Non era ancora concluso l’assalto alla sede della CGIL che già l’operazione aveva il timbro: operazione squadrista. Quindi fascista e di estrema destra, che non sono proprio la stessa cosa.
So che ormai è costume di certa Italia volgere le cose a proprio piacimento, ma pare che l’assalto – così squadrista che gli scorridori si premuravano di non rompere nulla – sia stato finemente organizzato da coloro che avevano il compito opposto.
Anche i moti pare abbiano un padre e una madre: dalle immagini pare intravedere che uno dei pocchiatori più agguerriti è il dirigente del commissariato Prati dr. Filiberto Mastropasqua. Dalle testimonianze di parlare anche di una donna poliziotto che pare abbia aggredito fisicamente i manifestanti.
A proposito di donne poliziotto: ricordate la Nunzia Alessandra Schilirò per gli amici Nandra, libro fresco di stampa, eloquio e aspetto piacevole? Bene, lei, il “volto di rappresentanza della Polizia”, è stata appena eletta sindacalista e deputata a parlare in pubblico.
Capisco che siamo nell’epoca delle balle di stato ovvero della commissione delle fake news, ma in quanti ad acume politico e istituzionale facciamo veramente ridere!
Ditelo a Landini quando paragona l’attacco alla ZIZIELLE all’assalto alla democrazia e al lavoro che sulla Costituzione più bella del mondo di cui si vantano di essere padri nin ci hanno urinato i fassisti,
Che l’articolo uno, principio fondamentale, loro se lo sono ricordato solo in virtù di un seggiolone di palazzo; che alla Fornero non leccano il culo i fassisti; che il tappeto rigorosamente di rosso (porpora) alla manovalanza importata, clandestina e sottopagata non l’hanno steso i fassisti; che alla collaboratrice che parla per nome e conto della ZIZIELLE devono procurare un vocabolario più ampio, che abbia più accezioni oltre a quello di Ventennio, usato come aggettivo, se proprio non funzionano più le pillole di storia inventata, riveduta e corretta; che la sede sfasciata della ZIZIELLE non è altro che lo scempio che persone come lui hanno creato all’Italia e al mondo del lavoro;
Che se a Roma blaterate di fassismo, a Milano la metà degli arrestati è appartente all’ala anarchica. E se dite che è la metà…
Si parli di questo oggi a scuola (quella buona skuola utile a sfornare studenti più ciucci di europa anche se l’Europa su questo non ci richiama) come dice Enrico Letta, di come l’asinistra non riesce nemmeno più a manipolare secondo la vecchia strategia partigiana di essere banditi spacciati per eroi, da soli e a posteriori.
Ah, tutto questo per il green pass che, come volevasi dimostrare, ha ben altri scopi e nulla ha a che vedere con le misure sanitarie.
A CHI IL NO-BEL?
Premesso che non me ne frega un emerito, emirato, emigrato fiko secco, ma sono curioso di sapere chi porterà a cas(s)a l’ambito riconoscimento del no-bel per la pace.
Per coerenza al no-bel prendiamo, dunque, in considerazione solo onorevoli candidature.
Andrà al moVimento Black lives matter il cui leader ha sequestrato, ammazzato e squartato una ragazzina di 3 anni e per questo è stato condannato e che non è lo stesso che fece a pezzi Pamela?
O andrà alla (s)Carola “senza sizz” e pure senza reggipetto, unica, vera, speronatrice di capi di bestiame di guardia riciclati in guardia di bestiame, di militi muti e obbedienti gratificati con il rancio sulle scale?
Andrà, forse, alla gretina e alla sua rinko girl, scongelate e usate all’uopo e a piacere con la stessa tecnica usata per i vaccini: da -80° con scorta, al buco libero in spiaggia a +40? Vere taumaturghe, tanto da stanare internauti internati cronici e irrecuperabili e trascinarli in strada dove hanno operato il miraculo di non far gridare ad alcuno dei numerosi giorna(bal)listi all’assembra(de)menti, alla mascherina, al contagio? Police free.
La spunterà la cloaca invisibile, innominata e innominabile, vicina-troppo-vicina a De Donno e all’altro medico suicidati(sì!) dal lungo Tevere mentre era a cena con amici per mettere pace tra scienza e fede, ovvero a quella credenza stipata, accettata e che non si osa mettere in discussione per $cienzah e non per fede. Quella fede per fode nella Medicina di Ippocrate tradito e che è stato sostituito con il green pass, unico vero requisito per l’ammissione in facoltà e per la permanenza nell’Ordine. Disordinato.
Forse si premierà il Ministero della pubblica (d)istribuzione incapace di scindere, in realtà volontà di non scindere tra pace e pacifismo. Che organizza la parte-cipAzione dei novelli virgulti alla marcia – ma non era una brutta parola? – sulle orme del fraticello di Assisi? Che abbracciava i lebbrosi, lui sì, ad esempio di quegli scolari che, imbavagliati, non possono nemmeno ruotare di 180° verso il compagno – questa sì che è una bella parola!- di classe seduto al banco retrostante? Che tra i numerosi Fioretti che il figlio di Pietro di Bernardone ci ha lasciato, le oltre mille pagine che siamo in grado di leggere da fonte originale, la copiosa testimonianza della Santa di lui innamorata, Chiara, sceglie che sia lodato Aldo Capitino e non per esersi inventato la marcia della non violenza(?), non per essere filosofo e poeta, non per essere stato tra i primi in Italia ad accogliere il pensiero gandiano, ma per essere antifascista. Anche lui, genio, a Fascismo finito. Che è il vero valore aggiunto. Il placet che serve. Perché serve. Come se il “Fassismo fosse stato solo olio di ricino e manganello” per cui Qualcuno chiese di prendersi interamente la colpa. Altri uomini. Ma vabbè…
A proposto di Gandi: potrebbe meritarselo la new entry Nandra Schilirò? L’eroina novella, in attesa di punizione, del contenere 100mila in una piazza, altro che Dalla con i suoi “100mila in uno stadio”! Questa sì che è stata davvero… la giornata dei miracoli!
Quattro parole “improvvisate” per 10 minuti in cui non ha detto nulla se non il pensiero di quelli che erano in quella piazza mettendoci ugualmente la faccia, a volte feccia, ma che è servito per addobbiare il dissenso. Opportunamente addobbato.
E che facciamo, non consideriamo Mimmo Lucano? Il primo martire perseguitato dalla stessa magistratura amica arruolata, che subisce il calvario in nome dell’ultimo, su cui lucrava e che è diventato un modello? Un modello sul come far soldi sulla pelle della povera gente e non della gente povera. Il Gramsci 2.0.
E Ciccio? Ciccio di bianco vestito meno armi e più vaccini? Vacciccio! Vai Ciccio, vai! Che poi chi glielo dice, perché lo sa, che il vaccino è proprio un’arma con la quale stiamo combattendo questa che è una guerra, forse la più grande guerra religiosa? Con lui nelle vesti – o nella veste che è più politically correct – di Badoglio dell’enclave che apre le porte… all’inferno.
Ma questa è l’epoca covid, perché, dunque, non considerare l’oms? Quella organizzazione deputata e depurata al controllo della sanità che del farsi i cazzi suoi ha fatto un vero toccasana. Farsi i cazzi suoi inteso proprio come affari, guadagno, pecunia. Che non olet, ma contagia. Affari suoi come starsene in disparte per far sì che negli ospedali si adoperassero dei protocolli governativi al posto di quelli sanitari – non del cesso – elaborati da tecnici e non da medici coordinati dal Ministro della Sanità, da uno che ha tutte le carte in regola per okkupare il posto che occupa: non è un medico, né un infermiere, né ha probabilmente mai messo un cerotto in vita sua nemmeno su un suo ginocchio sbucciato. In compenso, è amico degli amici e si è formato nelle scuole giuste, in istituti che si evolveranno poi istituzioni che contano e che sono un investimento nella vita.
Non pervenute le virostar a cinque punte indagati come Galli della Loggia(!), Bassetti, Pregliasco & co. Non si vede un virologo manco a pagarlo!
Ovviamente nessuna lotta intestina e tutti in pace (?) tra di loro.
Si accettano scommesse. E sommosse.
Chissà quando potremo ritornare a parlare di cose serie.
NAPOLI CHOC : OSPITATA E PUBBLICIZZATA LA GIORNATA DELLA BESTEMMIA (GRAZIE ALL’AMMINISTRAZIONE)
Chi credeva di aver visto tutto e il peggio di tutto in questi dieci anni di (indi)gestione della/e giunta/e de Magistris si sbagliava di grosso. Ebbene sì, Gigino ‘o Sindaco, con quasi tutte e due le gambe fuori da Palazzo San Giacomo e tutti e due i piedi in Calabria (direzione andata o ritorno? ), ha deciso di fare un’ulteriore (e si spera, ultimo!) regalo al popolo napoletano.
Dopo aver deciso di ospitare al PAN, il Palazzo delle Arti di Napoli, il “ceci n’est pas un blasphème” (letteralmente “questa non è una bestemmia”), primo Festival delle Arti per la libertà d’espressione, nato per difendere la libertà delle arti dalle leggi antiblasfemia, organizzata dallo staff della campagna nazionale Dioscotto, ideata e diretta da Emanuela Marmo, il signor Sindaco non si é limitato a patrocinare la manifestazione –chiaramente con i soldi dei napoletani – in collaborazione con l’Assessorato all’Istruzione (o distruzione?), alla Cultura e al Turismo di Napoli, ma… ha addirittura deliberato il nulla osta per propagandare la manifestazione.
E come lo si può fare, visto il contesto? Con dei manifesti affissi nelle bacheche comunali. Manifesti chiaramente provocatori, inutili come tutte le “giornate mondiali di”, insignificanti come tutti coloro che per provare a dire cosa sono devono necessariamente ricorrere alla perifrasi di che cosa non sono: antiquesto, antiquello, antifa, antiqua, antilà.
I manifesti in questione sono stati affissi ovunque si trovi una bacheca con stemma del Comune di Napoli: davanti a scuole, chiese, supermercati e ovunque la gente, non ancora chiusa in casa grazie al bel tempo, potesse vederli e per meglio farli vedere hanno utilizzato veri e propri temi. A partire dalla politica e dai partiti (visto l’imminente rinnovo del Consiglio Comunale). E dunque un richiamo al partito politico a loro inviso con tanto di bestemmia; bestemmia anche su una marca di una nota casa di apertivi, con tanto di slpgan-spergiuro in rima. E perché non includere pure i bambini? Ecco servito, allora, Topolino e lo skyline di Disneyland con tanto di imprecazione scritta a chiare lettere. A caratteri cubitali. E se questo è poco, un codice a barre, ovvero l’antenato del QR code, con tanti 666666 e tanto di prezzo imposto: 6,66 euro.
Qualcuno di sinistra ha fatto notare a chi sta più a sinistra di loro che probabilmente si era un poco esagerato. Che qualcuno avrebbe potuto offendersi – e sotto elezione non conviene a nessuno – allora si è deciso di ricorrere ai ripari. Come? Chiaramente con la tattica, se tale può essere, dell’evitamento. Ovvero quel meccanismo di difesa simile al diniego, per cui un individuo si rifiuta di fronteggiare situazioni, oggetti o persone che generano angoscia. Diciamo pure lo scaricabarile: i manifesti sono abusivi? Il Comune non sapeva. Ma il Comune chi? Le pareti? Le porte? Le fondamenta? I manifesti non erano stati autorizzati? Da chi, quindi, li aveva visionati! E a fare l’avvocato del diavolo dell’ex (?) magistrato è dovuta ricorrere nientemeno che la curatrice dell’iniziativa Marmo in persona la quale, svincolandosi anche lei, attribuisce la campagna pubblicitaria all’opera di un writers subevertiser di un kollettivo a loro vicino. Chissà se vicino anche all’assessore Pagano, ex centrosocialista, una volta attivista degli Zer081.
Difficile credere alla versione di palazzo, visto che proprio sul sito ufficiale del Comune si legge che l’evento “è un inno alle libertà di espressione per il tramite della satira anticlericale e antireligiosa. I contenuti sono volutamente forti e possono risultare provocatori nei confronti di chi nutre sensibilità religiosa”. E non solo i contenuti hanno creato clamore, ma anche la rimozione dei manifesti – raggiungendo così il massimo della (peggiore) pubblicità, tramite l’Asia, l’azienda che si occupa dei rifiuti, partecipata dal Comune.
Al di là del gusto e del perché la Marmo parli di blasfemia del sentimento religioso quando ad essere offeso è solo la religione cristiana, la sensazione più becera e ripugnante arriva proprio dal Palazzo e dalla sua “amminestrazione”: le provocazioni lanciate e di cui nessuno sapeva nulla arrivano in un momento religioso molto intenso per i Napoletani, a ridosso della festività di San Gennaro, quando religione e laicismo si intrecciano e il credo e la superstizione si sciolgono fino a fondersi in un miracolo che solo a Napoli avviene. Don Gigino ‘o bluff e i suoi diranno di non sapere nemmeno che il 19 settembre ricorre la festa di San Gennaro che è patrono della città e a cui tutto il popolo napoletano è devoto?
Ma Napoli, che che ne dicano i “nostrani” neoborbonici, è parte integrante dell’italico stivale e tale attacco alle radici e alle identità di un popolo sono tipiche, ma non topiche: il festival della bestemmia di Napoli arriva dopo che a Milano si è tenuta la fiera dell’utero e l’installazione del Caprone gigante con tanto di microfono dialogante apposto tra zampa sinistra e fallo – che per certa simbologia sono la stessa cosa -, dopo il fantasmagorico esercizio di fantasia demoniaca del San Gottardo, di Moloch gradito ospite al Colosseo (dove si giustiziavano i Cristiani), dell’inaugurazione a Cinecittà di Moloch e della divinità azteca che ammazzava gli uomini strappando via loro il cuore. Mentre il Quirinale, ultimo ma solo per ordine (!) cronologico, ospiterà la porta dell’inferno di Rodin. Incompiuta.
Religioso ed eloquente silenzio dal clero napoletano. Mentre quell’uomo vestito di bianco “facente finzione di papa” in fondo al Viale della Conciliazione ci parla dell’atto di amore inoculatorio, mica dei falsi profeti, mica dell’amore universale che si blocca e non valica i confini dello stato Vaticano che orami è green-pass free, della sua (?) volontà di non mollare il soglio di Pietro e che tanti nella città-stato bianco e giallo lo vorrebbero morto. Solo di questo si parla oltre il Tevere. Mica della Passione di Cristo!
Una retorica triste e un egoismo fallimentare come quella del Sindaco togato ormai in libera uscita dalla città, i cui eventi culturali in dieci anni possono contarsi sulle dita di una mano. Ma il nostro pensava a formare la flotta partenopea (naufragata) per la salvezza dei clan-destini – destini dei clan. O magari preoccuparsi del bilancio in rosso delle casse comunali che nemmeno San Gennaro con qualche suo miracolo avrebbe salvato. Ma lui é riuscito con mille alchimie e vergognosi accordi politici a salvarsi ancora una volta. Ma non a salvare Napoli! Proprio lui che diceva di voler trasformare la città sino a compiere una “rivoluzione arancione” e che, al contrario e come prevedibile, ha lasciato la città con le pezze al culo!
https://www.camposud.it/2021/09/napoli-choc-ospitata-e-pubblicizzata-la-giornata-della-bestemmia/
LA DEMOCRAZIA È L’INIZIO DEI MALI
Forse dirò qualcosa di impopolare, ma spero di spiegarmi al meglio.
Spesse volte mi è capitato di vedere etichettato questo governo – che si dimostra sempre più essere dei mediocri e non dei migliori – come dittatoriale, paragonato alle SS e, di rimando, viene invocata a sproposito una nuova Norimberga. Ebbene, sappiate che Norimberga fu essenzialmente un processo farsa: basti pensare che Ribbentrop sedeva al tavolo dalla parte dei giudici e non da quella degli imputati. Per chi avesse voglia di leggere questa mia riflessione clicchi su questo collegamento:
https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=188905296492492&id=100061190680513
Veniamo al governo. Vi pare che questi soggetti che governano per ordine di un CTS chiamato a governare per loro, grazie all’ausilio di una task force di esperti che puntualmente non ascoltano, che non si prendono l’onere e pure l’onore – tale dovrebbe essere per loro – di esercitare quella funzione, ormai defunta, legislativa che è proprio del Parlamento, che non si assumono una cazzo di responsabilità di imporre l’obbligatorietà del vaccino, che poi ti rifilano attraverso una demenzialità come la certificazione verde che non è altro che la faccia (e la feccia) mascherinata del governo che ti viene a dire che, se non ubbidisci, non ti dà la caramella, possano essere definiti dittatori? Per essere un dittatore ci vogliono le palle e questi non ce l’hanno, ma in compenso, le dicono.
Tutt’al più sono dei tiranni per come si comportano, per come (s)governano, per la malvagità col quale arrecano danni alla Nazione ed al suo popolo (grren-pass, svendita delle industrie, aumento dei costi delle bollette…).
La dittatura, invece, è tutt’altro che una forma di governo negativa, almeno dai Romani che l’hanno inventata. In origine, infatti, il concetto rivestiva una connotazione positiva, proprio per il suo carattere emergenziale. Non si trattava della scelta del male minore bensì, e al contrario, di una sorta di estrema salvezza, di risoluzione in eucatastrofe dell’imminente catastrofe abissale.
La dittatura, in altre parole, era vista e vissuta come una sala chirurgica d’urgenza in cui veniva operato il decisivo intervento salva-vita. Per i Romani, che dovevamo solo prendere a modello, come il mondo intero per il loro Diritto, senza stravolgerlo con la pretesa di migliorarlo, era un istituto previsto per i casi di emergenza, con una durata breve (non più di sei mesi, e non oltre il decadere della nomina del console che l’aveva istituita), con poteri limitati (poteva non applicare certe leggi, ma non crearne di nuove); era un istituto che godeva di prestigio, ma che ha ben poco di comune con il moderno concetto di dittatura. Penso a Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore e alla alla dittatura dittatura nella fase più drammatica della Seconda guerra punica, considerata da alcuni storici la prima guerra mondiale dell’antichità. Dopo la battaglia del lago Trasimeno e la schiacciante vittoria di Annibale, Fabio Massimo venne nominato dittatore e, come scrisse Cicerone, enerva vit, snervò, il conflitto evitando ogni contatto con le forze nemiche, neutralizzando così il superiore genio tattico del generale cartaginesi, applicando la regola evasiva di ogni lotta di guerriglia. La dittatura del Cunctator il Temporaggiatore (forse sarebbe meglio dire il Guerrigliero o l’Evasivo), giunta a termine dopo i canonici sei mesi, permise a Roma di riprendere fiato. Nella dittatura romana, gestione monocratica del potere, sospensiva della collegialità repubblicana e istitutiva di un governo d’emergenza, veniva sospeso il principio collegiale con il dictator che assumeva il potere di entrambi i consoli, ma alla fine del periodo prestabilito le magistrature ordinarie riprendevano regolarmente le proprie funzioni. Un po’ come ha fatto il dittatore ungherese Viktor Orbán. Lì sì che di è sentito davvero la presenza dello Stato, concetto sul quale in Italia stanno lavorando affinché sia avulso sempre più dal popolo. Che poi popolo e Stato sono la stessa cosa. Però, poi, una forma di governo dove lo Stato era onnipresente, che si occupava di ogni aspetto della vita del cittadino, dal sostenere l’aumento demografico, alla nutrizione, all’istruzione, alla crescita (sana con l’educazione fisica obbligatoria), al lavoro, al pensionamento me lo considerate dittatoriale. Ma non nel senso “romano” del termine, in cui il Fascismo affonda le proprie radici, ma in accezione occidentale e “uccidentale”. Che, con le concezioni moderne, tuttalpiù potete considerarlo un totalitarismo: c’è stato sempre il Re su Mussolini: sia il 30 ottobre quando il re Vittorio Emanuele III affidò a Mussolini l’incarico di formare il nuovo governo, sia quando quest’ultimo, il 9 maggio 1936 gli consegnò “l’impero sui colli fatali di Roma”, sia quando il 25 luglio il re Sciaboletta ordinò di far arrestare Sua Eccellenza.
La democrazia (demos=popolo, cratia=governo ) non è altro che il governo del popolo, ovvero la possibilità di dare alla massa, sempre più meno pe(n)sante e informata e sempre più formata, di scegliere i propri rappresentanti. Ecco spediti i Di Maio, i Toninelli, gli Zan et similia al governo. Ecco palesata la truffa del centrodestra al governo, a chiacchiere contro green-pass e stato d’emergenza, ma assenti in Aula o in missione quando si tratta di votare i provvedimenti. La missione loro affidata non è quella di presidiare e combattere in quei palazzi? Ecco servito il bluff della cartina dell’Italia spartita tra rossi e blu, con prevalenza di regioni blu: 14/20. 14 VS 6. Sapete quanti Consigli regionali bastano per far saltare leggi, dl, dpcm lapalissianamente folli? 5. Il Centrodestra ne ha quasi tre volte tanti.
Però voi continuate a invocare libere elezioni, volendo eleggere sempre gli stessi personaggi, con questa legge elettorale. In nome della democrazia.
SINISTRA NEGAZIONISTA E VERITA’ INFOIBATE !! L’ultima follia del Rettore di Siena. Lo sdegno delle Associazioni delle vittime delle foibe.
È arrivato come un temporale d’estate e quanto un temporale d’estate è durato. Effimero, come impongono deve essere la concezione della vita in questo mondo moderno. Priva di radici, priva di valori, priva di un domani. Una esternazione di carattere politico laddove la politica dovrebbe lasciare spazio al pensiero, al libero pensiero, che avrebbe dovuto comportare conseguenze di un terremoto e invece, è caduta nel baratro del dimenticatoio a favore di un’altra folle esternazione. Di pari livello. Parliamo del mondo accademico, delle università di Pisa e di Trieste e dei loro magnifici rettori. L’università triestina, con il suo obbligo di green pass (anche) per dare gli esami che devono essere sostenuti in presenza, ha rubato la scena al rettore dell’Università di Pisa che, ancora una volta, tanto per cambiare, ha negato l’esistenza delle Foibe. Nessuno, però, gli ha attribuito del negazionista, quell’epiteto con cui si etichetta, ad esempio, chi osa mettere minimamente in dubbio i numeri della shoah. E attenzione a non definirla impropriamente olocausto, passato oggigiorno a definire chi si interroga sulla narrazione imperante, nel caso ultimo, sul covid 19
Nessuno, eccetto una forza extraparlamentare di “violenti, nostalgici picchiatori”, ne ha chiesto la rimozione dall’incarico di questo “illustre” accademico. Incarico che gli è stato recentemente conferito. Ed é davvero grave il silenzio delle Istituzioni su questo fatto di una gravità assoluta. Che, quanto meno, denota una profonda ignoranza storica di un cattedratico. Per non parlare della faziosità e della partigianeria insopportabile.
Imbarazzante, seppur eloquente il silenzio del ministro della Pubblica Istruzione Patrizio Bianchi, che non è pervenuto non si sa perché. Se perché è in vacanza, nonostante lo stato di emergenza prorogato al 31 gennaio 2022, o perché… boh! Ma da uno che è stato chiamato a sostituire una Ministra che ha comprato migliaia di inutili banchi a rotelle sperperando denaro pubblico e che ora affollano i sottoscala delle scuole disastrate, non ci si poteva aspettare di meglio. Meglio persino il dj Bonafede quando espose la massima “un reato quando non è doloso, è colposo”. Non pervenuto neanche il Presidente della Repubblica, muto e probabilmente in vacanza anch’egli. Qualche post da parte dell’opposizione che paga lo stipendio allo spin doctor pure ad agosto, per cui meglio farlo lavorare. Già, perché oggi la politica si fa così. Con un cinguettio in riva al mare e non più in Parlamento, dove nessuno più usa e osa presentare proposte di legge, controbattere, opporsi, fare battaglie. Un Parlamento esautorato delle proprie funzioni, visto che ormai le Leggi sono state sostituite dai Decreti e prima ancora dai Dpcm, dalla Circolare Compensativa Ministeriale e dall’umore del Ministro che ha mal digerito la peperonata della sera prima, piuttosto che la salutare minestrina.
Evidentemente un atto dovuto quello del dr. Montanari, un ripetitivo “rito di iniziazione” di chi, magari in assenza di talento specifico, basa la propria carriera sul solito, ripetitivo antifascismo bislacco e da teatrino.
Nessuno che abbia avanzato dubbi sulla sua sanità mentale, sulla sua capacità morale – lapalissianamente assente – e sulle sue competenze culturali. Ma il Montanari, per essere davvero magnifico, non si limita a negare l’esistenza delle Foibe, ma addirittura chiede la cancellazione della Giornata del Ricordo. Quella che ogni anno il Presidente della Repubblica commemora pubblicamente al Quirinale.
Ma se l’illustre Rettore non vuol credere alla storia di Norma Cossetto, studentessa stuprata svariate volte solo perché era figlia al segretario politico del Fascio locale (Santa Domenica, oggi Croazia), può informarsi sulla fine, differente solo per età, di Giuseppina Ghersi che quando fu stuprata e uccisa di anni ne aveva solo 17. Se questo non gli basta può ricercare notizie in merito alle restanti 2363 donne, che sono solo quelle accertate, cui i partigiani comunisti hanno riservato la stessa fine. Se questo non gli è ancora sufficiente, può chiedere direttamente alla signora Egea Haffner, ancora vivente e “passata alla storia” come la “bambina con la valigia di cartone” privata persino del nome e dell’identità, come accadde pure al padre, colpevole solo di conoscere il tedesco. Può chiedere ai tantissimi deportati dell’Istria e dalla Dalmazia o ai loro figli e nipoti viventi, testimoni di inenarrabili atrocità.
Le opinioni del Rettore dell’Università per stranieri non saranno certo assunte a verità e Montanari, forse ne è cosciente anche lui, è solo l’ultimo utile idiota che si affanna in simili idiozie partigiane. Ma le sue affermazioni sono gravi perché vanno contestualizzate in un periodo in cui si imbrattano le statue, si rovinano irrimediabilmente le antiche vestigia, si annientano radici e valori, si distruggono sapere e sapori: un’altra tessera nell’orribile mosaico del cancel culture, del black lives matter, del finto buonismo e dell’essere forzatamente tutti uguali, senza capire che la vera ricchezza è proprio la diversità tanto negata e demonizzata proprio da quelli che la vogliono abolire.
In attesa che qualcuno in un futuro molto prossimo elogi per le “scelte economiche” gli infoibatori perché risparmiavano proiettili, visto che la gente da infoibare era legata con del filo spinato ai polsi per cui bastava colpire il primo perché trascinasse con sé tutti gli altri. In un misto di morte-vita-sofferenza in modo da acuire ancor più il trapasso. Ma queste sono verità storiche inconfutabili. Per cui ci si dovrebbe interrogare piuttosto sul perché di queste menate della “sinistra” intellighenzia. Cosa nascondono queste esternazioni folli e stomachevoli di rappresentanti del mondo Universitario, apertamente espresse da un uomo di sinistra che ricopre un ruolo pubblico, oltre che di educatore e docente?
Il punto è che rischiano di combattere, e la sconfitta appare più che evidente, ad armi pari: a partire dal definire il termine foiba, per troppo tempo vergognosamente derubricata a cavità carsica. Due parole. Stop. Meno si dice e meglio è. Magari dovrebbero ammettere che le brigate partigiane non erano altro che un’accozzaglia di personaggi che avevano tutti i crismi per essere considerati dei banditi, senza una uniforme, senza una regolarità e senza una parvenza di riconoscibilità. E men che meno di pietà umana. Che il loro odio è stato riversato esclusivamente nei confronti dei loro stessi connazionali. Spesso conoscenti che hanno condannato a morte in spregio ad ogni regola persino di guerra. Che sono stati capaci di atroci nefandezze verso gente che non c’entrava nulla con il loro livore. Che tanti crimini potevano essere evitati perché gratuiti. Che feroci delitti rispondevano solo al loro odio per una ideologia che non contemplava altro. Che loro stessi sono state solo pedine di un disegno volto a fare della loro Patria uno stato satellite di una Paese criminale, dove ogni libertà era bandita, dove ogni pensiero era vietato. Che sostanzialmente gli antifascisti hanno combattuto una guerra civile anche dopo che era già finita una guerra mondiale. Commettendo delitti di guerra a guerra finita. Che non è poi tanto differente dall’idea praticata oggi di combattere il Fascismo a 80 anni dalla sua caduta.
https://www.camposud.it/2021/09/sinistra-negazionista-e-verita-infoibate-lultima-follia-del-rettore-di-siena-lo-sdegno-delle-associazioni-delle-vittime-delle-foibe/
Le nuove esternazioni del governatore dopo la pausa estiva!!
Sarà stato il troppo sole della pausa estiva, sarà stata l’astinenza da microfoni e telecamere, ma Vincenzo De Luca riprende in grande stile e lo fa a modo suo.
L’occasione è la visita all’AIR, l’azienda di trasporti irpina, ed è subito show. Manco a dirlo sulla tematica tormentone che tiene banco ormai da due anni: il covid.
Il Presidentissimo critica il “governo delle mezze misure” dove lui non è riuscito ad approdare e con piglio da consumato statista di polso sinistro incalza i duecentocinquanta astanti circa, che sono poi tutti dipendenti dell’azienda di trasporto pubblico locale: “Vaccino obbligatorio per tutti i lavoratori del settore!”.
La Campania, a detta del detentore del lanciafiamme, punta a raggiungere eccellenti traguardi arrivando a vaccinare con entrambe le dosi 4 milioni e 600 mila cittadini per “riavvicinarci alle nostre vite a ottobre”. Incuranti di ciò che loro pensano. Proclama che ha tutto il sapore del tormentato tormentone governativo del “chiudiamo adesso per salvare il Natale, per riprenderci poi l’estate e abbracciarci infine domani”. Teatrino emergenziale che va avanti da due anni e mezzo, teatrino che risponde al nome di “emergenza sanitaria” quando il massimo organo in fatto di salute (l’OMS) ha solo parlato ufficialmente di epidemia e mai di pandemia. Ma per De Luca la cosa è ininfluente. Come la sanità da lui “amminestrata” che, proprio nel momento dell’emergenza pandemica, ha mostrato tutte le sue falle, fruttandogli più di una denuncia.
De Luca, si sa, è un democratico partito, ignorante del fatto che i lavoratori che decidono di non sottoporsi alla vaccinazione lo fanno proprio in ottemperanza ad una legge che, per scelta o incapacità del governo centrale, non impone ancora l’obbligatorietà vaccinale. Almeno quella diretta. Perché anche lui, uniformandosi al (dis)fare del governo che quotidianamente critica, sceglie la via indiretta del mezzo ricatto: se il vaccino è obbligatorio, ma solo in Campania e solo secondo lui per il comparto dei trasporti, va da sé che chi non si vaccina non può lavorare. Ma poi con la consueta faccia tosta da esponente di certa politica consumata, o meglio, consumato da certa politica, rassicura i lavoratori, non disdegnando l’immancabile zeppata al morente Gigino de Magistris e alle (fu?) ANM e CTP, con fare da vero Maramaldo: “noi tuteliamo i posti di lavoro”. Prova di coraggio (e di stomaco) per l’inquilino di Palazzo Santa Lucia che lo dice proprio in quella azienda che ha visto “avvicendarsi” l’ingegner Alberto De Sio, salernitano manco a dirlo, scelto – leggi imposto – direttamente da De Luca al posto dell’irpino Angelo D’Amelio, difeso dall’acerrimo nemico-amico deluchiano Ciriaco De Mita.
Un altro salernitano, proveniente dalla dirigenza della Salerno Mobilità, società in house al comune di Salerno, nominato questa volta Amministratore Unico dell’Autoservizi Irpini. In ottemperanza al famigerato e famelico patto di Marano che ha visto l’opera di completa distruzione dei territori interni a due mani.
Immancabile anche la stoccata al medagliere impettito del gen. Figliuolo e della sua scelta di avvalersi del commissario sanitario. Scelta disprezzata e condannata da Vicienzo in virtù del fatto che il generale deve occuparsi della logistica per cui non gli servirebbe il parere di un perito tecnico. Immediatamente poi, pur non essendo lui un tecnico, ma forse solo “perito”, sveste i panni da tuttologo e veste quello del disinformatore interessato, spacciando come definitivo l’ok per il vaccino Pfizer. In realtà, non è proprio come dice De Luca che deve aver fatto un bel po’ di confusione: la FDA, l’agenzia che regola la distribuzione dei farmaci negli Stati Uniti (non in Italia!) ha pubblicato due lettere. In una lettera autorizza la distribuzione del vaccino Comirnaty. Nell’altra, conferma lo status di autorizzazione d’emergenza del vaccino Pfizer. C’è un problema però. Il dottor Malone spiega che il vaccino Comirnaty prodotto sempre dalla Pfizer non è ancora disponibile sul mercato. La FDA ha quindi autorizzato qualcosa che ancora non è stato distribuito. Sempre la FDA e i media hanno giocato (?) volutamente su questa ambiguità per poter far credere al pubblico – e pure a De Luca – che fosse stato il vaccino Pfizer in realtà ad essere autorizzato. Pertanto, siamo di fronte all’ennesima informazione non ortodossa o, se vogliamo, all’ennesima manipolazione mediatica.
Poi, per coerenza, il governat(t)ore rincara la dose: “i no vax non lavoreranno in Air”. Chissà cosa ne penseranno i dipendenti della mobilità del comparto casertano Clp a cui ha promesso di entrare in Air, vantandosi di aver creato posti occupazionali pari a quattro volte la Whirlpool. Chissà se prima o dopo la chiusura, ma comunque quella salvata da Di Maio, allora ministro del lavoro.
Un successo pari a quello venduto da De Luca dei posti in terapia intensiva moltiplicati che manco Gesù col pane e coi pesci: quotidianamente, esponenzialmente, a dismisura, ma solo a parole. Da disponibili, in occupabili, in attivabili, in ipotetici, in…ventati.
Insomma, De Luca ritorna sulla cresta dell’onda e lo fa secondo il suo consueto stile, senza vergogna né pudore, che ormai, se non fa più ridere, inizia ad assumere i caratteri del patologico cronico degenerativo.
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LE 53 GIOVANI VITE SPEZZATE DEI NOSTRI MILITARI CADUTI IN UNA GUERRA INUTILE E SANGUINOSA: Offende oltremodo la repentina ritirata deli americani e degli alleati occidentali
La notizia arriva in una serata rovente di un ferragosto strano, privato del suo significato e della sua essenza: sul palazzo presidenziale di Kabul è stata ammainata la bandiera rossoneroverde della repubblica islamica ed è stato issato il lugubre drappo dei talebani. La notizia si rivelerà poi una bufala, come se la gravità del fatto non bastasse già da sé ad attirare l’attenzione e fosse necessario ricercare lo scoop o calcare la mano. Ciò che, invece, è una realtà che non si cambia è che questa notizia l’ha ascoltata la madre di Giuseppe La Rosa, 31 anni e primo militare italiano a morire in Afghanistan, nella provincia di Farah. L’ha vissuta la mamma di Giovanni Bruno, caporalmaggiore 23enne, ultimo a tornare avvolto nel tricolore da laggiù. E come loro ha trafitto l’animo delle altre 51 mamme, delle altre 51 famiglie dilaniate in vent’anni da altrettanti lutti. I loro figli caduti nell’adempimento del proprio dovere, caduti perché credevano in ciò che facevano, caduti e oggi reso vano persino il loro estremo sacrificio.
La notizia viene data dalla giornalista della CNN in abaya – il velo afgano che copre i capelli e il collo lasciando scoperto il viso – e immediato sale vibrante il coro monòtono e monotòno: tutti a gridare alla libertà delle donne che ha il sapore della polemica trita e ritrita ogni qualvolta un convoglio battente il tricolore veniva colpito a fuoco e cadevano, abbattuti, i nostri militari.
Polemiche, accuse, cordoglio, funerali in pompa magna, magari in diretta, ottimi per la passerella istituzionale, Ripensamenti di circostanza e poi di nuovo un altro alzabandiera seguito dall’ammainabandiera tra le strade polverose di Kabul, di Farah, di Herat.
Man mano che iniziavano a familiarizzare con nomi quali Camp David, base avanzata, lince, rullista… già perché ogni mamma, padre, moglie o figlio “sapeva” che il “loro” soldato laggiù sbrigava pratiche di ufficio, era impiegato presso la base e non usciva in pattuglia. Per evitare polemiche, preoccupazioni, pensieri.
Gli Italiani in quella parte di Asia hanno costruito pozzi, ponti, scuole, hanno distribuito derrate alimentari e assistito la popolazione e il solo caduto civile in un conflitto a fuoco dimostra che esiste un italian style anche nel combattimento. Quel combattimento che non era nostro, quella guerra fatta per (ri?)stabilire la pace, quell’impegno assunto perché siamo “parte integrante della NATO”. E così, mentre i nostri militari laggiù erano impiegati in una “missione” di pace e di istruzione ( il neologismo ipocrita con cui (non) si USA e osa definire guerra) attraverso cui sono stati apprezzati dalla popolazione locale e si guadagnavano la fiducia e la riconoscenza degli “occupati”, gli ideatori a stelle e strisce della stessa missione combattevano il terrorismo islamico e il fondamentalismo religioso in un territorio che, sottoposto al loro “attento controllo”, raddoppiava, triplicava, incrementava esponenzialmente la produzione di oppio fino a diventare il primo Paese al mondo per la coltivazione di quel prodotto trasformato poi in eroina e morfina.
Cosa resta oggi degli insegnamenti alla popolazione locale dei nostri 53 ragazzi morti anche per loro? Quale introvabile altare visiteranno gli orfani degli immolati? Italiani che nel caldo asfissiante e polveroso, tra un tramonto mozzafiato e un’alba troppo giovane hanno insegnato alle locali forze di polizia il controllo del territorio, l’istruzione, il sacrificio, oggi ripagati con le immagini delle colonne di mezzi militari abbandonati sul ponte al confine con l’Uzbekistan dall’esercito americano in fuga. Quale il significato dei soldiers in ritirata che passano correndo davanti ad uno stranito militare che ha tutta l’aria di essere un nostro Carabiniere, che ancora imbraccia la sua Beretta Pm12? Strano modo quello di ripagare la sofferenza e il sacrificio dei lunghissimi e rinnovabili centottanta giorni di permanenza in territorio straniero – che poi non sono mai tali, perché il cambio non arriva mai puntuale – con militari e diplomatici saliti sui tetti per guadagnarsi il loro posto nel fuggi fuggi a bordo di un elicottero. Siamo lì per aiutare la popolazione locale – così dicono – che lasciamo dopo vent’anni abbandonata al loro destino. Che lasciamo nelle stesse condizioni di prima. Se non peggio. In mano ai talebani. O ai tagliagola dell’ISIS. Siamo lì per esportare la democrazia – ci dice l’Amerika – la sua demokrazia, per un profondo senso della giustizia e della libertà, proprio noi che siamo diventati l’Italia di Palamara. Proprio noi parliamo di libertà che siamo sottoposti silenti, dormienti e consenzienti alla folle imposizione liberticida del green pass. Cosa direbbero i 53 soldati caduti a vedere ridotta così la loro Patria, diventata ormai solo una brutta parola?
Dov’è il bastimento equipaggiato dei Boldrini, dei Del Rio, dei Letta, degli Zan che salpa repentino per andare a parlare di libertà ed emancipazione ai tagliagola del nuovo califfato islamico? E prima, hanno chiesto alle donne locali se non è un’imposizione togliere loro il velo in casa propria? È questo il frutto del nostro impegno di uomini e risorse economiche. Questo è il traguardo raggiunto dopo vent’anni. Che non sono certo un Ventennio! In vent’anni il mondo è cambiato, ma a non cambiare sono stati i talebani. Che piedi scalzi e barba in faccia hanno lottato e sconfitto la Russia prima e l’America dopo. Da umili pastori. Senza tecnologie e senza l’industria bellica dai grandi capitali. Il mondo è cambiato e la “cortina di ferro”, che ha gli anni della NATO, ha un nuovo fronte. Che è quello cinese. Che proprio USA e UE troppo spesso sottovalutano o dimenticano addirittura. Quella UE ridotta a grande ONG, buona sola per i migranti. Quella Italia che sarà il corridoio umanitario attraverso cui passeranno anche i tagliagola, i terroristi, i fondamentalisti. Che, se non sosteranno, di certo non si limiteranno solo a passare. Forse è il caso di riconsiderare il nostro impegno nella NATO e nella UE, forse è il caso di impiegare finalmente i nostri militari per la difesa dei sacri confini della Patria, dell’Italia. Solo così un sacrificio non sarà vano nè vanificato da altri. Che è l’atto peggiore. Forse andrà considerato che non si possono servire due padroni: obtorto collo, siamo colonia dal 1943 e oggi non possiamo inventarci partner commerciali della Cina che compra l’italia a pezzi, facendoli scivolare su quella Via della Seta che è la corsia preferenziale per portarci la guerra in casa. Mentre i nostri militari vengono impiegati a fare la caccia a chi la domenica mangia gli arrosticini, piuttosto che andare a interrompere la Santa Messa. Quei militari che manganellano i loro stessi connazionali che si battono per la privazione dei diritti. Anche di quelli in divisa. Che si indignano ugualmente, pur non indossando l’uniforme, quando li vedono mangiare sulle scale della mensa con il rancio consegnato in un sacchetto di carta. Forse i talebani non stanno solo in Afghanistan, dove per adesso hanno promesso un passaggio di comando deciso, ma incruento, hanno aperto al diritto di istruzione per le donne e altre libertà che, oggi in Italia, non sono più così scontate. Manterranno le promesse? Vedremo. Ciò che, al contrario, non rivedremo più sono i 53 militari che a Kabul, a Herat, a Farah ci hanno lasciato la vita. Che l’Italia ha dato loro. Che i governanti di questa Italia sciatta e senza dignità hanno strappato loro!
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BRUSCIANO celebra il suo eroe di guerra con un atto che sa di rivoluzionario !!
È stato inaugurato ieri mattina a Brusciano il murales intitolato al Sergente pilota Giovanni Esposito, eroe della Guerra d’Africa, caduto in battaglia nei cieli di Dessiè in Etiopia il 15 febbraio 1936.
Il pilota bruscianese fu “decorato al valore con la medaglia d’argento del Nastro Azzurro” e ricordato quale pilota ardito, entusiasta, esempio fulgido di volontarismo in Africa Orientale. In numerose azioni, affrontava tutti i rischi pur di raggiungere risultati pari alla sua fede di combattente. Il suo aereo (un Savoia Marchetti S.81) precipitò per cause ancora sconosciute, probabilmente in seguito ad un attacco e, nel tentativo di atterrare e salvare la sua vita e quella del suo equipaggio, trovò la morte con i suoi camerati” dell’equipaggio. E’ quanto si legge nel comunicato a suo tempo diramato dall’Arma Aeronautica e ripreso dall’Associazione “La Cima” che ha ideato, fortemente voluto e realizzato l’iniziativa.
A lui è già dedicata l’arteria principale del suo paese, ma in tanti, grazie all’encomiabile lavoro di questi ragazzi, hanno potuto conoscere chi fosse davvero questo eroe dimenticato.
Numerosi sono stati gli astanti che, fieri, nel corso della manifestazione, hanno ringraziato l’Associazione “La Cima” per aver riportato alla luce questa storia del loro illustre compaesano finora taciuta o addirittura sconosciuta. Un sussulto di orgoglio e di appartenenza, di legame con il paese vesuviano, proprio come testimoniato dallo stesso Giovanni Esposito il quale era solito passare a volo radente i cieli sopra Brusciano per “salutare” il suo paese. Un particolare suggello a testimonianza del suo legame con il paese natale, dove lasciava cadere anche un fazzoletto profumato in dono per la sua promessa sposa, mai più salita all’altare dopo la morte del suo amato Giovanni.
Il murales che ritrae il volto del sergente pilota bruscianese in compagnia del suo aeroplano, in un tripudio di colori, incorniciato dall’immancabile tricolore sullo sfondo di cieli solcati, è opera del locale artista Pasqualino Mocerino.
Commovente anche la cerimonia, al suono di una tromba che ha intonato il Silenzio fuori ordinanza e l’Inno d’Italia, tra gli scroscianti applausi della cittadinanza commossa e lo sventolio del tricolore.
Un vero atto rivoluzionario quello compiuto dall’Associazione “La Cima”: viviamo i tempi del Black Live Matter, dove appartenenza e radici vengono estirpate in nome di un politically correct che più irrispettoso non si può. Dove i monumenti e le vestigia dell’antico splendore, ma anche del pensiero non non uniformato a quello imperante vengono imbrattate con la speranza di cancellarle. Ma a Brusciano, con una maestosa creazione artistica, viene glorificato un “proprio” eroe caduto per difendere la propria Patria fuori i confini nazionali. Dove “proprio” è da intendersi non in quanto bruscianese, o non solo bruscianese, ma della Patria, dell’Italia intera. Quella difesa, glorificata e resa sacra attraverso il dono della vita.
Un esempio di spirito di abnegazione per le generazioni presenti e quelle future, uno sprone a conoscere ciò che eravamo per marcare la propria identità e proiettarla nel futuro, (re)stando «Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!…»
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La nostra satira Il governo allenta la morsa delle restrizioni? Ce pensa Don Vicienzo!!
L’indice RT scende, il contagio rallenta, il virus zoppica, i malati sono pochi, i morti pure, i vaccinati sono in numero esiguo perché non ci sono (più) vaccinabili, gli hub chiudono, le dosi avanzano, le dosi si regalano, le dosi si iniettano pure quelle scadute, si amalgamano, si scheckerano, la gente esce, respira, vive, tenta di riappropriarsi dei propri spazi e delle funzioni che sono insite nell’essere umano, perché ormai saturi di restrizioni. Sfiniti nel vero senso del termine dal ritornello usato ed abusato “resta a casa”, “andrà tutto bene”?
E allora ? Ce pensa Vicienzo!
Il presidente del Consiglio Mario Draghi “premia” gli Italiani graziandoli dall’obbligatorietà dell’uso della mascherina all’aperto e il “politico-nemico” mette il cappello, il suo, su tale obbligo caduto. Buono per essere spacciato in tema di consensi nonostante questo divieto non sia mai esistito in base alle legge 159 del 2020 !! Questa è lesa maestà: ce pensa Vicienzo!
Nel corso del (purtroppo) consueto appuntamento con la “croce del venerdì” ovvero, quando il presidente De Luca ogni sette giorni si sfoga in diretta radio-tele-cavo-piccione-omnia-streaming davanti al gonfalone della Regione e ad un bicchiere d’acqua (?), il Presidentissimo anticipa che ha già conferito mandato ai legislatori del Regno di mettere in campo la giusta pena per chi mancherà di ottemperare all’ordinanza n.19. Il “regio lagno” prevede il categorico divieto di vendita con asporto di bevande alcoliche di qualsiasi gradazione dalle ore 22:00 alle ore 06:00 da parte di qualsiasi esercizio commerciale e di distributori automatici. Ovviamente c’è anche un punto B che precisa e integra il punto 1 nella misura in cui le bevande alcoliche sono vietate fuori dai locali e negli spazi pubblici all’aperto anche se te le porti da casa. Va da sé che l’alcol (anche a fiumi) resta consentito al banco del locale perché alla porta deve esibire il green pass della Regione, che ne regola la topicità e tipicità della deglutizione.
Poi raccomanda (che non è una brutta parola) ai Comuni ed altre Autorità non meglio specificate la vigilanza atta a impedire che si formino assembramenti nella zona della movida e negli orari di cui sopra.
Poi, solo poi, si ricorda che la Campania, Contea da lui stesso amministrata, è parte di un più ampio territorio delimitato da confini nazionali. E allora fa appello all’ordinanza del Ministero della Salute ( nazionale) che obbliga all’utilizzo di dispositivi di protezione (non solamente mascherine, quindi) delle vie respiratorie in situazioni in cui non è garantito il distanziamento sociale (?) e in luoghi non isolati quali centri cittadini, piazze, lungomari.
Ma quant’è bravo Vicienzo??!! Bravo certamente, ma ad imbastire la campagna elettorale. Ma non è stato rieletto solo pochi mesi fa? Sì, ma adesso a Napoli si vota di nuovo per le amministrative e De Luca prepara la “sua” campagna elettorale! D’altronde, se è riuscito a farsi riciclare dal suo partito pronto a scaricarlo, da quel Pd per cui è tesserato; se è riuscito a sfruttare una pandemia a proprio uso e consumo per “sfregare” ancora un po’ con le sue terga lo scranno più alto di Palazzo Santa Lucia; se è riuscito a trasmettere il panico fobico ai suoi corregionali per non farli ricorrere alle prestazioni sanitarie in ospedale, piuttosto dirottandoli verso quella sanità territoriale (i distretti sanitari di base) che lui ha “straordinariamente” auto-commissariato, distruggendoli; chiudendo ospedali; inaugurandone altri anche più volte; ma sempre gli stessi che non sono mai entrati in funzione, riconvertendo reparti, facendo avanzare carriere in odor (o tanfo) di elezioni. Perché, dunque, non continuare a reggere il gioco (e il giogo) in vista della competizione per Palazzo San Giacomo? Sempre che DeMa non se lo venda prima!
Che poi a leggere, anche distrattamente, l’ordinanza n.19 del 25 giugno 2021, più che dettare disposizioni e raccomandazioni in materia di contrasto e prevenzione del contagio da Covid-19, sembra ascoltare una filippica contro l’uso dell’alcol dalle ore 22:00 alle ore 06:00 . Eppure esiste ancora un gran numero di Italiani che nel resto della giornata non bivaccano ubriachi in preda a ogni genere di sostanza che altera psiche e mente. Ma che, piuttosto, lavorano per mandare avanti questa Nazione nonostante tutto ancora viva. E cosa dire dei gestori di pub, ristoranti, pizzerie, chioschi, chioschetti, bar, baretti, vinerie e supermercati in genere che, secondo il modo di vedere degli Amministratori pubblici di ogni ordine e grado, sembrerebbe essersi trasformati in untori, interessati esclusivamente a vendere virus più che birra, contagi a go-gò più che vino, assembramenti pericolosi più che cocktail e aperitivi. Ma tranquilli amici miei : tra alcol e Covid non c’è alcuna relazione! E questo sembra esser noto anche a quell’uomo di….. spirito del nostro Don Vicienzo!!
FRANCESCO CECCHIN: ORA PIU’ CHE MAI PRESENTE FRA NOI!!
Quarantadue anni sono un tempo sufficiente per guardare le cose col disincanto del tempo ma, per fortuna, un tempo non troppo lontano da poterne offuscare il ricordo e comprometterne la verità.
Sono passati già quarantadue anni da quando Francesco Cecchin, dopo un’agonia lunga diciannove giorni, diventava un mito eterno. Quarantadue anni che hanno visto indagini sommarie, sentenze discutibili ma, soprattutto, che non hanno visto nessun colpevole.
La storia di Francesco è tristemente nota, anche con dovizia di particolari grazie al meticoloso lavoro di ricerca di prove e testimonianze compiuto dai suoi tanti camerati, ma non è stata sufficiente a far condannare l’unico processato, il comunista Stefano Marozza. Personaggio pericoloso e animo criminale che insieme con (almeno) un altro suo compagno aguzzino inseguiva Cecchin per le vie del quartiere Trieste a Roma, sino a compiere il tremendo delitto proprio sotto casa del giovane malcapitato. Aguzzino che tuttavia aveva trovato il tempo, prontamente, di dichiarare alle Forze dell’Ordine di aver preso parte, la sera dell’agguato, alla visione del film “Il Vizietto” presso il cinematografo Ariel di Roma. Poco importò agli inquirenti che mai in quella sala cinematografica fosse stata proiettata quella pellicola. Una falsa dichiarazione che gli valse il premio dell’assoluzione per non aver commesso il fatto. Di qualche suo compagno di ventura nemmeno se ne ricorda più la memoria. A nulla valse nemmeno la perizia autoptica perché i segni ritrovati sul corpo di Francesco, precipitato da un ballatoio da oltre tre metri di altezza e ritrovato con la schiena e la testa fracassate su un lampione e con le chiavi e le sigarette in mano, escludevano che il giovane missino fosse stato con certezza picchiato prima di precipitare. Ma rimaneva appurato che la vittima fosse stata scaraventata giù dal muretto con la chiara intenzione di fargli del male. Un gesto criminale, al limite della bestialità e dell’odio politico, da parte di chi non è mai stato giudicato un assassino.
Eppure Francesco non aveva colpe, non era un fascista, se questo può essere una colpa agli occhi degli uomini. Era troppo giovane per esserlo, ma era un militante che credeva in un’Idea che onorava con passione e dedizione. Un’Idea per la quale ha sacrificato la sua stessa giovane vita. Non diversamente da altri ragazzi di quell’epoca: Carlo Falvella, Sergio Ramelli, Stefano Recchioni, Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta, i fratelli Mattei. Solo alcuni dei nomi di giovani militanti missini caduti in quegli anni feroci e tutti vittime del medesimo odio comunista.
Erano gli anni di piombo i loro. Anni pericolosi e letali, gli anni in cui uccidere un fascista non era reato: eppure c’erano giovani che non rinunciavano ai propri ideali, che portavano alta la loro bandiera non indietreggiando davanti ad un nemico feroce e invasato dalla propaganda e dalle falsità a buon mercato diffuse ad arte per invelenire il clima politico di quegli anni bui e trarne vantaggio politico per la sinistra parlamentare. Che rimaneva a guardare soddisfatta. E a farne le spese furono tanti di loro. Quei giovani di ogni parte d’Italia, poco più che adolescenti, che combatterono strenuamente per la libertà di poter esprimere le proprie idee. Per affermare il diritto alla propria esistenza, alla propria cultura, a ciò in cui essi fortemente credevano. Sino al punto di sacrificare la propria vita.
A distanza di quasi cinquant’anni, a chi ha sentito il dovere di tenere ancora accesa quella fiamma nel loro ricordo, in continuità con gli stessi valori e ideali che hanno radice comune, (quella così profonda da non gelare mai) sono affidati quegli esempi e quegli insegnamenti. Oggi attuali e validi più che mai. Penso a quei ragazzi di Firenze, ancora una volta militanti di destra, che sono stati recentemente imprigionati tre lunghi mesi per un volantinaggio nella loro scuola, o meglio, nel liceo diretto da un preside del PD. Un surrogato di quelli che una volta erano i comunisti, oggi mascherati da “catto”, poi “evoluti” in democratici, ma che hanno la comune appartenenza all’odio del diverso in forma buonista. Spacciata per politicamente corretta.
Penso, al contrario, ai tanti “pasionari” di quella stessa ideologia di morte, autori di ogni infamia possibile, che oggi si mascherano dietro le insegne grottesche delle sardine, spacciandosi per giovani vogliosi di partecipare alle decisioni della politica, ansiosi di poter cambiare la società e di orientare la politica verso nuove forme di collaborazione e di condivisione delle scelte sulla società, sull’ambiente, sul futuro delle nuove generazioni. E invece non sono altro che i figli e i nipotini di quei terroristi degli anni 70. Pronti a distruggere e a prevaricare chi non la pensa come loro. E anche loro, come i loro progenitori, vigliaccamente protetti e coccolati da una stampa di regime che li esalta tutt’ora e li incoraggia.
Ma penso anche e con preoccupazione, ai ragazzi in età scolare, tutti indifferentemente reclusi dietro un pc ad apprendere nozioni di una scuola una volta luogo di socializzazione, aggregazione e formazione per eccellenza e oggi ridotta a didattica a distanza. Sono loro che realizzeranno il futuro del nostro Paese. Ma in questo modo, con questa scuola e con queste restrizioni della libertà quale futuro sapranno costruirsi? Iniziando proprio ai loro danni il rimbambimento di massa, collettivo, globale. Gli anni ’70 sono stati sinonimo di droga libera, per poi passare al permissivismo, all’amore libero, Peace & love, i figli dei fiori, il corpo è mio e lo gestisco io, con conseguente distruzione della famiglia tradizionale. Oggi invece bambini e adolescenti sono abbandonati alle tecnologie e all’immobilismo. E poi cibi spazzatura & videogiochi. E chi più ne ha, più ne metta, nella speranza di massificare loro cervello e pulsioni. Speranze e aspettative. In una parola, predeterminando il loro futuro.
E che dire della gente comune, di qualsiasi età, di tutte le condizioni sociali e di ogni estrazione culturale e politica incapaci di far valere i propri diritti per esercitare i propri doveri, inabili a ribellarsi per la difesa della propria libertà e per quella che essi tramanderanno ai propri e figli e nipoti, che accettano tutto e tutti con indifferenza e irresponsabilità, che non insorgono minimamente contro il fatalismo divenendo così i primi, diretti responsabili in un mondo di rovine, inadeguati persino a rimanere in piedi, mentre il mondo crolla.
Francesco Cecchin e mille altri come lui hanno avuto coraggio e magnanimità e lo hanno avuto per noi, combattendo in prima persona contro un mondo già in quegli anni in declino e condannato all’oblio. Pagando un prezzo molto alto per la loro coerenza, il loro credo politico, i loro valori. Quei ragazzi sono stati dei fari che hanno illuminato il percorso per tanti di noi. Sono stati quelli che hanno fatto proprio l’insegnamento dantesco del Virgilio che illumina la strada per chi verrà dopo di lui.
Francesco è stato ammazzato, ma non é morto invano, è più vivo che mai, più vivo di tanti che oggi vegetano credendo di vivere, che si aggrappano all’elisir dell’immortalità ma che sono inconsapevoli di essere già morti, che sprecano il loro tempo rendendolo vuoto e vano, che rischiano di essere i migliori alleati dei propri carnefici e dei propri aguzzini. Poiché esserlo inconsapevolmente non è per nulla una giustificazione e tanto meno una discolpa. Basterebbe solo seguire il suo esempio, basterebbe seguire quello che è stato il motto di vita di Francesco Cecchin : “Cammina soltanto sulla strada dell’onore. Lotta e non essere mail vile. Lascia agli altri le vie dell’infamia”.
Allora e oggi più di allora , Francesco Cecchin è presente !!