Guerra in Medio Oriente? Dal Golfo Persico invochiamo Gigino Di Maio

LUIGI DI MAIO RAPPRESENTANTE EUOPEO PER IL GOLFO

Roma, 11 ott – Defilato – almeno da tivvù e giornali – il fronte ucraino dove, se non si fosse ancora capito, si combatte una guerra all’Europa, un altro fronte che interessa non meno degli altri l’Italia è proprio quello (solo) acuitosi in questi giorni in Medio Oriente. E se il governo in carica, al netto di ogni schieramento, non rassicura gli italiani, questi possono ugualmente dormire su sette cuscini: il nostro inviato nel Golfo Persico c’è e risponde al nome di Gigino Di Maio. Dove “nostro” sta per inviato dell’Unione europea che è la sola rassicurazione.

Gigino Di Maio, un personaggio da rispolverare per fare un po’ di sana ironia sulla situazione

Già, perché se Gigino fino a pochi mesi fa non sapeva nemmeno individuare sulla cartina geografica il suo attuale luogo di spedizione, dove, cioè, lo avevano mandato – che tanto ricorda quel “moto a luogo figurato” con cui Grillo ha costruito le altrui fortune politiche: l’istituzionalizzazione del vaffa – a (non) lavorare in modo da non provocare danni, ora lui c’è e sta laggiù. Per tutto, per tutti. Un passe-partout, da vero fan della certificazione e della concessione. Un po’ come i suoi abiti sartoriali adatti per ogni occasione, tirati a lucido come la cravatta diventata parte del suo corpo. Una protuberanza. Un “costume” ormai. Come la brillantina nei capelli e la cromatina sulle scarpe. Sorriso sornione rassicurante, occhi da panda, eloquio da democristiano, aplomb tipico e ossequio per la carica. Quasi un apparatčik, inteso nella storpiatura napoletana di chi “appara (figure) kitsch”. Di cui è un vero fuoriclasse.

Da Pomigliano con furore

Caricato a molla, come uno di quei cagnolini da cruscotto per le auto, imbalsamato a mo’ di manico di scopa, saprà il nostro districarsi tra bombe e carrarmati, tra pace e guerra, tra jihad e tagli acqua, luce e gas, ormai affar suo? E, se non saprà, sarà semplicemente Di Maio. Una coerenza. Da Ministro degli esteri che ha “okkupato” l’”Afarnesina” non confonderà più il Cile con il Venezuela, non compirà più viaggi intercontinentali, visti quali sgarbo istituzionale – stesso frasario di quando cianciava di incriminare nientepopodimeno che il Presidente della Repubblica in persona, poi trasformatosi nel migliore di sempre – rivelatisi una vera e propria odissea per quella ventina di pescatori di Mazara del Vallo che finirono sequestrati e per i loro familiari accampati in piazza Montecitorio che mai riuscirono a parlare con l’altro capo del telefono della Farnesina. Lui “c’è lha fara pure” st(r)avolta.

D’altronde in soli due mandati – mandato dove? – da “arrangiatore”, nel senso napulegno di “artista del lavoro”, è assurto agli scranni dell’emiciclo romano quale apriscatole del Parla-mento, si è affacciato ai balconi istituzionali per vantarsi di aver sconfitto la povertà, dopo aver infuocato le piazze al grido di “onestah!”. Ha risolto la crisi dei lavoratori della Whirlpool di Ponticelli, nel senso che la chiusura non è stata scongiurata e sul tavolo del Ministro (lo è stato davvero!) ci sono stati solo i licenziamenti. Da Ministro del Lavoro senza aver mai lavorato a Ministro degli esteri senza conoscere nemmeno una lingua, persino la sua, Gigino ha dato ampia prova di essere un buono a tutto. Uno che ha saputo riciclarsi in ogni dove, in ogni come, senza, tuttavia, un perché. Ed è il migliore in assoluto, un autentico resistente, l’unico sopravvissuto, rispetto ad altre stelle cadute quali Toninelli, DiBa, Roberto Fico – con una vocale in più e non solo rispetto all’omonimo premier slovacco – dj Fofò e Lello Ciampolillo, dei quali gesta e imprese non si dimenticano di certo. Persino più di babbo Grillo e del figlio di babbo Casaleggio. Come Rosseau. Più di Russò (traslitterazione giginesca). Gigino non russò. Per sé e per i suoi. Chissà se noi con lui lì possiamo dormire sonni tranquilli. Per 13000/16000 euro al mese, Gigino a tutto gas!!!

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UNO, DUE E TRE: DE LUCA È PAPA, DE LUCA È RE!!

La verità è una sola, assoluta e deve essere accettata da tutti. Essa già trasvola dal Cervati al litorale domizio, Ischia, Capri, Procida e Nisida comprese: Vincenzo De Luca è papa e Vincenzo De Luca è re! E si candiderà per la terza volta, nonostante il Piddì, per continuare quel lungo periodo di distruzione della sanità pubblica, di appalti secondo il regola-mento ben oleato del “Sistema Salerno”; per fare di Salerno l’ombelico del mondo a dispetto di Napoli, Caserta, Avellino e Benevento.
Il Governatore col lanciafiamme parla, sparlando, del Pd e il Pd cerca di non parlare di De Luca che, però, fa parlare tutti di lui. Accolto – termine familiare (si può dire?) della galassia dem – addirittura a Paestum tra gli imbufal(l)iti, no-vacche (né percore) del deFUnto B. richiamato in vi(s)ta da un ologramma, di Forza Italia che manco la seduta spiritica di Moro, acclamato più che in via del Nazareno. Quella via per la sanità del Nazareno che non può fare a meno di ammettere come De Luca sia stato un buon amministratore, ma che nessuno, da dietro la mascherina, vuole più candidarlo in Campania. In verità, nemmeno altrove. In verità ancora, il diniego per il guappo di cartone era arrivato già prima del Covid che è stato fuoco per il de-partito, da cui Vicienzo è venuto fuori a mo’ di fenice. E la verità vera è che insieme a De Luca senior, nel PD griffato Schlein, non ci sarà posto nemmeno più per Pierino, delfino del padre, assiso a Roma in qualità di capogruppo. Proprio quella Schlein che aveva già tentato di non sistemare Vicienzo per la terza volta, Vicienzo stesso l’ha combinata peggio della sua armocromista di fiducia. “Nel Pd non conta il merito” – tuona Cenzino dal palco della Festa dell’Unità di Napoli – “ma solo la fortuna di appartenere a questa o quella corrente”, tanto che il Pd, ormai, va dove tira il vento! Come una bandiera arcobalenata pacifinta agitata da chiunque. Forte dei suoi consensi che sono trini e tripli nel solo Delucaland rispetto a quelli r-accolti dalla ricca segreteria svizzera nell’intero Stivale, De Luca (si) dice essere uomo libero nonostante le tessere e la qualifica di “cacicco” proveniente dal partito di “cooptati, anime morte che hanno lavorato per anni per creare correnti, e sottocorrenti, gruppi e sottogruppi, del tutto indifferenti al lavoro politico nei territori, alla militanza, al sacrificio”. La cosa più bella(ciao) del pollaio – epiteto riservato al (suo?) partito da De Luca, però, resta la guerra intestina, “civile” e partigiana tra “maleducati, imbecilli e pinguini” che, in nome della democrazia, é pronta anche alla trans-formazione da “partito democratico” a “democrazia partita” .Impediranno costoro al “loro” di candidarsi, mentre il “loro” è pronto a candidarsi proprio in quanto uomo libero, quasi un uomo qualunque, che non ha bisogno certo del consenso di un partito che non ha consenso, comandato da chi a Roma non può contare nemmeno sul voto della madre. Che è sempre certa.
Fatto sta che per ora la legge ad personam che dovrebbe spianare la strada al terzo mandato – ma mandato dove? – o asfaltarlo, ancora non è pronta (sarà stato questo il motivo dell’ospitata alla convention azzurra in terra cilentana?) ma che non dovrebbe essere un problema per chi non ha casa e che, però, deve solo accasarsi. Per muovere guerra al governo centrale, dice De Luca, mica per “amminestrare” la Regione che lui vorrebbe presiedere! Perché il nemico di De Luca resta il governo di Roma, (che poi è pure della Campania) che, se queste sono mosse e premesse del partito di provenienza che vuole la sua defenestrazione, rischia di durare cinque anni. Che crimine grave completare una legislatura! Ma il vero crimine di cui tutti sono colpevoli è che De Luca fa e De Luca disfa, che fa quel vuole e perché ciò che manca a manca, manca pure a destra: a destra non c’è uno che parli come De Luca. E forse al centro l’hanno capito e vogliono centrare l’obiettivo campàno – grazie a cui in tanti càmpano – consci di quel vuoto persino tra i fratelli d’Italia. La “Campania” elettorale è iniziata: tanto Pe’ Di’. Restano dietro le quinte i protagonisti veri: i cittadini, il territorio, le problematiche e le soluzioni su cui bisognerebbe fare luce, ma sui quali è già pronto a calare il sipario.

https://www.camposud.it/uno-due-e-tre-de-luca-e-papa-de-luca-e-re/tony-fabrizio/

Re Giorgio non si è mai pentito

Roma, 30 sett –  Proclamazione del lutto nazionale, bandiere a mezz’asta, red carpet sciorinato e onorevole frenesia per comparire sul grande libro dei nomi. Per le esequie di Giorgio Napolitano è stato approntato tutto, come da protocollo, anche se l’immagine che il Paese dà è tutt’altra di quella propagandata da tivvù e giornali: basta fare un giro negli stadi, nelle sedi delle associazioni, sulle panchine dove i coetanei del defunto commentano dalla loro finestra sul mondo. Eppure, tra chi si spertica in ogni dove per imporre lodi e panegirici del Presidente migliorista, manca un elemento, un must di quella congrega cui egli era consociato e divenuto un passe-partout anche per quella parte “adversa”, sempre più pronta e prona a scappellarsi per assomigliare a chi distribuisce patenti mai sufficienti per essere come loro.

Giorgio, il Re che non si è mai pentito

Nessuno, tra i mille dibattiti e speciali lunghi e monopolizzanti da fare invidia alle trenta ore per la vita – solo che qua siamo a settantadue ore per una morte – da sinistra a destra, dai moderati agli amici, dai ravveduti ai no ha osato chiedere: “Napolitano si è mai pentito?”. Pentito di aver orgogliosamente fatto parte di un partito dalla chiara ispirazione dittatoriale (a dir loro una brutta parola). Omicida. Che ha prodotto crimini e ingiustizie quasi senza eguali. Che ha al proprio attivo il record per maggior numero di morti causate e le più aberranti sevizie imposte. Che si schierò, senza se e senza ma, a favore dei carrarmati dell’allora Unione Sovietica contro i ribelli in Ungheria, approvando de facto il brutale atto di aggressione internazionale. Così come lui, tutti i dirigenti del Pci, tutti fieramente filosovietici. Continuando a percepire, come se nulla fosse, le valanghe di rubli che i compagni dell’Est inviavano nel Belpaese.

Se è costume sinistro chiedere l’abiura con la falsa promessa di entrare a far parte del limbo dei “giusti”, dove nessuno che non è come loro entrerà mai, può la rinuncia alla richiesta dell’abiura essere ascritta come un punto a favore di quella parte che siede sulle cadreghe opposte nell’emiciclo, bersagliata quotidianamente affinché disconosca, rinunci, si ravveda, prenda le distanze dalle proprie idee e dai propri ideali? Sarà un retaggio, uno dei pochi “resistenti”, di quel “le radici profonde non gelano mai”?

La (sola) pezza rossa, altrettanto un must, che si tenta spesso di mettere è quella secondo cui il Pci si è mosso nel perimetro del dettato costituzionale – di cui vantano la scrittura, ma anche su questo ci sarebbe da disquisire – che non è mica poi tanto vero essere la “Carta più bella del mondo”: Specie nella misura in cui la credono antifascista!” Democrazia oggi e sempre il cui figlio diretto è la tirannia e non la dittatura che è una forma di governo che persegue il bene della Nazione e del suo popolo. Ma ci vorrebbe troppa onestà intellettuale per dirlo, anche solo nozionisticamente.

Le differenze con le matrici “rosse” che hanno governato ad Est

Ci si potrebbe allora chiedere, al netto del “green pass” democratico, se personaggi come Giorgio Napolitano nel caso di specie – ma il discorso potrebbe tranquillamente estendersi anche a Togliatti, Pertini, Berlinguer, Longo – siano personaggi geneticamente diversi dai loro padri Stalin, Lenin, Krusciov, Ceausescu o non hanno potuto emulare i loro idoli falce & martello semplicemente perché al desco di Yalta l’Italia capitò nel piattino a stelle e strisce. O, anche, perché in Italia, che ha ideato e vissuto il Fascismo, i retaggi sono (stati) così forti tanto da non permettere che si consegnasse lo Stivale a Mosca, né a loro di salire mai al potere. Effettivamente l’Italia ha vissuto il Fascismo e non il Comunismo, ma se così non fosse stato oggi Napolitano & compagni avrebbero potuto fregiarsi dell’“onorevole” titolo di democratico, come se fosse una cravatta nuova da sfoggiare? O le foibe non sono state sufficienti? Nello stesso l lembo di terra dove Togliatti chiedeva passassero i carrarmati sovietici e Stalin rifiutò perché troppo vicini ad un territorio di influenza americana. Entrambi commensali a Yalta. E Re Giorgio, nel dubbio, riuscì a servire entrambi. Tutti, tranne che il proprio “Paese” che pure lo aveva letto quando, pienamente inquadrato, scriveva sulle colonne “IX Maggio, quindicinale del G.U.F. e dell’Ateneo di Napoli.

A nessuno è mai importato cosa facessero il giorno prima venticinqueluglisti, badogliani e ottosettembrini, alla stessa maniera a nessuno interessa avere il loro imprimatur in punto di morte o la riabilitazione postuma, ma è indicativo osservare come l’abiura, che chiedono per gli altri da loro, non valga per loro stessi, avendo percorso, in parte, la stessa – allora comoda – strada. E come non abbiano ancora capito che pretendono l’abiura pure da quelli che non hanno tradito fino ai loro diretti eredi che ancora oggi corrono il rischio per un’idea.

https://www.ilprimatonazionale.it/approfondimenti/re-giorgio-non-si-e-mai-pentito-269389/

(L’)ODE AL BACCALA’, OVVERO LA FENOMENOLOGIA DELLA POL-ITTICA.

Nella giornata dedicata al Santo Patrono di Napoli (non gridiamo al miracolo, ma solo perché pensiamo che Gennarino da Pozzuoli abbia cose davvero più importanti di cui occuparsi) si è conclusa la sei giorni di Napoli dedicata a Sua Maestà il Baccalà: Baccalàre. Come ogni regale che si rispetti, anche il pesce dei poveri, figlio del sei politico e del dogma “uno vale uno, divenuto poi uno vale l’altro, ha avuto la sua degna dimora: dopo il lungomare e altri angoli della città, quest’anno la kermesse è approdata nientepopodimeno che al Maschio Angioino, nel cuore di Napoli. Perché, se all’ombra di Partenope non bastavano food e beveraggi di cui ormai il centro storico pullula, bad and breakfast soppalcati sorti in ogni basso, con tanti saluti – nel senso di “partiti” – da parte degli autoctoni, non si poteva non ampliare lo spazio dedicato all’enogastronomia non tipica né topica, rendendo Napoli un prodotto sostanzialmente di panza. Che, diciamolo pure, fa molto… digerire.
Nessuna cultura dei musei, dunque, niente più conoscenza della città, zero sponsorizzazioni del patrimonio – in realtà quello che resta, dopo il famigerato Patto, sarebbe meglio dire Pacco, per Napoli siglato dal primo cittadino Gaetano Manfredi – la cui omonima morte è, si sa, con la ricotta e non con il pesce – e l’allora presidente del consiglio nonché liquidatore di stato Mariuolino Draghi – ma solo l’ennesima mano (in tasca) da parte di tutte le istituzioni – che poi sempre soldi dei contribuenti sono – dalla Regione al Comune, dalla Città metropolitana alle associazioni di categoria, per l’ennesima abbuffata a pagamento (doppia), tesa alla valorizzazione delle “eccellenze (non) campane”. E già, perché chi nell’intero globo terracqueo non conosce il prelibato baccalà di Pozzuoli? O il famoso stoccafisso di Castellammare? Il tutto annaffiato dalla celeberrima birra di… Gragnano! Vuoi mettere il valore aggiunto della passeggiata tra vicoli e quartieri addò ‘o sole nun se vede, dell’ormai “locale” odore di spezie e cipolle, di piscio e di monnezza a cui, di diritto, si aggiunge – pardon, si include – l’aroma del baccalà? Un capolavoro, per tatto, gusto, vista e olfatto. E, a quanto si sente, anche per l’udito. È la Napoli degli stracci e della panza, ormai. Degli orfani (di napoletanità) e degli scorfani (campani tutti). La Napoli sostituita e restituita. Sostituta a sé stessa, persino nel triste binomio di pizza & mandolino per cui ormai nemmeno Pulecenella fa cchiù ridere e pazzia’, e sostituita da prodotti importati e importanti da ogni angolo che non sia Napoli: dalla periferia più sperduta dell’entroterra asiatico, fino ai freddi mari del nord(e).
Qualora si fosse riusciti a superare l’indigesta location della sala Maior, ci si sarebbe potuto deliziare con il cuoppo di pesce in questione sotto “semplici” affreschi di Giotto, ad esempio, e pagare 30€ (a partire da) invece dei 6 stabiliti con cui si può godere anche dei reperti romani e dello splendido museo civico, quando i baccalà non ci sono. In assenza di stelle, però, (non dei penta Gigino e Robertino di cui ci auguriamo ci sia almeno la colf) & chef. Panem et circenses, per il popolino. In compenso, però, stavolta ci si è potuto imbattere in tanti varianti (e variabili. E pure avariati) che il panorama offre: dai piscitiell’ ‘e cannuccia – non solo sardine – ai pesc’ a broro, fino ai pisce “pigliate c’ ‘a botta” divenuti per per la (b)occasione tutti piranha, già squali, ma ora e sempre baccalà: NPCr, Nostalgici Pesciolini rossi.
È la fenomenologia della politica, mutata, per l’occasione, in polit(t)ica, ovvero in abbondanza di “pesci”. E, per dirla con un napoletano doc, “A proposito di politica: non ci sarebbe qualcosa da mangiare?”.
Dopo l’abbuffata, non resta che augurare buona digestione a tutti (quelli che hanno abboccato).

https://www.camposud.it/lode-al-baccala-ovvero-la-fenomenologia-della-pol-ittica/tony-fabrizio/

BASTA SPARLARE DI NAPOLI SE CON NAPOLI CI VOLETE MANGIARE!

L’Ans(i)a ci riprova. Dopo le favolette propinate agli italiani (https://www.camposud.it/il-quarto-potere-che-divide-litalia-tra-realta-e-finzione/tony-fabrizio/) e la notizia battuta – mai termine fu più appropriato – della festa dell’accoglienza che i lampedusani avevano acconciato per le risorse che si sedevano ai deschi italici imbanditi per l’occasione dagli autoctoni, anzi, addirittura erano attese e accolte “a braccia aperte” (citazione di La Repubblica) per poi proseguire la serata non nei centri di identificazione e accoglienza, ma nelle piazze e alle sagre di paese a dividersi tra danze e sollazzi con il meglio sesso debole che l’isola potesse offrire che manco il lockdown del Decamerone di boccaccesca memoria, adesso tocca a Napoli. Titolo “identitario”, un topos della tradizione, quasi ilare, ma di quella ilarità degna nemmeno di una carta straccia; un luogo comune di quella bassezza ingannatrice che ormai l’in-formazione sforna ad ogni occasione. Il titolo recita testualmente “Raccoglie firme per sicurezza a Napoli, gli rubano lo scooter”. E nel sottotitolo si menziona persino il nome del malcapitato che appuriamo essere l’avvocato (questa cosa di identificare con la professione una persona non mi è mai piaciuta nemmeno per Gigino il fu bibitaro e oggi inviato – quasi menomale! -) Guarino, promotore della petizione per Noi moderati. Che è una formazione politica e, forse, anche un modo di essere. Quasi colpevole, secondo l’Ansa.
Il luogo comune di bassa lega è subito servito: Napoli non è città sicura perché, mentre ci si impegna con una sottoscrizione per la sicurezza – che poi le sottoscrizioni servono da sempre solo ed esclusivamente a contarsi – firmata da anziani e mamme con bambini al seguito – il che fa molto tragedia: prima anziani, donne e bambini – gli fregano lo scooter. Questa zona (via Firenze, zona stazione, quartiere Vasto) è diventata invivibile, protesta il promotore della petizione. Il che è verissimo, solo che da tempo il Vasto è zona dove un napoletano non lo trovi manco a pagarlo. È un quartiere di immigrati, principalmente africani, dove non esiste ordine né legge, se non quella della Giungla, probabilmente. Almeno a vedere ciò che vediamo. Ma quando “altri” protestavano, vedendo avanti già decenni addietro, e richiamando l’attenzione sul degrado a cui si condannava il quartiere, innanzitutto col silenzio, gli “altri” erano cattivi perché ben poco moderati. Un ritardo di qualche decennio che fa molto “politica”. La stessa contro cui ci si scaglia nel comunicato accusandola di essere troppo impegnata a stare dietro le scrivanie e a burocratizzare la vita della città. Un po’ di vittimismo sale & pepe quanto basta, visto che, leggendo la notizia, si apprende che lo scooter, di cui si cita anche marca e modello, è stato trafugato in zona Via De Gasperi, dove l’avvocato ha lo studio – per chi non lo sapesse – in prossimità della caserma della Guardia di Finanza. Incredibile a leggersi, Noi moderati, nella persona dell’avvocato Guarino, dichiara testualmente all’Ansa “[…] Ci vogliono mezzi straordinari, leggi ad hoc, esercito per strada e l’intervento più convinto di chi occupa ruoli apicali”. Esercito per strada dopo che si sono fottuti il Beverly  sotto la caserma? E rincara la dose: “Chi non è in grado di affrontare queste sfide, deve farsi da parte”. Sicuri dopo il ritardo di qualche decennio per accorgersi sulla situazione del Vasto e l’esercito per strada che scongiurerà la delinquenza davanti alla caserma, ma solo perché i militari erano chiusi dentro a lavorare? Più che una notizia che dovrebbe comunicare non si sa che cosa, non era meglio annunciare a mezzo stampa che il tale giorno, alla tale ora, in tale parte della città si teneva il banchetto di “…” per “…”? Perché sputare sul nome della città, sparlare di Napoli per poterne tratte un vantaggio dalla stessa città? È questo l’amore per il capoluogo campano? È questo il modo di fare politica, ridotta sempre più ad un termine che non le fa onore?
Un grazie all’Ansa, però, va detto perché, se è vero quanto è riportato (https://www.ansa.it/amp/campania/notizie/2023/09/16/raccoglie-firme-per-sicurezza-a-napoli-gli-rubano-lo-scooter_7ccf2aea-7e87-41cc-bf99-bb9ee704420f.html), almeno contribuisce farci conoscere “la politica” che, probabilmente, ritroveremo in corsa nella prossima tornata per le ormai imminenti (vedasi De Luca e la sua legge ad personam per diventare candidato in aeternum) elezioni regionali. I tempi sono ormai maturi e di questi tempi…
San Gennaro, aiutaci tu!

https://www.camposud.it/basta-sparlare-di-napoli-se-con-napoli-ci-volete-mangiare/tony-fabrizio/

20 settembre: nella Patria delle ricorrenze, l’ennesima data dimenticata

Roma, 24 settembre – Anche quest’anno, come ormai da un bel po’ di anni accade, la data del 20 settembre, o come si scriveva una volta “XX” settembre, è passata in sordina. Persino quest’anno che tutti si sono scoperti “patrioti alla Vannacci” e difensori di una Nazione che non lo è più.

20 settembre una ricorrenza da riscoprire

Nemmeno nella scuola delle crocette dei test Invalsi, del ragionamento zero e del nozionismo elevato a cultura, che, prima della copertura dei docenti, pensa a rinnovare la collaborazione non solo con l’ANPI, ma con tutte le associazioni partigiane: scuola inclusiva che più inclusiva non si può. Neppure quegli “antitutto”, anticlericali innanzitutto, che hanno dimenticato persino babbo Gramsci che ha insegnato loro come (soprav)vivere politicamente, quando scriveva nel 1916 sull’Avanti: “E’ nei piccoli paesi che il XX settembre ha avuto maggior fortuna e si è radicato profondamente. […] E la sera l’immancabile corteo, con le fiaccole di carta, con le lanternine veneziane, preceduto dalla banda musicale del luogo, e accompagnato dalle fatidiche grida al leone di Caprera [Garibaldi] e al gran morto di Staglieno [Mazzini]”. Eppure, il 20 settembre è una data importante, una tappa significante al fine di poter capire – e non solo ricordare una successione di sterili date cui segue il fatterello così come esposto sul libro di testo – la nostra storia. La storia d’Italia. La Breccia – che è l’apertura di una falla, la rottura di un sistema difensivo – di Porta Pia è un ulteriore tassello che si aggiunge nel filone del Risorgimento italiano; è la fine e la conseguente scissione del potere temporale da quello spirituale; è Roma che diviene capitale d’Italia; è la possibilità, ad essere goliardici, da parte della Chiesa “sollevata dal potere temporale” di poter “esplicare in modo più agile la missione di salvezza fra gli uomini”, come ebbe a dire il cardinale dall’Acqua; è la “rivendicazione” papalina del “Non expedit”, ovvero un documento, per nulla diplomatico, con cui si invitava i cattolici italiani a non partecipare alla vita politica della Nazione, lanciato da papa Pio IX, letteralmente confinato dentro le mura leonine e autodichiaratosi prigioniero in Vaticano: premessa per la cosiddetta Questione romana, la controversia per il “ruolo” di Roma, sede del potere temporale e capitale del Regno d’Italia, protrattasi, poi, per oltre mezzo secolo.

Roma capitale

Forse, è bene pure ricordare che alle ore 9 del mattino del 20 settembre l’Artiglieria dell’esercito italiano guidato dal generale Raffaele Cadorna bombardò per oltre quattro ore le mura di Roma fino a che riuscì ad aprire una falla di oltre trenta metri di larghezza nei pressi di Porta Pia – la famosa(?) breccia di Porta Pia appunto – attraverso cui il reparto di fanteria della stessa arma entro in città. Alle ore 10:35 lo Stato Pontificio dichiarò la sua resa esponendo le bandiere bianche sulla cupola di San Pietro e su una torre di Castel Sant’Angelo: fu la fine dello Stato Pontificio, Roma si unì all’Italia e ne divenne capitale.
Veniva scritto così un ulteriore capitolo del Risorgimento italiano che verrà ricordato in ogni città italiana intitolando all’evento una piazza, una via, rigorosamente scritto in numeri romani; data associata, per antonomasia, ad uno specifico Ministero ivi collocato. Questo evento considerevole, fondamentale per il processo di unificazione e dalla singolare rilevanza storica negli anni ha perso di importanza, in primis proprio perché la Chiesa avversava la ricorrenza (della sconfitta), ritenuta anticlericale e massonica (anche da Gramsci). Quanto ha contato, infine, la proverbiale “ingenuità” democristiana negli anni?
Un ulteriore tassello di questa “cancel culture ante litteram”, la Chiesa tentò di metterlo a segno con la sottoscrizione dei Patti Lateranensi quando tentò di far cancellare da paesi e città dello Stivale vie e piazze recanti il nome “XX Settembre”, ma Mussolini e il suo regime, che erano già stati molto generosi con la Chiesa per via delle leggi che esentavano i prelati dal servizio militare, delle leggi su matrimonio e divorzio conformi a quelle della Chiesa, per via di un risarcimento di quasi 2 miliardi di lire (siamo nel 1929!), del riconoscimento della sovranità e dell’indipendenza della Santa Sede, quindi della nascita dello Stato Vaticano, forse, per via del suo acceso anticlericalismo socialista giovanile, non acconsentì mai alla richiesta circa la toponomastica.

Origine e memoria

Il 20 settembre venne, poi, surclassata dalla data dell’11 febbraio (1929), giorno della stipula dei Patti Lateranensi, quando i contrasti tra Italia e Papato si appianarono definitivamente. Oggi, con il disincanto del tempo, si dovrebbe richiamare almeno la memoria storica di tale evento e, perché no, festeggiarla al pari della Vittoria, della conquista di Trieste e Trento e delle terre irridenti, anziché allungare l’illogica lista delle date divisive o addirittura delle sconfitte e della vergogna. Come il 25 aprile, per esempio, o il 1 maggio, ma anche l’8 marzo di cui si è perso il significato originale, ma non la memoria.

https://www.ilprimatonazionale.it/approfondimenti/20-settembre-nella-patria-delle-ricorrenze-lennesima-data-dimenticata-269133/

IL QUARTO POTERE CHE DIVIDE L’ITALIA: TRA REALTA’ E FINZIONE!

Profughi a bordo della Fregata Euro impegnata nell’operazione Mare Nostrum (sullo sfonfo la fregata Virgilio Fasan), Mar Mediterraneo Meridionale, 30 Agosto 2014. ANSA/GIUSEPPE LAMI
È ufficiale: l’Italia è ormai il Paese dei balocchi. E, come tale, anche il Paese di Pinocchio. È un’Italia divisa in due, ma non più in nord contro sud, destra contro sinistra, ma ormai è divisa in due: tra realtà e finzione.
Durante la pandemia, abbiamo assistito ad elargizioni di denaro pubblico a tivvù, radio e giornali e non alle strutture sanitarie, come logica vorrebbe; oggi ogni giornale, a prescindere dal padrone al quale dà voce, campa non grazie alle copie vendute, bensì ai sussidi di stato; che un giornale sposi una linea politica, ovvero una linea guida secondo cui raccontare le cose, ci sta, ma addirittura che un’agenzia di stampa, una delle più importanti del Bel Paese, falsifichi completamente la realtà è cosa grave, prima che rara.
È di meno di ventiquattr’ore fa la notizia battuta – che fa molto meretricio, rendendo bene la situazione – dei lampedusani solidali che cucinano spaghetti e offrono wi-fi agli scappati dalla guerra. Che chissà chi la combatte, viste che le falangi di pubescenza che vengono scaricate sulle nostre coste si compongono solo di giovani di sana e robusta costituzione, in età militare, palestrati, equipaggiati di telefonino di bordo, spesso alto bordo, e artisti in erba in cerca della terra promessa.
Gli elementi della narrazione ci sono tutti: gli spaghetti, che fanno tanto italian style; la pizza, altro elemento tipico e topico della tradizione, tra i denti con cui i migranti scappano dagli hotspot; la musica, che sia pizzica, tammurriata o tarantella, che sa tanto di “festa” a cui le “risorse” appena sbarcate, nonostante siano provate dalla fame, dalla guerra e dagli sforzi sostenuti per l’immane traversata, prendono parte.
Italiani brava gente: ospitano gli sbarcati in casa loro e attendono i nuovi arrivati per poter mangiare. “Con le braccia aperte” titola nientemeno La Repubblica.
Italiani accoglienti che (si) prestano addirittura in balli durante la sagra di paese. Da notare che viene rispettata, come da tradizione, qualsiasi tipo di altern-Ansa: uomo-donna, uomo nero–donna bianca. Non c’è un lampedusano che balli con loro o con la propria donna manco a pagarlo, quanto loro hanno pagato per il trasbordo continentale. Lampedusa non solo è donna e isola, ma è l’isola delle donne libere. E pronte. E disponibili. E in attesa. Quante Pene-lopi!
Nel resto della penisola, però, gli stessi giornali e le stesse agenzie, in realtà, raccontano tutt’altre scene: pensiamo al Quarticciolo, zona Togliatti nella Capitale, dove un malvivente – extracomunitario – è stato linciato dalla folla inferocita, per aver scippato una vecchietta. Quelle vecchiette che fanno da baby-sitter, da bancomat e da relegare nelle RSA quando hanno assolto i loro compiti; stessa scena, correlata e con qualche variante, a Brindisi, dove, ancora una volta, due ladre di appartamento sono state malmenate in strada dalla folla inferocita. Ed esasperata. Pensiamo alle ronde dei cittadini in alcuni quartieri delle nostre città, persino troppo recenti per essere solo un lontano ricordo. Una triste realtà, invece, sono gli angoli, anche i più centrali, delle nostre città, le piazze, i parchi ridotti a stallo per gente senza dimora e senza nulla da fare, se non bivaccare, nel caso peggiore, a disposizione della criminalità organizzata che li assolda per spacciare, rubare e delinquere in genere, nel caso migliore. Peggiore e migliore per loro, chiaramente. Gente così volenterosa di integrarsi che non si schioda dal proprio mos maiorum – pensiamo solo alle donne orgogliose di incappucciarsi come se fossero a casa loro – o agli uomini che si lavano nella Barcaccia e stendono il bucato all’ombra del Vittoriano (per gli italiani l’Altare della Patria!).
Gli stessi giornali che nel trafiletto dell’ennesimo caso di stupro, di femminicidio, di vivisezione a crudo ometteranno di dire che l’esecutore era una risorsa. Perché non importa – e, se si è commesso ciò che in Italia e nel mondo civile e civilizzato, risponde al nome di reato – lo scappato dalla guerra, che non è mai per nessuno un disertore, troverà sempre il togato compiacente che liquiderà tutto “secondo la sua cultura” o anche “non poteva sapere che in Italia è reato”.
C’è tutto l’esercito di Vannacci che è il nuovo semidio per aver detto cose ovvie, ma a quanto pare non troppo scontate, al posto dei followers, pena il blocco dell’account social dei rivoluzionari dei sofà.
Intanto in-formiamoci delle scene di ibrido sollazzo al ritmo di musica popolana da parte dei Mangiafuoco che se ne vanno in giro tra case e sagre di piazza, a ballare a bere, quando i soggetti in questione dovrebbero essere quantomeno fermati e identificati. Valutarli, verificarli e tenere solo chi ne ha davvero diritto sarebbe veramente troppo. Questa è la favola bella che ieri m’illuse, che oggi t’illude pronta e propinataci, è il mondo al contrario di chi si confina a contare il problema, ma non offre, nemmeno in linea generale, analisi della radice del problema, né possibili soluzioni. D’altronde siamo il popolo capace di piangere ancora una volta per quanto occorso al Parco Verde di Caivano. Lo stesso popolo che oggi registra l’ennesimo omicidio di un giovane milanese per mano di una “risorsa tunisina” che ha pensato bene di riempirlo di pugni in zona Navigli e non contento, gli ha stretto il collo per diversi minuti fino a strangolarlo. O come il caso di due giovani fidanzatini, sempre a Milano, presi di mira da un “drappello di risorse”, questa volta egiziani, in un autobus di linea alle 23.00 e inseguiti, dopo essere discesi dal mezzo pubblico, sino ad essere colpiti ripetutamente, scippati di ogni cosa e “pronti” all’ennesimo stupro di gruppo, in pieno centro meneghino, se non fossero intervenute le forze dell’Ordine ad evitare una nuova e più micidiale conseguenza.
Questo il vero volto delle nostre città in questi anni terribili. Città stravolte irrimediabilmente dalla violenza, ma soprattutto dalla ignavia di una classe politica ipocrita, compiacente e silente. Sostenuta da una stampa (quella solita, tanto per essere precisi) che esalta l’accoglienza dei flussi incontrollabili di “risorse irregolari” sulle nostre coste e, nel contempo, si limita a registrare come fatto di cronaca, gli accadimenti delittuosi prodotti sull’intero territorio nazionale, da questi flussi sempre crescenti di sbandati e disadattati. Ben  consapevoli che non esiste nessuna possibilità per le Istituzioni, ne volontà dei diretti interessati, di qualsivoglia forma di integrazione.
Che c’é da dire? E’ la forza incontrastata del “Quarto Potere” !!
https://www.camposud.it/il-quarto-potere-che-divide-litalia-tra-realta-e-finzione/tony-fabrizio/

CAIVANO: La risposta dello Stato adeguata e tempestiva. Ma occorre mettere mano alle infrastrutture inesistenti e a quelle devastate. E poi scuola ed educazione…………

SOLO 48 ORE DOPO LA VISITA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E L’IMPEGNO ASSUNTO CON I RESIDENTI DEL PARCO VERDE PER IL RIPRISTINO DELLA LEGALITA’ NEL COMPRENSORIO DI CASE POPOLARI DI CAIVANO, LE FORZE SPECIALI DI POLIZIA, CARABINIERI E GUARDIA DI FINANZA(CIRCA 400 AGENTI) HANNO DATO VITA AD UNA MASSICCIA OPERAZIONE DI PREVENZIONE E REPRESSIONE DI REATI DI SPACCIO DI SOSTANZE STUPEFACENTI, INDIVIDUAZIONE E SGOMBERO DI NUCLEI FAMILIARI OCCUPANTI ABUSIVI DI ALLOGGI POPOLARI, SEQUESTRO DI ARMI E MUNIZIONI OCCULTATE. L’OPERAZIONE DI POLIZIA, INIZIATA ALL’ALBA DI QUESTA MATTINA, E’ TUTT’ORA IN CORSO ( alle ore 20 di martedi 5 Settembre). 
La forza pubblica è arrivata all’alba e ha fatto immediatamente irruzione nell’anormale normalità del Parco Verde di Caivano, dove persino i blitz effettuati, come da copione, alle prime luci del giorno sono una normalità. Sequestri e arresti da una parte, la parte dello Stato che usa il pugno di ferro, dall’altra le proteste di chi difende il proprio, dell’antistato, le minacce di chi ha osato minacciare la loro sopravvivenza. Nulla di nuovo per Caivano e nulla di nuovo per lo Stato. Anzi. Il Parco Verde, così come ogni quartiere-ghetto dove relegare gli ultimi, i disagiati, gli invisibili a dinamiche proprie che difficilmente può capire chi vorrebbe livellare e risolvere tutto nella stessa maniera. Magari da “estraneo”. Gli stupri che si sono consumati a Caivano non sono uguali a quelli che si sono consumati a Palermo, quasi contemporaneamente, o a quelli occorsi in ben più alti onorevoli loft, fino a prova contraria. Probabilmente al Parco Verde ciò che è accaduto doveva pure accadere perché il business oggi può essere lo stupro, la violenza, forse anche la pedofilia e non solo – o non solo più – lo spaccio.
Le ruspe e i militari erano già arrivati a Scampia, dove non hanno fatto altro che accelerare un trasloco che dalle Vele è arrivato al Parco Verde; allo stesso modo di come lo stupro (e l’omicidio) era già stato subito dalla piccola Fortuna, la cui scarpa – prova regina per individuare più facilmente l’orco – fu gettata via “semplicemente” perché ciò avrebbe compromesso la fiorente attività di spaccio. Dunque, con quale faccia ci stupiamo di quest’altro ennesimo abuso? Si sono vergognosamente spenti i riflettori in questi palazzi dove Cristo non entra nemmeno negli androni.
La “bonifica, così come “cinguettato” dalla scrivania, magari dal proprio ghostwriter, la presenza dello Stato sono parole buone per i titoli dei giornali, per la propaganda politica la cui classe è la vera assente in questi sobborghi che non sono altro che zone di confine tra il Bene e il male e non i margini della città e rischiano pure di non rendere giustizia a chi, invece, senza proclami e senza riflettori, addirittura da solo, combatte la propria sfida ogni giorno. Penso a don Patriciello che si è abbracciato la sua croce e la onora in ogni momento e in ogni angolo sperduto di questa terra. Il Prelato è stato, un altro stato – purtroppo – ma c’è in nome della religione che etimologicamente sta proprio per “mettere insieme”. La speranza innanzitutto. C’è la scuola che lavora e funziona – dicono gli esperti – in un ambiente dove la dispersione è persino minore della derisione “scolastica”. E c’è la gioventù, ci sono le famiglie che funzionano: l’ennesimo caso di violenza è venuto alla luce grazie ad una denuncia. Il coraggio di denunciare. E il coraggio è stato premiato con il “trasferimento in un luogo protetto” da parte di chi ha avuto coraggio. Non sono stati portati via i delinquenti. I violenti, addirittura non perseguibili giuridicamente, non sono stati strappati via a quelle famiglie il cui consiglio può essere (verosimilmente) quello di cancellare il video dell’”atto eroico” dal proprio telefonino. E non sono stati portati via i fanciulli, vittime interessate – e interessanti – delle proprie famiglie che, inspiegabilmente, perdono di vista le proprie creature in ambienti così particolari. Dove la purezza vale quanto un giro sul terrazzo dove ad attenderli c’è una busta di patatine. Dove l’abiezione non è nemmeno nozionisticamente conosciuta.
L’attuale esecutivo non è il primo né l’ultimo che dovrà confrontarsi con simili scempi, ma se le azioni sono le ruspe o (anche) il manganello, le conseguenze non saranno che spostamenti in altri luoghi di malavita e malavitosi e il “libera tutti” magari grazie ad un semplice decreto firmato di sabato pomeriggio dall’operatore di turno che non sapeva.
Lo avevo capito già Matilde Serao che in una lettera spedita al ministro Depretis parlava di “rifondare”: «Per levare la corruzione materiale e quella morale, per rifare la salute e la coscienza a quella povera gente, per insegnar loro come si vive – essi sanno morire, come avete visto – per dir loro che essi sono fratelli nostri, che noi li amiamo efficacemente, che vogliamo salvarli, non basta sventrare Napoli: bisogna in gran parte rifarla».  Prima di lei lo avevano capito i Borbone che crearono città operaie destinate a evitare le sacche di degrado e proprio la Campania in merito fu all’avanguardia, come ricorda Massimiliano Virgilio dalle colonne del Corsera, lui che al Parco Verde c’è stato tre volte per altrettanti validissimi lavori. Validissimo non solo per un fattore temporale.
Il delinquente di turno che stamattina è stato catturato per quanto tempo rimarrà in carcere? A fare cosa? Si può definire delinquente anche uno che stupra? E uno che stupra un minore? Potrà mai riabilitarsi? E quelli che restano, i restii, hanno una possibilità di impiego – non solo occupazionale, ma anche del tempo libero, adulti e bambini – alternativa a quella della mera sostituzione della manovalanza temporaneamente a disposizione della giustizia?
Per questo non basterà la bonifica o il perfezionamento: queste strutture vanno completamente create. Prima che su Caivano – ma anche su Palermo o su Roma – scenda di nuovo il buio e l’oblio. Come dopo la piccola Fortuna. Come dopo la Serao.
https://www.camposud.it/caivano-la-risposta-dello-stato-adeguata-e-tempestiva-ma-occorre-mettere-mano-alle-infrastrutture-inesistenti-e-a-quelle-devastate/tony-fabrizio/

OGGI SONO STATO ANCH’IO AL PARCO VERDE DI CAIVANO

Oggi l’Italia tutta si accorgerà di Caivano e del suo Parco Verde. Il circo, in realtà, è già iniziato prima ancora che iniziassero le visite onorevoli ed ufficiali. Lo ha inaugurato, manco a dirlo, Vincenzo De Luca che è già in campagna elettorale e che continua il suo demenziale, vituperevole show dicendo stavolta di voler militarizzare l’area (l’eterno ritorno della strategia del lanciafiamme), in modo da non consentire ai camorristi nemmeno di respirare; prenderà parte, volente o mente, Giorgia Meloni che sarebbe diventata la vittima sacrificale qualunque azione (non) avesse compiuto: se avesse calcato il red carpet steso da don Patriciello, il parroco degli ultimi, allora sarebbe andata a fare passerella; non avesse accettato, allora se ne sarebbe fregata e sarebbe passata quale da borgatara imborghesita menefreghista. Che ci sarà di male a essere di borgata, chissà; poi ci sono quei personaggi non in cerca d’autore perché un autore ce l’hanno già che, nell’occasione, da veri dementi, contestano la Presidente del Consiglio, alla quale hanno diretto anche minacce di morte per aver abolito il reddito di cittadinanza che, invece, serv(irebbe)e a vivere. Che poi non è un proprio così perché gli over 60 continueranno a percepirlo, ai disabili saranno garantiti dei benefit, chi ha perso il lavoro potrà fare fede su degli ammortizzatori sociali, eccetera. Ma tutta quella feccia di disoccupati organizzati – organizzarti per tutto, tranne che per il lavoro – con le mogli vajasse al seguito chiede “lavoro e dignità”. Perché se loro in qualche modo “a Napoli arrangiano sempre”, la dignità deve essere restituita loro dall’alto. Regalata. Che dignità è chi lo sa.
In tutto questo marasma – in cui ce n’è anche per il compagno, pare, di nome e pure di fatto, della Meloni, riconducibile a lei solo per il loro legame e che si è scoperto essere il peggiore dei cristiani pro tempore per aver detto una cosa alquanto ovvia e pure scontata – De Luca ci sguazza e fa pure da capopopolo. E se non ha ancora invocato anche lui Vannacci è solo perché se lo è già accalappiato la Lega. “Lo stato è assente” è il nuovo must di masto Vicienzo. Ed è vero perché l’antistato si insinua laddove lo stato non c’è. Ma chi è questo stato? Non siamo tutti noi lo stato? Non è forse anche De Luca lo stato? I De Luca boys sono già scatenati in difesa di chi fa loro sperare di poter beneficiare del cosiddetto ‘Sistema Salerno” e rilanciano che l’ordine pubblico spetta al Viminale. Sarà per questa ignoranza dell’esistenza della figura del Prefetto che nel borgo Sant’Antonio successe quel popo’ di roba in occasione dell’accensione dei tradizionali fuochi a gennaio scorso? Lo Stato non significa certo (solo) la forza armata. Lo stato non è nemmeno la Chiesa! Può piacere o meno, ma tal Vittorio Brumotti, inviato del tg satirico Striscia la notizia, quando dà spettacolo a bordo della sua bicicletta, dice una cosa sacrosanta: “Riappropriamoci dei nostri spazi, riprendiamoci ciò che è nostro”. Se serve la Forza Pubblica – con i grossi limiti che proprio lo stesso stato (im)pone – è proprio perché questi posti sono stati abbandonati. A loro stessi e, quindi, all’antistato. Vuoi che il Presidente della Regione Campania non sappia che il Parco Verde di Caivano è solo il succedaneo delle piazze di spaccio di Scampia? Lo sa pure Brumotti!
Chissà se Brumotti sa, però, che quando si creano spazi alternativi nelle periferie invivibili, come la palestra Napoli Boxe a Montesanto che ha letteralmente strappato tanti giovani alle grinfie dei clan, il Comune, lo Stato, le Istituzioni, notificano ordini di sfratto senza se e senza ma. Che, tuttavia, esiste una fitta rete solidale di volontari che si impegnano e ci mettono la faccia sempre, anche quando microfono e telecamere sono rivolt(at)e altrove.
Chissà se il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara sa che il suo provvedimento d’occasione (e la sua cultura da centro sociale) destinato, tramite i Presidi che non sono altro che Dirigenti per la buona scuola, alla scuola superiore di secondo grado è del tutto inutile in contesti come quello di Caivano, visto che gli autori della doppia violenza hanno 13 anni e frequentano (?)sì la scuola secondaria, ma di primo grado. Ovvero in quella età in cui le prime pulsioni sessuali sono già belle che attive.
Meloni – e chi per lei – De Luca, Valditara, il Prefetto rappr-esentano lo stato nelle regioni, nelle province, nelle città.
Eppure al Parco Verde la violenza consumata è venuta alla luce grazie al coraggio della denuncia. Quindi, nonostante l’assenza dello stato, con tutto ciò che comporta l’antistato, c’è ancora speranza, c’è ancora coraggio e c’è ancora chi si ribella. Così come non è tutta merda ciò che sta a Scampia.
Dopo oggi, oggi stesso tutti andranno via, i riflettori pian piano si spegneranno, i ragazzi – soli – diventeranno adulti e i bambini adolescenti. Nessuno, però, parlerà di loro, dei restanti, dei restii perché la vittima è stata allontanata (pure? E i carnefici?). Lontano come lo stato, che è già andato e che torna ad andare via. Di nuovo. Ancora. Per ciò che è stato. E quello stato che non è più. Né più, speriamo di no, sarà.

https://www.camposud.it/oggi-sono-stato-anchio-al-parco-verde-di-caivano/tony-fabrizio/

“INUTIL(IZZABIL)E” ANCHE L’OSPEDALE DI MERCATO SAN SEVERINO: GRAZIE DI CUORE, DE LUCA!!

Dovrà impegnare un bel po’ la scrittura della legge ad personam che dovrebbe permettere a De Luca di candidarsi per la terza volta consecutiva, trasformando così un suo capriccio in realtà e tragedia per tanti campani, se ormai è così preso da non riuscire più nemmeno a guardare ad un palmo dal naso.
Più volte dalle colonne di questo giornale abbiamo dato notizia dei numerosi esposti presentati nelle sedi opportune per denunciare le malefatte dello Sceriffo, fino a fare di questo giornale il polso della (di)gestione sanitaria (nel senso di “servizio igienico”) De Luca.
L’ultimo caso riguardava le condizioni in cui versa il più grande ospedale dell’intero meridione, il Cardarelli (https://www.camposud.it/lospedale-cardarelli-e-nel-caos-ma-per-il-governatore-de-luca-va-tutto-bene/marcello-taglialatela/) che avrebbe dovuto essere il fiore all’occhiello del “sistema De Luca”. Almeno a suo dire.
E, invece, le ultime deluchiate si consumano proprio nella “sua” amata Salerno, sempre più ombelico del mondo. Se finora la mannaia dello Sceriffo si era abbattuta sul Cilento, dove era possibile trovare le ambulanze senza personale medico a bordo – una sorta di noleggio di furgone con conducente che saremmo lieti Vicienzo spiegasse quale funzione emergenziale, sociale, utile possa avere – o anche il divieto di ricoveri presso l’ospedale di Eboli (SA), probabilmente il capolavoro non era compiuto. Serviva qualcosa in più, la ciliegina sulla torta. Non c’è due senza tre. Ed ecco servito quello che dovrebbe essere un nuovo scandalo, ma che in Campania e per chi conosce De Luca e il suo modus (non) operandi non meraviglia affatto: dal primo settembre di quest’anno, infatti, il nosocomio di Mercato San Severino non eseguirà più interventi chirurgici. Il motivo? La penuria di medici rianimatori. E non è tutto! Già, perché come se non bastasse già tutto questo, l’ospedale Gaetano Fucito non eseguirà nemmeno gli interventi chirurgici già prenotati. Magari da mesi, forse anche dall’anno, viste le liste di attesa della Sanità campana. Ma non potrebbe essere diversamente, altrimenti che razza di pazienti sarebbero!
È vergognoso che la distruzione del sistema sanitario pubblico – quasi pubico – si consumi in un territorio di vastissime dimensioni, di distanze spesso chilometriche che dividono due ospedali e in una dei posti più belli d’Italia, dove proprio questo (naturale) valore aggiunto fa sì che si riversi una grandissima percentuale di turisti e visitatori, aumentando esponenzialmente, in piena estate, la necessità di ricorrere alle cure mediche. Necessità non assolta e non assolvibile. Ma non si conosce il motivo.
Così oltre alle ambulanze senza medici, agli ospedali “a numero chiuso”, abbiamo pure gli ospedali che, potremmo definire, “politici”, ovvero che promettono e non mantengono gli impegni presi. E pensare che l’attuale Presidente della Regione Campania non ha mai voluto mollare ad altri la delega alla Sanità, alla stessa maniera in cui non vuol mollare lo scranno più alto di Palazzo Santa Lucia (guardaci Tu! Anche se da lui dovremmo guardarci noi).
Dove l’ha riportato una sciagura pandemica come quella appena vissuta e che, nonostante un’emergenza di tre anni che lui stesso avrebbe voluto prolungare in aeternum, non basta a giustificare, anche solo demagogicamente, lo stato dei luoghi che dovrebbero essere il fiore all’occhiello in una pandemia e la relativa e correlata penuria di medici e personale paramedico, nonostante il mega concorso, alle soglie delle elezioni, non fu congelato quando l’intero territorio campano veniva dichiarato zona rossa.
Ma un decennio è un tempo largamente sufficiente per fare ricredere anche il più sanfedista degli ingordi beneficiati dal “sistema Salerno”, il più bel manifesto dell’amministrazione dello Sceriffo da sciorinare in campagna elettorale: la verità sta nei fatti!

https://www.camposud.it/inutile-anche-lospedale-di-mercato-san-severino-grazie-di-cuore-de-luca/tony-fabrizio/