Se il governatore è uno “sceriffo”, la “sua” terra non può che essere un far-west !

Sono scene da far-west quelle che consegna Napoli del primo fine settimana agostano alle cronache locali e nazionali. Dal centro alla periferia ovunque è degrado. Disinteresse. Pericolo. Vergogna.
Nella stupenda Castellammare di Stabia un Carabiniere, libero dal servizio e con pieno senso del dovere, viene massacrato, dopo essere stato ripetutamente investito da un ciclomotore con tre energumeni a passeggio e poi finito a colpi di caschi e sgabelli di un vicino bar, solo perché aveva osato sedare una lite per una comunissima questione di viabilità. Evidentemente i “bravi” non sono solo nella datata Lombardia del Manzoni.
Nella centralissima Piazza Bellini, zona della movida partenopea, invece, ad essere aggrediti e malmenati sono stati gli operatori del 118, allertati a loro volta da una pattuglia di militari dell’Esercito Italiano impegnati nell’operazione “Strade Sicure”, perché un ghanese era in preda a delle convulsioni che, solo quando sarà concesso al personale sanitario di svolgere il proprio lavoro, si scoprirà essere sotto gli effetti di un mix di alcol e sostanze psicotrope ingerite in quantità esorbitanti.
Personale medico dei mezzi di soccorso del 118 che, inspiegabilmente, o forse no, veniva aggredito da africani che impedivano alla autoambulanza di recarsi sul punto di chiamata. Di fatto sequestrandola. E conseguentemente ritardando anche altri futuri interventi.
Solo l’ausilio delle Forze dell’Ordine ha fatto sì che l’intervento di soccorso potesse essere portato a compimento.
Malavita locale e delinquenza importata, nella città come nella provincia. Insediatasi ovunque. Ovunque dove le Istituzioni sono assenti con consequenziale sostituzione dell’antistato al posto dello Stato.
Perché, se la propaganda politica che si mette in campo in campagna elettorale, quella di cui proprio la Giunta uscente non dovrebbe avere bisogno, (millantando – una situazione idilliaca, un impegno a 360°, successi su trionfi) , l’abbandono del territorio, dal centro alla periferia, è, invece la politica dei fatti. Di ciò che questa politica ha fatto. O forse anche il non aver fatto può essere (da loro) propagandato come l’aver fatto qualcosa.
Di qui l’esigenza della (loro) politica della paura quando, invece, è giusto avere paura di questa politica.
Un’amministrazione del governo regionale e cittadino fatta di minacce, di prevaricazioni, di imbrogli e truffe che porta a far credere che un Presidente della Giunta regionale possa legiferare con valenza superiore a quella del Governo centrale. Che porta a essere identificati anche se si vuol andare a mangiare una ”fetente” di pizza – di cui al momento ne hanno più bisogno i ristoratori che i clienti – da un cameriere che ha sostituito la comanda con il modulo dove riportare gli estremi di identificazione, con termometro e metro al posto di penna e taccuino e con ogni altra idiozia non afferente al proprio lavoro. Inducendolo a mettersi persino dalla parte del torto perché anche in Campania – come in Italia tutta – l’identificazione è compito riservato solo ed esclusivamente alle FF.OO.
Ed evitiamo di menzionare il trattamento di dati sensibili.
Nella stessa Campania – come nell’Italia tutta – blindata in casa e messa illegalmente ai domiciliari previa imposizione del bavaglio mascher(in)ato, in una sorta di eutanasia nazionale, il centro storico della Napoli di De Magistris e della Campania a guida De Luca, dal Vasto a Porta Nolana, dal litorale Domizio al Vallo di Diano, le risorse INPS – come i ghanesi dello “spettacolo” di piazza Bellini – si trastullavano indisturbati, persino incontrollati, privi, e forse persino autorizzati, a non indossare alcun dispositivo di protezione individuale, mettendo a ferro a fuoco la città, piegandola alle proprie esigenze – anche fisiologiche – facendola di fatto propria. Tra l’assenza generale delle Istituzioni e dei locali amministratori, sempre più attori, impegnati a fare dirette social, a crearsi il personaggio in assenza di personalità, a rispolverare l’antico mestiere in paparazzate televisive, ad annunciare imminenti disponibilità ed immediate e future candidature. Non disdegnando quella campagna elettorale che non servirebbe a chi ha appena amministrato.
Rendendosi persino complici del passaggio, azzarderei persino “consegna”, di interi pezzi di territorio locale a queste bande organizzate che, sentendosi padroni, danno luogo a scene come quelle appena descritte e, purtroppo, vissute.
Luoghi che chi amministra dovrebbe conoscere e curare, in loco, con la presenza e l’interesse e non da dietro una tastiera o da davanti la telecamera, chiusi nei palazzi e dietro la scrivania a produrre ordinanze fittizie e divieti comici al punto da essere ridicoli.
La politica-quale-amministrazione-della-polis è una cosa seria e va fatta dalle persone serie. Gli altri possono solo farsi questa campagna elettorale che, almeno ufficialmente, tra poco sarà finita.

https://www.camposud.it/2020/08/se-il-governatore-e-uno-sceriffo-la-sua-terra-non-puo-che-essere-un-far-west/

L’incomprensibile e bonario riconoscimento di un accordo europeo fallimentare!

La Meloni, non Fratelli d’Italia, dopo le dichiarazioni sul vertice di Bruxelles è destinata a superare di poco il 10% perché non ha un Borghi o un Bagnai (che non sono leghisti) all’interno del suo partito.
Sarà un mio limite, ma sui temi economici non ho mai stimato la Meloni e già quando la sentivo difendere il pareggio di bilancio in costituzione mi faceva venire l’orticaria.

Non è bastata la copertina del Times e la benedizione a stelle e strisce per incoronarla leader: purtroppo è ancora legata a papà-Silvio che le ha messo in piedi il partito e che ieri l’ha richiamata a sé.

Avevo già espresso i miei dubbi sulla battaglia della pulzella, solo l’ultima quella sulle barricate da lei annunciate se fosse passata la sanatoria sui migranti: la sanatoria è passata, è legge, ma non si è visto nemmeno un (suo) ponteggio.

Non voglio entrare in tecnicismi che non mi competono (anche se già i soldi che arriveranno a rate dalla seconda metà di giugno 2021 dietro richiesta di riforme – austerity – e che ormai si chiamano risorse, non fanno presagire nulla di buono). Ma perché, esprimere un giudizio proprio su Conte, o meglio legittimare il suo appoggio simil-Berlusconi, chiedersi se Conte ne è uscito in piedi e non pensare agli Italiani che, se non sono stesi, sono piegati a 90°, o pronti a quattro zampe?

Me ne frego di come ne esce Conte e da una che è leader di un partito che dovrebbe fare opposizione (non oppio-sizione né oppo-finzione) mi sarei aspettato avesse pensato di più ai “suoi” fratelli d’Italia.

E la coerenza, altro punto di forza della Vispa Teresa? Ezra Pound diceva che “chi non s’intende di economia non capisce la storia” quindi come può voler fare la storia?

Tutto questo, però, le darà il merito (non a Fratelli d’Italia) di aver ingrossato le fila dei voti alla Lega di Salvini che ha tenuto fede almeno alla parola. Meno di Berlusconi che va a fare il Calenda a Calenda.

Conviene ancora far parte del berlusconismo e non mettersi in proprio? Perché questa perdita di carisma da un annetto a questa parte? Cosa lega ancora Giorgina a Silvio? O semplicemente conviene più stare all’opposizione? Si può chiamare opposizione se poi si finisce con il concordare la svendita della propria Patria al miglior offerente con la scusa che poteva andare peggio?

Li commissioni pure, oggi i sondaggi e ci faccia sapere quale percentuale ha raggiunto. O forse lo ha fatto stando alle dichiarazioni riparatorie delle ultime ore? O alle critiche che le sono piovute sui social più dei miliardi di Bruxelles a Conte? O si è ravveduta ed allineata a qualche dichiarazione a caldo di esponenti del suo stesso partito in netta antitesi con quanto da lei affermato?
Intanto al popolo che ha fame lei dice che è contenta perché gli sono state date le posate e magari loda chi gliele ha fornite d’argento.https://www.camposud.it/2020/07(l-incomprensibile-e-bonario-riconoscimento-di-un-accordo-europeo.fallimentare/

VAI VICIENZO……… esilarante macchietta dell’impalbabile governo regionale!

http://https://www.camposud.it/2020/06/vai-vicienzo-esilarante-macchietta-dellimpalbabile-governo-regionale/

L’ora delle decisioni irrevocabili è giunta. L’ora di metterci davvero la faccia e sfuggire alle millanterie, è questa. In piena campagna elettorale balneare. Per Vincenzo De Luca dovrebbe essere una passeggiata, un tuffo a mare. Lui, il legislat(t)ore propagandistico che supera in squilibrio persino Conte ed i suoi Dpcm; lui che supera pure il Trump del “law and order” (legge e ordine) nella battaglia ai cinghialoni gaudenti per una laurea; lui che è fortunato persino nella sfortuna, adesso dimostrerà la sua vera faccia. E con un tempismo (elettorale e propagandistico) che è come una manna(ia) dal cielo.
Mentre l’Italia e gran parte del mondo sta per tirare un sospiro di sollievo dal punto di vista epidemiologico e pensa alle vacanze; la gente scende in strada per protestare per la nuova emergenza di Mondragone che piomba nel terrore per un altro focolaio accesosi (o meglio importato) in palazzoni occupati in prevalenza da immigrati bulgari e un numero imprecisato di Rom. Nel frattempo, all’ospedale di Sessa Aurunca, una donna di origine bulgara risultata positiva al Covid, ha dato alla luce un bambino – per fortuna non positivo ai test – facendo registrare 9 casi di nuovo contagio. Divenuti in poche ore una sessantina.
Immediata la dichiarazione della zona rossa della cittadina del litorale Domizio. Con obbligo di quarantena, che, stando ai proclami del Governatore campano, durerà fino al 30 giugno. Dunque solo una settimana, per tutti gli occupanti del comprensorio abitativo occupato. Poco più di una barzelletta!
Immediate le proteste dei residenti, pardon occupanti, per lo più braccianti e manovali che, vivendo alla giornata, non ci stanno ad essere chiusi dentro le abitazioni come un italiano qualsiasi. Case per giunta occupate abusivamente e, pertanto, chi vuoi che si preoccupi di essere veicolo di contagio per la restante parte della popolazione e per tutti coloro che orbitano nel bacino d’utenza della cittadina casertana?
“Screening di massa su modello Ariano Irpino”, annuncia gridando “lo sceriffo”, per un pugno di voti in più. Ma all’appuntamento non tutti si sono presentati. La gran parte degli immigrati è già fuggita. (sotto gli occhi di tutti!!) . Per non essere trasportata nel centro Covid di Maddaloni e non incorrere in lungaggini medico-burocratiche, dimostrando sul campo abbandonato, ferrea ed orgogliosa difesa dello loro status di invisibili, finora gelosamente mai palesata.
Ma De Luca è anche esponente del Pd, il partito difensore e amico di tutti. Tranne che degli Italiani. E prima di tutti coloro che Italiani non sono. Già, proprio il suo PD, che solo cinque mesi orsono non aveva la minima intenzione di ricandidalo per la corsa a Palazzo Santa Lucia. Ma tutto cambia e ora, grazie alla pandemia e alle sue sparate comiche da sceriffo, basta attenersi alle “linee guida” democratiche e la candidatura non gli viene più negata. Per cui, si abbassino i toni, niente vocazione ai lanciafiamme, nessuna invocazione al Napalm (che non è il loro trisavolo ulivo), niente Carabinieri sui pianerottoli (eppure lì servirebbero per davvero), niente divieti di festeggiamenti di lauree e diplomi nonostante questo sia proprio periodo di sessioni di esami scolastici e universitari , niente epiteti metaforici: si dovesse mai minimamente ledere la dignità di qualcuno!
Il calderone è già pronto, tante pance sono vuote e il carrozzone si è avviato per la discesa: poteva capitare occasione più ghiotta di questa a De Luca? Lui che è stato l‘uomo che a mani nude ha combattuto il Coronavirus. Potrà coronarsi di un altro successo il novello Napoleone?
Ma non è sempre Natale e ad incoronarlo, stavolta, dovranno essere i cittadini campani. Quelli che hanno capito che il lockdown, cioè a dire la chiusura selvaggia e totale, è servita esclusivamente ad affamare; a creare nuova povertà e ad aumentare la disoccupazione. Quei campani ormai consapevoli che la chiusura indiscriminata voluta da Vicienzo non è stata altro che il tappeto sotto cui nascondere la gestione dissennata della Sanità, con gli spostamenti di medici e paramedici per favorire l’amico o il compare. L’insufficienza o meglio l’inesistenza di apparecchiature mediche, diretta conseguenza dei tagli farneticanti alla Sanità di cui egli, sempre lui, è stato Commissario Straordinario per lungo tempo. E se il virus qui non ha attecchito, non è stato grazie alla mascherina monouso fornita in doppia razione qualunque sia stato il numero del nucleo familiare e con tanto di foglietto illustrativo ben marchiato dalla Regione che spiegava che quel presidio sanitario non era uno strumento di protezione individuale. Ma piuttosto per ragioni climatiche e ambientali che hanno reso, da subito, meno pernicioso e violento il virus maledetto. O forse sarà stato per l’intercessione dei Santi e Patroni Campani, da S. Gennaro, a San Giuseppe Moscati, passando Per S. Pio da Pietrelcina, San Procolo, San Ciro e chi più ne ha , più ne metta!! E stendiamo un velo pietoso sulle condizioni di disarmo generale dei nostri Ospedali alla vigilia dell’epidemia di Coronavirus. O a quelli dimenticati come il Frangipane dello scandalo criminale di Ariano Irpino, dove lo screening alla popolazione è stato fatto dopo 57 giorni di isolamento dal mondo. Con il rischio di mettere in ginocchio la già debole economia della cittadina irpina.
Ma vai Vicienzo, prestati a quest’altro “cabaret” che è l’unica cosa seria che (ti) è rimasta” (parole tue!): dopo essersi stancati di ridere i Campani ricorderanno che il tuo ruolo era quello di governare e non quello di fare la “macchietta” del tuo stesso e impalpabile governo regionale.

Ariano Irpino: area pilota della gestione De Luca

La seconda fase della fase due che è stata tale per l’Italia tutta eccetto per la Campania, quella che avrebbe restituito alle persone una sorta di normalità, almeno apparente, dovrebbe sancire anche il tempo del ritorno a poter fare confronti, incontri e dibattiti. Dovrebbe essere quindi il tempo del tramonto dei soliloqui, dei comizi senza contraddittorio cui ultimamente sono avvezzi governanti illuminati e mancati statisti improvvisatisi.
Di contro nelle piazze e fra la gente si potrà finalmente iniziare a far circolare le idee, ci si potrà incontrare e scontrare sul piano dialettico, si potrà ritornare finalmente a far politica sul territorio che non è quella di proclami live, delle dirette Facebook e degli annunci dalle tivvù private e logo istituzionale.. Dovrebbe tramontare, quindi, anche il De Luca reinventato, quello emerso dall’emergenza che adesso si avvia a finire e che dovrà restituirci il De Luca vero, quello che il suo stesso partito di appartenenza, solo qualche mese fa, prima dell’epidemia, non pensava minimamente di ricandidare per la corsa a palazzo Santa Lucia. Quel De Luca uscito vittorioso cinque anni fa solo grazie al tristemente noto “patto di Marano”, oggi impudentemente in gran rispolvero, con cui i demitiani convogliarono le loro preferenze verso l’attuale Governatore, dando vita all’iniquo, se non scellerato, accordo che di fatto sanciva la morte delle aree interne, non solo del singolo centro, ma addirittura intere province come Avellino e Benevento, anteponendo, chissà perché, Salerno a Caserta e addirittura a Napoli capoluogo.
Adesso “Vicienzo”, chissà perché, riparte proprio da un piccolo centro di un’area interna di una provincia dell’entroterra dimenticata: Ariano Irpino, piccolo centro della verde Irpinia, distante meno di un’ora di macchina dalla Nusco baluardo demitiano, eletta addirittura area pilota per lo screening di massa.
Nella città del Tricolle ha sede l’unico ospedale che ha resistito ai famigerati tagli alla sanità dello “sceriffo”, accentrando in sé tutti i comuni del circondario, tuttavia non immune da decurtazioni e privazioni di risorse, uomini e mezzi.
La direttiva deluchiana farcita – come è risaputo – di riduzione del personale, tanto che medici ed infermieri sono stati spostati da altri reparti per consentire la riapertura dell’unità di pronto soccorso, male equipaggiati al punto che, come si è appreso dalle interviste circolate nei giorni di punta del contagio, i Direttori Sanitari invitavano il personale in prima linea ad indossare una doppia mascherina, qualora ne possedessero, ha fatto sì che il nosocomio ufitano si piegasse contagiando gran parte del personale sanitario fino a dover chiudere l’intera struttura ospedaliera per un’opera di sanificazione completa.
Una bomba sanitaria che non ha risparmiato nemmeno le RSA ubicate ai piedi dello stesso comune irpino e l’intera cittadina, compreso il personale civile. Una situazione ingovernabile che nello stesso giorno ha visto sia le dimissioni del direttore generale dr. Gennaro Bellizzi, sia l’emanazione dell’ordinanza regionale per mezzo della quale De Luca ha blindato Ariano Irpino rendendola zona rossa, seguita da altri sette comuni, uno nella Valle caudina, uno del beneventano e ben cinque del Vallo di Diano.
Lucchetti ai comuni, blocco della circolazione, confini invalicabili, divieti su divieti per i cittadini, chiusure di tutto, sospensione di ogni funzione vitale orgogliosamente sciorinati urbi et orbi, pubblicizzati su ogni piattaforma pubblica e privata, investimenti a destra e a manca per dire che intendeva fare ciò che si sarebbe dovuto vedere nell’evidenza dei fatti.
Una prima ordinanza cui è seguita una proroga per un totale di cinquantasette giorni cui segue un minuzioso centellinare degno del miglior stato di polizia in cui nulla è stato fatto per capire qualcosa sull’origine del contagio, sulla sua diffusione, sul modo per combatterlo e soprattutto per evitarlo. Due mascherine a famiglia indipendentemente dalla composizione del nucleo familiare, come per gli altri comuni, uno qualsiasi, monouso, ma per l’intera quarantena, non a norma e di un materiale non meglio identificato. Che se vendute da qualsiasi esercizio commerciale lo si sarebbe potuto denunciare per truffa. Ma De Luca parla il politichese che fa esultare le anime semplici dalla bandiera facile e dalla difesa a priori che è tifo, assurgendo a statista di quella popolazione copiosa che è la Campania troppo copiosa da essere rinchiusa in casa. Ignorando un problema che, non dicendoci se ancora esiste, se è risolto e se persiste, si è preferito nasconderlo sotto al tappeto.
Misure che hanno certificato l’inefficienza dei provvedimenti adottati visti i nuovi contagi registrati nel territorio arianese, diretti figli del lockdown da parte dal governatore vocato al lanciafiamme tra gag, macchiette e gigionerie mediatiche che hanno creato un personaggio per compensare – leggasi divertire pur di distrarre – alle mancanze di amministratore.
Chissà se la stessa fermezza, gli stessi modi risoluti e qualche comica minaccia in stile sceriffo di cui ormai è pieno l’etere avrebbero fatto sì che la domanda, presentata nei tempi e nei modi giusti dal commissario prefettizio Silvana D’Agostino, includesse nella lista dei comuni ex zona rossa per l’istituzione di 200 milioni di euro a sostegno dell’economia ormai in ginocchio anche Ariano Irpino, sempre più dimenticata da tutti e ad ogni livello.

https://www.camposud.it/2020/06/ariano-irpino-area-pilota-della-gestione-de-luca/

LA NUOVA VECCHIA EMERGENZA: LA DESTRA

Se il 2 Giugno è la festa degli Italiani, il 2 Giugno 2020 sancirà il ritorno alla normalità. È vero, i confini tra le regioni della Nazione -qualunque siano le ragioni – apriranno il giorno dopo, ma il pericolo c’è ed è pure doppio, se non triplo. Persino trino. Salvini e Meloni. E forse Taiani. Il Centro-Destra unito. Che ha chiesto, con regolare iter, di poter deporre una corona d’alloro all’altare della Patria di una Nazione divenuta ormai Paese, sempre più mera espressione geografica e portafoglio elemosiniere di un asse a due fatto passare per unione dei più.
Nell’ottica della sua coerenza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha concesso loro solo il diniego (ma sul Vittoriano non ha competenze il Ministero dei beni culturali?) e, come suo costume, o forse mascherina, ha fatto sapere alla stampa che poi ha fatto sapere ai diretti interessati richiedenti (Salvini-Meloni-Taiani) che l’accesso all’altare della Patria era negato in un giorno in cui ogni celebrazione è sospesa al fine di non oltraggiare il Presidente della Repubblica, divenuto esclusivista depositario, che, però, sarà a Codogno. In trincea. A guerra finita. Un po’ come pretendere di conoscere i personaggi protagonisti di corsi e ricorsi storici al museo delle cere.
Nessun DPCM, nessun Deprecabile Porco CoModo, ma solo un comunicato emesso dallo staff di Palazzo Chigi asserragliato da manifestanti in vibrante protesta contro le politiche del governo in un sabato sera, all’ora di cena e di tiggì, sempre più l’ora di Conte, distratti da ciò che accade da Trump in attesa di montare il servizio per (non) raccontare ciò che accade a casa nostra.
In realtà, le stesse ragioni per cui proprio nel giorno della Festa della Repubblica il Centro-Destra si ritrova nelle piazze di tutta Italia, in attesa del 4 Luglio, quando – via libera governativo permettendo – la piazza potrà ritornare ad essere unica e condivisa.
Giustizia, quella come la intendono loro, è fatta: d’altronde non dovrebbero esserci minacce di assembramento visto che per il 25 aprile le autorizzazioni sono state regolarmente concesse, le manifestazioni si sono regolarmente svolte e nessuno aveva ancora sguinzagliato l’ipotesi degli assistenti “cimici”.
Tramonta la paura del Coronoavirus addirittura per bocca degli addetti ai lavori, quello veri, quelli del mestiere, i medici che si contornano di ricercatori che non si conformano e che fanno capo ad equipe di scienziati, la curva dei contagi, divenuta plateau in coincidenza della vigilia degli incontri europei, flette con gravità sempre maggiore (che è una cosa buona nonostante il linguaggio da referendum) anche se la minaccia di un nuovo lock-down è sempre presente benché scongiurato dal calendario di elargizione del recovery fond (i soldi -nostri- arriveranno solo nel 2021 e dilazionati in 7 lunghi anni) ma il pericolo per l’Italia torna ad essere Salvini e Meloni. Forse perché sempre più seguiti e implorati dal popolo. Forse perché ogni sondaggio li dà in crescita. Sicuramente perché in due sfiorano il 50% dei consensi ed estendendo la percentuale anche a Forza Italia si supera di gran lunga la metà della preferenza degli Italiani. Cui vanno anche aggiunti i cosiddetti “altri” che contribuiscono a fare un quadro che ha le sembianze, e i numeri, di un plebiscito. O, se vogliamo, disprezzo totale per questo governo delle 4 sinistre. Che pretende di controllare la Repubblica, la res pubblica, la cosa di tutti fino a farme sempre più affar di pochi, sempre più oligarchia per pochi eletti ed illuminati. Un’altra giornata ingannevole come la scheda elettorale che ha consentito la nascita di questa Repubblica: nata, o fatta nascere, col consenso di coloro che, anche analfabeti, votavano tracciando il segno sulla raffigurazione di una donna incoronata credendo di scegliere la Monarchia, ma che in realtà rappresentava la Repubblica.
Una storia partita male e che mai ha conosciuto picchi così bassi e sinistri, come da parte di chi chi si preoccupa di fare la storia, di una repubblica degradata sempre più a cosa pubica.

SILVIA ROMANO È LIBERA. MA DA COSA?

Silvia Romano, liberata nel giorno in cui le Sardine rianimate ci dicono che Aldo Moro è stato ucciso dalla mafia, oggi torna a casa e i suoi compagni per l’okkasione abbandonano presidî, avamposti e barconi per salutarla dai balconi. Ancora una volta i balconi, come il 25 aprile.

Festeggiano la bella notizia che pare varebbe 4 milioni di euro dei contribuenti che a loro volta non hanno ricevuto 600 miseri euro di cassa integrazione e di chi ha ugualmente ricevuto la richiesta di balzello che dovrà versare all’erario in quanto titolare di un negozio chiuso pure nei giorni di feste commerciali. Come la Festa della Mamma, in un tempo che ha sospeso, in attesa di cancellare, ogni significato di famiglia a favore di un non meglio identificato genitore 1 e genitore 2 (che sempre genere maschile è, almeno grammaticalmente), A e B, senza capo né coda.

In un tempo di annullamento di ogni identità, in cui il governo centrale è abile solo a smarcarsi da ogni responsabilità e nel delegare ogni attività, dal lockdown alla lotta al virus, che trova la sua forza nella capacità di non decidere, che si impone riassumendo e non riunendo, che dichiara guerra ad una sua Regione – la Calabria – che ancora una volta è costretta a fare da sè ma non proferisce parola su un altro suo pezzo – Bolzano – che si comporta come la Calabria, restando così coerente alla propria contraddittorietà;

Che preferisce parlare di morte e minacciare chiusure nel Paese dei porti aperti, nonostante i contagi e le morti (non tutte di Covid) scendono anziché dire che il Cotugno di Napoli chiude i reparti Covid e l’ospedale nuovo alla fiera vecchia di Milano non è servito, che sempre più Regioni si avvicinano alla soglia 0 che ha lo stesso valore dei 5 stelle, ma non di quello da loro attribuito;

Che le Chiese che apriranno la domenica dopo la Festa della mamma e dopo i bar, ma prima delle scuole sembrano essere la risposta postuma del DAP sulle eccellenti scarcerazioni e dove anziché segnarsi per proteggersi con l’acqua santa lo si farà con il flacone dell’igienizzante, emblema di questa Chiesa che piega la Fede ai DPCM e che non è diversa dalla lavata di mani di Ponzio Pilato.

Buona Festa della mamma che ha lo stesso valore di un 2 Giugno festeggiato in questa repubblica sempre più despota oligarchia a comando.

Bandiera rossa vs virus invasor


Questa mattina mi son svegliato e ho trovato gli invasati. In verità poche unità in festa – non di tutti – per un appuntamento inventato e che resiste anche se in quest’anno infausto e bisesto cade di sabato – dagli astanti non considerato di certo giorno rosso – tutti precettati sul balcone. E non è una questione di erre moscia! Non barconi né finestre, dunque. Balconi, anonimi e adombrati rispetto a quello romano più largamente conosciuto. Insegna essenziale ed unica di riconoscimento: la bandiera rossa. Colonna sonora del sit-in l’impropria riusata e abusata Bella Ciao, “rubata” alle mondine, veste da partigiano – che cantava Fischia il vento o​ Fior di tomba​ – riciclato da nonni o perfetti sconosciuti con la variante attualizzata che anziché battere la ritirata tra le montagne stavolta, una volta conclusa la pièce, si rintaneranno in casa. Altro uso e costume tipico. Questo l’impegno manifesto della pluriforaggiata ANPI per la lotta al virus invasor.
Nell’Italia degli pseudo-imitatori degli scomparsi partigiani, che si lascia cancellare la testimonianza vera e diretta dei nostri nonni, collettiva memoria, resiste (ancora) la ricorrenza del 25 Aprile: da cosa si liberano gli aficionados, però, non è dato comprendere: ultimamente la nostra Nazione è stata teatro di uno sterminio di genti per colpa di un virus del quale, con profonda gioia di chi ci vorrebbe calpesti e derisi, persino gli esperti ci hanno capito poco, territorio in cui gli eserciti rispondenti a tre bandiere diverse si sono incontrati e non scontrati solo grazie a qualcuno che ha evitato di mettere i… “puntini” sulle “i” di Italiani abbandonati non da tutti, ma dai nostri alleati seppur continuamente e continuatamente rifocillati a suon di moneta rigorosamente unica, derubati su tutti i fronti, o meglio presso parecchie frontiere con tacito silenzio di chi siede alla Farnesina che per incarico che è lavoro dovrebbe avere rapporti con gli “esteri” e con certi “addetti ai lavori” che ci dicono chiaro e tondo e non in politichese quale sia il loro obiettivo, il loro compito da assolvere.
O forse si liberano dai DPCM illegittimi, dall’elargitore Conte, dalle sue imposizioni in stile URSS: divieto di assembramento o meno, proibizioni di circolazione o meno, i kapi ANPI se ne fregano e fanno sapere ad esecutivo e organi di governo sul territorio che loro andranno a portare un fiore sui luoghi della Resistenza: forse dove imprigionarono e stuprarono Norma Cossetto? Forse dove finirono Giuseppina Ghersi? Forse dove ammazzarono i 7 fratelli Govoni? Forse a Badovizza? Dovunque si sono sporcati le mani rosse di sangue?
Ma (ora come allora) ci hanno consigliato e obbligato ad indossare le mascherine – solo quando, però, l’ingegno italico si è messo all’opera producendone per la Nazione tutta con buona pace all’autarchia – ma che in realtà sono dei veri e propri bavagli. Se vogliamo liberarci della mascherina, restiamo in casa tanto ad informarci, se non a formarci, sarà compito della task force di governo creata ufficialmente per combattere le bufale, ma che dovrà propinarci le balle di stato.
Ma in questo 25 Aprile saranno beati i commercianti, le partite (sperando non diventino participio passato di cattivo auspicio che non è superstizione!) IVA, quelle dal cassetto della cassa vuoto e dal conto rimpinguato al punto da pagare solo metà della locazione del locale chiuso, beati saranno i dipendenti cui è stato stornato un mese dalla RCA per il mancato utilizzo dell’auto, pagando (normalmente) solo ciò di cui si è effettivamente usufruito, ma non certo con i 600 euro spacciati per panacea: almeno loro non avranno le vetrine delle attività sfasciate, le auto incendiate e tutti si risparmieranno il crepacuore per le città messa a soqquadro. Chissà se i frequentatori dei centri (a)sociali questa volta spaccheranno i vetri delle ville di loro proprietà, mentre magari il loro paperino “paperone” dentro casa osserva la colf nera e in nero sparecchiare la tavola per il lauto pranzo appena consumato. Chissà se i novelli partigiani balconati e defenestrati consumeranno le illecite sostanze, vero motore delle loro performance, anche sotto al patio o sul terrazzo dell’attico che, però, fa ben poco comunità e per nulla popolo.
Una Festa della Liberazione vissuta e propinata senza nessuna vera libera azione, ma solo una illusione che, forse, è l’insito significato di questo giorno che è mesto e non festoso, una vittoria che ha il sapore amaro della resa incondizionata, un successo dall’ingannevole gusto di un passaggio di consegne che è, in realtà, vera sottomissione, vera prigionia, che è bavaglio. Pardon, mascherina. E non dal 2020, cari figli della Filosofia e abitanti della Magna Grecia osannanti la caverna anziché Platone.
Gli arresti domiciliari, in quanto “DPCM” quindi di concerto con nessuno, andranno oltre il primo maggio e mieteranno anche vittime onorevoli: quest’anno toccherà al pdino Roberto Gualtieri che passerà alla storia solo per aver MES autografi a Bruxelles-potenza-di-fuoco e non per essere lo strimpellatore di Bella Ciao negandogli persino l’attimo di gloria futura in Piazza San Giovanni. E quest’anno non sarà l’Organizzazione a dare i numeri, a raddoppiarli, triplicarli, decuplicarli ed elevarli all’ennesima potenza: nell’epoca in cui anche il Grande Fratello è stato istituzionalizzato ci sarà la neonata Immuni, l’app del corona a dire dove, quando, per quanto e con chi siamo stati. Made in Berlusconi. Chissà se ANPI & compagni lo sanno. E la coerenza? La lotta? La bandiera? La festa? La libertà? Bella Ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao…

https://www.imolaoggi.it/2020/04/24/questa-mattina-mi-son-svegliato-e-ho-trovato-gli-invasati/

E NON CI INDURRE IN RIFLESSIONE

E NON CI INDURRE IN RIFLESSIONE

Se in piena emergenza sanitaria globale possiamo constatare che, purtroppo, la medicina non è una scienza esatta, le nostre uniche certezze sono rappresentate dalle riflessioni che, però, principiano dai dubbi, vero motore del pensiero quindi della conoscenza.
Mentre tutti siamo reclusi in casa con il pensiero fisso a come salvarci la vita e non attentare a quella altrui, magari proprio dei nostri cari più prossimi, tutto il resto non rappresenta più una priorità.
Lo stesso Coronavirus, assurto a emergenza sanitaria che ha messo in chiaro l’emergenza organizzativa e strutturale di decenni di mala gestione della nostra Sanità, altro non potrebbe essere che un’arma di distrazione di massa.
Ci è facile sentire persino dalle nostre abitazioni, divenute solitario luogo di rifugio, le sirene delle innumerevoli ambulanze a ogni ora del giorno e della notte, che a sentirle bene – se non se ne è nauseati – hanno lo stesso rumore dell’avviso antiaereo dell’imminente bombardamento e del rinchiudersi nei rigugi. Altri feriti sul campo, altri caduti. Stavolta in Patria.
Così l’assordante silenzio delle nostre case, deve per forza essere rotto da comuni “sceneggiate” dai balconi. Per un briciolo di normalità, per quel sapore di aria di libertà negata e, ora, addirittura infausta. Balconi che l’attuale governo aveva pensato di tassare se avessero proiettato ombra sul suolo pubblico. Mentre ci confinano tra quei muri che trasudano mutuo e sudore che non sappiamo se e quando riusciremo più a pagare e ci distraggono con l’arte portata in casa e la cultura a domicilio sul divano, tentano di non farci più pensare: a scuola, il cui unico compito dovrebbe essere quello del leggere e comprendere, quindi di riflettere, non ci fanno più accedere ed è stato uno di primi posti a essere chiuso. In mancata ottemperanza del mantra governativo “il vairus non colpisce i bambini”. Forse proprio per i bambini bisogna essere positivi, ma è davvero difficile farlo in un’epoca dove anche la positività è guardata come una minaccia.
Minaccia che non ignorava di certo il premier Conte che, già in Gazzetta Ufficiale del 31 gennaio scorso, dichiarava l’emergenza sanitaria della durata di sei mesi, sottovalutata visto i tempi e i modi di reazione alla mancata organizzazione. Evitata da Zingaretti e compagni che, da Segretario di una delle due forze di governo, invitava tutti a uscire e, tra gli abbracci finti come certi oggetti cinesi, degustare involtini primavera. ​ Mentre la Nazione veniva avvolta dalla sua di primavera, araba solo per chi prediligeva un inesistente razzismo ai danni del Covid-19, a sua volta, ai danni dell’Italia. Nessuna riflessione da parte del ministro degli esteri Luigi Di Maio che, in quanto esterofilo, inviava tonnellate di materiale sanitario alla Cina ad emergenza nazionale (la sua!) dichiarata. Rendendo, di fatto, i nostri camici bianchi soldati in guerra senza equipaggiamento. Un po’ come quelli sognati e realizzati dal Premier e dall’ex ministro Trenta, “impiegati nelle retrovie a parlare di pace”. ​ Forse, sono i decreti non letti, o quelli del suo stesso Governo a mandare in confusione la gente. Quelli annunciati a tarda sera senza essere promulgati e quelli già in vigore senza essere stati approvati. Chissà quale riflessione avrà fatto il ministro Speranza a vedere i medici in corsia coperti da buste della spazzatura, quei medici ammalati e positivi, quelli reclutati dalla pensione che vanno a salvare i loro coetanei, quelli chiamati dall’inoccupazione a salvare vite umane, ciò per cui hanno affrontato sacrifici, e che adesso sono ripagati con vitto, alloggio e spese di viaggio. Sapendo già che sarà una battaglia non persa, ma mai ingaggiata. Per loro, per i vecchi, non ci sarà posto in ospedale. Per loro, per i vecchi non ci saranno cure e respiratori. Un palliativo è rappresentato dai tamponi che permette di riconoscere il Covid anche nei soggetti asintomatici, ma i pluridecennali tagli al settore hanno fatto sì che mancano i reagenti ed i tecnici di laboratorio per analizzarli. Di qui l’invito obbligatorio a restare a casa, emarginando gli ammalti, ma non il virus che continua ad essere ospitato nella società. Anziché essere confinato negli ospedali con la possibilità di essere curato. E, se non sconfitto, quantomeno isolato. ​ Chissà se, riflettendo, qualcuno spiegherebbe qual è l’esatto confine per il genocidio. Chissà se, riflettendo sulla gestione dell’intera emergenza, qualcuno si renderebbe conto che questo governo ha omesso degli atti di ufficio (art. 328 C.P.) e ha favorito la diffusione dell’epidemia (art. 438 C.P.). Chissà se, riflettendo nel suo silenzio carico di assenza e di assenso, il presidente Mattarella – da costituzionalista qual è – ravviserebbe in tale operato l’attentato alla Costituzione che, all’art. 238 C.P, recita che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Chissà se, riflettendo, ci si renderebbe conto che l’emergenza si combatte a mo’ di decreti che, se non convertiti in legge entro sessanta giorni dal Parlamento, se ne perde l’efficacia, ma il Parlamento stava per non essere più del tutto convocato. In sputo ad ogni regola base della democrazia. Chissà se il numero uno della Protezione Civile Angelo Borrelli, prossimo alla verità (almeno sulla gestione dell’emergenza) in quanto contabile, riuscirà a dirci che la regione più colpita non è la Lombardia, motore dell’economia italiana, ma le Marche. In rapporto al numero di abitanti e di contagiati.
Chissà se ci si rende conto che, facendo leva sulla paura, i cittadini tutti si indociliscono e diventano obbedienti ai voleri del tiranno per propria volontà. Intanto continuano a confinarci (illegittimamente) dentro casa fino a data da destinarsi. Con la gente che, se ci arriverà, alla fine dovrà togliersi la mascherina ed indossare il passamontagna. Pure in estate. Ma gli esperti rassicurano: state a casa, godetevi la famiglia, riappropriatevi del tempo, cucinate, giocate, non sentite le notizie se non una volta al giorno. Non pensate. Non inducetevi in riflessione.
Con la preghiera di liberarci presto dal male…

THE DAY AFTER

THE DAY AFTER
Il giorno dopo è quello del silenzio, quello deputato alle riflessioni e ai bilanci.
Accade, però, che il giorno dopo sia diventato quello dell’incredulità e del diniego, del disprezzo e dello schifo.
L’11 febbraio è il giorno dopo il Giorno del Ricordo, quello negato, quello che infastidisce, quello ancora avversato.
Non è la giornata della Memoria, per cui deve passare sotto silenzio questa giornata dedicata ai morti di serie B e in cui sotto silenzio passa ogni schifezza ad esso connesso.
Proprio ieri, nella Giornata del Ricordo e proprio nella martire Trieste è stato esposto uno striscione che invitava alla resistenza (quando manco più la Whirlpool le produce!) contornata da bandiere garrite con tanto di stella rossa innegianti al maresciallo Tito.
Accade che ieri nella commemorazione nei pressi della Foiba di Basovizza (che esiste!) alcuni esponenti locali del Pd, che è la continuazione di quell’anima comunista che in una sua roccaforte non ha potuto presentarsi con la propria faccia, hanno abbandonato la commemorazione quando ha preso la parola il forzista Maurizio Gasparri che non era lì in qualità di senatore azzurro, ma come Vicepresidente del Senato. Come Istituzione. Quel Senato oggi snobbato e ieri “preso” dall’ANPI, che per ovvie ragioni anagrafiche di partigiano non ha proprio nulla, per ospitare un soliloquio monòtono è monotòno sulle Foibe. Forse nell’estremo tentativo di ostacolare ed indirizzare quel revisionismo storico che dopo 70 anni di negazione ha portato alla luce la tragedia fratricida delle Foibe.
Accade che nel Giorno del Ricordo, il politico del Partito della Rifondazione Comunista Paolo Ferrero afferma in Tv che al boia Tito spetta la massima onorificenza della Repubblica italiana (concessagli dai suoi complici) perché ha contribuito a liberare l’Italia dal nazifascismo.
Evidentemente nella falsificazione storica finora raccontata hanno dimenticato, forse per le tante loro omissioni, che le truppe slave sono arrivate in territorio italiano a guerra conclusa, ovvero dopo la vergogna della resa incondizionata del Regio Esercito, capolavoro badogliano.
La loro spietata vendetta, la carneficina della pulizia etnica, è stata mirata e indirizzata verso ogni italiano. Non verso coloro che avevano, a torto o a ragione, avuto a che fare con il Partito Nazionale Fascista, ma contro tutti coloro che avevano la sola colpa di essere italiani. Sì, se il luogo di nascita può essere considerato una culpa. Quel luogo di nascita che oggi significa cittadinanza italiana e che adesso gli stessi vogliono sfruttare per estendere ad ogni singolo individuo proveniente da ogni angolo più remoto della Terra.
A nulla sono valse le chiare parole pronunciate in maniera inequivocabile (persino) da parte del Presidente, sempre più (loro) protettore, Sergio Mattarella che, in qualche suo raro sprazzo di lucidità politica, onestà intellettuale e, speriamo, orgoglio patrio ha definito le Foibe come una “scaigura nazionale”. Registriamo che nei dizionari ancora esiste questo aggettivo, ormai desueto.
È emblematico che i diretti discendenti dei carnefici con la Stella Rossa, assassini orgogliosi della lotta fratricida, oggi non perdono occasione per richiamarsi all’odio.
“Dimenticando” però lo stupro, uno su tutti, di Norma Cossetto che aveva la sola colpa di essere figlia di un dirigente fascista, stuprata da 16 titini, picchiata, amputata di entrambi i seni e solo infine infoibata.
È significativo che coloro che non perdono occasione per inneggiare all’odio non sono quelli che nel giorno della memoria espongono svastiche o altre infamità. Svastiche che nulla hanno a che fare con l’Italia come distinti e separati sono nazismo e Fascismo. Quell’Italia che ha ospitato anche campi di concentramento come quello di Ferramonti di Tarsia, nel cosentino, che sfilava gli ebrei salvati nei Balcani. Con tanto di sinagoga, biblioteche e parco giochi per bambini.
Banale che nel giorno del ricordo a Palermo, porto di approdo, viene preso a pugni una persona di colore con tanto di giustificazione razzista prima di sferrare il colpo. Come troppo prevedibile è il richiamo alla stella di Davide con la scritta “Jude” comparsa su una porta di un’abitazione in lingua rigorosamente non italiana.
Questi non sono atti di intimidazione né di razzismo, ma solo esternazioni isolate di ignoranti abissali e tali debbono rimanere. Come dovrebbe essere confinato nello stesso isolamento il comportamento di questa sinistra allo sbando che a tutti i costi vuole e disperatamente deve far parlare di sé. Anche andando via, anche inventando, anche negando, anche a discapito di ogni valore e ideale.
Per fortuna il tempo ci sta conducendo alla verità e su tanti argomenti tabù si sta facendo luce. I tempi sono ormai maturi per infoibare certi sinistri comportamenti e condannare all’oblio questo pericoloso tempo in cui alla sinistra tutto è con-cesso.

SI SCRIVE ILVA, SI LEGGE ITALSIDER


Perché mai dovrebbe stupire che il piano di rilancio dell’area dell’ex Italsider di Bagnoli sia presentato (anche) a Milano, prima a Milano? Perché mai dovrebbe stupire che al piano di rilancio dell’area dell’ex Italsider di Bagnoli che viene presentato prima a Milano non partecipi alcun imprenditore napoletano, men che meno il commissario straordinario all’uopo designato, né alcun rappresentante del Comune di Napoli, proprietario dell’area? Perché mai dovrebbe stupire che al piano di rilancio dell’area dell’ex Italsider di Bagnoli, che viene presentato a Milano cui non partecipa alcun imprenditore napoletano men che meno il commissario straordinario all’uopo designato, né alcun rappresentante del Comune di Napoli, proprietario dell’area, passi per le mani (e per la testa) del ministro per il Sud (?) dall’allogeno nome di Giuseppe Provenzano, già destinatario di una lettera dell’Acen, degli Industriali e dell’Ordine di Architetti e Ingegneri con cui chiedono una pausa di riflessione, eufemisticamente uno stop, un altro, l’ennesimo al progetto per rilanciare quella parte d’area flegrea abbandonata e dare finalmente inizio a quel progetto di rigenerazione urbana?

Nell’attuale Italia, però, quella che prevede lo scudo fiscale per i taglieggiatori del MES, ma non per l’Ilva, quella dove si festeggia il Natale senza il Nato, quella dove rifugiati e immigrati che sono oggettivamente impossibilitati a presentare la documentazione attestante i requisiti per ottenere il reddito e la pensione di cittadinanza sono esentati del tutto dallo stesso INPS, quella in cui per il Ministro della Giustizia “un reato diventa colposo quando non si riesce a provarne il dolo”, è possibile tutto. Anche che il Ministro per il Sud sia pronto e prono a credere che il progetto di riqualificazione dell’area napoletana debba partire da (le cadreghe di) Roma per approdare a Milano, sempre più vera capitale, dove si crede siano concentrati tutti i tecnici, quali architetti e ingegneri, dell’intero Stivale.

Poco importa, dunque, che esista un commissario straordinario per il progetto e che tale commissario, alla seconda chiama anche questo, sia Francesco Floro Flores, imprenditore dell’hinterland flegreo (Arena, zoo e parcheggio dell’area flegrea in sua gestione farebbero gridare al conflitto d’interesse ogni giudice, ma non a Napoli: why not?) e che sia amico di Roberto Fico il napoletano, presidente della Camera dei Deputati, nonché datore di lavoro del fratello del Sindaco, ex togato: la decisione, chissà quale, potrebbe essere presa altrove, magari da altri, non locali, che non conoscono peculiarità e ricchezza topografica, vantaggi e limiti. Ilva docet. Come Taranto, anche Bagnoli ha il mare (e di certo non piccolo) quindi, se si seguissero gli auspici del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio il quale per l’acciaieria pugliese prevedeva un allevamento di cozze, non sorprenderebbe più di tanto se all’attuale compagine partenopea venisse in mente di puntare sulle colture attuali e instaurare persino un allevamento di… sardine.

Poco importa delle radici, di scavare nell’intimo e nel profondo. Senza bonifica. L’importante è la superficie. È apparire e dire la propria. Guadagnarsi la fama. Mentre il territorio “conquista” la fame: nell’ultimo decennio, la Campania ha perso 180 mila posti di lavoro e i giovani campani e del Sud che hanno lasciato la terra natia toccano quota 400 mila. Senza considerare gli ex lavoratori della Whirlpool, della Tirrenia e di Almaviva.

Senza lavoro non c’è futuro e quando si creano delle occasioni per investire, per crescere, per restare e per vivere al Sud non ci si dovrebbe spendere per fare “emigrare” pure quelle. Eppure il Sud dei nostri padri e dei nostri nonni ha duramente pagato lo scotto dei finanziamenti in nome del Mezzogiorno per le “fabbriche fantasma” che mai sono state aperte, di quelle altrettanto fantasma che, se non sono sparite in concomitanza dell’esaurimento dei fondi, hanno sicuramente chiuso i battenti poco dopo lo stanziamento delle risorse, dell’arretratezza conveniente per tutti, eccetto che per la popolazione locale, degli opifici soggetti a delocalizzazione interna alla nostra stessa Penisola. L’attuale classe dirigente, però, sembra intenzionata a ripercorrere la stessa strada già battuta in passato senza far tesoro, col prezioso senno di poi, che ripetendo gli stessi errori, condannano l’intero Sud alla morte totale. Eppure questa è storia. Di più di un secolo fa!

L’Ilva rischia di essere l’Italsider del Terzo millennio, come a ragione ha fatto notare il partenopeo Severino Nappi a proposito del “giardino felice che Grillo sogna per l’Ilva di Taranto si può vederlo a Bagnoli, luogo di trent’anni di chiacchiere e cattiva politica, di masterplan, consulenze, progetti, conferenze di servizi, ma di fatti concreti zero. Allora fu un disegno della vecchia sinistra a cancellare 10 mila posti di lavoro e a creare questo sfacelo: oggi ci stanno pensando i loro nipotini accompagnati da dilettanti grillini”.

Bagnoli è ancora in Campania e non possono portarla via, anche se fa gola a molti. Questa è la nostra Campania, la terra da ricostruire per campare di e al Sud, quello da cui partire per intraprendere finalmente quel progetto di Macroregione e, perché no, di autonomia, da tanto desiderata e sperata e finora solo promessa, barattata in cambio di voti che si sono rivelati essere solo vuoto pneumatico, nulla istituzionale e niente amministrativo, ma che potrebbe essere una solida realtà già nell’immediato, già la prossima primavera, tempo di rinascita e risveglio a partire da Palazzo Santa Lucia.