UN GIOVANE FIGLIO DEL SOLE DI NOVANT’ANNI : SERGIO PESSOT, SCRITTORE MILITANTE. Dall’incontro con Che Guevara a Casa Pound.

Che Italia strana, stravolta e capovolta quella che stiamo vivendo. Quella che vuole gli anziani, che rappresentano la nostra memoria e le nostre radici, isolati e lontani. Soli. I giovani, invece, obbedienti, dietro uno schermo di compiuter  per l’apprendimento scolastico, o per le relazioni sociali, o solo per svago. L’Italia del politicamente corretto, delle quote rosa, dell’inclusione e dell’essere forzatamente tutti uguali arrivando all’esasperazione del cancella-culture, delle verità infoibate e del negazionismo.
In questo contesto storico, politico, sociale e “coolturale” c’è una generazione che non si arrende e che dà vita a veri e propri atti rivoluzionari. Accade così che un manipolo di giovani osa ancora riunirsi de visu e mettersi in ascolto di un novantenne venuto dall’altro capo d’Italia. L’Associazione “L’Uroboro” di Cava de’ Tirreni (SA) ha ospitato Sergio Pessot, scrittore, giornalista e saggista che ha presentato la sua ultima fatica letteraria “Figli del Sole”, libro autobiografico che racconta una vita eroica degna di essere vissuta. Agli antipodi della melassa amarcord di nostalgici ricordi, di personaggi riaccreditati post mortem, di movimenti utopici passati e non più riproponibili, la vita di Sergio Pessot è l’idea che si fa azione, la concretizzazione della militanza identitaria.
Adolescente impegnato in azioni goliardiche, da meri franchi tiratori nella sua Genova “liberata” che lo vede sparare ad un carro armato americano, frutto di anni di ferocia e di morte, nutrite dalle bombe “alleate” e alimentate da quel desiderio di vendetta che serpeggia nell’intero Stivale. Quella Idea dell’arrendersi mai – Niemals! – quando tutti gli altri avevano già il fazzoletto rosso al collo. Una fascinazione per quella Idea. attraverso i canti e l’Esercito che, schierato, passa in rassegna e lo porterà ad appuntare sul bavero le Fiamme Bianche della Repubblica Sociale Italiana. E a combattere anche contro la sorte avversa, a lottare per una Idea che in tanti avevano abbandonato, ma che non li ha mai visti arrendersi alla sconfitta.
L’Italia inizia a stargli stretta e allora Sergio fa ritorno in Sud America – era figlio di genitori emigrati – sempre con le stesse idee ben radicate nell’animo. Idee che lo portarono a combattere guerre rivoluzionarie laggiù e a diventare un cantore del peronismo. Idea e Movimento politico che egli vedeva più vicina al suo Fascismo. Dall’Argentina si sposta in Bolivia per cercare di restare fedele alle Idee preservandole da ogni “contaminazione” revisionistica, postuma e folkloristica. Intanto, grazie al suo impegno giornalistico che offre “orientamenti” sempre più importanti e vincolanti, ritorna in Italia per tentare di (ri)costruire qualcosa di nuovamente importante. Partecipa, quindi, alla fondazione del Movimento Sociale Italiano dando vita ad una formazione così estrema tanto da guadagnarsi l’epiteto – manco a dirlo, ribaltato anch’esso – di “figli del sole” portato con orgoglio nel corso di quella vita che, a mano a mano, diventava più “normale” con distacco dalla lotta e dall’interventismo in prima persona. Sino a quando incontra i militanti di Casa Pound in cui vede i nuovi “tedofori” di quella fiaccola testimone di quella Idea immortale.
Al netto della vita eroica e “da manuale” che è degna di essere conosciuta oltre che raccontata, il valore aggiunto di questo incontro è Pessot stesso. E’ il suo entusiasmo coinvolgente, che quasi viene scaricato contagiosamente sulla platea di astanti che non possono far altro che essere ipnotizzati dal pathos che anima l’esposizione e destarsi “solo” per battere le mani. Magari a seguito di una risata spensierata. Come si fa a non ridere quando racconta di essersi arrampicato sulla facciata di Palazzo Chigi – da buon amante della montagna-  per esporre il tricolore che il Presidente del Consiglio non aveva issato al balcone istituzionale e farsi beffa di quella che sarà successivamente la DIGOS che, in netta non ottemperanza ai voleri del Presidente del Consiglio in carica, avrebbe voluto identificarlo? Si arrampica sulla facciata del palazzo, dopo aver issato la bandiera sul pennone, chiede di entrare dalla portafinestra per poi uscire scortato dal portone principale del Palazzo che i suoi camerati stavano meditando di sfondare per liberarlo e, infine, rifilare un sonoro calcio negli stinchi a Giorgio Almirante.
Dispensatore di autentiche perle come quella che ci restituisce un Che Guevara – col quale condivideva l’alloggio – immerso nelle “sue” letture. Un giorno Sergio scopre il Che é intento a leggere il Manifesto di Verona e se ne stupisce molto: “Ma Ernesto, questo è Fascismo!”. “No, questo va oltre il Comunismo” controbatte il rivoluzionario cubano. Autentico italico adulatore che apostrofa poeticamente le donne quali “portatrici di acqua”.
Paradigma delle Idee che divengono azioni anche a novant’anni, che coinvolge e stravolge l’interlocutore per la sua vivacità, per la sua vitalità mai doma. “Militare, militare, sempre militare” è la sua preghiera. Rivolta a quei giovani lontani anni luce dalle sue “gesta” di adolescente già uomo, impensabili al giorno d’oggi, inattuabili con questa generazione che dovrebbe infuriarsi contro chi ruba loro la vita (altro che Greta!) con la DAD, la mancata socializzazione, l’omologazione al pensiero unico, l’amorfa imitazione degli influencer, la passiva somiglianza al divano, il rimbambimento ormonale, lo stordimento neuronale.
Chissà che non intenda proprio questo nel suo Figlio del Sole. ove scrive testualmente: “saper essere primavera che irrompe nell’inverno, nella stagione di sonno e di sedazione che stiamo attraversando dobbiamo riuscire a trovare il risveglio dentro di noi e saperlo trasmettere alla società narcotizzata che ci circonda.”.
E chissà se imitandolo, prima ancora di ringraziarlo, ci scopriremo anche noi “figli del sole”, magari dello stesso sole che non muore.
Tony Fabrizio, da un incontro con l’autore.
FIGLIO DEL SOLE, EDITORE ALTAFORTE-HOEPLI. DI SERGIO PESSOT. PUBBLICAZIONE AGOSTO 2021 Euro 16,00. Disponibile in tutte le librerie o anche in piattaforma AMAZON.
http://Che Italia strana, stravolta e capovolta quella che stiamo vivendo. Quella che vuole gli anziani, che rappresentano la nostra memoria e le nostre radici, isolati e lontani. Soli. I giovani, invece, obbedienti, dietro uno schermo di compiuter per l’apprendimento scolastico, o per le relazioni sociali, o solo per svago. L’Italia del politicamente corretto, delle quote rosa, dell’inclusione e dell’essere forzatamente tutti uguali arrivando all’esasperazione del cancella-culture, delle verità infoibate e del negazionismo. In questo contesto storico, politico, sociale e “coolturale” c’è una generazione che non si arrende e che dà vita a veri e propri atti rivoluzionari. Accade così che un manipolo di giovani osa ancora riunirsi de visu e mettersi in ascolto di un novantenne venuto dall’altro capo d’Italia. L’Associazione “L’Uroboro” di Cava de’ Tirreni (SA) ha ospitato Sergio Pessot, scrittore, giornalista e saggista che ha presentato la sua ultima fatica letteraria “Figli del Sole”, libro autobiografico che racconta una vita eroica degna di essere vissuta. Agli antipodi della melassa amarcord di nostalgici ricordi, di personaggi riaccreditati post mortem, di movimenti utopici passati e non più riproponibili, la vita di Sergio Pessot è l’idea che si fa azione, la concretizzazione della militanza identitaria. Adolescente impegnato in azioni goliardiche, da meri franchi tiratori nella sua Genova “liberata” che lo vede sparare ad un carro armato americano, frutto di anni di ferocia e di morte, nutrite dalle bombe “alleate” e alimentate da quel desiderio di vendetta che serpeggia nell’intero Stivale. Quella Idea dell’arrendersi mai – Niemals! – quando tutti gli altri avevano già il fazzoletto rosso al collo. Una fascinazione per quella Idea. attraverso i canti e l’Esercito che, schierato, passa in rassegna e lo porterà ad appuntare sul bavero le Fiamme Bianche della Repubblica Sociale Italiana. E a combattere anche contro la sorte avversa, a lottare per una Idea che in tanti avevano abbandonato, ma che non li ha mai visti arrendersi alla sconfitta. L’Italia inizia a stargli stretta e allora Sergio fa ritorno in Sud America – era figlio di genitori emigrati – sempre con le stesse idee ben radicate nell’animo. Idee che lo portarono a combattere guerre rivoluzionarie laggiù e a diventare un cantore del peronismo. Idea e Movimento politico che egli vedeva più vicina al suo Fascismo. Dall’Argentina si sposta in Bolivia per cercare di restare fedele alle Idee preservandole da ogni “contaminazione” revisionistica, postuma e folkloristica. Intanto, grazie al suo impegno giornalistico che offre “orientamenti” sempre più importanti e vincolanti, ritorna in Italia per tentare di (ri)costruire qualcosa di nuovamente importante. Partecipa, quindi, alla fondazione del Movimento Sociale Italiano dando vita ad una formazione così estrema tanto da guadagnarsi l’epiteto – manco a dirlo, ribaltato anch’esso – di “figli del sole” portato con orgoglio nel corso di quella vita che, a mano a mano, diventava più “normale” con distacco dalla lotta e dall’interventismo in prima persona. Sino a quando incontra i militanti di Casa Pound in cui vede i nuovi “tedofori” di quella fiaccola testimone di quella Idea immortale. Al netto della vita eroica e “da manuale” che è degna di essere conosciuta oltre che raccontata, il valore aggiunto di questo incontro è Pessot stesso. E’ il suo entusiasmo coinvolgente, che quasi viene scaricato contagiosamente sulla platea di astanti che non possono far altro che essere ipnotizzati dal pathos che anima l’esposizione e destarsi “solo” per battere le mani. Magari a seguito di una risata spensierata. Come si fa a non ridere quando racconta di essersi arrampicato sulla facciata di Palazzo Chigi – da buon amante della montagna- per esporre il tricolore che il Presidente del Consiglio non aveva issato al balcone istituzionale e farsi beffa di quella che sarà successivamente la DIGOS che, in netta non ottemperanza ai voleri del Presidente del Consiglio in carica, avrebbe voluto identificarlo? Si arrampica sulla facciata del palazzo, dopo aver issato la bandiera sul pennone, chiede di entrare dalla portafinestra per poi uscire scortato dal portone principale del Palazzo che i suoi camerati stavano meditando di sfondare per liberarlo e, infine, rifilare un sonoro calcio negli stinchi a Giorgio Almirante. Dispensatore di autentiche perle come quella che ci restituisce un Che Guevara – col quale condivideva l’alloggio – immerso nelle “sue” letture. Un giorno Sergio scopre il Che é intento a leggere il Manifesto di Verona e se ne stupisce molto: “Ma Ernesto, questo è Fascismo!”. “No, questo va oltre il Comunismo” controbatte il rivoluzionario cubano. Autentico italico adulatore che apostrofa poeticamente le donne quali “portatrici di acqua”. Paradigma delle Idee che divengono azioni anche a novant’anni, che coinvolge e stravolge l’interlocutore per la sua vivacità, per la sua vitalità mai doma. “Militare, militare, sempre militare” è la sua preghiera. Rivolta a quei giovani lontani anni luce dalle sue “gesta” di adolescente già uomo, impensabili al giorno d’oggi, inattuabili con questa generazione che dovrebbe infuriarsi contro chi ruba loro la vita (altro che Greta!) con la DAD, la mancata socializzazione, l’omologazione al pensiero unico, l’amorfa imitazione degli influencer, la passiva somiglianza al divano, il rimbambimento ormonale, lo stordimento neuronale. Chissà che non intenda proprio questo nel suo Figlio del Sole. ove scrive testualmente: “saper essere primavera che irrompe nell’inverno, nella stagione di sonno e di sedazione che stiamo attraversando dobbiamo riuscire a trovare il risveglio dentro di noi e saperlo trasmettere alla società narcotizzata che ci circonda.”. E chissà se imitandolo, prima ancora di ringraziarlo, ci scopriremo anche noi “figli del sole”, magari dello stesso sole che non muore. Tony Fabrizio, da un incontro con l’autore. FIGLIO DEL SOLE, EDITORE ALTAFORTE-HOEPLI. DI SERGIO PESSOT. PUBBLICAZIONE AGOSTO 2021 Euro 16,00. Disponibile in tutte le librerie o anche in piattaforma AMAZON.

DE LUCA TI CHIUDE LA SCUOLA E IL TAR LO BOCCIA!!

Vincenzo De Luca non fa frequentare la scuola e ad essere bocciato è proprio lui. Dopo l’iscrizione nel registro degli indagati per il cosiddetto “sistema Salerno”, ovvero la piovra attraverso cui lo sceriffo lucano elargiva appalti e distribuiva voti per sé e per i suoi, dispensando vita, morte e miracoli ai soliti noti, un’altra doccia gelata arriva dal TAR all’indirizzo dell’agitatore del lanciafiamme.
Il Tribunale Amministrativo Regionale ha, infatti, accolto il ricorso dei genitori contro la decisione del governator campano di chiudere le scuole. Vincenzino dominava il proscenio e con fare da super-uomo protagonista decretava la chiusura di tutte le scuole di ogni ordine e grado. A partire dai nidi e finire alle sessioni di laurea universitaria.
Lo ricordate tronfio e borioso atteggiarsi a tuttologo e criticare il bambino allevato al latte col plutonio che voleva “solo” andare a scuola? Quel bambino, a vederla con gli occhi di un adulto, e De luca è più di un adulto, di occhi ne ha quattro e “proviene” pure da un partito che, almeno nella dicitura, si dice essere democratico, voleva solo esercitare un diritto. Ma l’inquilino di Palazzo Santa Lucia glielo aveva negato. Fottendosene della negazione del diritto allo studio. Tanto di violazioni ne aveva già commesse tante, una in più, una in meno…
Per fortuna – in questi tempi e temi “palamarizzati”  si tratta davvero di una fortuna – numerosi TAR hanno accolto il ricorso di svariati  genitori contro la chiusura delle scuole, ritenendola illegittima perché immotivata. Il tutto riferito ai periodi in cui in Campania vi erano zone gialle o al massimo arancione, ma a De Luca piaceva confinare tutti in casa. Bambini, adulti, anziani, “lavoratori non necessari” … così, per il suo delirio di onnipotenza, visto che né Governo centrale, né i sapientissimi del Comitato Tecnico Scientifico, né gli scienziati dell’Istituto Superiore di Sanità, né tantomeno alcun organo di governo affiancato al governo chiamato a governare al suo posto si era mai pronunciato in merito o aveva chiesto simili restrizioni.
Vincenzino faceva il bello e il cattivo tempo e ordinava la chiusura delle scuole prima che lo facesse Gigino de Magistris per lo stato fatiscente delle strutture.
Chissà se il tuttologo lucano riparato a Salerno sa cosa può significare la privazione della scuola. Chissà se conosce i concetti e i relativi benefici della socializzazione, dell’apprendimento a parlare, a giocare, a socializzare, e di conseguenza, il relativo ritardo cognitivo e linguistico. Chissà se ha idea cosa significhi confinare in una stanza, magari davanti ad uno schermo, bambini e adolescenti per una anno – se andrà tutto bene – privandoli del contatto sociale e reale;  dei disabili che regrediscono in maniera irrecuperabile, dei nonn,i confinati anch’essi, che non possono dare una mano ai loro figli costretti a lavorare – ma solo se hanno un’attività necessaria (vedi sopra) – in condizioni indicibili, con conseguenti malattie fisiche e psicologiche derivanti dall’astinenza alla frequentazioni di quei “piezz’ ‘e core” che sono mutati in pezzi di virus. Vairus per Gigino ‘o paesano.
Pronta la contromossa del canuto governatore che, per non smentirsi, è peggio del buco. Alle nuove minacce di chiusura degli impianti scolastici, quest’anno potrebbe concorrere la mancata vaccinazione a tappeto. Evidentemente De Luca, ma non solo lui, ignora che a non vaccinarsi non si corre in alcun reato, ma sic stantibus rebus ci viene da chiedere per quale ragione il nostro non abbia chiuso gli ospedali, ad esempio, ma solo fino a completa vaccinazione del personale impiegato. Ma meglio non chiedere perché, in realtà, De Luca gli ospedali li chiude eccome, ma non per motivi di salute pubblica (in questi ultimi giorni il fronte caldo è rappresentato dall’ospedale di Cava de’ Tirreni che, dopo i tagli già operati, rischia di essere accorpato definitivamente al Ruggi di Salerno). Chiudere la scuola non comporta perdite di PIL e invece la Sanità sanerebbe tante cose.
E se De luca parla e sparla, silenzio di tomba viene dal ministro dell’Istruzione Bianchi, il quale pare sia essere un accorto sostenitore della didattica in presenza quindi un “avversario” per gli occhi deluchiani. Non favella nemmeno il presidente del consiglio Draghi.
In un Paese normale De Luca sarebbe già stato destituito, ma a Palazzo non si sente nemmeno più la voce della “chiattona” (cit. De Luca) anticasta e anti-De Luca. E lui ha ancora stella e stivale con sperone. E a quanto pare ancora pure la licenza di uccidere.
https://www.camposud.it/de-luca-ti-chiude-la-scuola-e-il-tar-lo-boccia/tony-fabrizio/

L DOVEROSO RICORDO DEI MARTIRI DI NASSIRIYA. L’Italia si inchina al sacrificio dei nostri militari.

A sera i riflettori si spengono sulla “tragedia più grande dalla seconda guerra mondiale ad oggi”.
Nassiryia è oggi una tragedia matura, ma non bastano le luci  delle diciotto candeline ad illuminare la verità e i colpevoli che continuano a stare nell’ombra, nel buio, al sicuro.
Il rituale propone, come da protocollo, scarpe lucide, divise lustrate, galloni tirati a lucido, anche con un po’ di saliva che non gusta mai.
Uomini impettiti che si gonfiano nel pronunciare parole vuote come libertà, giustizia, pace. Più vuote degli “uocchi” ormai privi di lacrime di una mamma e di un padre che hanno dato un figlio alla Patria che sua volta lo ha affittato ad altri. Più vuoto di un posto a tavola per un orfano ammutolito, più vuoto del posto in un letto troppo grande per una vedova.
Non c’è più nemmeno l’immagine di Martin Fortunato, 8 anni e lacrime sotto il basco amaranto di papà ormai avvolto dal tricolore. Non è più la sua tragedia ora che di anni ne ha 26.
Gli hanno raccontato che il suo papà laggiù era andato per proteggerci, ma 18 anni dopo proteggiamo quelli che da laggiù vengono e andiamo pure a prenderli. Gli hanno raccontato che suo papà portava la pace, ma è strano vedere dopo 18 anni che gli stessi colleghi di suo padre picchiano il proprio popolo, interrompono funzioni religiose, o meglio solo la Santa Messa, che irrompono nelle case di quelli che hanno giurato di difendere.
Che bello, tutti fratelli, la bandiera italiana, nessuno è fascista. O forse sì. 10, 100, 1000 Nassiryia fu il modo consueto di festeggiare degli antifascisti. La bandiera italiana è seconda a quella blu con le stelline e sostituita ormai da quella arcobaleno. Che non è della pace, ma del pacifismo. Che è quella dei gay pride ma, vedrete, andrà tutto bene.
Dopo 18 anni di puro rituale retorico, forse si potrebbe iniziare a chiedere al governo di allora cosa sanno oggi di ciò che sapevano già 18 anni fa circa l’azione terroristica preparata contro la Maestrale, del camion di fabbricazione russa con cassone blu imbottito di esplosivo. E questo è solo ciò che è dato sapere pure a noi. Cosa si sa dell’allora Ministro della Difesa e dei generalissimi con gli alamari sempre lustrati che ignorarono l’informativa e, quindi, la minaccia.
Chissà se sono bastati loro 18 anni per pulirsi la coscienza con lo stesso tricolore che copriva le bare. Chissà se alla loro finestra sventola ancora un tricolore, magari sbiadito perché dalla vittoria degli europei di calcio sono passati quattro mesi. Chissà se lo rinnoveranno per i mondiali di calcio.
Ma ora si deve eleggere il Presidente della Repubblica che è pure capo delle Forze Armate, per cui anche quest’anno le domande scomode le faremo un’altra volta. Magari nemmeno l’anno prossimo.

https://www.camposud.it/il-doveroso-ricordo-dei-martiri-di-nassiriya-litalia-si-inchina-al-sacrificio-dei-nostri-militari/tony-fabrizio/

 

DAL COVID ALLA POLMONITE SINCIZIALE: Il Professor TARRO condannato all’oblio !!

d eccoci qua che mentre pratichiamo l’ennesimo estenuante accanimento terapeutico alla pandemia da Covid-19 perché duri sempre più e ci preparano per un’altra, nuova emergenza – pare -climatica, per il prominente principio scientifico del “non c’è due senza tre” che ingloba anche il vecchio adagio “tra i due litiganti, il terzo gode”, ecco spuntare una nuova-ma-non-nuova emergenza (che tale non è). Manco a dirlo, sanitaria.
E come in ogni tragedia che si rispetti, anche in questa Italia ridotta a nave senza nocchiero, ma con al timone i croceristi del ’92 che, nonostante tutto, ancora si ostina a non affondare, “prima i vecchi e i bambini”: così, se il Covid s’è portato con sé la parte “antica”, le radici e i ricordi della nostra identità, quest’altra emergenza colpisce i bambini. È in aumento, infatti, o almeno così ci dicono, in ogni ospedale d’Italia, da Nord a Sud, un nuovo male, conosciuta essenzialmente perché questa influenza ha colpito due noti influencer: i coniugi (è Zan-politically correct?) Ferragnez. O meglio, la loro piccolina, ricoverata all’Ospedale Buzzi di Milano per quella che pare essere una polmonite sinciziale.
Già, proprio la polmonite sinciziale che, purtroppo, è male noto – “male oscuro” negli anni 1978/79 a Napoli- studiata, combattuta e sconfitta proprio da un “napoletano d’adozione”, il prof. Giulio Tarro, virologo di fama mondiale, scienziato candidato “per sbaglio” due volte a quel Nobel “troppo politicamente corretto” e, quindi, mai assegnatogli.
E come per l’emergenza Covid (la cui intervista per Campo Sud potete trovarla qui https://www.camposud.it/2020/10/le-interviste-di-campo-sud-tony-fabrizio-intervista-in-esclusiva-il-professor-giulio-tarro/), in netta controtendenza con i soloni dell giornalismo ufficiale elevato a quarto potere che dà voce solo ai “mestieranti di regime”, Campo Sud ha chiesto lumi in merito proprio allo scienziato siculo-napoletano.
La polmonite sinciziale che i media hanno scoperto oggi non è altro che il male oscuro che afflisse Napoli nel 1979 e che fu scoperto e debellato proprio dal prof. Giulio Tarro.
Le cronache di allora ci consegnano un bambino morto ogni giorno, tra il primo e il secondo anno di vita con una incidenza tale verificatasi solo a Napoli. Nessun medico di allora riusciva a capire di cosa si trattasse e soprattutto come poter intervenire prima che circa ottanta bambini ne rimanessero vittime. Fu proprio il “figlio scientifico” del prof. Albert Sabin, allora giovane primario dell’Ospedale Cotugno di Napoli, che iniziò a studiare il fenomeno (nonostante il Cotugno non trattasse casi pediatrici). In realtà, allora come ora, nessuno pensò di coinvolgere il Tarro già professore di Virologia oncologica all’Università di Napoli, ma “per sbaglio” ci pensò il giornalista di punta della Rai Willy Molco il quale chiese aiuto proprio all’illustre virologo per incontrare i medici che erano in prima linea contro questa epidemia dilagante. Di qui, l’interessamento anche del prof. Tarro che, grazie all’aiuto di colleghi che si occupavano direttamente dei casi, si rese immediatamente conto che questo male colpiva esclusivamente i bambini che venivano ricoverati in terapia intensiva perché non considerati quali casi pediatrici e intubati (guarda un po’…) senza che si conoscesse poi il cursus clinico. Studiando i casi, il Tarro si rese conto che si trattava di un virus quando non si pensava minimamente ad un fatto respiratorio. Studiò le cellule, dunque, anche i campioni dei bambini ricoverati in Pediatria e “vide” gli agenti e gli anticorpi del sangue. Provò, quindi, ad isolare il virus ed effettuò un riscontro della fusione di cellule, ovvero il sincizio.
Il giovane primario aveva avuto un’idea geniale: sulla maggior parte dei bambini ricoverati in pediatria individuò il sinciziale. Studiò “se era possibile intravedere un’epidemia e quindi la possibilità che il virus passasse da una cultura cellulare all’altra, individuando così la riproducibilità della malattia. Ebbe in mano il postulato di Koch, individuò cioè il virus responsabile”.
Apparve chiaro (solo al Tarro) che si trattava di un virus e il fatto che i bambini non venissero curati per bronchiolite, quando in realtà, era in atto una e vera e proprio epidemia proprio di bronchiolite fu l’errore mortale che portò alla fine di quasi cento bambini. Non si contano, per fortuna, quelli salvati dall’intuizione acutissima del Tarro che, conoscendo come trattare la bronchiolite, portò alla cura dell’infezione e a debellarla.
Per il principio “duplice” che impera e divide, che già allora preferiva i martiri agli eroi, le cassandre ai profeti e l’apprezzamento inutile poiché postumo, l’Istituto Superiore di Sanità non ammise subito questa scoperta epocale. Anzi, proprio l’allora ministro della Salute Tina Anselmi ex partigiana Gabriella, santificata per il prode gesto di non piegarsi al tentativo di corruzione circa dei medicinali ritirati, “massacrò” letteralmente il “povero” scienziato fino a quando non intervenne l’Organizzazione Mondiale della Sanità che lo fece convocare a Roma, prese visione dello studio direttamente dal suo scopritore il quale raccontò loro del virus sinciziale con conseguente apprezzamento pluripremiato e “sconfitta” per l’I.S.S. che fu costretto a riconoscere ad ammettere la scoperta. Un (in)successo istituzionale sanitario figlio di quella ambiguità italica che vuole il termine “sanitario” afferente non solo all’ambito medico, ma una più appropriata aggettivazione che per ben definire certi soggetti. Al pari di un Vespasiano che non è solo un imperatore romano.
Un’autentica realtà irreale quella che stiamo vivendo e che già la scrittrice Marina Salvadore aveva a suo modo “profetizzato” nel suo covid-congresso delle Janare in Terronia Felix edito nel dicembre 2020 e che ha per protagonista proprio il prof. Tarro, volutamente dimenticato dalla scienza ufficiale, che profetizza realtà che lo trasformano in una novella Cassandra, in un coraggioso Bruno Contrada lasciato a combattere la sua odissea giudiziaria da solo contro tutti, profeta in una patria irriconoscente, studioso, scopritore e debellatore di una pandemia nuova che nuova non è, ma che grazie a lui è stata capita, curata e sconfitta, ma ripresentatasi, meglio (ri)proposta – questo lo sa anche la scienza ufficiale, compreso i boriosi quotidiani presenti in tivvù fino a permesso loro revocato – grazie a quei virus immuni da difese immunitarie, azzerate dal lavaggio continuo e compulsivo delle mani, dall’uso perenne della mascherina, dai lockdown che hanno fatto sì che il nostro corpo non avesse più difese né barriere. Proprio come questa vulnerabile Italia, senza confini, né “testa”, né difesa.
https://www.camposud.it/dal-covid-alla-polmonite-sinciziale-il-professor-tarro-condannato-alloblio/tony-fabrizio/

DAL COVID ALLA POLMONITE SINCIZIALE: Il Professor TARRO condannato all’oblio!!

Ed eccoci qua che mentre pratichiamo l’ennesimo estenuante accanimento terapeutico alla pandemia da Covid-19 perché duri sempre più e ci preparano per un’altra, nuova emergenza – pare -climatica, per il prominente principio scientifico del “non c’è due senza tre” che ingloba anche il vecchio adagio “tra i due litiganti, il terzo gode”, ecco spuntare una nuova-ma-non-nuova emergenza (che tale non è). Manco a dirlo, sanitaria.
E come in ogni tragedia che si rispetti, anche in questa Italia ridotta a nave senza nocchiero, ma con al timone i croceristi del ’92 che, nonostante tutto, ancora si ostina a non affondare, “prima i vecchi e i bambini”: così, se il Covid s’è portato con sé la parte “antica”, le radici e i ricordi della nostra identità, quest’altra emergenza colpisce i bambini. È in aumento, infatti, o almeno così ci dicono, in ogni ospedale d’Italia, da Nord a Sud, un nuovo male, conosciuta essenzialmente perché questa influenza ha colpito due noti influencer: i coniugi (è Zan-politically correct?) Ferragnez. O meglio, la loro piccolina, ricoverata all’Ospedale Buzzi di Milano per quella che pare essere una polmonite sinciziale.
Già, proprio la polmonite sinciziale che, purtroppo, è male noto – “male oscuro” negli anni 1978/79 a Napoli- studiata, combattuta e sconfitta proprio da un “napoletano d’adozione”, il prof. Giulio Tarro, virologo di fama mondiale, scienziato candidato “per sbaglio” due volte a quel Nobel “troppo politicamente corretto” e, quindi, mai assegnatogli.
E come per l’emergenza Covid (la cui intervista per Campo Sud potete trovarla qui https://www.camposud.it/2020/10/le-interviste-di-campo-sud-tony-fabrizio-intervista-in-esclusiva-il-professor-giulio-tarro/), in netta controtendenza con i soloni dell giornalismo ufficiale elevato a quarto potere che dà voce solo ai “mestieranti di regime”, Campo Sud ha chiesto lumi in merito proprio allo scienziato siculo-napoletano.
La polmonite sinciziale che i media hanno scoperto oggi non è altro che il male oscuro che afflisse Napoli nel 1979 e che fu scoperto e debellato proprio dal prof. Giulio Tarro.
Le cronache di allora ci consegnano un bambino morto ogni giorno, tra il primo e il secondo anno di vita con una incidenza tale verificatasi solo a Napoli. Nessun medico di allora riusciva a capire di cosa si trattasse e soprattutto come poter intervenire prima che circa ottanta bambini ne rimanessero vittime. Fu proprio il “figlio scientifico” del prof. Albert Sabin, allora giovane primario dell’Ospedale Cotugno di Napoli, che iniziò a studiare il fenomeno (nonostante il Cotugno non trattasse casi pediatrici). In realtà, allora come ora, nessuno pensò di coinvolgere il Tarro già professore di Virologia oncologica all’Università di Napoli, ma “per sbaglio” ci pensò il giornalista di punta della Rai Willy Molco il quale chiese aiuto proprio all’illustre virologo per incontrare i medici che erano in prima linea contro questa epidemia dilagante. Di qui, l’interessamento anche del prof. Tarro che, grazie all’aiuto di colleghi che si occupavano direttamente dei casi, si rese immediatamente conto che questo male colpiva esclusivamente i bambini che venivano ricoverati in terapia intensiva perché non considerati quali casi pediatrici e intubati (guarda un po’…) senza che si conoscesse poi il cursus clinico. Studiando i casi, il Tarro si rese conto che si trattava di un virus quando non si pensava minimamente ad un fatto respiratorio. Studiò le cellule, dunque, anche i campioni dei bambini ricoverati in Pediatria e “vide” gli agenti e gli anticorpi del sangue. Provò, quindi, ad isolare il virus ed effettuò un riscontro della fusione di cellule, ovvero il sincizio.
Il giovane primario aveva avuto un’idea geniale: sulla maggior parte dei bambini ricoverati in pediatria individuò il sinciziale. Studiò “se era possibile intravedere un’epidemia e quindi la possibilità che il virus passasse da una cultura cellulare all’altra, individuando così la riproducibilità della malattia. Ebbe in mano il postulato di Koch, individuò cioè il virus responsabile”.
Apparve chiaro (solo al Tarro) che si trattava di un virus e il fatto che i bambini non venissero curati per bronchiolite, quando in realtà, era in atto una e vera e proprio epidemia proprio di bronchiolite fu l’errore mortale che portò alla fine di quasi cento bambini. Non si contano, per fortuna, quelli salvati dall’intuizione acutissima del Tarro che, conoscendo come trattare la bronchiolite, portò alla cura dell’infezione e a debellarla.
Per il principio “duplice” che impera e divide, che già allora preferiva i martiri agli eroi, le cassandre ai profeti e l’apprezzamento inutile poiché postumo, l’Istituto Superiore di Sanità non ammise subito questa scoperta epocale. Anzi, proprio l’allora ministro della Salute Tina Anselmi ex partigiana Gabriella, santificata per il prode gesto di non piegarsi al tentativo di corruzione circa dei medicinali ritirati, “massacrò” letteralmente il “povero” scienziato fino a quando non intervenne l’Organizzazione Mondiale della Sanità che lo fece convocare a Roma, prese visione dello studio direttamente dal suo scopritore il quale raccontò loro del virus sinciziale con conseguente apprezzamento pluripremiato e “sconfitta” per l’I.S.S. che fu costretto a riconoscere ad ammettere la scoperta. Un (in)successo istituzionale sanitario figlio di quella ambiguità italica che vuole il termine “sanitario” afferente non solo all’ambito medico, ma una più appropriata aggettivazione che per ben definire certi soggetti. Al pari di un Vespasiano che non è solo un imperatore romano.
Un’autentica realtà irreale quella che stiamo vivendo e che già la scrittrice Marina Salvadore aveva a suo modo “profetizzato” nel suo covid-congresso delle Janare in Terronia Felix edito nel dicembre 2020 e che ha per protagonista proprio il prof. Tarro, volutamente dimenticato dalla scienza ufficiale, che profetizza realtà che lo trasformano in una novella Cassandra, in un coraggioso Bruno Contrada lasciato a combattere la sua odissea giudiziaria da solo contro tutti, profeta in una patria irriconoscente, studioso, scopritore e debellatore di una pandemia nuova che nuova non è, ma che grazie a lui è stata capita, curata e sconfitta, ma ripresentatasi, meglio (ri)proposta – questo lo sa anche la scienza ufficiale, compreso i boriosi quotidiani presenti in tivvù fino a permesso loro revocato – grazie a quei virus immuni da difese immunitarie, azzerate dal lavaggio continuo e compulsivo delle mani, dall’uso perenne della mascherina, dai lockdown che hanno fatto sì che il nostro corpo non avesse più difese né barriere. Proprio come questa vulnerabile Italia, senza confini, né “testa”, né difesa.
https://www.camposud.it/2021/10/dal-covid-alla-polmonite-sinciziale-il-professor-tarro-condannato-alloblio/

QUALE EMERGENZA?

La Sicilia affoga. Catania è poco più che una terra emersa su un’isola. Me ne dovrebbe fregare delle parole di Mattarella, ma proprio non ci riesco. Non ci riesco, non voglio e non posso perché sono parole che non trovano riscontro nella realtà. Parole di accuse contro chi non si vaccina che non commette alcun reato. Parole di condanna verso quella parte di popolazione che ha tenuto la schiena dritta e fede alla propria idea pur difronte all’inganno. Al vile baratto col pane. Con la fame. Scegliendo quest’ultima.
C’è un Paese in piazza, fatto anche di vaccinati, che non accetta l’abominio del green pass, solidale con i portuali di Genova cui riconoscono la guida della battaglia di tutti che dovrebbe essere dei politici.
Mammaeuropa, da matrigna e maitresse della nostra moneta, ha fatto sapere che non ci saranno soldi per ridurre il costo delle bollette. Intanto rincara il carburante, rincara il pane, rincara la vita. L’onnipotente Draghi, in compenso, ha impresso l’imprimatur allo sblocco dei licenziamenti. Ricompare la Fornero e non solo in parlamento, ma anche sulla schiena di quei lavoratori che a settant’anni e passa cadono dall’impalcatura o schiattano sotto al sole alle due di un pomeriggio d’estate.
Mattarella dovrebbe esprimersi da canuto saggio, dispiaciuto di essere sfrattato, con le valigie pronte e il magone del trasloco imminente. Le ultime raccomandazioni e una lunga preghiera di speranza per ciò che sarà. E invece no. Lui divide. Lui, che dovrebbe incarnare l’unità nazionale, divide. Lui che dovrebbe essere il garante della Costituzione la utilizza come tampone per la prostata incontinente. Lui che dovrebbe essere il comandante delle Forze Armate ha una larga fetta che non gli risponde. Che preferisce farsi sospendere in nome di qualcosa che nemmeno è legge. E lui da costituzionalista quale è dovrebbe saperlo. Non dovrebbe consentirlo. E, invece, è un collaborazionista che continua a stare al suo posto. Che vuoi che sia, il Presidente della Repubblica è solo una carica di rappresentanza. Tanto di rappresentanza che non è mai stato eletto -votato- uno che non sia votato a sinistra. Non uno di centro o centro-sinistra, ma proprio  comunista. Pure partigiano. Bandito, assassino e voltagabbana, ma non diverso. E continua ad occupare il Colle nonostante tutto questo. Nonostante non ci sia un cazzo di rappresentante di quella opposizione che ne chieda lo stato di messa in accusa per alto tradimento. Troppo impegnati a piangere per il trapasso di Quota 100 e a pensare come dire ai propri tifosi che va tutto bene e controlla anche le pensioni dall’interno. Troppo impegnati con l’abiura dell’Idea, con il taglio delle radici e a tentare di spegnere la fiamma, alitandoci sopra. E ricorrendo, se altro non bastasse, a un revisionismo storico del 25 aprile il 25 di ottobre, per dire chiaramente che in tale data “l’Italia si liberò dal nazifascismo”. Anche questa è eutanasia, spero. Troppo impegnati a dire che non si è di destra, ma nemmeno di sinistra. E se c’è bisogno di dirlo… impegnati in quel ppe che assorbe la propria attività tanto da mandare puttane il proprio Paese quando anche uno sguardo è considerato cat-calling o irrispettoso verso ciò che non dovrebbe essere ciò che è. Nell’affanosa ricerca di un posto di senatore-avvita, nel senso di bullonato, in quello che nella gloriosa Roma costituiva il “consiglio dei saggi” e che oggi ha tutto il sapore del contentino di una palpatina, magari a pagamento, da parte di chi non prova più nemmeno un’erezione.
Intanto, le carrette del mare nemmeno si prendono più la briga di scaricare merce umana buona solo a farci un po’ di soldi, ma usano e (mai) abusano dei mezzi per la Difesa dei nostri confini comandanti da chi preferisce e stabilisce che persino un abito sartoriale vale di più del proprio sacro suolo, della parola data anni fa tramutatasi in vita di pane e di tetto. Me ne fregherei delle cazzate propinate a mo’ di proselito da venditore di aspirapolvere porta a porta dell’inquilino del Quirinale se non fosse complice e protettore di chi al porto vede estremisti e non lavoratori, ma “non vede” la pec con cui un manifestante comunica la propria presenza in piazza. E che lo si lascia assaltare per non far precipitare la situazione, mentre i suoi uomini in borghese diventano collaudatori.
Ma oggi in parlamento si discute il ddl Zan. Discute per modo di dire perché si potrebbe ricorrere al voto segreto che può essere una tagliola di cui può usufruire addirittura chi propone la legge liberticida. Senza metterci la faccia, ancora una volta. Bentornati nella realtà.

BORDELLO ITALIA

È legittimo l’obbligo vaccinale.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, rigettando la richiesta di alcuni medici e paramedici del Friuli Venezia Giulia che si appellavano alla libertà di scelta.
Non sono un virologo – ribadisco – e non aspiro ad esserlo, ma il punto, secondo me, non è l’obbligo vaccinale o meno (sul quale io sarei d’accordo a patto e condizioni che il Governo, cui sono deputate le scelte politiche della Nazione, se ne assuma tutte le responsabilità). Imponi pure l’obbligo vaccinale, ma prima di eliminare ogni tipo di limitazioni alla libertà, tu Governo elimini la sottoscrizione del consenso informato, ovvero la delega della responsabilità che, cosa che il Consiglio di Stato non ha tenuto conto, o forse sì, è assunta direttamente dal singolo operatore medico, paramedico, sanitario, etc.
Dico forse sì, perché il Consiglio di Stato potrebbe essersene completamente fregato. Voce del verbo dipiciemme, dl, circolare ministeriale. Ovvero facciamo come ci pare e senza nemmeno modificare la legge. Che presupporrebbe un passaggio – almeno pro forma – per il Parlamento che è stato del tutto esautorato. Voce del verbo “non conta più un cazzo”. Dunque, ha senso combattere legalmente appellandosi a quella magistratura palamarizzata, colorata, politicizzata, asservita, alleata, complice e collabirazionista? In uno stato di diritto che di diritto non ha più nulla?
Tuttavia, continuo a credere che il vaccino non sia il fine, bensì un mezzo, il mezzo per portarti a chiedere il green pass. Anche per la libera circolazione in casa tua, che in quanto a concessione manda a puttane il concetto stesso di libertà. Che, con buona pace di Friederich Nietzsche, “non è fare tutto ciò che si vuole, ma volere tutto ciò che si fa”. O magari potremmo finire, come diceva Sartre, ad “essere condannati ad essere liberi”.
Sarà perché sono un inguaribile italofilo, un autentico fondamentalista italico, ma non mi spiego, e di rimando li detesto, tutti coloro che combattono la certificazione verde – scusate se uso l’italiano, ma siano ancora nel settecentenario della morte di Dante e non possiamo solo parlare della porta dell’inferno al Qui…rinale – con il mantra – non must – “siamo gli unici al mondo”. Per quanto può essere detto in buona fede, questa premessa, secondo me, equivale ad una senso di inferiorità e di dipendenza dagli altri, concetti ormai insiti e radicati nell’animo. D’altronde anche i governanti, da Conte in poi, parlano di “modello Italia” e dicono la verità. Altro che complottismo! Questi parlano chiaro. Il modello Italia, ovvero il laboratorio sperimentale di lorenziniana memoria, prevede che l’Italia faccia da apripista anche sulla certificazione verde. Studiamo cosa succede in Italia e vediamo come applicarlo nel resto del mondo. Solo che in Italia è accaduto qualcosa di eccezionale: Trieste, senza la pretesa di essere modello, è stata seguita da tantissime piazze del centro-nord, qualcuna pure al Sud. È arrivata la solidarietà nei fatti (e nelle piazze) dalla Francia, dall’Inghilterra, dalla Slovenia, dalla Serbia, dalla Polonia (che ha letteralmente piantato le palle della sovranità a terra contro l’ingerenza di Bruxelles in casa propria, ma guai a nominare Visegrád), addirittura dall’Australia, che stanno messi (non so se) peggio di noi.
È di queste ore la notizia che il Regno Unito proroga di sei mesi il “Coronavirus act”, senza alcun voto del parlamento (su modello Italia, potremmo dire). Solo 90 minuti (fantozziani) per il dibattito. Quasi nessun parlamentare si è presentato per discuterne. Il vicepresidente dice: “non è umore della Camera votare sulla questione”. Poi tutti a festeggiare a Palazzo: guest star il filantropo e coltivatore di esperimenti di ingegneria genetica, passione ereditata dalla mamma, e proprietario della Pfizer, il miliardario Bill Gates.
Mentre in Francia, con 109 voti contro 66 è stato approvato l’articolo 1 del DDL sulla vigilanza sanitaria. Ovvero la proroga del quadro normativo per lo stato di emergenza sanitaria fino al 31 luglio 2022.
L’Ansa, protuberanza ed escrenza del PD, solo ieri batteva (!) la notizia che il nostro futuro verde-green sarà a prova di emissioni di CO2 che sarà misurato dalla certificazione verde cui sarà legato ogni aspetto delle vostre vite. Quindi, potrebbero decidere che tu non avrai energia elettrica nel fine settimana perché la pasta e fagioli cucinata il giorno prima ti ha trasformato in un pericoloso e criminale malato cronico compulsivo affetto da aerofagia e meteorismo. Parola di green pass. E dopo il poliziotto in borghese che, nel mezzo di una guerriglia testa il moto ondulatorio del mezzo già collaudato, io mi aspetto di tutto.
Ma questo modello Italia sembra non essere tanto gradito né debba trovare molto seguito: al G20 di Draghi mancheranno i capi di stato Putin (Russia) Bolsonaro (Argentina), Xi Jinping, (Cina) Kishida (Giappone), Obrador Messico).
Praticamente Mariolino, il primo della cla$$€, quello che vuol dimostrare di aver fatto bene i compito a casa e di aver anche approfondito per “conto” suo, faceva bene ad organizzare un pigiama party.
Ecco perché è importante la protesta di Trieste, ecco perché (anche) nel resto nel mondo hanno capito che è fondamentale essere solidali con i portuali di Trieste. A Trieste si sta combattendo per le sorti del mondo, a Trieste si sta facendo la storia. Di nuovo. Ancora. La nostra.
Se poi questa non la ritenere una buona notizia potete sempre gioire per la riduzione, grazie al PD, del 10% dell’IVA sugli assorbenti. Un risparmio di 0,30 eurocent al mese. In attesa che, come sostenuto, venga il ciclo anche agli uomini.

È UN PO’ LUNGO, MA…

E che cazzo i portuali di Trieste! Emettere un comunicato proprio a conclusione della manifestazione della ZIZIELLE. Hanno rubato loro la scena di un sabato che magicamente non è più fascista e nessuno ha potuto più parlare dei nipoti scemi di Togliatti e Berlinguer, petolosi, zainetto in spalla e armati di gessetti colorati. Festanti e manifestanti, nel senso che erano festanti e goiosi nel darsi la mano e fare il girogirotondo. Col mondo che casca, casca la Terra e tutti, ormai, stiamo già con il culo a terra.
Per consentire la manifestazione – cosa resa ancora possibile dal fascistissimo TULPS! – non c’è stato bisogno nemmeno di un dpcm o un dl, magari illegale, quegli strumenti con cui ormai questi sgovernanti di Conte e Draghi urinano e defecano su leggi e costituzione e “governANO” a loro-ma-non-loro piacimento in epoca Covid dalle mille e infinite varianti, vero mezzo di governo da due anni orsono.
Dunque, non una legge-farsa in ottemperanza al silenzio elettorale, ma d’altronde la manifestazione dei s(u)in-dacati è la conseguenza logica della prova generale fatta già con la lobby nera, uscita il venerdì pre-elottorale.
Con il comunicato dei portuali, per forza di cose, si è dato meno risalto anche alla piazza romana che “ospitava la vera resistenza”: chissà cosa avranno pensato i quasi 500 licenziati della Wirlphool che non potranno più produrre una resistenza, ma nemmeno una lavatrice! Cosa dirà la ZIZIELLE a questi nuovi poveri e che non saranno gli ultimi? Che loro erano a manifestare contro il Fassismo. Anzi, contro I fassismI. Ma quali? Io di Fascismo ne conosco uno solo! Chissà, forse la loro è solo deformazione da pluralismo, eccessivo inclusivismo! Che poi il Fassismo non era stato sconfitto dai partigiANI che sono nati a fasssismo caduto e che hanno continuato a nascondersi nei boschi e sulle montagne salvo uscire per depredare, derubare e stuprare i loro connazionali? Mah, forse i pronipoti sono ancora più scemi dei nipoti scemi di Togliatti e tra una vetrina spaccata, una canna e una mano in culo al loro kompagno arcobalenoso, non hanno avuto il tempo e l’intellighenzia di leggere i libri (falsi) lasciati loro in eredità. Magari rifiutano anche quel possesso in nome dell’abolizione della proprietà privata.
Così tutta l’attenzione è stata riservata ai portuali di Trieste e questo già basta a porsi qualche domanda. Sui giornalisti che, in tempo di pandemia, hanno ricevuto mezzomiliardodieuri affinché narrassero i numeri farlocchi, le morti inventate e procurate, terrorizzassero con i racconti punitivi delle divise e ci presentassero un mondo contagioso e contagiato, conta-minato dove non si doveva uscire, né respirare. E ora proprio loro, foraggiati anche da Draghi seppur con un accredito dall’importo minore – Conte era stato più signore – danno risalto ai portuali di Trieste? È pur vero che Draghi, in inglese per non far capire agli Italiani (che poi chi glielo ha detto?), ha affermato che il “virus sta per finire”, ma siamo pur sempre in emergenza (!) e in pieno delle restrizioni più restringenti, cazzo: mica dobbiamo ricordarvelo noi! Forse perciò Draghi, in piena emergemza sanitaria, taglia 6 miliardi di euro al comparto sanità? Questa è una nuova emergenza?
Così (anche da loro) apprendiamo che il porto di Trieste riprenderà a lavorare in virtù di una intesa raggiunta e che prevede che fra 15 giorni una loro delegazione, insieme ad appartenenti a Carabinieri, Vigili del Fuoco etc., saranno ricevuti al Senato. Perché al Senato? Magari da Brunetta che sta per trasferirsi a Palazzo Chigi lasciato vuoto da Draghi in partenza per il Colle. Ma non si doveva proseguire ad oltranza? Sì, lo si farà: il comunicato è stato interpretato male o, forse, redatto male: manina anche qui? Il porto di Trieste funzionerà ma continuerà il presidio così come non era stato impedito il lavoro a chi voleva lavorare, mentre il porto era chiuso. E Antani? La supercazzola? La Schilirò?
Magari l’accordo prevede una salvaguardia a vicenda: Draghi ritirerà il green pass purché loro sblocchino il porto. Che è tedesco e non italiano. Allora perché parla Draghi (tramite quel cdx che si è presentato al porto)? Perché risponde ai voleri e agli interessi tedeschi. E loro lo hanno cazziato. Ma Draghi è pur sempre il taumaturgo di Brussel santificato a Francoforte sul Meno e non può perdere la sua immagine di salva(t)tore proprio ora che sta percorrendo la via del Colle. Il greenpass verrà tolto, cioè perderà efficacia naturale, il 15 dicembre e non perché è un dl urgente emanato in barba all’urgenza e con scadenza, ma semplicemente perché va contro le leggi di Bruxelles. Il Parlamento, finora esautorato con il silenzio assenso dei suoi occupanti i cui voti necessitano – almeno pro forma – a Draghi per il settennato, non lo convertirà in legge. Sotto Natale, poi… Draghi si intesterà la vittoria sulla trattativa stato-porto e passerà per taumaturgo del covid (il klima già ci aspetta), i portuali si intesteranno la vittoria della trattativa con e come Draghi. Come i camionisti. Come la Schilirò. Le figure in cui gli Italiani hanno posto speranza e fiducia e che non sono stati capaci di incarnare. Io sto con i portuali di Trieste. No! Io sono un portuale di Trieste! Lo sei se hai il coraggio di presentarti a lavoro senza green-pass, se non lo scarichi, se cerchi il modo per metterlo in culo a questo governo di merda. Se non ti pieghi. Se insorgi contro il fatalismo. Se ti ribelli.
Ah, alle 15 di oggi sarà definitivamente sconfitto il fassismo. Ancora. Di nuovo. Come il 25 aprile di settantasei anni fa. Ma solo fino al 25 aprile prossimo venturo.

UN GREEN PASS PER L’ITALIA NEL MONDO

Alla fine è finita come volevano che finisse e questa la dice lunga su chi ha il controllo di che cosa.
È finita che in piazza c’erano i Fascisti e che i Fascisti hanno dato piglio alla violenza.
Ormai Fascisti e no-vax è il nuovo binomio inscindibile, indissolubile. Come il virus e la socialità, come l’emergenza e l’oppressione, come il governo e l’opposizione.
Che ancora si ostinano a tirare in ballo Qualcosa (non sia mai i benefici dello stato sociale, per esempio!) che da 80 anni dicono aver sconfitto, ma che ancora oggi combattono orgogliosamente senza soggetto e, che a più di un secolo di distanza, non hanno ancora capito che il Fascismo non può essere confinato nel recinto della Destra e della sinistra, secondo le etichette che a loro convengono. Nato anche in risposta ad entrambi.
Quelle etichette buone solo a identificare gli odierni mestieranti della politica che le rifiutano, le abiurano per ingraziarsi non più gli elettori, ma il partito antitetico che governa senza consenso popolare e che è il green pass per continuare ad avere uno scranno sotto al culo.
Così ci raccontano che i Fascisti, di cui pullula l’Italia ma che – chissà perché – non riescono mai a prevalere alle elezioni, scendono in piazza (di sabato!) compiendo azioni violente. Col tricolore e le mani alzate. Perché è violenza occupare la sede della CGIL, ma non è violenza quando la CGIL & compagni vanno a sedersi con Draghi non per parlare di salario minimo, di sicurezza sul luogo di lavoro a tutela dei lavoratori, bensì per chiedere di licenziare quei lavoratori che non sono in possesso del green pass.
Non è violenza Draghi quando dice che non vaccinarsi equivale a morire e a far morire, non è violenza se dà il via allo sblocco dei licenziamenti in una emergenza che dura da due anni salvo ulteriori proroghe illegali che sarebbe solo la conclamazione del colpo di stato già consumato, non è violenza se il governo fa di tutto per favorire la delocalizzazione e l’importazione di manodopera straniera clandestina e illegale purché sottocosto.
Non è violenza se la Polizia gratuitamente dà un calcio nei coglioni (cito testualmente il tweet di Francesco Cocco) ad un giornalista non (ancora) mediatico che stava in piazza solo per documentare, chissà come e chissà per conto di chi.
Non è violenza lanciare lacrimogeni e bombe carta in coda al corteo contro i passeggini da parte della Polizia. Non è violenza bloccare sul raccordo persone che volevano andare solamente a manifestare.
Però, poi, debbo credere che un gruppo dei diecimila che non sta in una piazza che me ospita 68mila si era staccato dal corteo per raggiungere Palazzo Chigi, difeso (per ordine) dalla Polizia. Come se il gruppo dei diecimila non sapesse che Palazzo Chigi fosse deserto il sabato e l’inquilino fosse a BANCHEttare chissà dove alla faccia degli Italiani e in barba a quelle restrizioni di cui la politica ne è libera. Anzi, free.
Come se diecimila persone ma con uno zero un più potessero essere contenute da un cordone della Polizia formato da un centinaio di unità quando abbiamo la prova provata che 5000 tossici idrofobici a Viterbo hanno messo in crisi il sistema, tanto che la Lamorgese ha dovuto mandare a chiedere se potevano gentilmente togliere le tende a droga esaurita.
Gli atteggiamenti sono solo la difesa di chi per primo ha usato violenza.
Questa è una guerra che non si può combattere con lo stile dei figli dei fiori che ormai prediligono “i figli dei fuori”, ma occorre essere autentici figli di puttana in questa guerra i cui mandanti sono quelli da noi mandati rappresentarci. In guerra ci schiera, la difesa è un dovere prima che un diritto e l’azione ha sempre ragione. Da quale parte era schierata ieri la novella eroina in  gonnella, col libro fresco di stampa, la favella forbita e lo stucco sulla maschera ancora fresco, cui immantinente avete consegnato scettro e corona stringendovi intorno in segno di solidarietà per quella punizione che ancora non è arrivata? Era a favore dei colleghi poliziotti. Pubblicamente. Dai social condannava la violenza ma non quella finora subita e menchemeno quella esercitata. Anche illegalmente.
Invece di parlare di squadrismo, parlateci del modello Italia, ora che le immagini sono state trasmesse nel mondo intero, quel mondo che è sempre più ribelle, quindi libero, verso i padroni del mondo e che si sta lasciando alle spalle la pandemia. Che sostanzialmente è ciò che ha detto anche Draghistan che intanto inasprisce l’uso del green pass. E non è detto che abbia intenzione di smettere.
Hanno fatto bene? Hanno fatto male? Hanno fatto. Andava fatto. E sta ben fatto. Rispetto a coloro che non hanno fatto. Anche per coloro che non hanno fatto. Ed io ne sono orgoglioso. L’Italia ha chiamato. L’Italia s’è stretta a coorte. L’Italia s’è desta.”

VIOLENZA DI STATO

Non era ancora concluso l’assalto alla sede della CGIL che già l’operazione aveva il timbro: operazione squadrista. Quindi fascista e di estrema destra, che non sono proprio la stessa cosa.
So che ormai è costume di certa Italia volgere le cose a proprio piacimento, ma pare che l’assalto – così squadrista che gli scorridori si premuravano di non rompere nulla –  sia stato finemente organizzato da coloro che avevano il compito opposto.
Anche i moti pare abbiano un padre e una madre: dalle immagini pare intravedere che uno dei pocchiatori più agguerriti è il dirigente del commissariato Prati dr. Filiberto Mastropasqua. Dalle testimonianze di parlare anche di una donna poliziotto che pare abbia aggredito fisicamente i manifestanti.
A proposito di donne poliziotto: ricordate la Nunzia Alessandra Schilirò per gli amici Nandra, libro fresco di stampa, eloquio e aspetto piacevole? Bene, lei, il “volto di rappresentanza della Polizia”, è stata appena eletta sindacalista e deputata a parlare in pubblico.
Capisco che siamo nell’epoca delle balle di stato ovvero della commissione delle fake news, ma in quanti ad acume politico e istituzionale facciamo veramente ridere!
Ditelo a Landini quando paragona l’attacco alla ZIZIELLE all’assalto alla democrazia e al lavoro che sulla Costituzione più bella del mondo di cui si vantano di essere padri nin ci hanno urinato i fassisti,
Che l’articolo uno, principio fondamentale, loro se lo sono ricordato solo in virtù di un seggiolone di palazzo; che alla Fornero non leccano il culo i fassisti; che il tappeto rigorosamente di rosso (porpora) alla manovalanza importata, clandestina e sottopagata non l’hanno steso i fassisti; che alla collaboratrice che parla per nome e conto della ZIZIELLE devono procurare un vocabolario più ampio, che abbia più accezioni oltre a quello di Ventennio, usato come aggettivo, se proprio non funzionano più le pillole di storia inventata, riveduta e corretta; che la sede sfasciata della ZIZIELLE non è altro che lo scempio che persone come lui hanno creato all’Italia e al mondo del lavoro;
Che se a Roma blaterate di fassismo, a Milano la metà degli arrestati è appartente all’ala anarchica. E se dite che è la metà…
Si parli di questo oggi a scuola (quella buona skuola utile a sfornare studenti più ciucci di europa anche se l’Europa su questo non ci richiama) come dice Enrico Letta, di come l’asinistra non riesce nemmeno più a manipolare secondo la vecchia strategia partigiana di essere banditi spacciati per eroi, da soli e a posteriori.
Ah, tutto questo per il green pass che, come volevasi dimostrare, ha ben altri scopi e nulla ha a che vedere con le misure sanitarie.