NON UN PENSIERO

“E tu dov’eri l’11 settembre?” è la ripetitiva anfora tormentone scelta per la commemorazione dei venti anni dall’attacco simbolo all’America.
Quando in una normale mattina di un qualunque giorno di settembre di inizio del terzo millennio, diciannove uomini armati di taglierino, al comando di un diabetico barbuto che viveva in una grotta dall’altro capo del mondo, condussero la più sofisticata opera di penetrazione dello spazio più difeso al mondo, immobilizzando passeggeri e piloti addestrati al combattimento su quattro aerei commerciali portandoli fuori rotta per più di un’ora, senza mai venire molestati da un solo caccia dell’U.S. Army.
Mentre tutto il mondo era incollato alle tivvù che erano sintonizzate sulle immagini di New York, senza peraltro capire granché, così su due piedi – l’America sembrava lontana, ground zero e le twin towers non erano così famose, di Al Qaeda la gente si interessava poco – come il fattorino che fischietta, carrellino in mano immortalato con una delle torri gemelle in fumo, gli annunciatori televisivi hanno saputo in tempo reale che il “colpevole” era lui – Osama Bin Laden. Gli esperti di intelligence e i servizi segreti a stelle e strisce – il cui fallimento era palese agli occhi di un cieco – dopo qualche ora non avevano dubbi: il mandante dei diciannove dirottatori indisturbati devoti fondamentalisti islamici che amavano bere alcol, sniffare coca e circondarsi di spogliarelliste con i capelli rosa era lui: Osama Bin Laden. Il governo Bush, sparito per un bel po’ e al gran completo non ebbe esitazione nell’individuare lo stesso giorno degli attacchi, il nemico numero uno al mondo in Osama Bin Laden.
Il capo del gruppo terroristico di Al Qaeda viveva in una grotta fortificata in Afghanistan da dove dispensava video a destra e a manca al mondo intero apparendo ogni volta più giovane, da dove in qualche modo è riuscito a fuggire alla volta di Tora Bora, da dove in qualche modo è riuscito a scappare riparando a Abbottabad facendosi beffa dei detentori della più sofisticata tecnologia militare al mondo, fino a quando è stato localizzato e catturato (forse) in Pakistan in una casa in cui non ha opposto resistenza, non ha usato una delle tante mogli come scudo umano e non era armato, dopo una complessa operazione delle squadre speciali Navy Seals – che ufficialmente non esistono – che, però, sono andate in panico ammazzando lo sceicco del terrore e buttandone il corpo in mare, come da tradizione del nemico, e in gran silenzio. E con esso, in acqua tutta la miriade di informazioni che poteva custodire il principale terrorista al mondo.
L’operazione non è mai stata filmata e due decine degli appartenenti alle forze speciali sono morte in un incidente aereo in Afghanistan.
Le indagini, pretese da un gruppo cospirazionista, sono nate già fallite, ritardate e sottofinanziate, nascondono un corposo conflitto di interesse e hanno finito per insabbiare tutto, compresa la verità. Erano basate su testimonianze ottenute con le torture la cui documentazione è stata distrutta. Hanno dimenticato di occuparsi dell’Edificio 7, del numero uno Able Danger, di Ptech, dei rapporti di Bin Laden con la CIA e delle esercitazioni con gli aerei lanciati contro gli edifici proprio mentre le loro simulazioni diventavano realtà.
Una commissione a cui hanno mentito l’FBI, la CIA, il Pentagono (dove l’11/9 si discuteva di trilioni spartiti), l’amministrazione Bush e il sottosegretario alla Difesa Cheney. Questi ultimi hanno testimoniato in gran segreto, a porte chiuse, privatamente e non vincolati dal giuramento, mentre i terabyte di fatti, testimonianze, ricerche sono andati distrutti per mano della DIA, della SCC ma solo per normale procedura di amministrazione. Di chi abbia finanziato gli attentati terroristici non se ne è occupato nessuno, o meglio, chi se ne è occupato ha etichettato la cosa come “litle pratical significance”, di scarso significato pratico.

Se per vent’anni ci siamo raccontati che il mondo era cambiato, che viaggiare era pericoloso, che dopo New York è venuta Madrid e che ogni 11 di ogni mese era la data buona per morire di paura solo nel prendere la metro, che una nuova guerra era alle porte, una nuova vandea, una nuova crociata in nome dell’odio e del podio religioso che ci ha fatto dividere il mondo in buoni e cattivi, che ci ha fatto subire i 2996 rintocchi di campane di quelle vite che furono, i fasci di luce – giuro non è apologia! – di Ground Zero, che ci ha visti restituite cinquantatré bare avvolte nel tricolore, quest’anno, oltre alla proposta editoriale della sempiterna Oriana Fallaci, c’è qualcosa di più: una gentile rivendicazione di Al Qaeda che rivendica di fatto l’11 settembre. Magari ha pure registrato i diritti d’autore per eventuali introiti. “Che sia ben chiaro: siamo noi i colpevoli, che nessuno si intesti i nostri successi” pare abbiano detto i terroristi. Excusatio non petita… inculatio manifesta. Una sorta di do ut des, forse un favore ricambiato in nome dell’arsenale bellico lasciato in gentile omaggio dopo vent’anni di occupazione.

Se ancora oggi dopo vent’anni sui social usati come troiaio virtuale perché questa è la nuova frontiera del sesso new age, compaiono messaggi buonisti per la strage, ogni faccino è appannato dalla bandiera a stella e strisce, ogni pretesto è buono per dire “I’M AMERICAN”, il mainstream ci propina la maratona televisiva in diretta dalla Grande Mela, allora sì che possiamo sorbirci il virus con tanto di narrazione pandemica. Forse ce lo meritiamo addirittura! Ci meritiamo le nuove varianti che altro non sono altro se non le tappe ulteriori di questo esperimento sociale. Ci meritiamo una Chiesa dove in nome dell’amore universale non ci si scambia il segno della pace, dove il momento cardine della transustanziazione viene sospeso e… amen! la cui guida facente “finzioni” di Papa ha paura di morire. Ci meritiamo la cieca obbedienza che è la sola occasione per uscire da quest’incubo che è stato possibile solo grazie alla cieca obbedienza. Ci meritiamo una vita decisa da altri perché non siamo capaci di insorgere contro il fatalismo. Non ci meritiamo Tucidide, non ci meritiamo Pitagora, né la scuola medica, Socrate, Paltone e Aristotele, non ci meritiamo Dante, Petrarca e Boccaccio né D’Annunzio, Marinetti e Ungaretti. Non ci meritiamo Jan Palach e Domenique Vernier. Non ci meritiamo di pensare. Non un pensiero nello stesso giorno per Bashar Al-Assad, presidente della repubblica araba di Siria, il popolo che ha subito il più grande attacco terroristico della storia nel mondo intero e che ha reagito con onore e coraggio per riaffermare la vittoria della Civiltà sulla barbarie.

Non un pensiero all’isola di Pantelleria che è sempre Italia e che ce l’abbiamo sotto al culo, dopo l’apocalittica tromba d’aria ha spazzato via due persone, scoperchiato case in cui sono state sbattute le auto. “È colpa dell’uomo che deve emettere meno CO2 nell’atmosfera” ha sentenziato il climatologo alla tivvù di stato. “È in corso un epocale cambia-mento climatico”. Che sarà il nuovo virus. Ma noi non un pensiero, mi raccomando.

NON UN PENSIEROultima modifica: 2021-09-12T03:36:47+02:00da tony.fabrizio

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