leva proprio sulla loro professionalità di non cedere alla provocazione, per dare una dimostrazione che lo Stato, rappresentato dal Questore, c’è e Napoli fa parte di questo Stato che è Sovrano perché esistono delle leggi che vanno rispettate.
La resa, perché di questo si è trattato, ha fatto intendere ai minorenni, perché tali erano, che l’hanno avuta vinta, che quello è il loro territorio dove vigono le loro leggi, tra l’indifferenza di quegli adulti, genitori e nonni, che se non lo hanno capito, hanno sbagliato anche loro. Che il silenzio è parente stretto dell’omertà.
La pezza poi, anche in senso temporale, è persino peggio del buco: identificare i minorenni per poi – sempre poi – schedarli per poi pulirli non è azione bastevole per dei criminali in erba che, all’uscita della Questura, si onoreranno della denuncia a mo’ di medaglia, magari con tanto di pacca sulla spalla di mammà e papà, per l’autoiniziazione. Se mai avverrà, perché molti degli aggressori sembrano non raggiungere nemmeno i 14 anni, quindi non sarebbero nemmeno perseguibili. Però, secondo qualche onorevole “amico” (di palazzo) del Questore, potrebbero essere in grado di votare. Pur non avendone acclaratamente la maturità.
E se non sono pronti i capi di imputazione perché non sono pronti i nomi dei delinquenti, è pronta la manifestazione postuma perché “Napoli deve poter tenere alta la testa”. Peccato che Napoli lo scorso 17 pomeriggio, la testa l’ha piegata. Per ordine (di palazzo) ricevuto. Tappandosi le orecchie, chiudendo gli occhi, cucendosi la bocca e voltando le spalle. In primis ai cinque povericristi in uniforme che sono intervenuti pagando per il danno degli aggressori e per la beffa di chi li comanda.
Questi sono i risultati di chi si arricchisce propagandando Gomorra e di chi pubblicizza El Chapo su ogni gadget, ma che sceglie di vivere a migliaia di chilometri. E che sulla vicenda non emette retorici peti di condanna, né si reca presso queste famiglie per accompagnarle presso il più vicino commissariato. O al puntone del vico semplicemente per parlare loro. Per spiegare.
Questo non è il tempo delle parole, ma quello del silenzio (anche dei religiosi) che fa più rumore dello sputtanamento urbi et orbi, gratuita pubblicità a questi indegni abitanti.
Questo non è il tempo della lotta, né della formazione, ma quello della vanagloria, della lontana vicinanza, della visibilità. Della piazza e non delle stradine dimenticate e pericolose, della folla e non della solitudine di quei residenti che hanno avuto il coraggio di chiamare in aiuto lo Stato. Napoletani tristemente ingenui e inguaribilmente speranzosi, incarnazione dell’adagio popolare secondo cui ‘o napoletano se fà sicco, ma nun more. Con l’intercessione di Sant’Antonio dalla barba bianca che faccia trovare quel che a Napoli ancora manca.

GUAPPI DA PARANZAultima modifica: 2020-01-20T01:24:29+01:00da tony.fabrizio

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