Re Giorgio non si è mai pentito

Roma, 30 sett –  Proclamazione del lutto nazionale, bandiere a mezz’asta, red carpet sciorinato e onorevole frenesia per comparire sul grande libro dei nomi. Per le esequie di Giorgio Napolitano è stato approntato tutto, come da protocollo, anche se l’immagine che il Paese dà è tutt’altra di quella propagandata da tivvù e giornali: basta fare un giro negli stadi, nelle sedi delle associazioni, sulle panchine dove i coetanei del defunto commentano dalla loro finestra sul mondo. Eppure, tra chi si spertica in ogni dove per imporre lodi e panegirici del Presidente migliorista, manca un elemento, un must di quella congrega cui egli era consociato e divenuto un passe-partout anche per quella parte “adversa”, sempre più pronta e prona a scappellarsi per assomigliare a chi distribuisce patenti mai sufficienti per essere come loro.

Giorgio, il Re che non si è mai pentito

Nessuno, tra i mille dibattiti e speciali lunghi e monopolizzanti da fare invidia alle trenta ore per la vita – solo che qua siamo a settantadue ore per una morte – da sinistra a destra, dai moderati agli amici, dai ravveduti ai no ha osato chiedere: “Napolitano si è mai pentito?”. Pentito di aver orgogliosamente fatto parte di un partito dalla chiara ispirazione dittatoriale (a dir loro una brutta parola). Omicida. Che ha prodotto crimini e ingiustizie quasi senza eguali. Che ha al proprio attivo il record per maggior numero di morti causate e le più aberranti sevizie imposte. Che si schierò, senza se e senza ma, a favore dei carrarmati dell’allora Unione Sovietica contro i ribelli in Ungheria, approvando de facto il brutale atto di aggressione internazionale. Così come lui, tutti i dirigenti del Pci, tutti fieramente filosovietici. Continuando a percepire, come se nulla fosse, le valanghe di rubli che i compagni dell’Est inviavano nel Belpaese.

Se è costume sinistro chiedere l’abiura con la falsa promessa di entrare a far parte del limbo dei “giusti”, dove nessuno che non è come loro entrerà mai, può la rinuncia alla richiesta dell’abiura essere ascritta come un punto a favore di quella parte che siede sulle cadreghe opposte nell’emiciclo, bersagliata quotidianamente affinché disconosca, rinunci, si ravveda, prenda le distanze dalle proprie idee e dai propri ideali? Sarà un retaggio, uno dei pochi “resistenti”, di quel “le radici profonde non gelano mai”?

La (sola) pezza rossa, altrettanto un must, che si tenta spesso di mettere è quella secondo cui il Pci si è mosso nel perimetro del dettato costituzionale – di cui vantano la scrittura, ma anche su questo ci sarebbe da disquisire – che non è mica poi tanto vero essere la “Carta più bella del mondo”: Specie nella misura in cui la credono antifascista!” Democrazia oggi e sempre il cui figlio diretto è la tirannia e non la dittatura che è una forma di governo che persegue il bene della Nazione e del suo popolo. Ma ci vorrebbe troppa onestà intellettuale per dirlo, anche solo nozionisticamente.

Le differenze con le matrici “rosse” che hanno governato ad Est

Ci si potrebbe allora chiedere, al netto del “green pass” democratico, se personaggi come Giorgio Napolitano nel caso di specie – ma il discorso potrebbe tranquillamente estendersi anche a Togliatti, Pertini, Berlinguer, Longo – siano personaggi geneticamente diversi dai loro padri Stalin, Lenin, Krusciov, Ceausescu o non hanno potuto emulare i loro idoli falce & martello semplicemente perché al desco di Yalta l’Italia capitò nel piattino a stelle e strisce. O, anche, perché in Italia, che ha ideato e vissuto il Fascismo, i retaggi sono (stati) così forti tanto da non permettere che si consegnasse lo Stivale a Mosca, né a loro di salire mai al potere. Effettivamente l’Italia ha vissuto il Fascismo e non il Comunismo, ma se così non fosse stato oggi Napolitano & compagni avrebbero potuto fregiarsi dell’“onorevole” titolo di democratico, come se fosse una cravatta nuova da sfoggiare? O le foibe non sono state sufficienti? Nello stesso l lembo di terra dove Togliatti chiedeva passassero i carrarmati sovietici e Stalin rifiutò perché troppo vicini ad un territorio di influenza americana. Entrambi commensali a Yalta. E Re Giorgio, nel dubbio, riuscì a servire entrambi. Tutti, tranne che il proprio “Paese” che pure lo aveva letto quando, pienamente inquadrato, scriveva sulle colonne “IX Maggio, quindicinale del G.U.F. e dell’Ateneo di Napoli.

A nessuno è mai importato cosa facessero il giorno prima venticinqueluglisti, badogliani e ottosettembrini, alla stessa maniera a nessuno interessa avere il loro imprimatur in punto di morte o la riabilitazione postuma, ma è indicativo osservare come l’abiura, che chiedono per gli altri da loro, non valga per loro stessi, avendo percorso, in parte, la stessa – allora comoda – strada. E come non abbiano ancora capito che pretendono l’abiura pure da quelli che non hanno tradito fino ai loro diretti eredi che ancora oggi corrono il rischio per un’idea.

https://www.ilprimatonazionale.it/approfondimenti/re-giorgio-non-si-e-mai-pentito-269389/

Re Giorgio non si è mai pentitoultima modifica: 2023-09-30T16:39:24+02:00da tony.fabrizio

Lascia un commento

Se possiedi già una registrazione clicca su entra, oppure lascia un commento come anonimo (Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato ma sarà visibile all'autore del blog).
I campi obbligatori sono contrassegnati *.