Caro Bonito, ti ricordi del compianto concittadino on. prof. Alfredo Covelli?

Quanto sei bello, Bonito, ameno paesino dall’aria salubre che, dall’alto della tua collina e con l’Ufita in sottofondo, sovrasti l’intera Baronia, la lontana Alta Irpinia e, fiero, offri le tue meraviglie sino alla Bella Dormiente nel Sannio.

Quanto sei bravo, Bonito a non farti dimenticare da chi ti ha appena conosciuto e a farti apprezzare anche da chi non ti ha ancora scoperto dal vivo, bravo ad abbigliarti di ogni genere di ornamento fino a diventare il detentore del terzo murales addirittura più bello del mondo.

Quanto sei ingrato, Bonito che tra mille orpelli murari sei incapace di affiggere una targa a perenne memoria dei tuoi compianti concittadini, di Bonitesi, parti, colonne di Bonito come l’on. prof. Alfredo Covelli.

Di un Bonitese, tuo figlio e concittadino approdato alla Camera dei Deputati per otto legislature consecutive, Padre Costituente, decorato di guerra, plurilaureato, professore, giornalista ed eurodeputato a Bruxelles, grande oratore e protagonista di innumerevoli appuntamenti di Tribuna Politica, capace di guadagnarsi il rispetto di personaggi come Pamiro Togliatti, antiteci avversari, ma mai nemici, fondatore del Partito “Stella e Corona” fino a farne la quarta forza politica nel 1953 esprimendo ben 40 deputati e 18 senatori monarchici in un parlamento repubblicano, saggio Patriota, fine oratore, grande comunicatore, riformatore e aguzzo politico ante litteram, capace di immaginare quel futuro “partito degl’Italiani, il partito della libertà” già in un discorso del 1948 a Firenze che lo portò ad entrare nel direttivo del Movimento Sociale Italiano di Almirante che divenne Msi-Dn, di cui fu anche presidente dal 1973 al 1977, anno in cui​ guidò la scissione di​ Democrazia Nazionale​ di cui fu ancora presidente e due anni dopo, con la scomparsa di “DN”, preferì ritirarsi dalla​ politica vivendo da spettatore gli anni di Tangentopoli.

Se questo è l’Alfredo Covelli “pubblico ed istituzionale”, per Bonito e i Bonitesi era semplicemente l’Onorevole, la porta di casa sempre aperta, il sostentamento di numerosissime famiglie – e non solo del paese natio – a prescindere dal colore politico, esponente di quella Politica lontana anni luce da quella clientelare e “di scambio” di oggi, di un disonorevole do ut des.

E proprio a Bonito, centro seppur sconosciuto, portato con fierezza in ogni livello di Istituzione senza mai glissare in un generico (quanto indegno) “sono di Napoli” come altri “(il)lustrissimi” concittadini, paese da cui è partito e dove egli è sempre ritornato, per l’ultima volta nel Natale un quarto di secolo fa, vive l’onta peggiore: quella dell’ingratitudine umana.

In ben più di 4 lustri, non si è riuscito a dedicargli una strada, il corso principale che passa davanti alla casa dove tanti concittadini, ancora viventi, si sono recati per chiedere pane e lavoro e, perché no, la piazza principale oggi dedicata a tale Mario Gemma, personaggio talmente importante per il paese di Bonito e per i Bonitesi da non farne menzione nemmeno sul sito istituzionale del Comune.

Poco lontano da Largo (così cita la toponomastica ufficiale) Mario Gemma, abbiamo la via intitolata ai fratelli Cairoli di Pavia, una dedicata a Giuseppe Mazzini di Genova, una strada in nome di Francesco Tedesco di Andretta (AV), una che ricorda Arnaldo da Brescia, un’altra a memoria di Amerigo Vespucci di Firenze, una che ci rammenta Giordano Bruno da Nola, un vico dedicato a Masaniello da Napoli, un altro per il veneziano Daniele Manin, un vico in onore dei Gracchi, romani ed un Vico Elena, forse di Troia!

Una strada all’onorevole Covelli, però, nel Paese natale, nel suo paese non si riesce proprio a dedicargliela!

Eppure molteplici sono state le richieste in questi (troppo) lunghi ventuno anni dalla data della sua morte: in primis dai concittadini che mai lo hanno dimenticato, anche grazie ai comizi dei tanti candidati locali che, benché lontani anni luce dal suo pensiero politico, non hanno mancato di riempirsi la bocca col suo nome per chiedere di “votare per il paesano”, dalle colonne del periodico “Terra Boneti”, dalle numerose associazioni sul territorio non ultima dall’Unione Monarchica Italiana al cui appello, in nome del suo vicesegretario avv. Augusto Genovese, il Sindaco pro tempore, avvocato anch’egli, non si degnò nemmeno di rispondere; alle numerose richieste portate in Consiglio Comunale, invece, fu detto che per l’intitolazione di una strada debbono necessariamente trascorrere 10 anni dalla morte. Quest’anno ne sono trascorsi più del doppio.

Malgrado ciò a Roma, l’allora Sindaco Veltroni, che non proviene certo dallo stesso percorso politico ed ideologico di Covelli, e su interessamento dell’on. Antonio Tajani, dedicò al nostro compianto compaesano una strada dalle parti del Gianicolo. Anche ad Avellino esiste una piazzetta in onore all’on. Alfredo Covelli, ma non a Bonito! Che, però, non manca di dedicare una strada delle botteghe (artigianali!) a dei generici artigiani, la maggior parte ancora vivente.

C’è da registrare, però, che negli anni una targa è stata apposta. Bianca su bianco, in un posto che con Covelli poco, se non nulla, ha a che fare e che niente significa, ma è stata messa. Alla memoria. E da lì bisogna partire, dalla volontà politica di fare, dalla maturità dei tempi e dall’imperdonabile ritardo. Cui, siamo certi, non ci si voglia ulteriormente inutilmente sottrarre e l’onestà intellettuale, prima che politica, l’orgogliosa, e riconosciuta gratitudine e anche del sano campanilismo propri dei bonitesi veraci faranno sì che questo Sindaco, non il prossimo, possa affacciarsi dal balcone del Municipio che dà (finalmente!) su Piazza Alfredo Covelli!

https://www.camposud.it/2019/12/caro-bonito-ti-ricordi-del-compianto-concittadino-on-prof-alfredo-covelli/

(S)CORREGGIAMO IL POLITICALLY CORRECT

Il politically correct, volendo correggere, ha sbagliato tutto. Che poi chi decide cosa è corretto e cosa non lo è? E per chi? Lapalissiano che tale supposta superiorità sia prerogativa sinistra e che per non farci mancare nulla e sentirci sempre più servi di qualcuno importiamo una simile idiozi(ologi)a dalla terra a cui abbiamo consegnato le chiavi di casa nostra 70 anni fa.
Già la perifrasi di definizione in lingua straniera (che-sembra-un-dire-fascista-ma-non-lo-è!) è un affronto a Dante, a Petracca e a Boccaccio che rappresentano il tridente dei mostri sacri (trattasi di ossimoro, non di offesa) della nostra lingua e che hanno speso una vita intera per arricchirci e per farci parlare e che noi ringraziamo “dimenticandoci” di loro.
Così la finzione inizia con la lingua, sempre meno usata per parlare e sempre più utilizzata come strumento per arrampicate (a)sociali che dischiude le porte ai salotti buoni(sti), ma non acCESSIbili a tutti.
Dunque il cieco diventa ipovedente, il bidello un collaboratore (anche se il bidello, quando era solo tale, collaborava molto di più), il paralitico è diversamente abile, che poi poco importa se non si è corretti mentendo sull’abile e lo si prende per il culo col “superabile” perché non supererà proprio niente, nè sarà, purtroppo, super(iore) a nessuno.
Nemmeno culo si può dire, che poi non offende nessuno e anche un’espressione colorita, persino una parolaccia, a volte può conferire maggiore enfasi al discorso! Per dare colore, però, sarebbe meglio non marcarlo, o meglio, per rispetto (?) scolorirlo così il negro meglio definirlo nero senza tenere il punto… sulla G.
I forieri della giornata della parolaccia, i fanculoferi, sono assurti (e assurdi) addirittura in Parlamento e gli inoccupati sono definiti ministri, minestri alla II chiama, dimostrandosi in-capaci. Ovvero dentro la strage.
Ma tutto ciò non importa (loro): al bando, programmi, ideali e idee; l’uno vale uno è l’uno vale l’altro, anche quando l’uno non è più uno e vale zero.
Ecco dunque che il Ministro dell’Istruzione (degnissimo membro della FORMAzione, un 5 stelle super) invita a disertare le lezioni giustificando l’assenza e fa la guerra alle merendine che in realtà dovrebbe essere prerogativa del Ministro della Salute la cui unica speranza è solo il suo cognome!
Mentre nelle scuole si festeggia il Natale senza un nato, è una fortuna se ancora ci hanno lasciato almeno gli articoli a specificare i generi altrimenti Natale senza più la Nato significa non più un avvento, ma una dipartita, ossia non avere più in casa nostra i “padrini” del politically correct.
Anzi, per essere corretti davvero, per integrare non bisogna essere integralisti, ma bisogna annullarsi del tutto! Festa del papà o della mamma? Concetti retrogradi e classisti, persino sessisti perché bisogna pensare a chi una mamma ed un papà non ce l’ha fregandosene di chi ce l’ha. “Per chi ancora è normale” direbbe Checco Zalone.
Ecco, ad esempio, spiegate le sardine, che sono aperte a tutti, ma non ai Fascisti (quelli consegnati alla Storia 80 anni fa), che sono contro l’odio, ma che nascono contro Uno, che in piazza accolgono tutti, ma i Fascisti (ancora loro) solo a testa in giù, che vogliono far politica senza programmi, che non hanno colore, ma sono rossi… cantati.
Il pensiero politically correct chiaramente è scevro da sessismo, ma se un Direttore Editoriale (che non ha competenza sui titoli degli articoli) scrive “patata bollente” a proposito del sindacO Raggi si finisce in Tribunale e poco importa se tali espressioni siano state usate anche da colleghi a manca come la Gruber o dallo stesso Feltri riferito a Ruby Rubacuori: evidentemente una donna marocchina non interessa al politically correct dei buonisti.
Così se l’uomo è un tombeur de femmes, in nome della parità dei sessi, del femminismo, dell’uguaglianza e del politicamente corretto non si può dire che la donna del momento (in realtà di ieri), Nilde Iotti, brillava sotto le lenzuola. Eppure è un complimento! Che Togliatti avrà toccato con mano… e non solo.
Chissà quando il concetto a stelle e strisce ci imporrà democraticamente di non stampare più i dizionari della lingua italiana (almeno salveremo un albero!), di non usare nemmeno più quello dei sinonimi e dei contrari (e salveremo un altro albero!) tanto le cose non possono e non devono più chiamarsi con il loro nome. Chissà se esisterà un politically correct che sostituirà un panettone o anche solo il pane sulle tavole degli ex lavoratori ILVA, oggi in attesa di okkupazione, diciamo pure in mezzo ad una strada, e con loro le loro famiglie, se esisterà un politically correct in grado di mascherare i buchi della chemioterapia per i veleni ingeriti, se esisterà un politically correct in grado di saziare coloro che a Napoli, come a Genova, come a Taranto, come a Cremona, come a Palermo avranno solo fame.
Ma il politically correct ci dice che chi si è autocandidando a risolvere i loro problemi se n’è “andato” all’estero. D’altronde per Gigino anche la Farnesina…

A SCUOLA DI ANPI

Che discolo quel professore che osa esprimere dei concetti partoriti a seguito di una (anche) minima attività sinaptica e che lo fa apertamente, senza eufemismi, né pleonasmi, non ricorrendo a perifrasi o a frasi sotto semaforo (con buona pace all’anima di Totò) e assumendosene ogni responsabilità!
Che giustizialista quel Preside, supposta figura superiore per conoscenza/e, posizione e retribuzione rispetto al semplice professore che, tra supercazzole con scappellamenti a destra e a manca non manca di liquidare (e di smentire) le (mancate) decisione a seguito delle altrui esternazioni, tra l’altro fatte in ambito personale e fuori dal luogo e dal tempo deputato all’insegnamento, come espressioni personali. Successivamente chiede per le stesse dichiarazioni e per lo stesso autore il licenziamento in tronco quindi il massimo chiedibile.

Che intervenga il Ministro (delle merendine), ma solo se non è in piazza con Greta con tanto di assenza dei discenti giustificat(t)a e senza ricorrere al parere dei genitori che ancora esercitano la patria (aborriamo?) podestà.

Non sto parlando del professore di Bologna con simpatia nazista che tutti i giornali hanno sbattuto in prima pagina quale móstro (maschile di móstra, esposizione) del giorno, bensì del taciuto e tacitato docente di Storia e Filosofia del liceo Leonardo da Vinci di Civitanova Marche, il quale, partecipando ad un incontro scolastico organizzato dall’A.N.P.I, quella associazione (quasi partecipata statale con l’unica variante che lo Stato eroga fondi verso questa percependone -voti- utili) che sta all’Italia come il mercoledì sta in mezzo alla settimana, che sta come l’età anagrafica degli pseudo-partigiani alle parole oggi proferite, quindi nulla ha a che fare con la scuola, organizzato sul tema – guarda caso!- del Fascismo, in occasione della presentazione del libro di Andrea Martini, autore del libro “Dopo Mussolini – I processi ai fascisti e ai collaborazionisti”.

Dunque l’A.N.P.I., o meglio gli eredi dei partigiani, o meglio ancora, gli eredi di tutto ciò che hanno fatto i partigiani, che nulla hanno a che fare con la scuola, organizza un convegno cui invita il liceo di Civitanova Marche che a sua volta invita, se non “obbliga”, alla partecipazione le classi V, ovvero quelle che devono maturare cioè che dovranno votare.

Nonostante non sia passata per le classi la solita circolare didattica e, stupite più che incuriosite da tale insolita metodologia di invito, le classi quinte, accompagnate dal professore, presenziano l’evento. A testimonianza dell’essere scevri da idee e preconcetti da parte di alunni e professori.

Dopo una sola ora dall’inizio del convegno alcuni alunni decidono di abbandonare la “seduta”. Non il professore, che resiste (nell’accezione non partigiana naturalmente) ed in religioso silenzio ed attento ascolto arriva alla fine dell’incontro. Quando democraticamente ed educatamente chiede ed ottiene la parola.

Il professore, intellettualmente onesto, fa notare che la locandina e le intenzioni sono quantomeno sbagliate visto che non si è assistito ad un convegno o ad un dibattito, ma ad un vero e proprio comizio. Ebbene sì, perché – dice il professore – per trattare certi temi sarebbe stato utile sentire le due campane, sarebbe stato corretto invitare anche la controparte, sarebbe stato giusto ascoltare almeno le due versioni. Per poi ricercare, quindi scegliere.

Apriti cielo!

Il docente è stato lapalissianamente e semplicisticamente tacciato come Fascista, ma non perché lo stesso abbia espresso giudizi favorevoli rispetto ciò che è stato consegnato alla storia 80 anni orsono, ma solo per aver chiesto imparzialità. Per questo si sarebbe anche sentito chiamato in causa (fascista). Secondo loro.

Esprimendo solidarietà e fiducia al loro docente e capendo quanto accaduto, gli alunni che sosterranno tra sei mesi la prova di esame, hanno già dimostrato di… essere maturi. E coraggiosi visto che hanno fatto quadrato intorno al professore quantomeno per essersi interrogati sia sulle modalità di invito che sulla qualità e sulla provenienza delle informazioni propinate per oro colato. Questo, però, non si deve far sapere sui giornali, alla tv e nemmeno alla radio. Forse l’asinistra in questa maniera si renderebbe conto che l’entrismo nella scuola non è riuscito completamente. Non è stato ancora distrutta del tutto quella capacità, seppur rasente lo zero, di ragionare, di spremere le meningi, di far funzionare quell’organo pure in possesso di ognuno.

Uno studio OCSE di recentissima pubblicazione rivela che proprio gli studenti delle scuole superiori italiane (quelle che al convegno probabilmente avrebbero dovuto “sostenere l’esame) non sono in grado di leggere e comprendere un testo, anche elementare, visto che questo loro “lavaggio del cervello” è finalizzato proprio alla riduzione a zero, se non alla completa eliminazione, di ogni capacità di ragionamento e quindi di conoscenza della alunno.

Per il professore di Bologna è stato chiesto il licenziamento, la massima pena, il professore di Civitanova Marche sicuramente passerà l’anima dei guai, almeno tra i suoi colleghi.

In attesa che la testimonianza di un consigliere Pd (guarda caso al convegno per la scuola…) davanti al p.m. di turno faccia ottenere l’interdizione da ogni circolo didattico, culturale e dopolavoro, l’estradizione, la revoca della cittadinanza con relativo baratto dato il posto libero, i lavori forzati ed il taglio delle corde vocali così non potrà più democraticamente sostenere certe cose contrarie alla resistenza. Perché “In una democrazia non tutte le opinioni possono essere accettate” e “quando si parla di Resistenza non occorre una controparte” come dicono i diretti interessati.

Quell’A.N.P.I., invece, dovrebbe continuare a (s)parlare (e a far danni) in nome di quella libertà che deve essere a tutti garantita e di quella libertà di pensiero che è proprio della Costituzione che, non scritta certo dei partigiani, la garantisce a tutti. Indistintamente.

Anche a quelli come l’A.N.P.I. che finiranno per parlare da soli, in solitaria e per il loro sinistro inutile tornaconto. Come pazzi.

NAPOLI RICOMINCI DA QUI!

Quarant’anni sono un tempo largamente sufficiente per concepire di onorare il ricordo di una persona che tanto ha dato, ma sono altrettanto sufficientemente disonorevoli se trascorsi nel silenzio e nell’indifferenza.
È quanto accade a Napoli, che nonostante i proclami di quella politica comunale e regionale sempre più pura demagogia, si conferma tristemente ingrata verso i suoi concittadini illustri, quelli che su ogni sorriso e risata hanno impresso un marchio di fabbrica universale: NAPOLI.
È il triste caso di Alighiero Noschese, comico, caratterista, attore, showman e non solo limitatamente imitatore dimenticato in primis della sua città natale, nel cui quartiere Vomero nacque 87 anni fa e che a distanza di soli 40 anni dalla sua morte se non l’ha dimenticato, sicuramente non l’ha mai onorato.
Un vero genio dell’imitazione che riusciva a carpire prima l’anima che la voce dei propri personaggi, un pioniere, come nessuno prima di lui, che riuscì a sdoganare la satira politica imitando magistralmente i big dei partiti nazionali, al punto che era lo stesso Noschese a “consacrare” i politicanti che senza la sua parodia rimanevano sconosciuti al grande pubblico.
Un talento purissimo, quando era ancora un semplice studente, tanto da sostenere ben due interi esami universitari imitando la voce di Giovanni Leone, suo professore alla facoltà di Giurisprudenza e poi futuro Presidente del Consiglio e della Repubblica, al cui studio era stato avviato dal padre, e addirittura su curiosa richiesta del diretto interessato.
Una carriera che affonda le sue radici nella riproduzione delle voci dei gatti del quartiere fino a guadagnare l’appellativo di “uomo dai mille volti” con il suo centinaio di personaggi nel suo bagaglio di imitazione (96 per l’esattezza come amava inorgoglirsi egli stesso), “Mister Carta Carbone” come solevano definirlo gli addetti ai lavori tanto le sue parodie ricalcavano il vero, “l’amico rassicurante e gioioso degli Italiani” è stato quasi completamente dimenticato da quel pubblico allietato e divertito che, fortunatamente o sfortunatamente, potrebbe ancora essere testimone non passivo.
Nessuna iniziativa da parte del capoluogo partenopeo: non una strada o una piazza dedicata, nessuna rassegna commemorativa, nessuno spettacolo per commemorarne ed onorarne il ricordo o, azione più onorevole, nessuna intitolazione di alcun teatro in città. La stessa che per la sua rinascita punta, investe (ma a questo punto semplicisticamente spende) in cultura (quale?), arte e letteratura.
Diverso, incoraggiante, lodevole, ma non abbastanza l’atteggiamento del Comune di San Giorgio a Cremano dove egli è cresciuto che, dopo avergli intitolato un murales “Ricominciamo da qui !” (vandalizzato e restaurato) insieme all’altro illustre concittadino Massimo Troisi, nel giorno del 40° anniversario della sua morte dedicherà un’intera giornata al compianto artista poliedrico che inizierà con una deposizione di una corona di fiori sulla tomba cui seguiranno laboratori teatrali atti (finalmente!) alla divulgazione dell’encomiabile lavoro di cui siamo indegni eredi.
Un’artista fragile e sensibile, ferito mortalmente da quel suo impedimento ad esercitare la satira politica in vista del rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse e dal suo matrimonio naufragato con conseguente distacco dalla famiglia più che da quel colpo calibro 38 della Smith & Wesson che fu ritrovata in possesso nella clinica romana Villa Stuart dove era ricoverato per curare la sua depressione. Al di là delle ipotesi che sono circolate in merito al suicidio, ci piace pensare che il “Fregoli delle voci” abbia recuperato la pistola imitando la voce del primario che lo aveva in cura e che gli accordava un permesso per uscire. “Morendo alla sua maniera”, facendo ciò che gli più gli piaceva e che era la sua stessa vita, insomma. Magari raggiungendo il suo collaboratore paroliere e drammaturgo Dino Verde, altro conterraneo dimenticato per scrivere e interpretare insieme un altro irriverente testo circa Napoli, attuale ingrata e indegna.
SOSTIENI ANCHE TU LA PETIZIONE PER L’INTITOLAZIONE DI UNA STRADA DI NAPOLI A ALIGHIERO NOSCHESE
https://www.change.org/p/sindaco-di-napoli-napoli-per-una-strada-intitolata-ad-alighiero-noschese?recruiter=720672458&recruited_by_id=c08beaf0-3825-11e7-8841-91fc546c2c5c&utm_source=share_petition&utm_medium=copylink&utm_campaign=petition_dashboard

RIMESCITA CAMPANIA

Che alla fine non sarebbe andata a finire così ci credevano solo loro. Il MoVimento 5 Stelle ed il Pd. La Ciarambino e il presidente De Luca. “’a chiattona” e “Vicinez’ ‘o scheriff’”. L’antitesi incarnata, il dualismo (giam)mal conciliante, gli antagonisti di sempre, gli avversari di una vita, lo zoccolo duro e la spina nel fianco.
Dopo anni, un decennio di lotte politiche, di battaglie di Palazzo e di conflitti in Regione, messa al bando la politica politichese, il programma ultra-completamente realizzato, addirittura superato ed in largo anticipo, e quello solo movimentato, abbandonate le ideologie quando nemmeno le post-ideologie sembrano ormai più bastare, Pd e MoVimento 5 Stelle, dopo l’avventura nazionale, dopo l’Umbria potrebbero correre a braccetto anche in Campania. Forse per sorreggersi a vicenda. E se in Emilia Romagna ed in Calabria Giggino Di Maio, il capo-politico in fieri, aveva pensato bene (ma male per gli attivisti della Rousseau) di non candidarsi per nulla almeno per salvare la faccia, in Campania, nella sua terra ed in quella del presidente della Camera Roberto Fico, la faccia deve mettercela per forza. Lo deve, sperando in un poco politico do ut des, ai tanti “amici” che hanno preso il posto a Roma e che, se vogliono conservarlo, devono meglio attivarsi.
Che il M5S non goda affatto di buona salute è cosa nota a tutti: che sia l’inquilino della Farnesina l’inconsapevole colpevole dei malumori, o la gestione accentrata (ed egocentrica e a tratti egoistica) del MoVimento o il recente accoppiamento, rimasto indigesto, con il Pd non fa tramontare l’ipotesi di una alleanza contro il ciclone devastante della coalizione di Centro Destra capitanata da Matteo Salvini che prende forza ovunque e sempre più.
Forse un’alleanza forzata per la sopravvivenza. Ma sotto seconde spoglie.
Tra le fila grilline, infatti, e a guida della solita e immarcescibile Valeria Ciarambino (alla faccia del cambiaMento!) prende piede il nuovo (effimero? All’uopo?) soggetto politico: “Rinascita Campania”.
Stando alle dichiarazioni delle ultime ore dell’esponente stellata, l’iniziativa sta riscuotendo successo, tanto successo (ma adesioni?) da parte della società civile che vuole impegnarsi in prima linea per garantire a Napoli ed alla Campania quella rinascita etica, culturale, economica che merita e solo promessa da troppi anni. Insomma la solita demagogia pre-elettorale che maschera il nulla politico ed il vuoto programmatico.
Stile diverso, ma sostanza (forse) uguale la lista civica sempre e da sempre anelata da Vincenzo De Luca la cui logica conseguenza, dopo aver investito (forse solo speso) mezzo milione di euro in cultura – stando alle cifre dichiarate dallo stesso Governatore – è quella di aprire a personalità della cultura, della musica, dello spettacolo, delle scienze della letteratura.
A benedire la “mescita campana” è il pdino Antonio Marciano che si spinge oltre e propone entusiasticamente di tentare anche a Napoli l’esperienza di alleanza già tentata altrove. Forse ignaro dei risultati (non) conseguiti o conseguenza degli effetti primari della stessa mescita.
In fin dei conti, si prefigura un surrogato della compartecipazione nazionale Pd – 5 Stelle in salsa partenopea, non troppo legata ai simboli di partito che, se sono fin troppo d’accordo e costretti per la sola sopravvivenza all’assalto della coalizione di Salvini e Meloni, meglio tenerli, opportunamente ed opportunisticamente, alla debita distanza onde evitare insopportabili interferenze.
Interferenze non marcate in questi nuovi (?) soggetti politici che servono solo a tenere pulita, nascondendola, la faccia dei big e del partito da quello che, stando ai sondaggi, s’incammina ad essere un altro, ennesimo flop.http://https://www.camposud.it/2019/11/rimescita-campania/

MA QUALI SARDINE? QUESTI SO’ BACCALÀ!

  • Pare di assistere alla moltiplicazione dei pani e dei pesci. Anzi, solo dei pesci per come lo “chef-sardina” napoletano quantifica in 700 le poche decine di astanti di Sorrento e visto che di pane ce n’è sempre meno e sempre più saranno quelli che non ne avranno nemmeno un tozzo da poter mettere a tavola visto gli ultimi eventi italiani, dalle chiusure della Whirlpool all’ILVA, dal suicidio firmato MES ai prelievi forzati dalle tasche degli Italiani.
    Ma i pesciolini che si moltiplicano, le Sardine, sono concentrate ad ostacolare, a far guerra non a questi provvedimenti, non al Governo che propone (o meglio assicura) tali indebitamenti senza più respiro, ma all’opposizione. A Matteo Salvini che, al momento, dall’opposizione falcia consensi all’esecutivo Ursula italiano e miete assensi per il suo partito e per la coalizione di centro Destra. Le sardine, però, dicono gli organizzatori, non sono un gruppo politico, ma si occupano dei grandi temi della politica. Quali non si sa. Non sono riconducibili ad un partito anche se tra gli organizzatori c’è chi è alle dirette dipendenze lavorative (?) del prof. Mortadella Romano Prodi, l’euroservo cui dobbiamo dire grazie se un gelato da 1000 lire oggi, chi può permetterselo, lo paga 3 euro. Non hanno un programma né proposte le sardine, visto che il loro unico obiettivo, o meglio sfizio, è quello di contrastare Matteo Salvini. Dunque una vera marcatura, una decisa affermazione di identità. E di peso. Appunto quello delle sardine. Che non si sa chi siano, ma è certo solo ciò che non sono (avete letto la definizione che l’ANPI dà di sé sul sito ufficiale? Noi non siamo…). Hanno idee diverse e sono aperte a tutti: infatti c’è chi proviene dal precariato, chi dai centri sociali, chi dai sindacati e, stranamente, nessuno dissente dal loro (ufficioso) inno: Bella Ciao.
    Così dette sardine oggi scenderanno in piazza anche a Napoli, nonostante qualche cambiaMento di programma. La manifestazione (che loro esclusivamente chiamano flash mob) da Piazza del Gesù è stata trasferita in Piazza Dante. Così, se precedentemente, l’evento poteva apparire come un qualunque giovedì univeristario, in Piazza Dante finirà per arrecare (solo) disagi alla fermata della Metro, ai negozianti ed agli utenti in vista del primo fine settimana di shopping natalizio, quelli che solo ieri non hanno saputo scegliere tra l’ultimo (solo per ragioni temporali) Week for Future e il Black Friday. Da entrambi assoldati.
    Ma il Comune ha deciso così, fanno sapere gli organizza(t)tori. Evidentemente l’esperienza delle nozze trash di Tony Colombo sono state una vera garanzia di successo se questa volta Gigino, da primo cittadino, si espone in maniera tanto ufficiale. Facendo altresì sapere che se presenzierà all’e-vento sarà solo uno dei tanti. Una sorta di paranza, quasi ‘na fravaglia.
    Dunque meglio un eventuale profitto personale rispetto all’utile dei commercianti che già hanno il callo per essere stati ridotti all’osso dalla viabilità paralizzata dell’amministrazione de Magistris. Sempre piu in emergenza… arancione. Forse proprio le sue politiche amministrative che hanno reso l’asse viario partenopeo, dalla Circumvallazione ai corsi principali, dalle strade comunali ai Decumani veri e propri corsi d’acqua, fiumi ingrossati, un mare itinerante a scegliere Napoli come sede del raduno in opposizione dell’oppositore Salvini.
    O, forse, la scelta è stata dettata dai valori che, indiscutibilmente, a Gigino vanno tributati: la prima crociata ittica, DeMa la fece in concomitanza con la sagra del baccalà, nobilitando la mani-festazione BaccalaRe riempiendo, o almeno questo era l’intento, le pance di quelli che avevano e non avevano in mano la forchetta. E se anche dovesse rompersi l’acquario e dovessero fuoriuscire “purpe”, “guarracini” e “scorfani” e pure qualche “zoccola” dalle “saittelle”, ogni scarrafone resterà bell’a mamma soja.
    Napoli culla di civiltà e i napoletani popolo d’amore (altro che Gomorra!) formano un connubio che rende questa meravigliosa città avanti anni luce: già nel ‘700, infatti, sotto il Vesuvio si cantava “LO GUARRACINO CA JÈVA PE’ MMARE/DE LA SARDELLA SE ‘NNAMMURAJE”. E chissà, forse ora come allora, non ci sarà fine in modo compiuto, perché al “cantante” mancherà il fiato, perciò chiederà ai presenti di concedergli una bevuta ristoratrice alla salute dei convenuti. A taralucci e vino, insomma.
    Anche il bacino d’utenza di piazza Dante non sarà tanto diverso da quello di Piazza del Gesù che, tradotto in ittico idioma, significa che con qualche presenza in più, magari proprio con i fedeli di Gigino, se ce ne sono rimasti, o meglio, con gli ultimi rimpastati freschi assegiolati sicuramente avrebbero contributo a riempirla. La vera sfida per le sardine sarebbe stata quella di riempire Piazza della Plebiscito, mai presa in considerazione (chissà perché…) come mai fu vero Plebiscito.
    Dopo Sorrento, avrebbero potuto far apprezzare le bellezze della Costiera ai numerosissimi (dicono sempre le sardine) quantomeno valutando l’ipotesi Amalfi, già gloriosa Repubblica Marinara, ma siamo certi che, anche dopo il raduno odierno, a Napoli si continuerà ad apprezzare una visione di succulento e poliedrico baccalà!

RIMESCITA CAMPANIA

Che alla fine non sarebbe andata a finire così ci credevano solo loro. Il MoVimento 5 Stelle ed il Pd. La Ciarambino e il presidente De Luca. “’a chiattona” e “Vicinez’ ‘o scheriff’”. L’antitesi incarnata, il dualismo (giam)mal conciliante, gli antagonisti di sempre, gli avversari di una vita, lo zoccolo duro e la spina nel fianco.
Dopo anni, un decennio di lotte politiche, di battaglie di Palazzo e di conflitti in Regione, messa al bando la politica politichese, il programma ultra-completamente realizzato, addirittura superato ed in largo anticipo, e quello solo movimentato, abbandonate le ideologie quando nemmeno le post-ideologie sembrano ormai più bastare, Pd e MoVimento 5 Stelle, dopo l’avventura nazionale, dopo l’Umbria potrebbero correre a braccetto anche in Campania. Forse per sorreggersi a vicenda. E se in Emilia Romagna ed in Calabria Giggino Di Maio, il capo-politico in fieri, aveva pensato bene (ma male per gli attivisti della Rousseau) di non candidarsi per nulla almeno per salvare la faccia, in Campania, nella sua terra ed in quella del presidente della Camera Roberto Fico, la faccia deve mettercela per forza. Lo deve, sperando in un poco politico do ut des, ai tanti “amici” che hanno preso il posto a Roma e che, se vogliono conservarlo, devono meglio attivarsi.
Che il M5S non goda affatto di buona salute è cosa nota a tutti: che sia l’inquilino della Farnesina l’inconsapevole colpevole dei malumori, o la gestione accentrata (ed egocentrica e a tratti egoistica) del MoVimento o il recente accoppiamento, rimasto indigesto, con il Pd non fa tramontare l’ipotesi di una alleanza contro il ciclone devastante della coalizione di Centro Destra capitanata da Matteo Salvini che prende forza ovunque e sempre più.
Forse un’alleanza forzata per la sopravvivenza. Ma sotto seconde spoglie.
Tra le fila grilline, infatti, e a guida della solita e immarcescibile Valeria Ciarambino (alla faccia del cambiaMento!) prende piede il nuovo (effimero? All’uopo?) soggetto politico: “Rinascita Campania”.
Stando alle dichiarazioni delle ultime ore dell’esponente stellata, l’iniziativa sta riscuotendo successo, tanto successo (ma adesioni?) da parte della società civile che vuole impegnarsi in prima linea per garantire a Napoli ed alla Campania quella rinascita etica, culturale, economica che merita e solo promessa da troppi anni. Insomma la solita demagogia pre-elettorale che maschera il nulla politico ed il vuoto programmatico.
Stile diverso, ma sostanza (forse) uguale la lista civica sempre e da sempre anelata da Vincenzo De Luca la cui logica conseguenza, dopo aver investito (forse solo speso) mezzo milione di euro in cultura – stando alle cifre dichiarate dallo stesso Governatore – è quella di aprire a personalità della cultura, della musica, dello spettacolo, delle scienze della letteratura.
A benedire la “mescita campana” è il pdino Antonio Marciano che si spinge oltre e propone entusiasticamente di tentare anche a Napoli l’esperienza di alleanza già tentata altrove. Forse ignaro dei risultati (non) conseguiti o conseguenza degli effetti primari della stessa mescita.
In fin dei conti, si prefigura un surrogato della compartecipazione nazionale Pd – 5 Stelle in salsa partenopea, non troppo legata ai simboli di partito che, se sono fin troppo d’accordo e costretti per la sola sopravvivenza all’assalto della coalizione di Salvini e Meloni, meglio tenerli, opportunamente ed opportunisticamente, alla debita distanza onde evitare insopportabili interferenze.
Interferenze non marcate in questi nuovi (?) soggetti politici che servono solo a tenere pulita, nascondendola, la faccia dei big e del partito da quello che, stando ai sondaggi, s’incammina ad essere un altro, ennesimo flop!

https://www.camposud.it/2019/11/rimescita-campania/

L’ASINISTRA ITALIA HITLERIANA

L’ASINISTRATA ITALIA HITLERIANA

Actung! Veramente credete che l’Italia possa partorire un novello Hitler? Intendo l’attuale Italia. Quella che, se fosse come i media davvero ci hanno propinato, avrebbero già catapultato le porte dei palazzi del potere e defenestrato gli okkupanti abusivi.
È notizia di ieri la scoperta di una nuova formazione nazista che si rifà hai miti del Fürer , che aveva stipato il fucile di assalto sul mensolone sopra la porta d’ingresso e che non ha fatto mancare la foto con la faccia di Mussolini sulla copertina in bellavista.
E se non sono state rinvenute cerbottane è solo perché avrebbero dato un tocco troppo gree(ti)n.
A parte che non mi risulta che partiteiche si rifanno direttamente al personaggio tedesco abbiano mai preso posto nel Parlamento italiano, quindi non mi spiego come possa ricondurre questa nuova formazione all’estrema Destra, ma credo fermamente che se davvero almeno uno di loro avesse letto un solo libro di quelli che erano presenti in maniera assai più numerosi di oggetti atti ad offendere, non avrebbe mai associato Hitler a Mussolini. Probabilmente gli stessi libri scritti con la mano sinistra e che circolano nella skuola libera post seconda guerra mondiale. Gli stessi neofascisti di oggi, che pur legittimamente sono stati ammessi ad ogni competizione elettorale, sono stati definiti Fascisti del terzo millennio e gli stessi media hanno attribuito loro la collocazione di estrema destra. I diretti interessati, ad onor del vero, hanno sempre detto di essere Fascisti, non di destra.
Al di là della sensazionale scoperta che non cambierà di certo il corso della storia e non sarà la panacea ad ogni nostro male cui io avrei dedicato per mero dovere di cronaca, sinceramente mi fa più paura che il Presidente del Governo italiano vada da 12000 lavoratori che stanno per andare ad ingrassare le fila dei nuovi povere (perché enti soprannaturali con sede a Bruxelles così hanno deciso) e dica loro di non avere alcun soluzione. Mi fa molto più paura che il Kapo del governo italiano firmi accordi sotto banco per distruggere definitivamente la propria Nazione di appartenenza al solo fine di guadagnare un’altra tappa verso quel processo che porta al istituzione della unione bancaria europea.
Mi fa paura che il Premier della mia Nazione, autoproclamatosi avvocato degli italiani, già avvocato e con tanto di cattedra all’università, dica pubblicamente di voler querelare il capo dell’opposizione per aver detto cose non vere quando in realtà per il reato di falso si denuncia e non si querela. Fossi in lui ci penserei bene ad adire le vie legali contro Matteo Salvini in quanto, forte dei consensi elettorali che ormai raggiungono picchi sempre più alti in maniera costante, egli sta vivendo un momento di successo anche tra le aule di tribunale visto che è notizia recente la sua a soluzione per procedimenti del tutto inventati.
Capisco che ormai la sinistra sia alla deriva , tanto da non trovare un leader degno della loro storia, ma debbono affidarsi a capi inventati a tavolino e precari come i loro concetti. Ecco spiegato i girotondini, il popolo viola, Zingaretti, Martina, Greta, le sardine.
Le emergenze italiane sono altre e ben più serie di un sottoscala con dei libri tutti nuovi, mai spulciati e soprattutto male accostati. Siate seri! La situazione lo richiede necessariamente.

SALDO ITALIA

Eppure credevo che il Governo fosse organo nazionale. Cioè che la rappresentanza maggioritaria degli Italiani (che in Parlamento hanno mandato altri) fosse valido, valevole e rappresentasse il cittadino della Penisola, da Trieste a Palermo.
Non mi dà fastidio la raccolta fondi per aiutare Venezia, che pure è stata colpita da un fenomeno previdibile e non tanto inatteso, ma non da una catastrofe naturale che, Iddio non voglia, non auguriamo a nessuno. Mai.
Dà fastidio che tale raccolta fondi sia stata lanciata dalla Protezione Civile che è dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, o meglio, il fastidio nasce dal fatto che tale questua sia nata solo per Venezia e non per le altre città che sono state colpite in maniera uguale o peggiore di Venezia.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri, il pugliese Giuseppe Conte, dovrebbe essere portavoce dell’italia tutta e garante dell’equità di trattamento degli elettori. Anche di quelli che, per mere ragioni geografiche, conosce meglio. Mi riferisco a Matera, sempre più capitale di certa cultura ormai in scadenza, invasa dall’acqua in maniera più sorprendentemente insolita rispetto a Venezia. Mi riferisco a Napoli dove le scuole sono state chiuse per buona parte della prima metà di Novembre e che continua a sprofondare a colpi di buche e di voragini magistrali. Mi riferisco a Firenze, culla della civiltà rinascimentale tanto caro al professore di Volturara Appula, fucina di beni culturali aiutata, come Pisa, da militari che un Ministro, il (loro) Ministro della Difesa (del proprio alloggio assegnato al marito) pensò bene di snobbare alla parata del 2 Giugno. Mi riferisco ai tarantini ed ai genovesi lasciati con l’acqua alla gola, anche se non proprio colpiti dalla copiose piogge. Colpiti, però, dai rappresentanti (?) del popolo che, ancora una volta, stanno svendendo la Nazione che dovrebbero onorarsi di rappresentare. Se non più nobilmente di servire.
Quella colpita dal flagello meteorologico, dalla piaga della disoccupazione, dalla vergogna della povertà, dalla susseguente criminalità, dall’inevitabile insicurezza, dal logico disagio e che, invece, si ignora. Quella Nazione della svendita per ordine europeo della ferreria di Trieste come della Whirlpool di Napoli, dell’indotto genovese collegato al colosso dell’acciaio del Mezzogiorno. La Nazione cui si offre l’assistenzialismo pietoso del reddito di cittadinanza per metterla a tacere, come se di solo pane vive l’uomo. Eppure l’esecutore materiale del “saldo Italia” è pure Cristiano, Cattolico e vicino al francescanesimo e dovrebbe saperlo bene! Quella Nazione che si gestisce, si usa e non si assiste, quella da cui si trae profitto come con un cliente qualsiasi. E nulla più. Quella che il viaggio da Volturara a Roma passa per Bruxelles. E che si comanda a Roma perché si obbedisce a Bruxelles. Che comanda realmente. Allora in piena autonomia si decide di aderire a piani economici come se la Nazione fosse cosa propria, si modificano e si accettano trattati per trattare i cittadini come sudditi. Come schiavi. Li si vende. Quando va bene. E quando va male li si ignora. Ci ignorano. Se ne strafregano. Tanto ci sostituiscono. Ecco perché mentre 18000 famiglie rischiano di andare ad ingrossare le fila dei nuovi poveri, mentre Venezia riparte dai 20 milioni stanziati dal Governo (nazionale?), Matera conta solo sull’autarchia dell’organizzazione autonoma Sudexit, Napoli nemmeno su quella, il Pd, il copartecipatario abusivo che fa abusivo lo stesso Governo, parla del suo vero ed unico obiettivo: lo ius soli, mascherato da ius culturae. Ovvero delegittimare gli Italiani veri e sostituirli con nuovi occupanti del Belpaese. Portarli in massa, deportarli, farci invadere e consentire di farli fare ciò che vogliono, purché votino. Votino loro. Il solo modo per tornare al Governo. Come se non ci fossero già. Come se non avessero i personaggi giusti nei posti giusti che li mettono nel posto (per gli Italiani) sbagliato nella maniera sbagliata.
Verrebbe da chiedere perché allora simili distruttori ed odiatori d’Italia si presentano agli elettori italiani, perché si sceglie l’Italia come Stato da governare. Forse perché solo nel nostro Paese è possibile tanto schifo. Forse perché nel nostro Paese è possibile trovare tanta immobilità. Forse perché nel nostro Paese si continua a combattere contro una ideologia morta 75 anni fa e ancora viva solo nella mente di coloro che odiano. Altrimenti, in assenza di idee, programmi e proposte, sarebbero morti anche loro. Ecco spiegate le commissioni antiviolenza contro una violenza del tutto inesistente. Ecco spiegato i raduni di piazza contro l’odio da parte di coloro che odiano a loro volta chi non è come loro. Coloro che si ergono a difensori della democrazia, ma non ci pensano due volte a dare addosso a chi dice cose diverse dalle loro.
Forse perché nel nostro Paese gli inoccupati si occupano dell’amministrazione dello Stato per conto dei Giudici e dei Magistrati apolitici e apartitici che fanno politica invece di fare giustizia. E che si occupano esclusivamente di un antipatico e sconveniente Ministro nell’esercizio delle proprie funzioni e premiano un personaggio che dovrebbe essere oggetto di indagini e processi.
E se i giudici esercitano il potere legislativo, l’avvoca(ca)to del popolo esercita il potere esecutivo… dell’obbedienza.
Se poi sei anche un gagà “mevidionale” che per sentirti meno provinciale ed essere ammesso al salotto della catasta e al circolo del bridge, non guasta prendere le distanze dal Sud piagnone d’origine. Che non vuol dire trasferimento a Roma senza ritorno, ma fottere e fottersene se la via d’andata porta ad una terra ormai andata. E che a sentirli parlare sembrano tutti uguali: “l’Italia deve ripartire”. Bistrattato tacco, punta e sulla dello Stivale, che poi non ho mica capito dove cazzo dobbiamo andare.

MERCATO SAN GIACOMO

“Non ci siamo indeboliti, fateli lavorare e poi giudicate”. Queste le “fiche” parole psicogrilline del sindaco Luigi de Magistris in occasione della presentazione del rimpasto numero dieci in anni nove. Trentatrè gli assessori che sono stati cambiati nella sua giunta, numero sintomatico dello stato di salute della squadra arancione che non si riuniva dal 7 agosto e che assume sempre più le sembianze di un “mercato delle poltrone”. Anzi, di una fiera vista la cadenza delle sedute del consiglio comunale. Che si rinnova e ricomincia per finire. Un rimpasto che ha tutto il sapore della “pastetta” e che a 15 mesi dalle nuove elezioni non ha nemmeno il tempo per tentare di imbastire una disperata campagna elettorale. A vedere le new entry, infatti, verrebbe da chiedersi chi potrebbe ancora rappresentare questo Sindaco e la sua (?) giunta (chissà quale delle dieci!) se non proprio una città-contro facendo di Gigino ‘o flop il primo cittadino contro Napoli.
Pezzi interi di società civile, l’intero universo orbitante intorno al civismo, all’associazionismo, al terzo settore, ai “battaglieri” dei diritti civili, vero zoccolo duro del suo elettorato, sono profondamente delusi. Forse definitivamente. Persino Insurgencia appare spaccata! E alita una terribile resa dei conto che, a dire degli attivisti, non sarà… proprio sociale.
Il ripescaggio della grillina Francesca Menna, in fuga dai 5 stelle, ma molto vicina a Roberto Fico – il cui baratto a Sindaco è tutt’altro che sconosciuto – aprirà una falla anche sulla sponda del MoVimento da dove i fedelissimi dell’altro Gigino non spareranno certo a salve.
Persino il presidente uscente De Luca ha smesso di rispondere tono su tono e tenta di badare al suo elettorato (e alla sua ricandidatura) non regalando visibilità gratuita, e forse inutile, al Sindaco arancione.
Intanto Napoli, la terza città d’Italia, sprofonda vergognosamente ed irrimediabilmente in ogni settore: dai servizi, ai trasporti, dai rifiuti al turismo, dalla viabilità alla sicurezza. Tanto che basta un acquazzone – non tanto sorprendente nell’approssimarsi all’inverno – per chiudere scuole e uffici, annegare il bacino d’utenza giornaliero, ritenersi fortunati se gli alberi cadono “solo” sulle macchine e se si riesce ad arrivare sani e salvi a destinazione. DeMa, però, propina a tutti il paese dei balocchi, vieppiù se si trova difronte microfoni e telecamere: dalla Napoli seconda solo al Giappone, a Napoli porto e porte aperte, dalla flotta pro-migranti alla questione San Paolo: dalle rotture con De Laurentis ai fatti dell’impianto sportivo. E se non ha promesso di elargire la patente nautica per girare in città è solo perché la campagna elettorale per le amministrative è ancora lontana. O, forse, così crede lui.
Che stando alle sue ambizioni mai velatamente celate, chissà se ancora gli interessa realmente. Di certo c’è solo il disinteresse, l’abbandono, il tradimento verso una città che sta sprofondando in tutti i sensi. A partire dalle voragini che sempre più copiose si aprono in città, ma anziché chiedere lo stato di emergenza, di proporre una legge ad hoc, di aprire gli occhi per guardare in faccia ai suoi concittadini e alla realtà, Gigino pensa a come rimanere a galla.http://https://www.camposud.it/2019/11/mercato-san-giacomo/