Chi fa da sé fa per tre: ed è subito DeLucaLand

Napoli, 23 ago – È questa la politica che ci piace, quella dei fatti e non delle promesse. “La politica del fare” per dirla con il politichese. Detto-fatto: Vincenzo De Luca ha presentato la bozza della legge elettorale che darebbe il via libera al De Luca-Ter. La legge che prevede anche l’abolizione al limite dei mandati (non si sa mai che…) e ha abbassato la soglia di sbarramento al 3% o al 2% per le liste. Chissà perché ha presentato solo la bozza e non direttamente la legge in bella copia già bella e fatta. Già votata e approvata. Poi uno dice che la burocrazia in Italia… Solo perdite di tempo, ma come disse Qualcuno: “cosa fatta capo ha”. D’altronde De Luca lo aveva detto che avrebbe fatto quel che avrebbe voluto. Non c’è Schlein che tenga! Non c’è accordo politico o veto di partito che possa nemmeno lontanamente pensare di vietargli di salire per la terza volta (consecutiva) sullo scranno più alto del palazzo della Regione Campania. Poco (gli) importa pure se il Pd nell’ultima tornata elettorale a.c. (ante covid) nemmeno avrebbe voluto candidarlo.

Benvenuti a DeLucaLand

De Luca ne sa una più del diavolo: d’altronde il cosiddetto – dai giudici – “sistema De Luca” è così ben oleato e funzionante, almeno stando ai risultati, da non escludere proprio nessuno. Anzi, lui prontamente, da “avanguardia dura e spuria”, facendo leva sulla sua capacità di “immaginare il futuro” ha già chiamato a raccolta tutti i Presidenti di Regione, “orbi e tordi”, anche quelli di centrodestra – ma poi De Luca è veramente di sinistra? -, “anche quelli più timidi” affinché si coalizzino nella (sua) lotta contro “tutti i governi” per il riscatto del Sud. Peccato che De Luca dimentichi che il governo è uno solo ed è quello nazionale a cui anche la regione Campania deve uniformarsi e al quale anche lui è subordinato e non è quello contro cui combattere. Perché lo “Sceriffo”, in realtà, punta a coalizzare tutto il Centro Sud nella lotta – “antirisorgimentale” – all’autonomia differenziata in primis; in quella per accaparrarsi più fondi possibili destinati al Pnrr, in termini prettamente spiccioli.

Il riscatto del Sud per lui passa innanzitutto attraverso il doversi scrollare di dosso l’etichetta di “groppone dello Stivale”. E per farlo è disposto al tutto per tutto. Persino a stravolgere la sinistra storica: se Giolitti ebbe modo di dire che “per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano”, De Luca la legge addirittura la fa. Per sé. E chi fa per sé fa per tre. Mandati, appunto. Non c’è nemico Silvio che tenga! C’è ancora Silvio persino quando Silvio non c’è più. E i cittadini campani (e quelli campati da) di Vicienzo e del suo modo di am-minestra-re cosa dicono? Niente. E se stanno muti è ancora meglio. Loro mica contano? Hanno valore (elettorale) pari a uno. Ma pure questa cosa andrebbe rivista. Perché la sua è una lotta nobile per equiparare il Sud al Nord, per non creare differenze e per fare sì che tutti siano uguali, anche se qualcuno rischia di essere più uguale degli altri. Lui per primo. Per fregiarsi (o fregarsi) del titolo di Presidente-legiferatore. E, perché no di governat(t)ore del Regno del Sud. Che non si capisce ancora perché deve essere sud – nel senso di stare sotto, sottostare – a qualcosa che ancora si chiama Italia, quando, in verità, DeLucaLand andrebbe benissimo.

Tony Fabrizio

https://www.ilprimatonazionale.it/politica/chi-fa-da-se-fa-per-tre-subito-delucaland-268139/

ZUK CONTRO MUSK: CHI CI PERDE E’ L’IMMAGINE POSITIVA DELL’ITALIA!!

È bastato lanciare l’esca in rete che tanti pesci sono abboccati. Per carità, non parliamo di “modernità”, di pragmatismo, di pubblicità e di valorizzazione. E non buttate nel calderone pure la beneficenza che fa tanto politically correct e basta più. Una buona maschera da mettere a quelli che una faccia non ce l’hanno più perché non possono più mostrarla.
Dopo l’annuncio dei due re del mondo social, Zuckerberg e Musk, di volersi sfidare in un incontro di arti marziali, di tenere una challenge, forse così è molto più international, dopo l’impossibilità di utilizzare quale location nientemeno che il Colosseo, abbiamo assistito al meretricio politico più spurio, che ha valicato i confini della decenza, ha superato la soglia della dignità, ha calpestato spudoratamente persino il decoro. Da nord a Sud dello Stivale, da Verona a Taormina, da Firenze a Pompei è stato un vero e proprio “offrirsi” ai due americani, affinché la “città aperta” ad ospitare l’evento potesse accaparrarsi lo “storico” avvenimento. E come se non bastasse già tutta questa vergogna tricolore, la Campania fa di più, bissa addirittura, non lascia ma raddoppia: se il Sindaco di Pompei mette a disposizione dei due “colossi” social l’Anfiteatro di Pompei, con tanto di bacchettata da parte del Primo Cittadino della vicina Ercolano che invita i due a venire in Campania “per le idee e non per le botte”, immediatamente Mastella, da buon mastino, candida Benevento tra i papabili della scelta col suo – di Benevento, non di Mastella – teatro romano.
Il copione che recita la politica è unico, nel senso che è uguale da nord a sud, isole comprese, monòtono e monotòno. Il politichese perfetto, la demagogia pneumatica incartapecorita di united colors rossa, bianca e blu con le stelline: la pubblicità. La visibilità. Dopotutto abbiamo a che fare con un mondo, quello di Zuck & Musk, perennemente in vetrina. Pubblico. E, forse, pure pubico. Non pudico.
Davvero dobbiamo credere che serviva il “duo yankee” per conoscere e far conoscere nel mondo intero l’Arena di Verona – e, perché no, quella di Pola – Firenze, ma solo su modello Leonardo vs Michelangelo (Nardella evidentemente ignora il taglio romano che i due avrebbero voluto dare al duello), Pompei ed Ercolano, Benevento, Matera e Taormina?
Se tutti questi Sindaci, amministratori che non sono altro, la smettessero di comportarsi come dei novelli promoter, potrebbero davvero iniziare a pensare ai siti archeologici che (s)vendono, in termini di pulizia, salvaguardia, formerebbero personale qualificato, si batterebbero per creare infrastrutture e potenzierebbero i modi per arrivarci. Potrebbero fare di tutto, eccetto, però, assecondare i capricci di due miliardari che vorrebbero rendere i nostri siti archeologici unici al mondo per bellezza, storia, età, conservazione, significato dei meri parchi giochi. Accessibili solo a loro. Ignorando e prestandosi al gioco di mettere un prezzo a ciò che ha solo un valore.
I due, però, potrebbero non essere il peggio dell’intera vicenda. Peggio di loro ci sono i nostri (ahinoi!) rappresentanti, che si sono scapicollati per farsi notare, come delle banderuole al vento, che si sono inginocchiati peggio di uno sciuscià che ha più dignità ed ora che i due sembrano aver bleffato e sono in procinto di annullare l’incontro-evento, la pubblicità promessa all’Italia tutta e, alla fine, non promossa da nessuno, non rimane che un’immane figuraccia, la prova plastica della spina dorsale ridotta a cinquantunesima stella o quattordicesima striscia. Una dimostrazione di fedeltà coloniale ai limiti dell’imbarazzo per l’identità italica e l’orgoglio tricolore.
https://www.camposud.it/zuk-contro-musk-chi-ci-perde-e-limmagine-positiva-dellitalia/tony-fabrizio/

Avellino, tra diritto allo svago e violenze in centro città

Avellino, 11 ago – Per chi se n’è accorto tardi o era semplicemente spensierato, com’è giusto che sia in una serata agostana, la scena è questa: un’auto piomba su un muro di gente in centro città e tenta di aprirlo a mo’ di testa di ariete. Ne seguono insulti e ammaccature con calci e pugni alla macchina, finché, sceso il conducente, ne nasce una scazzottata, ingigantita in rissa di 20 “pedoni” contro il solo conducente dell’auto-ariete. Entrano in scena sirene blu di Forze dell’ordine e ambulanze. Risultato: due giovani finiti in ospedale per l’investimento; indagini per accertare chi ha fatto cosa e perché; opinione pubblica divisa tra chi “tifa” residenti e chi si schiera a favore della movida. Movida a parte, poteva sembrare una scena degna della migliore Baghdad o immagini già viste come sugli Champs Elysees, ma siamo ad Avellino in un “normale” mercoledì sera d’agosto. E, forse, per trovare il bandolo della matassa bisogna partire proprio da qui: i “mercoledì del centro storico” organizzati dall’Amministrazione comunale guidata da Gianluca Festa che porta a riversare per le strade urbane una moltitudine di giovani, dall’aperitivo fino a tarda notte. Mattina presto, per i residenti che, attraverso numerosi esposti, fanno sapere di non reggere più la situazione, ormai insostenibile tra schiamazzi notturni, risse e gente che sporca in ogni dove. Il tutto in piena città, nel bel mezzo della settimana. Una trovata da parte del primo cittadino per (ri)animare la città che nel fine settimana è soggetta a esodo nella più vicina Salerno.

Avellino, tra violenze e diritto allo svago

Ieri sera, nello stesso giorno in cui un noto avvocato presentava l’ennesimo esposto a carico di un’altra persona che, nella centralissima piazzetta Kennedy, si è abbassato i pantaloni e ha urinato pubblicamente, come se si trovasse nell’ultima latrina della città più degradata della faccia della terra, si è sfiorata la tragedia tra chi stava esercitando il sacrosanto diritto allo svago e chi ha lo stesso identico diritto di rientrare in casa propria. Che però si trova al centro della movida e delle Ztl, queste non dipinte degli stessi colori dell’arcobaleno, come gli attraversamenti pedonali.

È possibile, però, che, vista la criticità e la recidività dei disagi provocati e, a questo punto, dei pericoli creati, da Palazzo di Città non è stata studiata alcuna soluzione alternativa? È possibile che Avellino, sempre più periferia di Napoli, deve conquistare gli onori delle cronache perché gli ultras della locale squadra di calcio irrompono durante i festeggiamenti per lo scudetto vinto dai partenopei picchiando liberamente chi altrettanto liberamente festeggiava o perché, lungo il centralissimo viale Italia, qualcuno esplode colpi di arma da fuoco in un “normale” sabato sera? Non dovrebbe essere difficile per un’Amministrazione capace di gestire la città come una Pro Loco o un comitato festa, che si gloria dei successi per il concertone di Geolier – a proposito: ma la rissa seguita dopo aver spruzzato dello spray al peperoncino c’è stata o no? È stato accertato il mistero o no? – come fosse stato gli eventi degli eventi, quando un’altra città confinante e altrettanto “provinciale” – e non nell’accezione negativa del termine – il concerto del rapper di Secondigliano lo inserisce in una serie di eventi, di ben altro spessore culturale, come Benevento Città Spettacolo? Che senso ha lanciare l’hashtag in Piazza della Libertà #lovellino, fusione delle parole “love” ed “Avellino”, in vista di eventi estivi e invernali che vedranno il culmine con l’Eurochocolate che si tiene, però, a Perugia, dove potremo scoprire che Avellino ha delle nocciole buonissime, ma che vengono lavorate in opifici non di Avellino? Servirà il turismo biancoverde e basta a portare gente in Irpinia quando questa terra ha delle potenzialità che sono inespresse in loco, ma valorizzate altrove?

Ma per dirla con il sindaco Festa (nomen omen?) che ha fortemente voluto la piattaforma digitale per promuovere le bellezze del territorio irpino e favorire lo sviluppo turistico: “Enjoy”! A protagonisti e spettatori dei fatti occorsi in città ieri sera l’ardua sentenza.

https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/avellino-diritto-svago-violenze-centro-citta-268024/

“Fitto” mistero sui 16 milioni di euro all’ex Opg di Napoli

Roma, 6 ago – Ora usciranno pazzi per davvero. Si interrompe la favoletta dell’ex Opg (ospedale psichiatrico-giudiziario) di Napoli che non godrà più della pioggia di fondi del Pnrr. Ne dà notizia addirittura Open di Mentana, che a leggerlo è come la ciliegina sulla torta. L’ex struttura fatiscente del rione Materdei, dopo essere stata abbandonata nel 2008 dal corpo di Polizia Penitenziaria, è stata occupata dai centri sociali rossi molto vicini all’allora sindaco della rivoluzione arancione e fautore della flotta napoletana, oggi reinventatosi autore teatrale – chissà se di tragedie politiche magari autobiografiche – Gigino de Magistris, e successivamente presi a balia anche dal suo successore a Palazzo San Giacomo ed ex rettore della Federico II, Gaetano Manfredi, che, da buon figlio di papà e papà di cotanti figli, congela lo sgombero dello stabile e convoca in comune gli okkup-anti; quindi, di concerto con i novelli ribelli, valuta i progetti con cui poter dare una giustificazione di esistenza alla vecchia struttura di via Jannelli e successivamente inventarsi un modo per assegnare la sede al centro sociale “Je so pazz” e a Potere al Popolo.

L’ex Opg di Napoli, tanti saluti ai 16 milioni

Poco importa che l’edificio, a detta di Prefettura e Demanio, che intanto ne era diventato proprietario, risulti essere pericolante, persino per gli occupanti e proprio per questo avevano più volte tentato lo sgombero. Le proteste di piazza e le campagne giornalistiche della stampa amica hanno impedito che tutto ciò avvenisse, almeno fino all’inizio dell’anno corrente quando pare che la Prefettura fosse intenzionata a mettere tutti alla porta con l’uso della forza. Almeno fino a quando il primo cittadino non si era messo di traverso ed era riuscito ad inserire il recupero della struttura tra i beneficiati del PNRR. “Perché, se l’edificio era pericolante e doveva essere messo in sicurezza, non c’era nulla di più urgente da fare”. Almeno fino a quando sulla “Napoli rossa” non si è abbattuta la scure di nome Raffaele Fitto, attuale ministro per gli Affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr che non solo ha cancellato la regalia dei 16 milioni di euro, ma ha ulteriormente “inguaiato” il primo cittadino partenopeo, ereditiero delle già disastrate casse del Comune “amministrate” da de Magistris e che ora dovrà sborsare la cifra di 246.248 euro per i lavori già cominciati. Se non hanno idea di dove prenderli, possono sempre attingere dall’”acconto” che i militanti della sezione Berta consegnarono molto generosamente fin sull’uscio di casa, appena il centro fu bagnato dalla pioggia di milioni.

Ma i diretti interessati – si fa per dire – cosa dicono? Hanno fatto sapere che “no pasaran”: non hanno abbandonato quei locali imbrattati con graffiti e disegni che non cancellano l’inagibilità, né hanno reso sicura e minimamente dignitosa la loro roccaforte e annunciano battaglia a suon di feste, concerti e manifestazioni. Magari ancora una volta, come sempre, con il portafogli di papà. Quei papà che, a quanto pare, hanno perso potere, ma che continueranno a mettere bambagia nel mondo finto dei loro pargoli, in modo da continuare a farli giocare senza che si facciano male per davvero. Belli, ciao!

https://www.ilprimatonazionale.it/politica/fitto-mistero-sui-16-milioni-euro-ex-opg-napoli-267904/

COVID CARD REGIONE CAMPANIA: CONTESTATO ALLA CRICCA DE LUCA UN DANNO ERARIALE DI OLTRE UN MILIONE DI EURO!!!

Era maggio 2021 quando dalle colonne di questo giornale (https://www.camposud.it/il-garante-della-privacy-la-covid-card-di-de-luca-a-me-me-pare-na-fessaria/tony-fabrizio/) ci chiedevamo quali costi e perché avrebbero dovuto sostenere i contribuenti campani – senza, tra l’altro, poter proferire parola – per la “genialata” della Covid card. Genialata che, manco a dirlo, porta(va) la firma e la forma del presidente della Regione Vincenzo De Luca. Il buffone di corte, il gigione di tutti i Presidenti che (mal) accettava la “reclusione” a Palazzo Santa Lucia, vissuta sempre più come un confino dei palazzi della politica romana mai raggiunti da De Luca senior. Da dove, quindi, poter fare ciò che più gli pareva in e della Campania.
De Luca, per cui il Covid è stata una vera manna dal cielo, quel tocco di popolarità per il resto dello Stivale di cui avremmo volentieri fatto a meno, pensò, o meglio, arrivò per primo a partorire quella nullità rivelatasi tale che è stato il passepartout per “gli amici del buco” che, grazie alla cosiddetta e conquistata Covid card, avrebbero potuto andare al cinema, al ristorante, sposarsi. Insomma, una carta, anzi una card che fa più international, che avrebbe dovuto garantire una parvenza di vita normale, dopo l’inoculazione di n. dosi di vaccino.
Quei costi ieri sono stati resi noti dagli uomini del nucleo di Polizia economica e finanziaria della Guardia di Finanza che hanno consegnato allo Sceriffo lucano un invito a dedurre della Procura regionale per la Campania della Corte dei conti (una sorta di avviso di garanzia) tramite la quale si contesta, come riporta l’Ansa, un danno contabile complessivo di quasi un milione di euro (oltre 928mila per l’esattezza). Il 25% è direttamente “intestabile” a Vincenzo De Luca, mentre lo stesso avviso è stato consegnato ad altri cinque componenti dell’unità di crisi allestita dalla Regione.
In realtà le Covid card, comprate e basta, non sono mai entrate in uso perché, a stroncarle sul nascere, fu il Garante della privacy che ritenne ledessero la riservatezza dei dati personali dei cittadini.
L’ennesimo capolavoro deluchiano che ci saremmo risparmiati volentieri insomma, sia in termini economici che in quelli di immagine. Entrambi compromessi dal satrapo di palazzo, e con la gestione della pandemia e con le dirette tivvù nelle quali minacciava l’uso di lanciafiamme, la caccia ai runner e ogni altra diavoleria che la sua bocca riusciva a defecare per gestire il suo regno come nemmeno un’enclave.
“L’invito a dedurre non è una condanna ma semplicemente un atto dovuto per accertare la responsabilità di un danno erariale certo”, sottolinea all’Adnkronos Antonio Giuseppone, procuratore regionale per la Campania della Corte dei Conti. E, noi che la Campania la viviamo e il “sistema De Luca” lo subiamo, siamo certi che questo “atto dovuto” volto ad accertare un danno certo, non riguarda certamente (purtroppo) solo le Covid card. Noi di Campo Sud lo sappiamo bene. La notizia dell’avviso a De Luca era ancora calda che subito è stata approntata la polemica politica, fotocopia di quel politichese tutto uguale da destra a sinistra passando per il centro: “gestione scellerata”, “sperpero di soldi pubblici” fino al postumo profetico “Ve l’avevamo detto”, ma la verità vera è che a denunciare i misfatti del Governatore campano, e in tempo reale, tempi non sospetti per i più è stato solo e soltanto il presidente dell’Associazione Campo Sud Marcello Taglialatela. Denunce doverose, mosse da quell’amore per la cosa pubblica, per la propria terra e per le proprie radici che si riveleranno, ne siamo certi, una tegola sulla testa dell’inquilino di Palazzo Santa Lucia.
Il Covid e la sua (di)gestione fecero la fortuna elettorale di don Vincenzo, ma non quella politica i cui risultati sono oggi sotto gli occhi e nelle tasche di tutti i cittadini, campani per primi che, tra non molto, saranno chiamati a scegliere con chi sostituire il Presidente che, sic stantibus rebus, non potrà più candidarsi. In realtà, egli aveva già minacciato di “candidarsi in eterno” e ha annunciato di stare studiando – sicuramente starà facendo solo quello, visto lo stato in cui versa l’intera regione Campania – come modificare la norma che gli permetterebbe la candidatura in aeternum. Fregandosene di ciò che pensano e vogliono i campani. Solo che il Covid adesso non c’è più, ci sono i postumi del feno-meno, i frutti di ciò che ha seminato, i risultati della sua inettitudine mascherata dalla macchietta che portava in tivvù ogni venerdì, come una croce, (ab)usando persino degli spazi istituzionali per fini personali e personalistici.
Chi è causa del suo male…

https://www.camposud.it/covid-card-regione-campania-contestato-alla-cricca-de-luca-un-danno-erariale-di-oltre-un-milione-di-euro/tony-fabrizio/

Capodanno del Mugnaio, l’importanza di produrre Grano Nostrum

Capodanno del Mugnaio, l’importanza di produrre Grano Nostrum

5 Luglio 2023 2 comments
grano nostrum

Caserta, 5 lug – Un appuntamento che si rinnova ancora, usi e costumi che ormai sono diventati un rito, una innovazione che inizia a percorrere il binario della tradizione. È giunto già al settimo anno il “Capodanno del Mugnaio”, la festa che sancisce l’inizio della mietitura del grano che si celebra a Frignano (CE) e che quest’anno, oltre al consueto banchetto approntato di ogni bendidio che deriva dal grano – dal dolce al salato, dalla pasta ai dolci – ha visto la presenza anche del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, il presidente della Camera dei deputati Lorenzo Fontana e l’assessore regionale Gianluca Cantalamessa.

Capodanno del Mugnaio, l’importanza del Grano Nostrum

Tra trebbiatrici in azioni, spighe che si raccolgono per la benedizione, offerta, condivisione e assaggio di ogni prelibatezza farinacea da consumarsi rigorosamente nei campi, la parola d’ordine è una sola: produrre “Grano Nostrum”, ovvero produzione di farina 100% del sud Italia (basso Lazio, Campania, Puglia, Molise, Abruzzo e Basilicata), controllati dalla semina alla macinazione – a cura del Mulino Caputo di Napoli, vero valore aggiunto della progettazione – che ha portato alla lavorazione di un progetto comune che ha dato vita ad una vera e propria filiera alimentare, certificata dalla facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II che ha potuto attestare ben cinque varietà di frumento tenero (Trafalgar, Bisanzio, Apulia, Ala 360, Giocondo), così come riporta lAnsa.

Un vero e proprio laboratorio sperimentale che tocca vari settori: dalla semina del grano avvenuta nel mese di febbraio 2023 – e non in novembre dell’anno precedentemente, come da convenzione – sino all’innovazione tecnologica che prevede l’impiego di una concimazione totalmente naturale, nell’ottica di aumento della sostenibilità ambientale delle pratiche agricole, passando per il “rigido disciplinare”, ovvero il protocollo di garanzia che garantisce sia la qualità del prodotto che il rendimento economico dei coltivatori che vi aderiscono. Non ultimo, il concetto, più volte rimarcato dal ministro Lollobrigida circa il sovranismo alimentare, necessario da raggiungere per rendere l’Italia autosufficiente, almeno dal punto di vista del fabbisogno dell’approvvigionamento alimentare di base, necessario per far fronte a casi che potrebbero rivelarsi un problema, come quello appena occorso ad esempio, e che ha interessato l’importazione del grano dall’Ucraina cui si è dovuto far fronte a seguito dell’aggressione da parte della Russia.

Grano che raggiungerà il momento di massima visibilità pubblica in vista del riconoscimento dell’Unesco che dovrebbe arrivare intorno al 2025. Iniziativa che – a detta del ministro – “rappresenta un’occasione per poter raccontare quello che siamo, orgogliosamente perché l’orgoglio è una cosa importante. Ma essendo consapevoli della potenzialità di immaginare un mercato che si apre ancora di più e porta i nostri 60 miliardi di euro di export a diventare 120, 180, infiniti rispetto al mercato che si apre se la qualità resterà l’elemento con il quale si sceglie il cibo”. Anche il cibo si sta andando sempre più a tutelare, ricorda il numero uno del dicastero di via Venti Settembre, con un progetto di legge che va contro il cibo sintetico: la sua approvazione farà dell’Italia la prima nazione che proibirà la produzione, l’importazione e la commercializzazione di tutto quel finto cibo che non rappresenta il corretto rapporto tra uomo, natura, lavoro che ha portato a crescere la civiltà in migliaia di anni e che dobbiamo difendere”.

Speriamo non sia solo “politichese” quanto affermato da Lollobrigida e che ancora una volta non dobbiamo assistere a vergognosi “inchini istituzionali” che più volte abbiamo dovuto vedere pur di piacere a quelli che bisogna com-piacere per forza. Al Capodanno del Mugnaio si è toccato con mano l’Italia dell’eccellenza, l’Italia della qualità, l’Italia che, nonostante imbarbarimenti, inquina-menti e cancellazioni di ogni genere, nonostante epidemie, carestie e guerre, continua ad essere e a fare l’Italia.

https://www.ilprimatonazionale.it/economia/capodanno-del-mugnaio-limportanza-di-produrre-grano-nostrum-266296/

’E’ “NAPOLI CONTEMPORANEA” E LA NAPOLI CONTEMPORANEA.

E alla fine la Venere di stracci è stata inaugurata. La statua che coniuga, o almeno dovrebbe nell’intento dell’amministrazione Manfredi, il passato col futuro, la tradizione con l’innovazione. E menomale che c’è Venere – che conferisce valore all’opera – a svettare sopra la montagna di stracci muticolor che da giorni affollano Piazza Municipio, incuriosendo turisti e guadagnando lo sdegno dei soliti bene informati.
Come saggiamente i Padri hanno tramandato “de gustibus non disputandum est”, ma ciò su cui ci interroghiamo non è certo il valore (discutibile) dell’opera, ma il modus operandi di questa classe dirigente autoreferenziale e inetta.
Dopo la chiave di Milot che non sappiamo quanta gente abbia potuto attrarre in città, ora ci viene presentata “Napoli contemporanea”, la manifestazione attraverso cui – parole del primo cittadino Gaetani Manfredi – “Vogliamo far vivere pezzi di città attraverso l’arte contemporanea facendo realizzare installazioni da grandi maestri dell’arte”. O ancora “Questo programma vuole anche essere il segno di una Napoli fiera della propria storia e tradizione, ma che è anche proiettata verso il futuro attraverso la proposizione di opere che fanno discutere sui grandi temi del presente proprio come la Venere degli stracci che unisce l’arte classica con i temi della povertà e della sostenibilità”. A dirla tutta, questa installazione può essere il vero emblema della Napoli di Manfredi, dove regnano caos e disordine, sporcizia e accozzaglia ad ogni angolo della città. Ed è emblema del politichese cui questa classe politica ci ha tristemente abituati: vorremmo chiedere al Sindaco della prima città del Mezzogiorno se, quando cita i “grandi maestri d’arte” o anche la “Napoli fiera della propria storia e tradizione”, si riferisce alla stessa Napoli che non è stata capace di trovare una giusta collocazione – non è azzardata la perifrasi “ha in tutti i modi avversato” – alla statua del Maradona del napoletanissimo maestro Domenico Sepe. Il grande artista chiamato in altra patria, in altri stadi, come il Dall’Ara di Bologna, che ha commissionato un’opera che è un vero e proprio capolavoro. I Padri insegnano anche questa volta: “Nemo propheta in Patria”.
Chissà se il Signor Sindaco e gli accoliti di Palazzo San Giacomo si siano, anche minimamente, resi conto che Napoli, ormai da mesi, è su tutte le pagine di giornali e telegiornali, la città pullula di turisti, gli alberghi hanno fatto registrare il “tutto esaurito” da tempo. Ci auguriamo vivamente di no, altrimenti non si spiegherebbe come mai la città è sempre più sporca e disordinata, in balia di senzatetto che fanno tutto ciò che vogliono ovunque vogliono, che il disordine e la sporcizia la fanno da padrone, che non c’è un servizio di trasporto pubblico degno di questo nome. Questa è la Napoli contemporanea! Che senza “Napoli contemporanea” ha ridato smalto ad una città che non ha bisogno di niente e di nessuno, menchemeno di “genialate” free ed ecosostenibili di una sinistra arcobaleno, Ztl, tutta gauche caviar.
L’autentico miracolo lo ha fatto da sola Napoli, grazie alla sua Storia e alla sua Tradizione; grazie a quei monumenti che “grazie” a quello scellerato “Patto per Napoli”, per la regia del liquidatore di stato “Mariolino” Draghi, oggi è costretta a (s)vendere; a quella collocazione paesaggistica che il mondo intero ci invidia; a quella cucina che, nonostante imbarbarimenti e imbastardimenti, continua ad essere il riferimento della dieta mediterranea; a quella napoletanità invidiata e mai riuscita a copiare, ad imitare, ad esportare. A rubare, tiè! All’arte, alla storia, alla cultura che, con una botta di politically correct, si vuole cancellare. Eppure, anche nel giorno dell’inaugurazione, quando i tassisti scorrazzano turisti, mentre la Municipale blocca il traffico perché si è fatta una sosta dove non si potrebbe fare creando file e ingorghi, mentre macchine e motorini sfrecciano in ogni direzione possibile, dove un bus turistico non fa in tempo a fermarsi che arrivava un bangladese con la sua mercanzia – ma ce lo vedete uno che dal Bangladesh spiega al tedesco di turno il rito apotropaico di iniziazione di un cornetto affinché faccia effetto? – il rumore assordante del traffico che per qualche secondo viene sovrastato dalle ruote dei trolley tirati a forza sui basamenti di pietra lavica, come d’incanto, nel tratto che va da Piazza Trieste e Trento fino alla Biblioteca Nazionale, tutto questo frastuono s’interrompe, non è più parte del corredo urbano che viene soavemente sostituito dalle note della Marcia Trionfale dell’Aida di Verdi e di quelle dell’Inno Nazionale che valicano i confini delle finestre del Regio Teatro San Carlo. Quando una comitiva di Tedeschi, con cappellino in testa e infante sul groppone, si ferma e aspetta il “Sì” – che non verrà mai pronunciato – conclusivo dell’opera per riprendere la marcia. Questa è la Napoli contemporanea! Ma che ne sa Manfredi…

https://www.camposud.it/ce-napoli-contemporanea-e-la-napoli-contemporanea/tony-fabrizio/

SALERNO, L’ANPI vieta di presentare i libri e vieta chi non vuole vietare!

Una mattina mi son svegliato e ho scoperto che un rispettabilissimo Docente universitario di storia medievale ha pubblicato un libro – di storia, pensa un po’ – e che intende presentarlo in una sala di una pubblica libreria – che strano, eh ?

Si tratta di “Controstoria della Resistenza”, la nuova fatica letteraria dal prof. Tommaso Indelli, edito da Altaforte Edizioni.

Allora, un’altra mattina mi sono svegliato e, tutto sudato, “batto” un comunicato congiunto, con tutto quanto può includersi nella mega galassia antifà, atto a vietare ad una libreria della città campana l’utilizzo della sala che avrebbe dovuto ospitare la presentazione del volume e che, di fatto, ha finito per boicottare sia l’opera che l’autore.

“Una semplice opinione” da parte di CGIL, CISL, UIL, Arcigay, schwa & asteriski vari che tentano così di mettere un “democratico” bavaglio alla controcultura. O meglio, alla cultura “non conforme”, alla vulgata in “uso” e consumo since 1945. La storia che nessuno deve conoscere e, se qualcuno la conosce, nessuno deve poter raccontare. Quella che per quasi un secolo ha portato a nascondere una tragedia immane, un vero genocidio ai danni dei propri connazionali, come é stato per le foibe.
Ora come allora, qualcuno non ci sta e, quindi, si attiva per riportare l’ago della bilancia quantomeno vicino alla verità vera, ben consapevole che non potrà mai godere di un “democratico” e civile contraddittorio in libreria.
In religiosa ottemperanza agli usi e costumi di lorsignori che li vuole ben nascosti e ottimamente assiepati,  a quei partigiani nuovi di zecca  viene chiesto, a casa loro, tramite un goliardico striscione “inclusivo”, se avessero per caso paura dei libri.
La reazione rossa – o meglio, verde – non si è fatta attendere, seppur di sabato, strano giorno per “lavorare”: giornali, tivvù, forza pubblica, militanti, “mili-pochi” a giudicare dalle immagini raccolte, tutti sono accorsi ad asciugare le lacrime versate e a raccogliere il grido di sdegno contro chi ha osato ribellarsi ai loro democratici divieti. Uno smacco insopportabile, un atto di ribellione non gradito, una protesta troppo poco politically correct quella semplice domanda che ha mandato in cortocircuito l’intellighenzia cittadina che non si è ripresa dall’illogicità della loro stessa richiesta: perché vietare quando ci si può confrontare? Perché tacitare quando il dibattito può arricchire? Perché cancellare ciò che non ci fa comodo sapere? Sinistre domande, perfino per loro.
Una mattina mi sono svegliato e, dopo aver vietato, minacciando la verità, penso bene che il sogno debba continuare calcando la mano e chiamando in causa persino il “clima da anni ’70” che, però, fanno notare gli avversati esponenti ribelli che la storia la conoscono e non la dimenticano, ha visto proprio nella stessa città campana la morte di un odiato giovanissimo avversario mezzo cieco come Carlo Falvella per motivi meramente politici. Di odio politico. Odio evidentemente mai sopito, in primis per la verità. Per la coerenza. Per interesse, visto che l’unica cosa che ha contato è stata la parcella degli avvocati assoldati per difendere i compagni assassini.
Interesse nel non sapere leggere un semplice striscione che ha avuto il merito di sottolineare tutta l’incoerenza di quanto fino a quel momento predicato, di quanto sia strumentale la loro concezione di democrazia, di quanti problemi abbiano con l’inclusione, quella vera, in un semplice confronto dialettico, culturale. Forse perché loro la “cooltura” la fabbricano. Con balle. Con stravolgimenti e con invenzioni. Con cancellazioni e riscrittura.
Una mattina mi sono svegliato e, pure se sono il sindacato dei lavoratori, “me ne frego” e impedisco ad un semplice esercente di lavorare, semplicemente perché mi è scomodo, sparando ogni cartuccia ancora disponibile e immaginabile, come l’azione intimidatoria – uno striscione! – il pericolo per la democrazia, quando sono loro stessi ad imporre divieti: ma, se proprio non si riesce a sostenere un dibattito culturale, se proprio non si riesce a leggere il libro, non era meglio, di sabato, continuare a dormire?

https://www.camposud.it/salerno-lanpi-vieta-di-presentare-i-libri-e-vieta-chi-non-vuole-vietare/tony-fabrizio/

NAPOLI SVENDESI : 620 immobili comunali diranno addio alla città (con qualche eccezione)

Erano i tempi di Mario Draghi premier. Gli era stata appena passata la campanella, quando “alcuni italiani” lo accolsero con striscioni in tutta Italia per ribadire il loro NO al “Draghi liquidatore di stato”.
Di Mariolino Draghi, nel frattempo, si sono perse le tracce, ma si riconoscono i segni del suo operato. Come non ricordare il famoso, meglio famigerato, Patto per Napoli, immediatamente ribattezzato su queste colonne (https://www.camposud.it/una-calorosa-stretta-di-mano-per-sancire-il-nuovo-pacco-per-napoli/tony-fabrizio/) “pacco per Napoli”? Ebbene, quel patto scellerato inizia ad avere esecuzione.
È notizia recente, infatti, che il Comune di Napoli ha messo in vendita ben 620 immobili per salvare sé stesso dalla scriteriata gestione dei sindaci che si sono succeduti. La notizia è più che ufficiale e riportata anche sul sito istituzionale con riferimento alla Delibera di Consiglio n° 66/2017 in cui si fa riferimento alla “preziosa collaborazione del Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Napoli, Torre Annunziata e Nola e della Borsa Immobiliare di Napoli (BIN)” con cui si avvia una messa all’asta di una parte consistente del patrimonio immobiliare comunale. Ricordate il primo cittadino Gaetano Manfredi, che al Patto per Napoli aveva vincolato la sua salita a Palazzo San Giacomo, quando andava dicendo “Valorizzare il patrimonio immobiliare per metterlo a reddito”? Politichese. Tradotto significa soltanto cederlo. O per meglio dire, svenderlo.
Significa che Napoli e i napoletani saranno privati – leggi impoveriti – di veri e propri gioielli storici e architettonici quali la Galleria Principe di Napoli, Palazzo Cavalcanti, il complesso del Carminiello a sant’Eligio, l’ex Deposito ANM di Posillipo, le caserme della Polizia di Stato in via Medina e quella della Guardia di Finanza in via Quaranta, l’ex Villa Cava a Marechiaro.
Queste non sono tutte le proprietà di cui il Comune si disferà, ma solo quelle di cui si disferà nell’anno in corso. A queste vanno aggiunte altre strutture come lo Stadio Diego Armando Maradona – ex San Paolo – e altri impianti sportivi come il Palazzo del Consiglio Comunale di via Verdi. Non fanno eccezione le partecipate come l’ANM, Asia, Napoli Servizi ed altre aziende controllate dal Comune che, dopo il turn over, potranno valere molto di più rispetto all’attuale valore. O almeno così dovrebbe essere.
Eppure, qualche ex collega di Gaetano Manfredi, come il prof. Alberto Lucarelli, docente di Diritto Costituzionale nell’Ateneo guidato proprio da Manfredi, uno dei giuristi italiani più noti, che può vantare anche una breve parentesi da assessore nella giunta de Magistris, aveva lanciato un campanello d’allarme paragonando il Patto agli “aiuti” che la Commissione Europea aveva messo in campo per la Grecia di Tsipras, quella Grecia in cui si negò persino il latte ai bambini.
E, tra le cose gravi, questa non è certo la più grave: pur di salvare sé stesso, il Comune di Napoli ha accettato una svendita senza alcuna condizione. Un po’ come la resa incondizionata dell’Italia nella II Guerra Mondiale, fatta passare per armistizio, impastata con la liberazione, firmata a Cassibile le cui clausole ancora oggi, quasi cent’anni dopo, continuano ad essere segrete. Anzi, secretate. Così nel Patto per Napoli – dove quella semplice preposizione avrebbe dovuto sancire quantomeno un complimento di vantaggio – sarà lo Stato italiano, per mezzo di una Società per Azioni – la Imvit, – non solo ad occuparsi della liquidazione dei beni immobili del Comune, ma addirittura a dettarne le condizioni. Che saranno pari a zero o che rasenteranno tale livello, visto che l’obiettivo è vendere per fare cassa. Per Imvit, per Napoli e per lo Stato. Come ricorda(va) ancora – e inutilmente a quanto pare – il prof. Lucarelli “I soldi erano quelli della legge finanziaria del 2022 ma legati ad un contratto di diritto privato dove il contraente – lo Stato, ha dettato tutte le condizioni al Comune di Napoli. Altro che valorizzazione del patrimonio pubblico cittadino: qui si tratta di alienazione, di vendita, di svendita. E non faranno eccezione castelli, monumenti, edifici di interesse storico che potranno andare in mano di privati che potrebbero anche decidere di non far godere di storia, cultura e bellezza il pubblico.
Se questa è la “legge”, però, subito è stato trovato l’inganno, perché un’eccezione c’è ed è rappresentata dall’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Materdei, oggi centro sociale occupato dalla sinistra che ha pensato di stabilirci la sede del partito Potere al popolo.
Il palazzo occupato non rientrerà nella compra-(s)vendita di stato perché per i piccoli rivoluzionari rossi si sono mossi i paparini che hanno fatto inserire lo stabile negli immobili da “riqualificare” con i soldi del Pnrr, ovvero con i soldi di tutti che potevano essere utilizzati per l’intera comunità napoletana.
Non resta che aspettare giugno 2023, dunque, quando la Corte dei conti di concerto con il MEF (chissà se avere lì Gigino sarebbe stato “interessante”) avvierà gli accertamenti per la liquidazione e per il commissariamento di gioielli quali il Maschio Angioino e Castel dell’Ovo e sperare nell’inflessibilità da parte del governo Meloni affinché possa tutelare in qualche modo (ma quale?) il fu patrimonio pubblico. Perché vedere il Comune e i suoi okkupanti ridotti, nella migliore delle ipotesi, ad un ruolo di semplici supervisori non rappresenta certo una soddisfazione nemmeno per quelli che – giustamente – non hanno mai avuto fiducia in loro.
https://www.camposud.it/napoli-svendesi-620-immobili-comunali-diranno-addio-alla-citta-con-qualche-eccezione/tony-fabrizio/

Con l’acqua alla gola…

“Non perché non accada più, ma per quando accadrà di nuovo. Perché accadrà. Dobbiamo imparare a conviverci”.
La sintesi dell’alluvione in Romagna è questa. Che poi è la stessa usata per il covid e che può tranquillamente andare bene anche per la crisi climatica. Energetica. Alimentare.
Perché non è che si deve capire, studiare, prevenire, no. Si deve accettare! E basta. Non ci si vede nemmeno interrogare, ma è così perché così dovrà continuare ad essere. È fatalismo, l’accettazione. Meno chi provoca. E pensare che Venner per invitarci a insorgere contro questo fatalismo si è sparato un colpo alla tempia a Notre Dame. Ma questo la tivvù non lo dirà. I giornalisti non diranno né scriveranno che la Romagna di oggi è (anche) il coronamento di un capolavoro di tal Matteo Renzi che ha cancellato la Guardia Forestale, oggi Carabinieri. Che tipo di correlazione c’è chi lo potrà capire mai. Lo stesso Renzi che potrà tranquillamente essere ricordato e invocato e spergiurato tra qualche settimana, con l’inizio degli incendi che manderanno in fumo le nostre aree verdi. Sempre quel Renzi che oggi, in ottemperanza al precariato (ma solo di facciata, voce del verbo “col culo degli altri”) dirige – sì, proprio così, dirige! – un giornale, ma senza mollare l’attività politica, ridotta ormai a mera demagogia: ricordate quando il bischero toscano proponeva di voler abolire il Senato e di lasciare la politica se avesse perso il referendum? Bene, a referendum perso continua a fare il bello e il cattivo tempo da Palazzo Madama. Viva l’Italia! Anzi no, Italia viva. Finché non muore. E poiché è uno abituato a tenere il piede in due scarpe, oggi fa parte di quella schiera prezzolata che può dirsi fatta solo di comunicat(t)ori che mandano in onda il dramma nel dramma. Per vendere qualche copia in più. Per lo share. Per l’audience. Nessuna riflessione, nessuna domanda scomoda, tipo quella a Bonaccini e Schlein, oggi divisi(vi), ma una volta a braccetto tra Emilia & Ro-magna e che hanno restituito (Dio voglia!) i fondi da utilizzare per le alluvioni e che non hanno saputo utilizzare. Nessuna arrembante prova del giornalismo d’inchiesta che si inerpechi su sentieri poco o per nulla battuti, tipo quelli che portano a Bonaccini e Schlein, oggi divisi(vi), ma una volta a braccetto tra Emilia & Ro-magna e che hanno restituito (Dio voglia!) i fondi da utilizzare per le alluvioni e che non hanno saputo utilizzare.
Nessuno che (si) chieda che fine abbiano fatto e perché i cantonieri, quegli ominidi – tali perché estinti – di cui ogni strada, via, regio tratturo e sentiero pullulava e, pensa un po’, avevano diritto anche ad una casa per tenere pulito costantemente il tratto di strade, cunette, argine dei fiumi e simili.
Nessuno, perché tutti debbono trasmettere l’immagine del pargolo a cavalcioni sull’eroe di turno che sarà da dimenticare presto, non appena il fango permetterà la stesa del tappeto rosso per la (pre)parata di onorevoli, ministri e sottosegretari. Tutti preferiscono immortalare il dramma di chi ormai è disperato, di chi ha perso tutto e che andrà ad ingolfare la fila dei nuovi poveri. Con (mal)celato intento propedeutico. D’altronde è questa la velina che è stata passata ed è questo il messaggio che bisogna passare. Pecunia non olet. Anzi… Da Casamicciola a Cesena. E se dovesse capitare di fare vedere un uomo scampato a morte certa per via dell’acqua che invade il sottoscala, meglio puntare sul terrore dipinto sul volto dell’uomo piuttosto che sulla solidarietà umana, di gente, di popolo che ha permesso con mezzi di fortuna di spaccare i vetri, tirar via la grata e tendere mani e braccia al malcapitato. Non parliamo di avambracci in questa terra, per carità! D’altronde non è questo il compito della c.d. controinformazione? Speculare, complementare, concomitante all’informazione ufficiale. Entrambe accessorie nel farsi dire le cose che si vogliono sentire: è l’emergenza siccità! Macché, è il cambiamento climatico! Cazzo dici, è un modo per farci fuori, visto che siamo in troppi; sono bombe, d’acqua, provocate dalla guerra alle nuvole. Qualsiasi sia la tesi, preferita o meno, valida o meno, irreale o fantascientifica, il fine unico, permesso e consentito, non è la ricerca della verità – che non sta nel mezzo, come la democrazia cristiana, ma alla quale ci si può arrivare tramite il confronto, che è arricchimento. Anche culturale – ma che non ci deve essere confronto che è il frutto della democrazia, così come non c’è democrazia. Che a dirla tutta è solo un frutto marcio. Ma ormai ci dobbiamo nutrire di vermi e muffa. Ci deve essere scontro, non incontro. Ci si deve ancora una volta dividere: “sciatori chimici” contro gretini, verità versus gomblotto. Per cui meglio inveire contro i boccaloni che credono al gretinismo, (consentire di) assiepare le fila delle generazioni FFF, fare passare per pazzoide chi crede ad un secondo fine dell’alluvione e che magari prima “negava” la siccità e il Po in secca. Meglio odiarsi che unirsi. Meglio litigare che fare fronte comune. Meglio accampare scuse, pure fantasiose, che inchiodare un compagno alle proprie responsabilità. Meglio blaterare che andare a spalare fango. E continuare ad assistere allo spettacolo propinatoci da giornali e tivvù. Ma anche con un semplice clic dal divano di casa perché tanto lorocielodiconopure!
The show must go on…