GUAPPI DA PARANZA


Esistono delle responsabilità di cui inevitabilmente si viene investiti e a cui altrettanto inevitabilmente non ci si può sottrarre.
Potrebbe essere il caso degli abitanti del popolare quartiere napoletano di Sant’Antonio Abate, 800 metri di strade dalla inalterata struttura quattrocentesca, che, per “difendere” le proprie tradizioni – il “fuocarazzo” in onore del santo il 17 gennaio – si schiera nientemeno che contro la Polizia. Di Stato.
Cinque agenti, infatti, erano intervenuti in supporto dei Vigili del fuoco, allertati da alcuni residenti, per la pericolosità dei falò, invece sono stati oggetto una sassaiola e di una aggressione con ogni tipo di oggetto: da pezzi di rami usati per i falò ai petardi, finché sono stati costretti alla ritirata. D’altronde Sant’Antonio Abate protegge gli animali e non certi uomini che del Santo e della sua storia hanno dimostrato di non saperne proprio nulla.
Se gravissimo è stato il violento episodio, ugualmente grave è stata la gestione dei risvolti occorsi: gli agenti, cui va l’insufficiente e perpetuo ringraziamento, non andavano ritirati bensì andavano affiancati. Facendo leva proprio sulla loro professionalità di non cedere alla provocazione, per dare una dimostrazione che lo Stato, rappresentato dal Questore, c’è e Napoli fa parte di questo Stato che è Sovrano perché esistono delle leggi che vanno rispettate.
La resa, perché di questo si è trattato, ha fatto intendere ai minorenni, perché tali erano, che l’hanno avuta vinta, che quello è il loro territorio dove vigono le loro leggi, tra l’indifferenza di quegli adulti, genitori e nonni, che se non lo hanno capito, hanno sbagliato anche loro. Che il silenzio è parente stretto dell’omertà.
La pezza poi, anche in senso temporale, è persino peggio del buco: identificare i minorenni per poi – sempre poi – schedarli per poi pulirli non è azione bastevole per dei criminali in erba che, all’uscita della Questura, si onoreranno della denuncia a mo’ di medaglia, magari con tanto di pacca sulla spalla di mammà e papà, per l’autoiniziazione. Se mai avverrà, perché molti degli aggressori sembrano non raggiungere nemmeno i 14 anni, quindi non sarebbero nemmeno perseguibili. Però, secondo qualche onorevole “amico” (di palazzo) del Questore, potrebbero essere in grado di votare. Pur non avendone acclaratamente la maturità.
E se non sono pronti i capi di imputazione perché non sono pronti i nomi dei delinquenti, è pronta la manifestazione postuma perché “Napoli deve poter tenere alta la testa”. Peccato che Napoli lo scorso 17 pomeriggio, la testa l’ha piegata. Per ordine (di palazzo) ricevuto. Tappandosi le orecchie, chiudendo gli occhi, cucendosi la bocca e voltando le spalle. In primis ai cinque povericristi in uniforme che sono intervenuti pagando per il danno degli aggressori e per la beffa di chi li comanda.
Questi sono i risultati di chi si arricchisce propagandando Gomorra e di chi pubblicizza El Chapo su ogni gadget, ma che sceglie di vivere a migliaia di chilometri. E che sulla vicenda non emette retorici peti di condanna, né si reca presso queste famiglie per accompagnarle presso il più vicino commissariato. O al puntone del vico semplicemente per parlare loro. Per spiegare.
Questo non è il tempo delle parole, ma quello del silenzio (anche dei religiosi) che fa più rumore dello sputtanamento urbi et orbi, gratuita pubblicità a questi indegni abitanti.
Questo non è il tempo della lotta, né della formazione, ma quello della vanagloria, della lontana vicinanza, della visibilità. Della piazza e non delle stradine dimenticate e pericolose, della folla e non della solitudine di quei residenti che hanno avuto il coraggio di chiamare in aiuto lo Stato. Napoletani tristemente ingenui e inguaribilmente speranzosi, incarnazione dell’adagio popolare secondo cui ‘o napoletano se fà sicco, ma nun more. Con l’intercessione di Sant’Antonio dalla barba bianca che faccia trovare quel che a Napoli ancora manca.

AMERICANIZZATI, MA IN BRUTTA COPIA

Black Friday, XMAS, week end, happy hour… ci siamo americanizzati, ma siamo venuti in brutta copia. Abbiamo voluto “e-mularli”, nel senso di rimanere asini e loro hanno permesso che ci americanizzasimo, ma per il loro tornaconto. USA e getta, insomma.
America e Italia potrebbero essere accomunati dalla situazione politica, o meglio dei politici, che li sta interessando: il presidente Donald Trump e Matteo Salvini, dimissionario del governo e capo dell’opposizione.
Il Tycoon ordina un assassinio politico per sfuggire all’impeachment e assicurarsi un altro quadriennio da inquilino alla Casa Bianca, il Senatore del Carroccio, invece, viene addirittura processato per fstti commessi durante la sua carica di Ministro. Solo lui, però, senza il “suo” Presidente che pur dirige la politica del Consiglio dei ministri di cui ne è responsabile.
A chiedere a gran voce la messa in stato di accusa sono gli avversari politici, veri e propri nemici, di fatto trombati in termini di consenso elettorale ad libitum italico e gli ex alleati, che ora disapprovano ciò che loro stessi hanno precedentemente appoggiato. Ma la contraddizione e la mancata coerenza sono peCULIarità del Mo-Vi-Mento.
La collera per avere staccato la spina è capibile, ma la loro “vita istituzionale” si è comunque allungata. Di poco e per poco, contro ogni principio etico e morale seppur inesistente o irrintracciabile, in barba ad ogni (il)logica accezione di un fantomatico e fanatico post-ideologismo, infischiandosene di ciò che si è detto (critiche al vetriolo e giuramenti “MAI CON”), fottendosene di Bibbiano e dei crimini ivi perpetrati a danno dei più indifesi, ma si è comunque allungata. A braccetto con gli orchi da cui avevano preso le distanze, scegliendosi.
Il Presidente del consiglio (o dei consigli), che precedentemente svolgeva l’attività di docente di diritto ed avvocato, mentre Salvini difendeva l’Italia sulla banchina del porto di Agrigento, dimentica(va) l’articolo 95 della Costituzione che lo obbliga a coordinare le attività dei Ministri per la quali ne è responsabile!
Cosa importa se mentre un Ministro, quello, non uno, deputato all’ordine ed alla sicurezza pubblica della Nazione, “sequestrava” i trasbordati rifocillandoli per quattro giorni garantendo loro acqua, cibo e assistenza sanitaria in attesa che l’Eu(t)ro(p)pa stabilisse chi dovesse ospitare chi.
Il Presidente del consiglio che precedentemente svolgeva l’attività di docente di diritto ed avvocato dimentica(va) – anche – l’art. 40 del Codice penale che recita che “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”!
Se Matteo Salvini all’opposizione non è sufficiente perché l’accozzaglia pd-stelle governi, bisogna processarlo. Ma non facendo giustizia, bensì ricorrendo a certi giudici politicizzati (esistono! Pur essendo vietato… per legge), dalla sigla degna di un discount del Diritto, utilizzati ad orologeria e a convenienza, a se e quando, per i propri scopi non capendo che sono certi ermellini, attraverso sentenze politiche e avvalendosi di marionette seggiolate, a fare polit(t)ica.
I soloni della sinistra già esultano, forse già conoscono l’esito del pro-cesso, per il ritrovato “stato di diritto” ovvero permettere agli altri di fare come gli pare in casa nostra. Un po’ come ha fatto Mr. President in Iran ordinando di ammazzare il generale Soleimani, ma che nessuno sogna, seppur americano, di processare.
Se Salvini ha sequestrato i clandestini (perché tali sono) e la (s)Carola è libera di raccattare, quando va bene, genti inviate su prenotazione, processiamo anche i militi della Guardia di Finanza per aver impedito l’anarchico sbarco e decurtiamo loro, oltre ad IRPEF, IRAP, addizionale regionale, addizionale comunale, IMU, TARI, TARSU, IVA et similia anche i danni cagionati al mezzo dello Stato. Anzi, aboliamola pure la GdF visto che, se non può fare ciò che deve, a niente serve. Così come anche i Carabinieri, la Polizia di Stato (la cui Amministrazione risparmierebbe almeno il costo della maglietta per Salvini), l’Esercito, la Marina Militare e l’Aeronautica. Tanto a Vicenza ha sede (unica! E proprio in Italia!) l’Eurogendfor, la Gendarmeria Europea che fa paura per il suo Statuto (già in vigore!) che consente di fare ciò che vuole. Illeciti inclusi. Senza dovere dare conto a nessuno. Un po’ come la (s)Carola, paladina di quell’asinistra cui, ormai, tutto è permesso.
Aboliamo, allora, anche il Senato della Repubb(l)ica, il Parlamento repubb(l)icANO tutto ed il di lei dormiente preSIdente ché non onorano il loro onorario e prodighiamoci a rimpinguare le tasche dell’ultimo giudice di pace che si alza la mattina e detta legge.

PADRONI DEL MONDO

La reazione iraniana è arrivata e porta il nome del martire Soleimani. È arrivata dopo i tre giorni di lutto e nella stessa ora in cui il Generale è stato ammazzato. È arrivata ed è stata manifesta e rivendicata. Senza l’utilizzo di milizie clandestine. Così come Trump non era ricorso a fantomatici incidenti o a curiosi gesti di facinorosi rimasti coinvolti nell’attentato.
Curioso è che, adesso, nessuno abbia il coraggio di coinvolgere direttamente Putin nella guerra (perché guerra è!) e fa casualmente precipitare un volo diretto a Kiev da Baghdad.
Curioso è che un terremoto abbia interessato proprio ora un impianto nucleare iraniano.
Queste curiosità sono le nuove armi della guerra.
Non sono americano né iraniano, ma non posso non equiparare questo gesto del Tycoon a quello dell’eroina stupefacente Carola Rachete che violò le leggi di uno Stato sovrano scaricando la sua mercanzia secondo le proprie regole (leggasi ordini), spacciata poi dal mainstream addirittura per filantropa quando in realtà era solo il braccio di una mente razzista.
All’Italia, nella veste dei militi della Guardia di Finanza, andò bene in quanto lo speronamento permise di riportare la pelle a casa, a Soleimani no. Eppure pare che il Generale, il suo ultimo giorno, non stesse combattendo alcuna battaglia, ma dovesse “solo”​ incontrare il Primo Ministro iracheno per portare la risposta iraniana ad una proposta di pace. Risposta evidentemente positiva, altrimenti un Generale non sarebbe andato ad incassare un niet.
Tale proposta conteneva anche le richieste di Mr. President al governo iracheno affinché mediasse la fine delle azioni dimostrative contro l’Ambasciata americana.
Sono Italiano e più che sovranista mi reputo Nazionalista, dunque mi chiedo cosa ci fanno in Medioriente coloro che hanno giurato di servire fedelmente la Repubblica Italiana. Ora che la presenza a stelle e strisce è avvertita come ostile in quanto gli yankees sono considerati degli “invasori”. Se non è un caso giorno ed ora dell’attacco, non è certo un caso l’obiettivo: la base colpita è la stessa che il presidente Trump visitò nel 2018 promettendo che gli Stati Uniti avrebbero mantenuto una presenza in Iraq per tenere d’occhio (e anche le mani) la Repubblica Islamica.
Mi chiedo che strano modo è quello di fare la guerra rifugiati in un bunker americano, per motivi prettamente americani: la benzina in Italia costa già 3000 delle vecchie lire e non accenna a diminuire. Il prezzo è il medesimo anche per un orfano di guerra e l’Italia è già nelle grinfie dei banchieri Rothschild, non l’Iran però. Che ancora r-esiste. Gli stessi Rothschild che, mentre si occupano di finanza globale, dichiarano (già due anni orsono) che la popolazione mondiale va dimezzata.
Mi chiedo perché se gli altri, direttamente coinvolti, non smorzino tensioni e non stemperino comportamenti, l’Italia, dopo aver rintanato i suoi soldati trasformati in mercenari, sia costretta a smentire che il razzo “assassino e protettore elettorale” non sia partito da Sigonella. Mi chiedo perché continui a negare che ad Aviano (ancora e sempre!) non vi sia un allerta massima ed i caccia siano pronti a decollare. Mi chiedo se le 113 basi americane disseminate per lo Stivale non siano un coinvolgimento diretto. Mi chiedo perché apparire come la Svizzera per il mondo quando in realtà contiamo quanto l’Umbria conta per l’europa.
L’Italia dovrebbe ritornare a fare l’Italia! Dovrebbe difendere i confini e il proprio interesse nazionale. Che non è certo quello di mettersi sotto l’ala protettiva del più forte (economicamente) e sentirsi forte quando in realtà si rischia di diventare solo zerbini amorfi e senza vita.
Eravamo al fianco degli Americani quando invasero l’Iraq con la scusa delle armi chimiche e fecero fuori Saddam Hussein il cui assassinio fu più facile del dimostrare le armi chimiche da egli detenute. Col senno di poi e adesso che l’ONU (USA compresi!) ha riconosciuto lo Stato Iracheno il cui governo, formatosi dopo un lungo processo di normalizzazione politica, vota l’espulsione di tutti gli eserciti stranieri dal suo territorio, sentendosi autorizzato ad attaccare l’esercito americano (quindi anche la coalizione italiana) in quanto occupante, noi continuiamo ostinatamente a stare al fianco dei soldiers.
Un governo non sovranista, non nazionalista, ma semplicemente ITALIANO si mobiliterebbe per il rientro in Patria delle nostre Forze Armate e prenderebbe le distanze dalla follia guerrafondaia di Donald Trump (siamo proprio sicuri del suo assolutismo?) che minaccia il mondo intero, unica possibilità per allontanare da sé l’impeachment e lo sfratto dalla Casa Bianca.
Ma il “nostro” Ministro degli Esteri si chiama Luigi Di Maio la cui proposta di missione in Libia viene bocciata al meeting dei ministri degli esteri europei. E gli USA non ci prendono minimante in considerazione. ​ Mentre Turchia e Russia sono già operativi sul territorio, dalla Farnesina esultano perché la proposta è stata accolta dagli omologhi, ma è in via di definizione. Non siamo mica tutti Gigino che condanna l’Iran per aver reagito (che è altro da provocare) a un attacco militare in cui è morto “il” loro Generale
Veramente possiamo solo spettegolare sulla presenza della giornalista israeliana naturalizzata italiana Rula Jebreal al Festival della canzone italiana di San Remo, dove anche il sovranismo è rappresentato da Rita Pavone, che, però, in quanto cantante canta, mentre l’ospite straniera, pagata con i nostri soldi, ci dirà quanto le facciamo schifo. Ma in Italia ormai tutto è permesso. Compreso rinunciare ad essere Italiani.

CHE FINE HA FATTO L’ITALIA?


Che fine ha fatto l’Italia? La Patria di quel popolo fratello e consorte, destatosi per porgere la chioma alla Vittoria e unitosi a coorte, pronto a morire per Essa? Quei fanti fratelli e connazionali che dissero “NO!” al nemico e fecero una barriera sentendosi popolo, ormai sempre più ridotto e bistrattato a becera popolazione?
Esiste ancora un’Italia o siamo solo servi e colonia? Siamo più colonia yankee o più servi di Bruxelles?
Se la minaccia dell’imposizione europea ci viene spacciata quasi come karma “ce lo chiede l’Europa”, in nome di Bruxelles e della fantomatica unione, sempre più asse Parigi-Berlino benedetto ad Aquisgrana, in Italia è stato rovesciato e ribaltato ogni principio democratico di libertà e di espressione popolare che ha portato ad occupare le cadreghe se non dagli amici, quantomeno dai fautori benevoli e benvisti da Bruxelles, incuranti sia dell’espressione popolare che del consenso precedentemente espresso e non piaciuto.
L’assassinio elettorale – perché tale è stato – del generale iraniano Qasem Soleimani, non accolto da Washington con un “tragico incidente stradale” o il “gesto di un facinoroso rimasto coinvolto anch’egli nell’attentato”, ma addirittura annunciato via Twitter con tanto di bandiera a stelle e strisce, solo con bandiera a stelle e strisce, “impone” all’Italia un eloquente silenzio.
In una stravolta logica della dialettica del servo padrone e in virtù delle 113 basi americane disseminate sulla nostra Penisola.
Che forse dovrebbe valere più di un assoggettato silenzio.
Silenzio che diviene una impellenza rompere se è vero – come è trapelato – che il missile caduto a Bagdad sia stato pilotato da Sigonella. Ancora Sigonella. Magari ancora come allora Sigonella. Quando l’Italia fece per l’ultima volta l’Italia. Quando l’Italia seppe tener testa anche all’America. Quando vi erano dei politici che non solo non si uniformavano all’imposizione e al silenzio, ma che agivano in nome e per conto dell’Italia e del popolo italiano.
Quando i politici erano statisti e non gente improvvisata, riciclata e arrampicata dalla società civile, dai centri sociali e da quelli per l’impiego.
Quando essere politici non significava esclusivamente avere competenze di governo. Che se quello attuale è un male necessario, l’opposizione non fa nulla per apparire differente. Ancor più se il capo della minoranza è capace di convogliare in sé la maggior parte dei consensi e comunque in misura maggiore delle due compagini dell’esecutivo messe assieme.
Non è per l’opinione personale che ha espresso Matteo Salvini sul generale Soleimani, non può essere un fatto di vedute politiche scambiare un Patriota per un terrorista, ma per l’incensazione di Mr. President. Dopo lo scandalo Russiagate. Dopo le continue ingerenze persino con i nostri Servizi Segreti che tanto segreti non lo sono o non lo sono apparsi.
Se l’errore di Salvini è stato quello di parlare per se stesso e per il suo partito, lo sbaglio di governo è stato doppio se non triplo.
Il ministro degli Esteri tale Luigi Di Maio ha scelto il silenzio dalle sue vacanze natalizie rigorosamente non italiane. Tanto chi è lui se non il preposto per dare seguito (e giustificazione) alla diaria sua e per i suoi che compongono il Ministero più corposo? E punta agli aumenti, sbaciocchiandosi per corrispondenza con Zingaretti.
Il ministro della Difesa tale Lorenzo Guerini riferisce che non è allo studio (siamo o non siamo nelle vacanze di Natale?) alcun disimpegno dei nostri militari – che, contro la loro volontà, rassomigliano sempre più ad autentici mercenari – sono impiegati all’estero come se non avessimo nemici in casa nostra. Impiegati su fronti caldi dove, dopo l’assicurazione elettorale di Trump, la tensione è salita alle stelle: 1000 soldati in Kuwait, 1100 italiani in Libano e più di 300 in Libia, dove l’allerta è particolarmente alta e dove per prima si attende la reazione iraniana.
Il presidente del Consiglio tale Avvocato Giuseppe Conte riferisce di monitorare con attenzione gli sviluppi dell’attacco a Bagdad da Palazzo Chigi. Detto da “Uno” che priva di un fucile tre militari con l’idea di mandarli nelle retrovie a parlare di pace.
Qualche parolina avrebbe potuto/dovuto dirla pure papa Manesco, se non per le centinaia di chiese salvate e per la difesa dei Cristiani per opera del generale Soleimani, almeno per il piglio alla violenza del Tycoon: stando agli ultimi episodi occorsi, sembra essere questa, più del Cristianesimo, il linguaggio più congeniale al Papocchio.
Ma papa Badoglio fa leva sull’autocontrollo. Proprio lui!
Se davvero questa è (diventata) l’Italia, meglio non affrontare la discussione sul MES: non ne abbiamo il coraggio.
Se davvero questa è (diventata) l’Italia, non andiamo a discutere dello IUS SOLI: non ne abbiamo gli attributi.
Se i rappresentanti di questa Italia credono che basti vedere la luce sulla terra o, come più sovente avviene, anche nel mare nostrum, per dirsi italiani, abbiamo svenduto un orgoglio patrio e l’Italia stessa.
Bisogna riappropriarsi di Dante, Petrarca e Boccaccio, del Rinascimento e dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo, della Gastronomia e, perché no, dell’ars amatoria. Di ciò siamo stati e che, grazie a Dio, ancora siamo.
Altrimenti indignatevi e ammainate il tricolore di fronte ad una sconfitta (la sola) evidente del prossimo incontro di calcio di una Nazionale (si può ancora dire?) in maglia verde seguita all’inghiotto di chips e kebab. Magari dal Gold Souk o dal Burj khalifa di Dubai.

NATALE?

È nato. Ma è nato o è nata? È nato maschio o è nata femmina? È nata maschia o è nato femmino?
Se il bambino Gesù venisse al mondo oggi, 2019 anni dopo di Lui, dovrebbe veramente fare un miracolo per r-esistere a questo mondo.
Se si dovesse nuovamente battezzare, potrebbero fargli visita gli ecologicisti, che si direbbero contro lo spreco dell’acqua e proporranno come modello di risparmiat(t)rice tale (s)Carola Rachete. Nemica dell’acqua. E delle regole.
Se, invece, volesse rimanere nell’acqua, anzi addirittura camminArci sopra, sarebbe accusato di scarsa sensibilità e perfino di razzismo: gli verrebbero offerti dai miliardari che (forse) non frequentano chiese, ma (solo) le porporate cucine, mille gommoni per andarsene in giro a sollazzarsi.
Chissà se Cristo sceglierebbe le nostre case piene di vuoto o le nostre chiese sempre più universalmente distanti dall’assemblea, dell’ekklesìa appunto. Ultimamente svuotate da certi “capimastri” che non sono Ma(e)stri manco per niente.
Se si sedesse a tavola potrebbe imbattersi in ogni prelibatezza ma guai a toccare il maiale – non il commensale – o, peggio, se si azzardasse a moltiplicare pani e pesci. Qualcuno potrebbe gridare al miracolo secondo la prece “ce lo chiede l’Europa”.
Se si spostasse lo sguardo sarebbe facile vedere persone che fanno la guerra a mettere quanta più roba possibile sotto l’albero non curandosi, però, se altrettanto ricca è la presenza intorno all’albero medesimo.
Manco a parlare invece della rappresentazione della Natività, della Capanna di Betlemme, in compagnia del bue e dell’asinello (sfruttati! Animalisti manifesti…) perché offende. Chi, come e cosa non si sa, non si sa, ma guai ad averne una. Offende. Proprio adesso che il politically correct è approdato nella kermesse di San Francesco con la Madonna che si riposa e San Giuseppe in veste del nuovo mammo.
Meno male che nessuno ha mai visto Il nutrimento del Signore che continua ad avere a che fare con l’ ἰχθύς, ichthýs, “pesce” in greco ed acronimo di Iesûs Christós Theoû Uiós Sotér, Gesù Cristo Figlio di Nostro Signore. Pesce per pesce, qualcuno gli potrebbe democraticamente imporre di schierarsi con le “sardine”.
Eppure Natale è la Sua festa. Il Suo avvento. La Sua venuta. Forse , persino il suo compleanno. Però facciamo gli auguri tra di noi, secondo tradizione. Quella tradizione che impone banchetti luculliani per anime povere, che impone Natale con i tuoi in ogni casa ma non nella Sua casa. Quella Tradizione di cui tutti parlano e che nessuno fa principiare dalla Chiesa, persino dalla Messa, Banchetto Vero.
Si crede a un babbo ma non ad un Padre.
Quella Tradizione che vorrebbe le donne con mani di farina e capelli di frittura di olio e gli uomini col viso di fumo di brace. Quella tradizione che non dà più spazio al protagonista, che suole (e sòle) festeggiare il Natale senza il Nato.
Quella Tradizione che fa del 25 Dicembre la fiera delle belle parole e l’epifania manifesta dell’ipocrisia.
Che sia Natale davvero. Natale tutti i giorni. Natale… da domani.

SI SCRIVE ILVA, SI LEGGE ITALSIDER


Perché mai dovrebbe stupire che il piano di rilancio dell’area dell’ex Italsider di Bagnoli sia presentato (anche) a Milano, prima a Milano? Perché mai dovrebbe stupire che al piano di rilancio dell’area dell’ex Italsider di Bagnoli che viene presentato prima a Milano non partecipi alcun imprenditore napoletano, men che meno il commissario straordinario all’uopo designato, né alcun rappresentante del Comune di Napoli, proprietario dell’area? Perché mai dovrebbe stupire che al piano di rilancio dell’area dell’ex Italsider di Bagnoli, che viene presentato a Milano cui non partecipa alcun imprenditore napoletano men che meno il commissario straordinario all’uopo designato, né alcun rappresentante del Comune di Napoli, proprietario dell’area, passi per le mani (e per la testa) del ministro per il Sud (?) dall’allogeno nome di Giuseppe Provenzano, già destinatario di una lettera dell’Acen, degli Industriali e dell’Ordine di Architetti e Ingegneri con cui chiedono una pausa di riflessione, eufemisticamente uno stop, un altro, l’ennesimo al progetto per rilanciare quella parte d’area flegrea abbandonata e dare finalmente inizio a quel progetto di rigenerazione urbana?

Nell’attuale Italia, però, quella che prevede lo scudo fiscale per i taglieggiatori del MES, ma non per l’Ilva, quella dove si festeggia il Natale senza il Nato, quella dove rifugiati e immigrati che sono oggettivamente impossibilitati a presentare la documentazione attestante i requisiti per ottenere il reddito e la pensione di cittadinanza sono esentati del tutto dallo stesso INPS, quella in cui per il Ministro della Giustizia “un reato diventa colposo quando non si riesce a provarne il dolo”, è possibile tutto. Anche che il Ministro per il Sud sia pronto e prono a credere che il progetto di riqualificazione dell’area napoletana debba partire da (le cadreghe di) Roma per approdare a Milano, sempre più vera capitale, dove si crede siano concentrati tutti i tecnici, quali architetti e ingegneri, dell’intero Stivale.

Poco importa, dunque, che esista un commissario straordinario per il progetto e che tale commissario, alla seconda chiama anche questo, sia Francesco Floro Flores, imprenditore dell’hinterland flegreo (Arena, zoo e parcheggio dell’area flegrea in sua gestione farebbero gridare al conflitto d’interesse ogni giudice, ma non a Napoli: why not?) e che sia amico di Roberto Fico il napoletano, presidente della Camera dei Deputati, nonché datore di lavoro del fratello del Sindaco, ex togato: la decisione, chissà quale, potrebbe essere presa altrove, magari da altri, non locali, che non conoscono peculiarità e ricchezza topografica, vantaggi e limiti. Ilva docet. Come Taranto, anche Bagnoli ha il mare (e di certo non piccolo) quindi, se si seguissero gli auspici del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio il quale per l’acciaieria pugliese prevedeva un allevamento di cozze, non sorprenderebbe più di tanto se all’attuale compagine partenopea venisse in mente di puntare sulle colture attuali e instaurare persino un allevamento di… sardine.

Poco importa delle radici, di scavare nell’intimo e nel profondo. Senza bonifica. L’importante è la superficie. È apparire e dire la propria. Guadagnarsi la fama. Mentre il territorio “conquista” la fame: nell’ultimo decennio, la Campania ha perso 180 mila posti di lavoro e i giovani campani e del Sud che hanno lasciato la terra natia toccano quota 400 mila. Senza considerare gli ex lavoratori della Whirlpool, della Tirrenia e di Almaviva.

Senza lavoro non c’è futuro e quando si creano delle occasioni per investire, per crescere, per restare e per vivere al Sud non ci si dovrebbe spendere per fare “emigrare” pure quelle. Eppure il Sud dei nostri padri e dei nostri nonni ha duramente pagato lo scotto dei finanziamenti in nome del Mezzogiorno per le “fabbriche fantasma” che mai sono state aperte, di quelle altrettanto fantasma che, se non sono sparite in concomitanza dell’esaurimento dei fondi, hanno sicuramente chiuso i battenti poco dopo lo stanziamento delle risorse, dell’arretratezza conveniente per tutti, eccetto che per la popolazione locale, degli opifici soggetti a delocalizzazione interna alla nostra stessa Penisola. L’attuale classe dirigente, però, sembra intenzionata a ripercorrere la stessa strada già battuta in passato senza far tesoro, col prezioso senno di poi, che ripetendo gli stessi errori, condannano l’intero Sud alla morte totale. Eppure questa è storia. Di più di un secolo fa!

L’Ilva rischia di essere l’Italsider del Terzo millennio, come a ragione ha fatto notare il partenopeo Severino Nappi a proposito del “giardino felice che Grillo sogna per l’Ilva di Taranto si può vederlo a Bagnoli, luogo di trent’anni di chiacchiere e cattiva politica, di masterplan, consulenze, progetti, conferenze di servizi, ma di fatti concreti zero. Allora fu un disegno della vecchia sinistra a cancellare 10 mila posti di lavoro e a creare questo sfacelo: oggi ci stanno pensando i loro nipotini accompagnati da dilettanti grillini”.

Bagnoli è ancora in Campania e non possono portarla via, anche se fa gola a molti. Questa è la nostra Campania, la terra da ricostruire per campare di e al Sud, quello da cui partire per intraprendere finalmente quel progetto di Macroregione e, perché no, di autonomia, da tanto desiderata e sperata e finora solo promessa, barattata in cambio di voti che si sono rivelati essere solo vuoto pneumatico, nulla istituzionale e niente amministrativo, ma che potrebbe essere una solida realtà già nell’immediato, già la prossima primavera, tempo di rinascita e risveglio a partire da Palazzo Santa Lucia.

Caro Bonito, ti ricordi del compianto concittadino on. prof. Alfredo Covelli?

Quanto sei bello, Bonito, ameno paesino dall’aria salubre che, dall’alto della tua collina e con l’Ufita in sottofondo, sovrasti l’intera Baronia, la lontana Alta Irpinia e, fiero, offri le tue meraviglie sino alla Bella Dormiente nel Sannio.

Quanto sei bravo, Bonito a non farti dimenticare da chi ti ha appena conosciuto e a farti apprezzare anche da chi non ti ha ancora scoperto dal vivo, bravo ad abbigliarti di ogni genere di ornamento fino a diventare il detentore del terzo murales addirittura più bello del mondo.

Quanto sei ingrato, Bonito che tra mille orpelli murari sei incapace di affiggere una targa a perenne memoria dei tuoi compianti concittadini, di Bonitesi, parti, colonne di Bonito come l’on. prof. Alfredo Covelli.

Di un Bonitese, tuo figlio e concittadino approdato alla Camera dei Deputati per otto legislature consecutive, Padre Costituente, decorato di guerra, plurilaureato, professore, giornalista ed eurodeputato a Bruxelles, grande oratore e protagonista di innumerevoli appuntamenti di Tribuna Politica, capace di guadagnarsi il rispetto di personaggi come Pamiro Togliatti, antiteci avversari, ma mai nemici, fondatore del Partito “Stella e Corona” fino a farne la quarta forza politica nel 1953 esprimendo ben 40 deputati e 18 senatori monarchici in un parlamento repubblicano, saggio Patriota, fine oratore, grande comunicatore, riformatore e aguzzo politico ante litteram, capace di immaginare quel futuro “partito degl’Italiani, il partito della libertà” già in un discorso del 1948 a Firenze che lo portò ad entrare nel direttivo del Movimento Sociale Italiano di Almirante che divenne Msi-Dn, di cui fu anche presidente dal 1973 al 1977, anno in cui​ guidò la scissione di​ Democrazia Nazionale​ di cui fu ancora presidente e due anni dopo, con la scomparsa di “DN”, preferì ritirarsi dalla​ politica vivendo da spettatore gli anni di Tangentopoli.

Se questo è l’Alfredo Covelli “pubblico ed istituzionale”, per Bonito e i Bonitesi era semplicemente l’Onorevole, la porta di casa sempre aperta, il sostentamento di numerosissime famiglie – e non solo del paese natio – a prescindere dal colore politico, esponente di quella Politica lontana anni luce da quella clientelare e “di scambio” di oggi, di un disonorevole do ut des.

E proprio a Bonito, centro seppur sconosciuto, portato con fierezza in ogni livello di Istituzione senza mai glissare in un generico (quanto indegno) “sono di Napoli” come altri “(il)lustrissimi” concittadini, paese da cui è partito e dove egli è sempre ritornato, per l’ultima volta nel Natale un quarto di secolo fa, vive l’onta peggiore: quella dell’ingratitudine umana.

In ben più di 4 lustri, non si è riuscito a dedicargli una strada, il corso principale che passa davanti alla casa dove tanti concittadini, ancora viventi, si sono recati per chiedere pane e lavoro e, perché no, la piazza principale oggi dedicata a tale Mario Gemma, personaggio talmente importante per il paese di Bonito e per i Bonitesi da non farne menzione nemmeno sul sito istituzionale del Comune.

Poco lontano da Largo (così cita la toponomastica ufficiale) Mario Gemma, abbiamo la via intitolata ai fratelli Cairoli di Pavia, una dedicata a Giuseppe Mazzini di Genova, una strada in nome di Francesco Tedesco di Andretta (AV), una che ricorda Arnaldo da Brescia, un’altra a memoria di Amerigo Vespucci di Firenze, una che ci rammenta Giordano Bruno da Nola, un vico dedicato a Masaniello da Napoli, un altro per il veneziano Daniele Manin, un vico in onore dei Gracchi, romani ed un Vico Elena, forse di Troia!

Una strada all’onorevole Covelli, però, nel Paese natale, nel suo paese non si riesce proprio a dedicargliela!

Eppure molteplici sono state le richieste in questi (troppo) lunghi ventuno anni dalla data della sua morte: in primis dai concittadini che mai lo hanno dimenticato, anche grazie ai comizi dei tanti candidati locali che, benché lontani anni luce dal suo pensiero politico, non hanno mancato di riempirsi la bocca col suo nome per chiedere di “votare per il paesano”, dalle colonne del periodico “Terra Boneti”, dalle numerose associazioni sul territorio non ultima dall’Unione Monarchica Italiana al cui appello, in nome del suo vicesegretario avv. Augusto Genovese, il Sindaco pro tempore, avvocato anch’egli, non si degnò nemmeno di rispondere; alle numerose richieste portate in Consiglio Comunale, invece, fu detto che per l’intitolazione di una strada debbono necessariamente trascorrere 10 anni dalla morte. Quest’anno ne sono trascorsi più del doppio.

Malgrado ciò a Roma, l’allora Sindaco Veltroni, che non proviene certo dallo stesso percorso politico ed ideologico di Covelli, e su interessamento dell’on. Antonio Tajani, dedicò al nostro compianto compaesano una strada dalle parti del Gianicolo. Anche ad Avellino esiste una piazzetta in onore all’on. Alfredo Covelli, ma non a Bonito! Che, però, non manca di dedicare una strada delle botteghe (artigianali!) a dei generici artigiani, la maggior parte ancora vivente.

C’è da registrare, però, che negli anni una targa è stata apposta. Bianca su bianco, in un posto che con Covelli poco, se non nulla, ha a che fare e che niente significa, ma è stata messa. Alla memoria. E da lì bisogna partire, dalla volontà politica di fare, dalla maturità dei tempi e dall’imperdonabile ritardo. Cui, siamo certi, non ci si voglia ulteriormente inutilmente sottrarre e l’onestà intellettuale, prima che politica, l’orgogliosa, e riconosciuta gratitudine e anche del sano campanilismo propri dei bonitesi veraci faranno sì che questo Sindaco, non il prossimo, possa affacciarsi dal balcone del Municipio che dà (finalmente!) su Piazza Alfredo Covelli!

https://www.camposud.it/2019/12/caro-bonito-ti-ricordi-del-compianto-concittadino-on-prof-alfredo-covelli/

(S)CORREGGIAMO IL POLITICALLY CORRECT

Il politically correct, volendo correggere, ha sbagliato tutto. Che poi chi decide cosa è corretto e cosa non lo è? E per chi? Lapalissiano che tale supposta superiorità sia prerogativa sinistra e che per non farci mancare nulla e sentirci sempre più servi di qualcuno importiamo una simile idiozi(ologi)a dalla terra a cui abbiamo consegnato le chiavi di casa nostra 70 anni fa.
Già la perifrasi di definizione in lingua straniera (che-sembra-un-dire-fascista-ma-non-lo-è!) è un affronto a Dante, a Petracca e a Boccaccio che rappresentano il tridente dei mostri sacri (trattasi di ossimoro, non di offesa) della nostra lingua e che hanno speso una vita intera per arricchirci e per farci parlare e che noi ringraziamo “dimenticandoci” di loro.
Così la finzione inizia con la lingua, sempre meno usata per parlare e sempre più utilizzata come strumento per arrampicate (a)sociali che dischiude le porte ai salotti buoni(sti), ma non acCESSIbili a tutti.
Dunque il cieco diventa ipovedente, il bidello un collaboratore (anche se il bidello, quando era solo tale, collaborava molto di più), il paralitico è diversamente abile, che poi poco importa se non si è corretti mentendo sull’abile e lo si prende per il culo col “superabile” perché non supererà proprio niente, nè sarà, purtroppo, super(iore) a nessuno.
Nemmeno culo si può dire, che poi non offende nessuno e anche un’espressione colorita, persino una parolaccia, a volte può conferire maggiore enfasi al discorso! Per dare colore, però, sarebbe meglio non marcarlo, o meglio, per rispetto (?) scolorirlo così il negro meglio definirlo nero senza tenere il punto… sulla G.
I forieri della giornata della parolaccia, i fanculoferi, sono assurti (e assurdi) addirittura in Parlamento e gli inoccupati sono definiti ministri, minestri alla II chiama, dimostrandosi in-capaci. Ovvero dentro la strage.
Ma tutto ciò non importa (loro): al bando, programmi, ideali e idee; l’uno vale uno è l’uno vale l’altro, anche quando l’uno non è più uno e vale zero.
Ecco dunque che il Ministro dell’Istruzione (degnissimo membro della FORMAzione, un 5 stelle super) invita a disertare le lezioni giustificando l’assenza e fa la guerra alle merendine che in realtà dovrebbe essere prerogativa del Ministro della Salute la cui unica speranza è solo il suo cognome!
Mentre nelle scuole si festeggia il Natale senza un nato, è una fortuna se ancora ci hanno lasciato almeno gli articoli a specificare i generi altrimenti Natale senza più la Nato significa non più un avvento, ma una dipartita, ossia non avere più in casa nostra i “padrini” del politically correct.
Anzi, per essere corretti davvero, per integrare non bisogna essere integralisti, ma bisogna annullarsi del tutto! Festa del papà o della mamma? Concetti retrogradi e classisti, persino sessisti perché bisogna pensare a chi una mamma ed un papà non ce l’ha fregandosene di chi ce l’ha. “Per chi ancora è normale” direbbe Checco Zalone.
Ecco, ad esempio, spiegate le sardine, che sono aperte a tutti, ma non ai Fascisti (quelli consegnati alla Storia 80 anni fa), che sono contro l’odio, ma che nascono contro Uno, che in piazza accolgono tutti, ma i Fascisti (ancora loro) solo a testa in giù, che vogliono far politica senza programmi, che non hanno colore, ma sono rossi… cantati.
Il pensiero politically correct chiaramente è scevro da sessismo, ma se un Direttore Editoriale (che non ha competenza sui titoli degli articoli) scrive “patata bollente” a proposito del sindacO Raggi si finisce in Tribunale e poco importa se tali espressioni siano state usate anche da colleghi a manca come la Gruber o dallo stesso Feltri riferito a Ruby Rubacuori: evidentemente una donna marocchina non interessa al politically correct dei buonisti.
Così se l’uomo è un tombeur de femmes, in nome della parità dei sessi, del femminismo, dell’uguaglianza e del politicamente corretto non si può dire che la donna del momento (in realtà di ieri), Nilde Iotti, brillava sotto le lenzuola. Eppure è un complimento! Che Togliatti avrà toccato con mano… e non solo.
Chissà quando il concetto a stelle e strisce ci imporrà democraticamente di non stampare più i dizionari della lingua italiana (almeno salveremo un albero!), di non usare nemmeno più quello dei sinonimi e dei contrari (e salveremo un altro albero!) tanto le cose non possono e non devono più chiamarsi con il loro nome. Chissà se esisterà un politically correct che sostituirà un panettone o anche solo il pane sulle tavole degli ex lavoratori ILVA, oggi in attesa di okkupazione, diciamo pure in mezzo ad una strada, e con loro le loro famiglie, se esisterà un politically correct in grado di mascherare i buchi della chemioterapia per i veleni ingeriti, se esisterà un politically correct in grado di saziare coloro che a Napoli, come a Genova, come a Taranto, come a Cremona, come a Palermo avranno solo fame.
Ma il politically correct ci dice che chi si è autocandidando a risolvere i loro problemi se n’è “andato” all’estero. D’altronde per Gigino anche la Farnesina…

SCIE CHIMICHE: LA RISPOSTA E’ LA NON RISPOSTA

Chissà perché ogni volta che si parla di inquinamento o di guerre andiamo a scovare gli angoli più remoti della Terra, ma non guardiamo mai sopra le nostre teste. Proprio nei nostri cieli si consuma una doppia battaglia: la guerra climatica e l’inquinamento militare.
Ci sarà capitato di sentir parlare di scie chimiche, tra il serio ed il faceto, con il sorriso inevitabilmente susseguente di chi nega e di chi crede siano teorie farlocche lontane da noi anni luce.
Eppure il cielo azzurro, velato da striscioline più o meno larghe fino a diventare vere e proprie bande, è sotto i nostri occhi, proprio sopra le nostre teste, visibile a tutti. C’è chi dice siano scarti di combustibile aereo, chi sostiene siano meri bombardamenti di sostanze chimiche. Da quale parte sia la verità, non la ragione, non è possibile ancora stabilirlo visto che al proposito non esistono studi ufficiali. In compenso, però, esiste un fronte oscurantista. Che, se non ha studi in possesso, sposa convintamente la teoria del “non esiste”.
In questo clima negazionista, oscurantista e fantasioso una voce autorevole, prima che fuori dal coro, arriva dal generale in ausiliaria dell’Esercito Fabio Mini, laureato in Scienze Strategiche e Scienze Umanistiche, già portavoce dello Stato Maggiore dell’Esercito e poi dello Stato Maggiore della Difesa, che attraverso la sua lunga esperienza di comando acquisita in Italia e all’estero e divulgata per mezzo di dibattiti, conferenze e libri, sta tentando di darci informazioni preziosissime per la salvaguardia del nostro pianeta.
Non è un caso che l’allarme arrivi da un militare (che non è mai in servizio passivo anche se a riposo) in pensione, sempre più unico momento della carriera in cui gli uomini con le stellette trovano il “tempo” di diffondere certe notizie.
“Comandare il clima” è un vezzo tipicamente militare per poter disporre dell’ambiente a seconda delle proprie esigenze e ciò può avvenire quando e come si vuole: anche se il gen. Mini non crede ad una “teoria di cospirazione”, tuttavia ammette che i governi – di Paesi come la Cina – sono in possesso di dispositivi in grado di determinare i cambiamenti climatici. Proprio i “rainmekers” con gli occhi a mandorla non fanno certo mistero di servirsi di “bombardamenti” di nubi con ioduro d’argento per aumentare (e diminuire?) l’intensità delle precipitazioni.
Più netta (e ugualmente cauta) la posizione dello scienziato del Cnr Antonio Raschi che, se da un lato ha chiaramente affermato nella trasmissione “Porta a Porta” che è in atto un esperimento planetario riguardo alla modificazione del clima, dall’altro riferisce di essere all’oscuro di un dossier dello stesso Cnr riguardo “l’aviodispersione” di sostanze chimiche condotta per favorire le piogge nell’Italia centrale cui seguì l’alluvione dell’Arno, le cui conseguenze disastrose sono tristemente note.
Attraverso le alluvioni, le inondazioni, gli tsunami, le siccità si può decidere influenzandolo il destino di una popolazione, di una Terra, conducendo di fatto una vera e propria guerra climatica. Ed è già in atto questa guerra le cui armi non sono più missili e fucili ed il territorio interessato (magari per la ricchezza delle materie prime) si conquista non più con il combattimento “ad uomo”, corpo a corpo, ma proprio costringendo la moltitudine a spostarsi, ad emigrare, ad invadere. Questione di sopravvivenza.
Dunque nuove armi militari impiegate per combattere una nuova tipologia di guerra. E proprio ai “colleghi” militari, ai meteorologi dell’Aeronautica in primis, il generale Mini rivolge l’accorato appello affinché pretendano risposte precise ed inequivocabili.
Parlare! Parlare delle scie chimiche chiede Mini: se il servizio meteo militare, i controllori del traffico aereo, le varie associazioni ambientaliste, i ministri e politici tutti di ogni colore sono unanimemente concordi nel non parlare delle scie chimiche, nel dire che tutto va bene e che non esistono, allora bisogna parlarne. Non ultima la stampa, Tv e giornali, arma anch’essa, sempre più informata a non informare.
Mini, che ha la preziosa capacità di spiegare a tutti e in parole povere concetti difficili e solo per i pochi “addetti al mestiere” senza tuttavia semplificarli, ricorda senza troppi giri di parole che proprio in Kosovo, dove egli ha comandato le Forze di pace, la manipolazione climatica, la “manomissione” delle nuvole è stato elemento peculiare della missione: attraverso l’utilizzo di sostanze chimiche quali polimeri, sodio e altri elementi si è proceduto a creare delle nuvole, quindi a disporre della pioggia e del quantitativo d’acqua da far cadere, decidere quando e come.
Con l’acqua precipitano anche le sostanze chimiche che sono disseminate in grandi quantità sotto i nostri nasi. Basti pensare all’uranio impoverito nei Balcani e alle conseguenze sui militari. Anche italiani.
E proprio dell’Italia, i cui cieli non sono immuni dall’ospitare queste scie e dove sono sempre più rare le possibilità di osservare le stelle in qualsiasi stagione, sarebbe interessante conoscere chi sostiene i costi per questi voli oppure se si incassano solamente i proventi e da parte di chi.
Dopotutto questi non potrebbero che essere i primi risultati (e le conseguenze) di un progetto che gli USA (i primi a partire per ogni fronte caldo) dal 1999 finanziano, conosciuto con il nome di “Owning the Weather in 2025” e che si pone come obiettivo proprio quello di avere il pieno controllo del clima, del tempo meteorologico in un determinato luogo e in un determinato spazio temporale. Entro il 2025. È ragionevole pensare, quindi, che nel 2019 bisogna pur dare dei risultati a chi ha investito in tale progetto. Aeronautica militare americana per prima. Mini è attivissimo su questo fronte ed esorta tutti affinché ci si interroghi, si chieda, si indaghi: le scie chimiche sono una realtà visibile e tangibile e se gli esperti spiegano, o meglio negano, tutto con grossolana superficialità allora da questo bisogna trarre la forza per non fermarsi e capire. Anche il negazionismo è una precisa tecnica militare rispondente al nome di denial of service ovvero negare non la verità, l’esistenza o la possibilità, ma negare la notizia stessa.
L’Italia (per fortuna verrebbe da dire) è un Paese in cui i “segreti di stato” hanno la stessa durata delle bugie, prima o poi qualcuno parlerà. Sta a noi, questa la carica suonata dal Bersagliere, trovare qualche spiraglio tra i tecnici, aprire qualche breccia nei ricercatori, contare su qualche militare, magari proprio come il generale Fabio Mini, onesto umanamente prima che intellettualmente, affinché possa cadere questo vergognoso e pericolosissimo muro di omertà.https://www.jpress.it/l-editoriale/scie-chimiche-la-riposta-e-la-non-risposta/

A SCUOLA DI ANPI

Che discolo quel professore che osa esprimere dei concetti partoriti a seguito di una (anche) minima attività sinaptica e che lo fa apertamente, senza eufemismi, né pleonasmi, non ricorrendo a perifrasi o a frasi sotto semaforo (con buona pace all’anima di Totò) e assumendosene ogni responsabilità!
Che giustizialista quel Preside, supposta figura superiore per conoscenza/e, posizione e retribuzione rispetto al semplice professore che, tra supercazzole con scappellamenti a destra e a manca non manca di liquidare (e di smentire) le (mancate) decisione a seguito delle altrui esternazioni, tra l’altro fatte in ambito personale e fuori dal luogo e dal tempo deputato all’insegnamento, come espressioni personali. Successivamente chiede per le stesse dichiarazioni e per lo stesso autore il licenziamento in tronco quindi il massimo chiedibile.

Che intervenga il Ministro (delle merendine), ma solo se non è in piazza con Greta con tanto di assenza dei discenti giustificat(t)a e senza ricorrere al parere dei genitori che ancora esercitano la patria (aborriamo?) podestà.

Non sto parlando del professore di Bologna con simpatia nazista che tutti i giornali hanno sbattuto in prima pagina quale móstro (maschile di móstra, esposizione) del giorno, bensì del taciuto e tacitato docente di Storia e Filosofia del liceo Leonardo da Vinci di Civitanova Marche, il quale, partecipando ad un incontro scolastico organizzato dall’A.N.P.I, quella associazione (quasi partecipata statale con l’unica variante che lo Stato eroga fondi verso questa percependone -voti- utili) che sta all’Italia come il mercoledì sta in mezzo alla settimana, che sta come l’età anagrafica degli pseudo-partigiani alle parole oggi proferite, quindi nulla ha a che fare con la scuola, organizzato sul tema – guarda caso!- del Fascismo, in occasione della presentazione del libro di Andrea Martini, autore del libro “Dopo Mussolini – I processi ai fascisti e ai collaborazionisti”.

Dunque l’A.N.P.I., o meglio gli eredi dei partigiani, o meglio ancora, gli eredi di tutto ciò che hanno fatto i partigiani, che nulla hanno a che fare con la scuola, organizza un convegno cui invita il liceo di Civitanova Marche che a sua volta invita, se non “obbliga”, alla partecipazione le classi V, ovvero quelle che devono maturare cioè che dovranno votare.

Nonostante non sia passata per le classi la solita circolare didattica e, stupite più che incuriosite da tale insolita metodologia di invito, le classi quinte, accompagnate dal professore, presenziano l’evento. A testimonianza dell’essere scevri da idee e preconcetti da parte di alunni e professori.

Dopo una sola ora dall’inizio del convegno alcuni alunni decidono di abbandonare la “seduta”. Non il professore, che resiste (nell’accezione non partigiana naturalmente) ed in religioso silenzio ed attento ascolto arriva alla fine dell’incontro. Quando democraticamente ed educatamente chiede ed ottiene la parola.

Il professore, intellettualmente onesto, fa notare che la locandina e le intenzioni sono quantomeno sbagliate visto che non si è assistito ad un convegno o ad un dibattito, ma ad un vero e proprio comizio. Ebbene sì, perché – dice il professore – per trattare certi temi sarebbe stato utile sentire le due campane, sarebbe stato corretto invitare anche la controparte, sarebbe stato giusto ascoltare almeno le due versioni. Per poi ricercare, quindi scegliere.

Apriti cielo!

Il docente è stato lapalissianamente e semplicisticamente tacciato come Fascista, ma non perché lo stesso abbia espresso giudizi favorevoli rispetto ciò che è stato consegnato alla storia 80 anni orsono, ma solo per aver chiesto imparzialità. Per questo si sarebbe anche sentito chiamato in causa (fascista). Secondo loro.

Esprimendo solidarietà e fiducia al loro docente e capendo quanto accaduto, gli alunni che sosterranno tra sei mesi la prova di esame, hanno già dimostrato di… essere maturi. E coraggiosi visto che hanno fatto quadrato intorno al professore quantomeno per essersi interrogati sia sulle modalità di invito che sulla qualità e sulla provenienza delle informazioni propinate per oro colato. Questo, però, non si deve far sapere sui giornali, alla tv e nemmeno alla radio. Forse l’asinistra in questa maniera si renderebbe conto che l’entrismo nella scuola non è riuscito completamente. Non è stato ancora distrutta del tutto quella capacità, seppur rasente lo zero, di ragionare, di spremere le meningi, di far funzionare quell’organo pure in possesso di ognuno.

Uno studio OCSE di recentissima pubblicazione rivela che proprio gli studenti delle scuole superiori italiane (quelle che al convegno probabilmente avrebbero dovuto “sostenere l’esame) non sono in grado di leggere e comprendere un testo, anche elementare, visto che questo loro “lavaggio del cervello” è finalizzato proprio alla riduzione a zero, se non alla completa eliminazione, di ogni capacità di ragionamento e quindi di conoscenza della alunno.

Per il professore di Bologna è stato chiesto il licenziamento, la massima pena, il professore di Civitanova Marche sicuramente passerà l’anima dei guai, almeno tra i suoi colleghi.

In attesa che la testimonianza di un consigliere Pd (guarda caso al convegno per la scuola…) davanti al p.m. di turno faccia ottenere l’interdizione da ogni circolo didattico, culturale e dopolavoro, l’estradizione, la revoca della cittadinanza con relativo baratto dato il posto libero, i lavori forzati ed il taglio delle corde vocali così non potrà più democraticamente sostenere certe cose contrarie alla resistenza. Perché “In una democrazia non tutte le opinioni possono essere accettate” e “quando si parla di Resistenza non occorre una controparte” come dicono i diretti interessati.

Quell’A.N.P.I., invece, dovrebbe continuare a (s)parlare (e a far danni) in nome di quella libertà che deve essere a tutti garantita e di quella libertà di pensiero che è proprio della Costituzione che, non scritta certo dei partigiani, la garantisce a tutti. Indistintamente.

Anche a quelli come l’A.N.P.I. che finiranno per parlare da soli, in solitaria e per il loro sinistro inutile tornaconto. Come pazzi.