Borrelli, il deputato della sinistra napoletana ossessionato dal patriarcato

FRANCESCO EMILIO BORRELLI EUROPA VERDE

Borrelli, il deputato della sinistra napoletana ossessionato dal patriarcato

4 Dicembre 2023 0 commento
Borrelli patriarcato

Roma, 4 dic – Tra i tanti spiritelli che animano Napoli ce n’è uno in particolare, omologato agli altri, va senza dire, di cui oggi vi vogliamo parlare. Militante storico di Verdi, giornalista professionista, membro di ogni Parlamentino napoletano, (auto)riciclato(si) ad ogni tornata elettorale, col pallino della denuncia, allievo della peggior scuola partenopea che vede nei vari Roberto Saviano, De Giovanni l’esclusiva loro attività dello “Sputtanapoli”, ove “azzuppare ‘o ppane” – espressione con cui a Napoli si designa il gusto per qualcosa.

Borrelli, il deputato napoletano ossessionato dal patriarcato

Proprio come Saviano, anche Francesco Emilio Borrelli gira con la scorta – perché se a Napoli non hai la scorta non sei nessuno – solo che non vive in un attico a Nuova York, anche se lo stile con cui agisce è quello dell’americano in vacanza: telefono sempre pronto per immortalare le varie malefatte, denunce a gogò, solo che poi dimentica che il suo lavoro, quello per cui percepisce il fior fiore dei soldi dei contribuenti, è quello di risolvere le problematiche che egli stesso denuncia; ricettacolo di ogni segnalazione che nemmeno verifica per cui puntualmente lo porta a fare figure di Pulcinella, come quando denunciò l’Azienda Napoletana Mobilità perché c’era un bimbo alla guida del bus, ma poi il bimbo si rivelò una donna (ops…) che faceva pratica, prima di essere immessa in servizio; o quando si interessò ad un “medico che dorme in servizio”, ma che aveva solo appoggiato al testa al muro durante gli estenuanti turni di guardia; o la fake sul contagio da Covid al Cardarelli e non un rigo sul Cotugno che registrò il contagio zero, divenendo eccellenza mondiale con tanto di visite dall’estero.

Il “femminicidio” ha numeri bassissimi: i dati

Dopo la doverosa presentazione del personaggio poco noto ai più, ne parliamo perché il “nostro” si è reso protagonista di un post sui propri profili social criticando l’affissione di alcuni manifesti di CasaPound, a Napoli come in tutta Italia, il cui protagonista è il tristemente noto Filippo Turetta, dimostrando di non aver capito un granché. Pigliando ‘o cazzo p’ ‘a banca ‘e ‘ll’acqua, tanto per far capire anche Borrelli che scrive testualmente: “Mentre negli scorsi giorni l’Italia intera si è unita in un coro quasi unanime contro la violenza sulle donne dopo la tragedia di Giulia Cecchettin uccisa dall’ex compagno, bisogna tornare a fare i conti con la cruda realtà di violenza e menti retrograde”. Se il Borrelli, oltre a non sapere intendere ciò che è scritto, sapesse almeno fare i conti, saprebbe, dai dati riportati sul sito del Ministero dell’Interno, che i “femminicidi” – perché coloro che tanto cianciano di parità di genere finiscono per usare un termine che si riferisce esclusivamente alle donne, resta un mistero – compreso quello di Giulia, sono “appena” quaranta. A cui vanno, poi, sommati gli omicidi le cui vittime sono donne (105) e che non possono considerarsi femminicidi: una madre che ammazza la figlia o viceversa, un marito che ammazza la moglie e poi si toglie la vita, il fratello che ammazza la sorella per questioni di eredità, il medico ammazzato in Calabria. Tutti morti che non hanno a che fare con le cosiddette questioni di genere. Ne deriva che 40 casi di femminicidio su quasi 60 milioni di abitanti è una percentuale “insignificante”, pur sapendo che parliamo di vite umane. Ma c’è di più: confrontando questi dati con quelli degli anni precedenti, ci si rende conto – per chi sa leggere, chiaramente – che i casi sono addirittura in diminuzione. C’è, allora, davvero un’emergenza su questo fronte? Appare in maniera incontrovertibile di no! E, allora, la persona che sa leggere si chiede perché si cavalca questa pseudo-emergenza per la quale si ha già la soluzione sic et sempliciter che è quella di rieducare il maschio, magari tramite psicologi che vanno direttamente nelle scuole. Insomma, un ddl Zan con la mascherina. Una Bibbiano legalizzata.

Il solo dato che il Viminale non fornisce, ma è ugualmente reperibile su altri siti i cui risultati non altrettanto gradevoli, non sorprendendoci affatto, è la distinzione per etnie. Diciamo questo perché quando è stata ammazzata Saman, nel modenese, nessuno “dell’Italia intera si è unito al coro unanime” – per dirla con Borrelli – e ha gridato al femminicidio e al patriarcato. E lì il patriarcato non si può negare. Chissà Borrelli dove stava. Forse alla via Foria di Napoli, dove si è scandalizzato a leggere le affissioni di CasaPound: “ma quale patriarcato. Questo è il vostro uomo rieducato”. Borrelli deve essersi unito alla pletora acefala che considera la soluzione proprio il problema creato ad hoc, ovvero la deviralizzazione dell’uomo. Un uomo che non è più capace di soffrire, né di reagire positivamente alla sofferenza, che non accetta rifiuti e che di fronte ad un problema perde la testa, arrivando persino a perdere la propria vita; un uomo che non riesce nemmeno a difendere la propria donna perché c’è il rischio che si rovini le unghie appena smaltate o che cada dai tacchi a spillo, magari rossi, che chi gli detta l’agenda gli ha imposto di calzare; un uomo che non pratica sport da combattimento, perché significa necessariamente essere violento, che non si assume le proprie responsabilità e non riesce ad essere esempio. La verità vera è che non si forgiano più uomini, quelli con la schiena dritta e la testa alta, quelli che riescono ad essere l’ago della bilancia, l’equilibrio di sé stessi, della coppia, della famiglia. Altro concetto patriarcale.

E non si può non parlare di questi concetti, di CasaPound, del fascismo – questa volta ce lo aggiungiamo noi prima che lo gridino istericamente loro- senza parlare di odio e di violenza. Se Borrelli proprio non riesce a passare da via Foria, dove ha sede la storica Sezione Berta, proprietà del movimento della tartaruga frecciata, può chiedere alla folta schiera di suoi segnalatori quanti sono i “beneficiari” che nel sacchetto alimentare, ivi mensilmente distribuito, non trovano certo “odio e violenza”. Italiani sconosciuti di cui CasaPound si occupa (al posto di quelli come Borrelli) in ogni periodo dell’anno e senza chiedere nulla in cambio. In alternativa, visto che dall’ottobre 2022 frequenta gli onorevoli salotti romani, può passare dalla sede di via Napoleone III, dove sono entrati tutti, ma proprio tutti a parlare dei temi più disparati con le più diverse personalità, tutte riunite intorno allo stesso tavolo: da Paola Concia a Nicola Porro, dall’economia fino a Che Guevara. Ma questi personaggi, in maniera molto “democratica” e in piena ottemperanza alla sottrazione al confronto, preferiscono i monologhi e la negazione del contraddittorio. Eppure, pur rimanendo comodamente sul sofà del proprio loft, il “verde” (dalla rabbia) Borrelli potrà ripartire dai commenti al post in questione che certificano una sonora sconfitta per le tesi di cui anche Borrelli, una sola unità del coro unanime dell’intero Stivale” (semicit.), si fa megafono e che non attecchiscono presso la gente comune, quella che si confronta tutti i giorni con la realtà che non è certo quella ovattata dei Palazzi e che CasaPound anche stavolta ha ottimamente interpretato. Provare a leggere (e capire per Borrelli) per credere.

https://www.ilprimatonazionale.it/approfondimenti/borrelli-il-deputato-della-sinistra-napoletana-ossessionato-dal-patriarcato-272204/

ACCADE A NAPOLI: “SPORCATO” IL NATALE DI SAN GREGORIO ARMENO

Napoli è un mondo che contiene in sé un mondo e San Gregorio Armeno è una stradina che non ha certo bisogno di presentazioni. Un luogo magico, unico, speciale, dove è Natale 365 giorni all’anno. Un’esperienza senza eguali che ti porta a ritornare nel mondo “normale” con le statuine del presepe in mano, anche se ci sono 40 gradi all’ombra. Statuine anch’esse uniche al mondo: dalla porcellana di Capodimonte alla più “popolare” creta magistralmente lavorata a mano per i volti, busto in fil di ferro, abiti delle preziose stoffe di San Leucio. Solo qualche anno fa, dalle colonne di questo giornale, si alzava forte il grido di indignazione e di difesa delle secolari botteghe artistiche che, ormai “chiuse” per assenza di turisti rinchiusi nelle proprie case dal lockdown, furono tentate da materialissimi ottantamila euro cinesi. Ottantamila euro può valere un locale, l’attrezzatura, l’ubicazione nella celebre stradina, ma non può essere il prezzo di un’arte che non ha costo, né prezzo, ma solo un valore. Non è la giusta ricompensa, né ce ne sarà mai una per la custodia e la trasmissione di qualità e tradizioni uniche al mondo.
Passata questa bufera e abbattuta la tentazione che rischiava di trasformarsi in vera necessità per più di qualche “partita iva”, un altro ciclone in questi giorni si è abbattuto sul caratteristico presepe napoletano: con il forte auspicio che non diventi un contagio, sarà per colpa della globalizzazione, del mondialismo del consumismo che è una miles del commercio, anche nella storica stradina di Spaccanapoli hanno fatto comparsa (per fortuna, solo) in una bottega dei mastri presepiari le statuine con i due segni rossi sul viso. Non è Jorit, non c’entra nulla il writer napoletano; stavolta è tutta “inclusione” e voglia di cavalcare, seppur commercialmente, il momento e il momento propina quale must “in tendenza” : la violenza sulle donne!

È pur vero che tra le botteghe della caratteristica stradina trovi il personaggio dell’anno o quello al momento più in voga a braccetto con l’immarcescibile D10S – e chi meglio di lui nel presepe napoletano? – e l’immancabile Benino (Benito per qualcuno più “nostalgico”) fermo dal vinaio insieme con Ciccibacco, la zingara, il vinaio, lavandaia e più in disparte la zingara, ma questa genuflessione al pensiero unico, al politically correct, alla narrazione imposta e calata a mo’ di cielo stellato e di cometa sulla grotta è troppo persino per quel binomio magicamente perfetto di “sacro & profano” che vive e non è mai morto grazie a quella capacità tipica di reinventarsi. Quasi un eterno ritorno nicciano per quegli stessi pastorelli della Tradizione che non sono mai uguali a loro stessi né a quelli dell’anno precedente e che sono riusciti persino a resistere e a continuare ad esistere nei secoli, nonostante pure il tentato “pezzotto” cinese che avrebbe voluto rifilare il pacco. A Napoli? “Ma mi faccia il piacere!”, avrebbe detto Totò.
Le caratteristiche “puteche” non sono anonimi opifici che sfornano prodotti in serie e senz’anima, buoni solo a fare da suppellettile come si fa con le calamite da applicare al frigorifero, ma veri e propri laboratori che creano arte, prodotti artigianali di un valore unico. Coloro che li animano sono fortunati custodi di un’arte che è cultura, tradizione, religiosità e folklore messe insieme come in nessun’altra parte del mondo avviene. Meandri che sono il baluardo della trasmissione di capolavori unici che si tramandano di generazione in generazione, di padre in figlio, orgogliosamente, scevri da ogni rigurgito di patriarcato; sono creazioni che non trovano la loro giusta completezza nelle parole. Invece, le novelle statuette del genere “pittato” e pittoresco andrebbero indirizzate ad un pubblico altrettanto “conformato” che, però, non mostra chissà quali sensibilità verso il messaggio che il presepe incarna. Anzi, tutt’altro, probabilmente lo rifiuta in pieno. Non ne riconosce la simbologia che, però, vuole sostituire. Con la festa della luce, quella del sole, quella di qualsiasi cosa. E non è un cancellare la cultura del presepe e di San Gregorio Armeno questo? Con due strisce rosse sul viso? Altro che presebbio con l’enteroclisema da dietro di “cupielliana” memoria. Qua tocca dare ragione a Nennillo: “A noi ‘sto presebbio non ce piace!”.
https://www.camposud.it/accade-a-napoli-sporcato-il-natale-di-san-gregorio-armeno/tony-fabrizio/

Cerciello Rega, il delirio degli assassini assolti “per ignoranza”

Roma, 27 nov – È veramente un mondo al contrario se stravolgiamo persino uno dei capisaldi del Diritto: Ignorantia legis non excusat [l’ignoranza della legge non scusa]. Un principio fondante che è diventato persino un articolo, il V, del Codice Penale che recita che “Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale“. È altrettanto vero – e triste – che la legge per gli amici si interpreta e per i nemici si applica e se un “amico” è ignorante lo si assolve addirittura. Lo scrivono i Giudici della Prima Sezione Penale della Cassazione, come riporta il Fatto Quotidiano: “La circostanza dell’avere l’imputato, pacificamente a digiuno della lingua italiana, compreso di essersi venuto a trovare di fronte a due carabinieri” non è “dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Cerciello Rega, assolti per “ignoranza”

Il caso è quello dei due ragazzi americani in vacanza a Roma, i quali ammazzarono il vicebrigadiere dei Carabinieri Mario Cerciello Rega e che adesso, grazie alla loro (supposta) ignoranza, si sono visti ordinare un nuovo giudizio d’Appello: Gabriel Natale Hjorth e il suo connazionale Finnegan Lee Elder, precedentemente condannato a 24 anni. E non è tutto, purtroppo, perché i giudici si sono rivelati i miglior avvocati difensori per i due yankees, visto che secondo il parere dei togati non è stato sufficiente per Cerciello Rega e il suo collega Varriale essersi identificati quali “Carabinieri” perché, sebbene la qualifica è ampiamente conosciuta all’estero, non hanno potuto determinare cosa si intende per “estero”. È incredibile quanto bisogna affermare, ma leggiamo direttamente i giudici che scrivono testualmente “È evidente che se la parola “carabiniere/i” fosse conosciuta, ad esempio, in Spagna e in America latina, si tratterebbe, pur sempre, di un “estero” che non comprende gli Stati Uniti d’America dove vive l’imputato”, dove vive Hjorth. Quindi “non può all’evidenza fondarsi il convincimento circa la esatta percezione e comprensione della qualifica in discussione da parte dell’imputato Elder, del quale la stessa Corte di merito ha messo in rilievo, a più riprese, l’ignoranza della lingua italiana”. Poi, che i due fuggivano dopo aver rubato uno zainetto, che, se è vero, lo stavano trasformando in cavallo di ritorno pare non contare nulla. Che abbiano piantato 11 volte in 20 secondi un coltello nel cuore di chiunque altro esso sia è notizia fine a sé stessa. Se avessero ammazzato un comune cittadino, probabilmente avremmo letto che, non sapevano che conficcando un coltello all’altezza del cuore, avrebbero potuto cagionare una morte. Che erano nella Capitale non a fare la fila al Colosseo, ma a Trastevere a comprare droga è cosa normale. Ed è ininfluente che uno parte dagli States per andare a divertirsi nel Belpaese con un coltello di 18 centimetri nel trolley.

Basta “non sapere” e il gioco è fatto

La cosa, per quanto illogica (ma, forse, no) e deplorevole possa essere, non ci stupisce nemmeno più: non pare di leggere la dichiarazione dell’avvocato Carmen Di Genio che intervenendo ad un Convegno sulla sicurezza e la legalità sostenne che “Non possiamo pretendere che un africano sappia che in Italia, su una spiaggia, non si può violentare: probabilmente non conosce questa regola”? Forse, non è un male, ancor più in questo giorni in cui pullulano ovunque scarpette e sciarpette rosse, luci dei palazzi istituzionali accese di rosso, con tanto di cortocircuito per quelli che M’illumino di meno, ricordare che l’avvocato, femmina, è anche un membro del Comitato Pari Opportunità della Corte d’Appello di Salerno. Al confronto, appare piccola cosa persino la scarcerazione di Dmitri Fricano che accoltellò la fidanzata Erika e che oggi gode dei domiciliari grazie alla sua obesità e al suo tabagismo. Chiudendo il volutamente breve excursus sui casi affini che inevitabilmente concorreranno a fare giurisprudenza, ci chiediamo se non fosse stato meglio scarcerare i due assassini quando furono bendati in caserma. Siamo l’eccellenza, abbiamo reparti d’élite e poi Cerciello va ad incontrare dei delinquenti senza uniforme e senza Beretta d’ordinanza e i suoi colleghi in caserma, non solo bendano l’americano, ma fotografano pure la malefatta? Per quale motivazione non si è mai saputo. È necessaria tutta questa vergogna, questa offesa, questa umiliazione per questa terra che è stata la culla (oggi la tomba) del Diritto internazionale, se proprio dobbiamo essere la cinquantunesima stelletta bianca sulla bandiera USA?

Tutto da rifare, dunque. Si riparte da capo. Intanto Sergio Brugiatelli, il teste chiave del processo che aveva indicato ai due americani il pusher presso cui rifornirsi, è morto nel 2021; la morte di Cerciello Rega sarà un mistero pure per i familiari; le pene riceveranno un alleggerimento, visto che non si potrà stabilire se i due Carabinieri si siano qualificati o meno; il solo testimone diretto, il collega Varriale, “è stato tacitato” già in ospedale nei giorni immediatamente all’assassinio del collega. Al via un nuovo processo, dunque, dove, senza motivazioni, non sarà possibile stabilire quale dovrà essere la pena semplicemente perché non si sa più cosa imputare loro. La sentenza è data, l’udienza è tolta.

https://www.ilprimatonazionale.it/approfondimenti/cerciello-rega-il-delirio-degli-assassini-assolti-per-ignoranza-271902/

Finalmente a Napoli il museo delle (inesistenti) Quattro Giornate

Roma 19 novembre –

Napoli avrà il museo dedicato alle Quattro Giornate. L’annuncio è di quelli solenni, quelli che tutte le amministrazioni – regionali, provinciali, comunali – si sono trovate a fare almeno una volta nel corso del proprio mandato. Titoloni sul giornale di Napoli per antonomasia che, però, batte il pezzo utilizzando tempi verbali al futuro e periodi ipotetici a iosa. Persino i diretti interessati – il sindaco Gaetano Manfredi, l’Anpi e il Mann, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli – non ne fanno cenno sui rispettivi profili ufficiali, nonostante ci sia pure già la location, la Galleria Principe di Napoli. Anzi, a leggere il presidente dell’Anpi napoletana, pare sia possibile una prima inaugurazione già a Natale – il presidente De Luca, che in tempi di pandemia ha inaugurato più volte gli stessi ospedali mai entrati in funzione, sembra aver fatto buona scuola – con la speranza di poter festeggiare l’ottantunesimo anniversario dell’insurrezione popolare nel 2024 in sede.

Quattro Giornate “strategiche”

Al netto del proclama demagogico, fin troppa evidente, propedeutico alle elezioni regionali che si terrano il prossimo anno, si spiegano così gli allarmi lanciati, sempre dalle colonne dei giornali, del pericolo fascista in città e dei suoi “anti valori e non principi”, come ha sentenziato qualche politico sceso da quartieri “alti” per l’occasione. Motivo del risveglio novembrino, in ritardo di qualche mese e quasi fuori tempo massimo, una scritta comparsa in via Foria, una delle arterie principali della città alle cui due estremità si trovano proprio la Galleria, dove dovrebbe sorgere, se mai vedrà la luce, il museo in questione e un campetto da basket, dove, sempre fuori tempo massimo, sono stati notati dei volantini affissi per un torneo, aperto a tutti, in ricordo di un ragazzo ucraino morto dieci anni fa. Volantini senza simbolo alcuno per una manifestazione tenutasi il mese scorso presso il campetto riqualificato più volte e ora fruibile da tutti a spese della storica sezione Berta, ieri dell’MSI e oggi prima sezione d’Italia di proprietà di CasaPound che risiede al civico 169 della stessa via Foria.

Una leggenda di origini lontane

Ora come allora continuano le mistificazioni intorno ad un evento che sembra essere stato “creato a tavolino” e che ha tutto il sapore della storia riscritta che, oramai, non resiste più. Ci ha provato già Enzo Erra col suo “Le Quattro Giornate che non esistono”, libro oggetto del cancella-culture ante litteram; ci riprovano oggi gridando al fascismo per pubblicizzare qualcosa che nemmeno nella Napoli delle quattro giornate si è mai riuscito a fare. E non avrebbe potuto essere diversamente: basti pensare che già alla proiezione del film omonimo di Nanni Loy in Germania, i tedeschi – che a Napoli c’erano – non ne sanno niente. Insomma, c’è stata una rivolta popolare contro di loro e loro non se ne sono nemmeno accorti. Nonostante la medaglia al valor conferita alla città. Che poi la motivazione della premiazione l’avete letta? «Con un superbo slancio patriottico sapeva ritrovare, in mezzo al lutto e alle rovine, la forza per cacciare dal suolo partenopeo le soldatesche germaniche sfidandone la feroce disumana rappresaglia. Impegnata in un’impari lotta col secolare nemico offriva alla patria nelle quattro giornate di fine settembre 1943, numerosi eletti figli. Col suo glorioso esempio additava a tutti gli italiani la via verso la libertà, la giustizia, la salvezza della Patria.». Perché definire “soldatesche” le truppe del Reich quando in città, regnavano ordine e disciplina – certo ferrea, essendo un governo militare – ma non si registrava un solo caso di stupro, di violenza o di delinquenza? Cose che, poi, accaddero con l’arrivo degli “alleati”. Alleati che non ebbero rispetto per quelle donne costrette alla morte o che finirono rinchiuse nei manicomi perché vittime delle cosiddette marocchinate; in città non vi era più nemmeno ombra della camorra e del mercato nero che ricominciò ad affiorare con lo sbarco angloamericano, come già avvenuto a Salerno. Si definisce, inoltre, il tedesco “secolare nemico” quando questo è un epiteto che meglio si addice ai Francesi e agli Spagnoli; basti pensare che Badoglio, sino al giorno prima della sua proclamazione, assicurava fedeltà all’alleato germanico. E l’immancabile riferimento alla giustizia? Nulla di nuovo, since 1943.

La realtà

A dirla tutta, la formazione tedesca, poco meno di 300 uomini, comandata da un semplice colonnello, Hans Scholl, stava già lasciando la città per ripiegare verso Roma per ordine del generale Kesselring e non vi era un solo soldato del Reich quando la “democrazia” fece ingresso in città. Vogliamo fare cenno alle vittime, agli “eroi”? Sarebbero caduti 168 partigiani e 159 cittadini inermi secondo loro, mentre per la commissione ministeriale per il riconoscimento partigiano le vittime furono 155 in tutto. Gli alleati ne “democratizzarono” molti di più: appena 25000. Per non parlare delle vittime dei “bombardamenti di liberazione” che furono di gran lunga superiori a quelli di “occupazione tedesca”, oltre ai danni incalcolabili arrecati al patrimonio culturale: complesso monumentale di Santa Chiara docet.

Chissà se per rigurgito di onestà intellettuale, ove mai ne possedessero, tutta questa “controstoria”, i cui ancora numerosissimi misfatti devono essere conosciuti dai più, troverà posto nel “museo delle Quattro giornate”. Se mai si farà. Perché c’è chi vuole un museo per “custodire” delle verità preconfezionate e pronte per essere propinate e chi le verità finora tacitate e taciute, invece, vuole diffonderle. Perché è giusto che anche i muri sappiano.

https://www.ilprimatonazionale.it/approfondimenti/finalmente-a-napoli-il-museo-delle-inesistenti-quattro-giornate-271486/

Ma quale muschio selvaggio! Sembra più un broccolo, un cetriolo in mezzo a Fedez e Mr. Marra buoni come il pane. Effetto sandwich: De Luca “putrusin’ ogni menesta” (detto di persona che si infila in qualsiasi discussione).
Proprio sulle colonne di questo giornale, non più di una settimana fa dicevamo che lo Sceriffo campano ha (bene) imparato da Dorian Gray: “Nel bene o nel male, purché se ne parli!”. E per parlare e far parlare di sé, Vincenzo De Luca si fa ospitare nientemeno che da Fedez. Il rapper tatuato che più tatuato non si può, affiancato dal “compagno” di ventura Mr. Marra che qualche tatuaggio sul corpo ce l’ha pure lui. Nulla di strano, se non per il Presidente della Regione Campania che ha pubblicamente avversato tale pratica al Liceo Tasso di Salerno solo un mese fa: “Stavo guardando le ragazze in prima fila, non ho visto nessuna tatuata. A me i tatuaggi fanno schifo, ho una sensazione di sporco. Ci sono alcuni influencer con tatuaggi sulle orecchie, fanno schifo due volte”. E se questo non dovesse bastare, su Fedez Vicienzo restituisce la provocazione ricordando Sanremo “quando eri avvinghiato con un mollusco, un lombrico, e ti slinguazzavi: almeno quello non lo fare più, è stato un momento di obnubilazione, sembravano due calamari avvinghiati”. Ma oggi De Luca serve a Fedez e Fedez serve a De Luca che vuole correre per la terza volta sullo scranno più alto di Palazzo Santa Lucia. È il modo migliore per arrivare ai giovani, quelli che fuggono dalla politica e non potevano festeggiare una laurea, pena irruzione con il lanciafiamme o magari uscire per i baretti, visti i mille epiteti con cui Reluca li ha apostrofati. Adesso tutto è conc-cesso perché la campagna elettorale è iniziata e oggi la politica è solo propaganda. In perfetto stile sinistro, anche De Luca salta da uno studio televisivo all’altro in cerca di visibilità, ma con furbizia, guardandosi bene dal farsi ospitare in un contraddittorio. No, sempre e solo lui, per dire ciò che più gli piace senza sapere se piace anche agli altri. Democraticamente De Luca è papa – e papà – e De Luca è re. Propina situazioni idilliache, descrive la Campania come un paradiso terrestre, canta le lodi di Napoli e della costiera amalfitana, addirittura menziona pure Avellino, Benevento e Caserta! “È un momento di bel tempo in Campania” baciata dalla fortuna del sold out di turisti, complice anche le fortune sportive. Che tempo che fa, Vicie’? È brutto tempo, bruttissimo, se anche (uno come) lui non può candidarsi alla segreteria del partito mai partito per davvero cui lui appartiene, ma anche no; non si può lavare la faccia a Napoli di cui dice peste a corna quando il capoluogo per prima rischia di fare le spese della sua gestione “salernocentrica” (fondi decurtati o sviati, persino le navi da crociera che attraccano a Salerno e non a Napoli); Napoli bella, emblema campano che tanti ancora deve fare campare, l’Eden terrestre – altro che Bosco di Capodimonte od Orto botanico! – ma poi nella centralissima piazza Plebiscito, quella degli affacci sul balcone dei due Gigini Gigetti – nomen omen – deMa & DeMai: de Magistris si affacciò con la pezza in fronte per fare la rivoluzione ed ha finito per mettere le pezze al C…omune e Di Maio esultante per aver sconfitto la povertà: la sua, a 336 mila euro nel Golfo Persico – si incontrano i mille volti che animano Napoli e non sono mai spariti: dal clochard (che aveva bisogno di un supporto medico e non del carcere) che incendiò la Venere degli stracci fino all’assassinio di Giò Giò il musicista. La stessa piazza in cui si svolge il Bufala Fest, sponsorizzazione di un prodotto che è campano, ma non napoletano: a proposito, Vicie’, ma come è andata a finire la guerra tra allevatori di bufale salernitane e casertane che, se lui non ha innescato, sicuramente ha alimentato. Menziona (solamente) l’entroterra quando Avellino e Benevento sono state uccise dallo scelerato Patto di Marano stipulato il giorno prima del voto da De Luca e De Mita in carne ed ossa. E Fedez che trova bella Napoli quando Napoli, al netto dei gusti dei quali non discutiamo, alle sue bellezze ha aggiunto solo le mille bandiere per la vittoria dello scudetto.
Come con la Campania i cui cittadini erano cinghialoni e altre mille cose, così come se stesso: il Guappo di cartone passa dal voler usare la frusta di bambù tra capo e collo per Shiva, al pietismo per la stanchezza, senza mai aver mai pensato di mollare, quando i figli – che campano con politica e non di politica – si sono trovati vittime di un aggressione mediatica. Qui Vicienzo trascende, indossa l’aureola e si manifesta dopo aver vestito panni mistici: “volevano fare pagare ai miei figli ciò che non sono riusciti a fare pagare me”.
Nello sproloquio non un accenno alla sanità – non santità – disastrata di cui egli è commissario speciale con pieni poteri. Passa poi a (V)incensare il riscatto del Sud – abitato sempre dagli stessi cinghialoni e dai destinatari di lanciafiamme, runner e pomicioni di cui sopra – che possono beneficiare del trasporto pubblico scolastico gratuito fino ai 26 anni: non sappiamo se tutto ciò sia vero, molto probabilmente no, ma sappiamo con certezza che non ci sono medici nemmeno sulle ambulanze! Insomma, solita demagogia politically correct in salsa peace & love quando il Governatore si lascia andare a manifestazioni di affetto nei confronti di Fedez per la sua battaglia contro un cancro. Archiviati i giudizi veri per fare spazio al buono buonismo. Nulla di nuovo, dunque, se non la triste parabola di Vicienzo, ormai più ridicolo dell’armocronista della Shlein, ridotto ad un personaggio qualunque del Pd. Nonostante Vicienzo.
https://www.camposud.it/lo-sceriffo-de-luca-effetto-sandwich-tra-fedez-marra-baci-e-tatuaggi/tony-fabrizio/

ALTRA TEGOLA PER LO SCERIFFO: IL NUOVO OSPEDALE DI SALERNO NON S’HA DA FARE!!

“Sussistono una distonia e un contrasto insanabili sia tra le descritte varie disposizioni del disciplinare, sia all’interno della stessa formula di calcolo del punteggio per l’offerta tempo. Ne consegue che l’intera gara é falsata é inficiata, per cui essa va annullata integralmente, con necessaria sua riedizione ex novo”.
Quindici pagine fresche fresche uscite dal TAR di Salerno per dire, al netto di ogni burocrazia, che il nuovo ospedale di Salerno non si farà. Non si può fare, almeno così come vorrebbero fare De Luca e i suoi “minestri”. Un vero peccato perché nel fantastico De Lucaland il Policlinico sarebbe stato inaugurato addirittura nel giugno 2023. Parole sue. Dove per inaugurato si dovrebbe intendere completato e fruibile da parte degli utenti e non come quelli inaugurati e mai entrati in funzione ai tempi del Covid. Inaugurati addirittura più volte. Nientemeno, il Presidentissimo garantiva tempi rapidi per la costruzione dell’opera auspicando anche lavori notturni! Sarà stato lo stesso sogno di essere secondi solo al Giappone che fece il già “rivoluzionario” arancione DeMa quando era sindaco di Napoli! Lui vide la metro cittadina seconda solo al Giappone mentre De Luca i “tempi nipponici” li vede – e se li sogna- per l’opera di Salerno. Ancora Salerno.
Nel loro strambo mondo, quasi una loro dimensione parallela, De Luca non compare più, non fiata, non una parola con quel suo atteggiamento guascone e nemmeno una comparsata tivvù. Al suo posto parla Fulvio Bonavitacola, il numero due della Regione Campania – i vice, in fondo, servono a questo, o no? – che “deluchianamente” liquida tutto come “un banale incidente di percorso”. Un appalto da 360 milioni di euro che non decolla in quanto la gara è stata falsata, viene spacciato per un banale incidente di percorso. Il che è davvero un’opera d’arte della demagogia più pura che tanti oggi intendono interpretare quale unico modo di far politica.
 Peccato che quel banale incidente di percorso : qualora De Luca & Co. decidessero di difendere il loro “operato” – ovvero l’imbroglio, a detta del TAR – e i ricorrenti dovessero chiedere i danni, a pagarlo saranno sempre i cittadini!
Il ricorso è stato presentato dalle imprese consorziate guidate dal Gruppo Caltagirone che, risultato primo ad aggiudicarsi l’appalto all’apertura delle buste, si era visto scavalcare dal gruppo torinese SIS – di cui fa parte anche una società di Salerno – a causa di una contestata formula di attribuzione del punteggio finale sul tempo. Contestata a ragione, visto che i giudici hanno sentenziato: così il Policlinico non si può fare. Tutto da rifare, dunque. Ciò comporta disagio da parte dei cittadini, aumento dei costi di materiali, disagio indicibile che già si tocca con mano nella Sanità campana “amminestrata” a colpi di lanciafiamme e che, ridotta ormai in cenere, fa acqua da tutte le parti. Dalle singole prestazioni, domiciliari o ambulatoriali, sino agli interventi chirurgici.
Questa è la realtà campana, questa è l’amministrazione De Luca. Colui che ha assicurato di vigilare sui fondi del Teatro San Carlo per mesi e anni a venire; quello che vorrebbe candidarsi “in eterno” – testuali parole! – e che “non si candida a segretario del Partito Democratico perché ha già tanti problemi in Campania”. Creati e non risolti da chi? Forse, sarebbe auspicabile che davvero si mettesse a fare il segretario del partito a cui è iscritto “nonostante il Pd” … non lo voglia, ma anche una sola ulteriore candidatura, ottenuta con modalità simili a quelle che la congrega a cui anche lui appartiene ha criticato negli ultimi vent’anni, ribattezzate leggi ad personam, sono un insulto ad ogni cittadino campano. Sarebbe il capolavoro all’incapacità. Il trionfo dell’illegalità. Lo sdoganamento del “Sistema Salerno” come lo hanno denominato a ragione i giudici di Salerno. Lo stesso sistema ben oleato e che, però, sull’opera che avrebbe dovuto sorgere a pochi passi dal già esistente Ospedale Ruggi d’Aragona si è inceppato. Minimizzerà ancora? È probabile, ma ciò che è importante è che lo faranno ancora per poco. È fondamentale che la gente conosca questi misfatti perché nessun giornale ne parlerà, se non con qualche trafiletto di terz’ordine. Non ci saranno dirette social del Presidentissimo, nemmeno menzionerà l’accaduto nel suo (im)mancabile punto del venerdì quando approfitta anche degli spazi istituzionali; nessuna trasmissione televisiva lo inviterà perché quanto accaduto non fa certamente ridere, ma soprattutto non fa piacere a lui che si sappia.. A ridere e a far ridere è rimasto solo De Luca. Di cui francamente ci siamo davvero scocciati.
https://www.camposud.it/altra-tegola-per-lo-sceriffo-il-nuovo-ospedale-di-salerno-non-sha-da-fare/tony-fabrizio/

(D)ALLA BIENNALE DI VENEZIA : “EVVIVA BUTTAFUOCO”

La notizia vera non è “Pietrangelo Buttafuoco presidente della Biennale di Venezia”, piuttosto” chi sapeva che si fosse convertito all’Islam!?” Atteso che tutti sappiano chi sia Buttafuoco, visto che non è autore commerciale, di rado va in prima serata perché non è per tutti perché è talmente libero il suo pensiero che diventa scomodo persino ospitarlo. Ora che tutti sono ancora alle prese con i postumi dell’orgasmo seguito alla cacciata – che poi non è vero – dalle tivvù Giambruno, felici e contenti di continuare a subire Brindisi, Giordano, Merlino. E pure Vespa, Fazio e Formigli.
Finalmente un poeta! Un intellettuale – così si arrabbia un po’, visto che detesta tale etichetta – vero che non sia un amanuense – nell’accezione “sporcacciona’ onanista (Giambruno non… c’entra più) – né, peggio ancora, un Savia… ops uno sterile riproduttore. Né un monopolizzato, monopolizzante, monotono e monotòno De Giovanni. Magari un don Giovanni. Nessuna fascio-influenza, intendiamoci, ma tanta poligamia religiosa.
Buttafuoco si è convertito all’Islam anni fa, ma nessun se l’è mai filato. Almeno finora. Buttafuoco aveva detto pure di chiamarlo Giafar, in onore dell’emiro siciliano – teo-identità! – ma tutti hanno continuato a chiamarlo con il suo nome di battesimo, Pietrangelo, e il cognome di sempre, Buttafuoco. A nessuno ha dato mai fastidio, menchemeno a lui. Un ritorno alle origini persino la sua conversione, come ha scritto nel suo pamphlet che spazia dall’immigrazione al terrorismo, dalla Sagra di Giarabub intonata dalle camicie nere in Libia al Turco Napoletano di Totò. È il cammino spirituale “controcorrente” in direzione di La Mecca che non manca di dare accenni ai tagliagole che passano per essere la sostanza del libro fino alle bordate all’Occidente, colpevole di aver destabilizzato, a mezzo guerra, tutto il Medio Oriente, dall’Afghanistan alla Libia, non dimenticando la Siria di Assad. E non lo ha mica scritto oggi. Valore dell’avanguardia.
In questi anni, mentre lui frequentava le moschee e i manichei fondamentalisti cattolici cristiani plaudivano all’ultimo asseggiolato sul soglio di Pietro per la telefonata interurbana piuttosto che per il primo dentino caduto, non vedendo che al posto del crocifisso si innalzava Pachamama, Buttafuoco buttava fuori un numero spropositato di libri, di teorie e concetti non proprio conformi al pensiero unico che è l’unico pensiero concesso, lavorava e regalava una produzione intellettuale e culturale a.V. ante Vannacci, ovvero quando tutti si sono scoperti lettori d’area dopo che La (tanto detestata) Repubblica dettava loro persino i testi da leggere. Selfie d’ordinanza con la copertina del libro ordinato, qualcuno, in “fieto” dannunziano, osa l’autoscatto con la copia del libro ricevuto e nessuno che poi ne parla, che recensisca la fatica, che sciorini a destra e a manca – stavolta più che mai – pillole di saggezza estrapolate dalle trecento pagine. Il mondo al contrario per davvero.
La polemica è accesa anche stavolta, manco a dirlo, da La Repubblica perché anni addietro proprio Fratelli d’Italia stoppò la strada proprio di Buttafuoco alla candidatura di Presidente della Regione siciliana. La colpa della Meloni & co. sarebbe, dunque, quella di aver cambiato idea. Lei ha cambiato idea persino sul compagno e padre della figlia! Attaccatela per aver cambiato idea sul blocco navale, ma non su Buttafuoco! Per una volta che si riconoscono merito e competenza e le si mette a disposizione di tutti!
Un autentico riscatto, la miglior risposta all’istituzione di quell’offensivo Ministero per il Sud, soprattutto perché a (ri)proporlo in salsa tricolore, tri-dolore è un partito che si chiama Fratelli d’Italia! Il miglior riscatto, visto che fino a qualche anno fa “importavamo” a Roma personaggi “sudici” – non come Buttafuoco – del calibro di Di Maio, del peso di Dj Fofò. Ma anche Peppe Conte, Robertino Speranza, Lucianina Lamorgese. E il generalissimo Figliuolo! Ora darebbe scandalo Buttafuoco perché islamico? Che lo dice Repubblica è il vero scandalo! Che cambia idea come una Meloni qualunque.
Finalmente un pensatore alla Biennale, una novità come è insito nella natura della fondazione. Due anni passano in fretta. Magari in fretta ci ricrederemo. In un senso o nell’altro. Per adesso, per un biennio evviva Buttafuoco!

TRA DE LUCA E LA SCHLEIN …….. A SALTARE SARA’ IL PD !!

Nella palude del palinsesto televisivo, ieri sera Vincenzo De Luca non ha tradito le aspettative né le ansie dei suoi compagni di partito. Ha calamitato gli ascolti, si è impadronito dello share, ha alzato gli ascolti, la pressione dei suoi e l’umore degli avversari. È un De Luca a ruota libera, un fratacchione canterino, uno che vorrebbe il mondo sinistro al contrario per davvero. Ne ha per tutti, a partire dal padrone di casa Maurizio Crozza, sempre più candidato a vero volto di De Luca, a sua volta, sempre più macchietta di Crozza, fino al conduttore Fazio, invitato, al pari di Crozza, a non “essere un malvivente”.
Irriverente quando parla del Pd, che, a suo dire, è il peggio ereditato dal PC e della DC, insofferente quando parla dell’attuale segreteria verso cui è molto critico. Ma quando non lo è stato? Un decano, nel senso che sono 10 anni che De Luca urla e sbraita in casa sua contro sé e contro i suoi. Anime morte. Proprio così ha de-finito i suoi compagni di-partito. Tutti imperniati intorno a concetti distanti anni luce dall’uomo qualunque: campo largo e agorà democratiche su tutti . E qui sciorina la sua ricetta, quella buona per il PD, ma anche per l’Italia, laddove dovesse diventare segretario o addirittura Premier. In verità, non sa nemmeno lui se riuscirà a correre per la terza volta alla conquista dello scettro di Palazzo Santa Lucia. Un partito che sia vicino alla gente, “la grande comunità di militanti, di amministratori – menomale riconosce che la politica è totalmente altro – che spesso combattono da soli nei territori”. Chissà contro chi, visto che tra governi eletti e illegittimi a Palazzo Chigi c’erano sempre gli stessi…compagni di Vicienzo. “Il Pd – tuona – è nato quando sono finite le ideologie del ‘900 (“campo largo” che nulla ha a che fare con la calorosa accoglienza ricevuta tra gli “imbufaliti” berluscones a Paestum?) per governare una realtà complessa, nasce per governare l’Italia ancora segnata da fratture sociali, culturali, umane”: eppure in questi ultimi 100 anni (gli stessi) ci avevano spacciato la Resistenza e la Liberazione come la panacea! Poi, da politico navigato, come e più della scialuppe di Gigino de Magistris, sciorina la sua ricetta salvapiddì, salvaitalia e salvatutto, lui e il figlio Pierino in primis, se fanno fuori papà o papà non ce la fa farsi rieleggere.
Un paio di concetti “alti” e poi, da showman qual ormai è, un rapido passaggio sul “primo compleanno del governo Meloni: “dicono sia un anno di vittorie, ma a me sembra di stare al tiro al bersaglio, dove si vince la bambolina e lo spumante”. I problemi veri stanno tutti là. Il vero dramma del centrodestra in Campania e non solo è non avere tra le loro fila uno che parla come De Luca. Nemmeno ora che l’area è al governo e Fratelli d’Italia il primo partito. Popolare e a tratti populista, il nuovo De Luca affonda e non affronta temi seri quali l’immigrazione e il caro-carburante, quindi, si scaglia, con fare da gigionatore interessato, persino contro i test di accesso alla Facoltà di Medicina – tutti medici! – in una regione come la Campania che ha carenze di strutture sanitarie e di personale medico. Sarà forse un accenno alla demenza senile, ma il Presidente dimentica di essere anche un decano della Sanità su cui si è accanito, come un cane si accanisce sull’osso, circa la delega speciale che non ha mai voluto mollare. D’altronde, sotto la maschera del simpaticone, ormai triste e ridicola, tristemente ridicola c’è il vero disastroso Presidente di quella regione in cui se il Covid non aveva colpito era per meriti delle sue trovate geniali, quando poi il virus iniziò a diffondersi pure in Campania fu a causa della condotta incivile di chi era privo persino di correre in spiaggia. Allora erano i tempi dei lanciafiamme, oggi quello quello della frusta di bambù in dotazione alla Polizia di Singapore! De Luca è ormai materiale per i comici e, presto, nemmeno più per loro perché rischierebbero di proporre al pubblico la stessa vecchia gag che ormai non fa più ridere. Anzi, è diventata ridicola. E i comici e gli attori, quando non hanno più i tempi, sanno bene che è meglio uscire di scena.
https://www.camposud.it/tra-de-luca-e-la-schlein-a-saltare-sara-il-pd/tony-fabrizio/

Gorla, 1944. Storia di una democraticissima follia

Roma, 20 ottobre – L’ultima vittima è stata trovata abbracciata alla nonna, già sua insegnante e ora maestra piu che mai. Non si sa nemmeno il nome, forse non conta. Basta sapere che era una fan di Harry Potter. Giusto una menzione prima di abbandonarla in quei sacchi bianchi già tristemente noti e già dimenticati. Basta la vergognosa pietas e nulla più perché, tanto, tutto ciò accade in Medio Oriente, è lontano da noi.

Gaza&Gorla

Da noi “uccidente”, avrebbe detto Rutilio Sermonti. Così come era lontano da noi ciò che accade(va?) in Ucraina, eppure succede davanti alla porta di casa Europa, distante da noi meno di quanto misura la distanza di due punti limiti in Italia. Non siamo abituati a vedere certi orrori se non in tivvù, i nostri cuori non reggono a tanto strazio, i nostri, ormai, sono palati fini, seppur cresciuti a stenti concessi dal desco di Marshall. Dove siamo stati ammessi per essere seduti dalla parte degli sconfitti, se non addirittura sotto al tavolo per raccogliere le briciole che il ricco Epulone lasciava cadere. Eppure a queste scene siamo stati già abituati, ci siamo passati prima di tutti mentre correvamo sulla via della democrazia. Gorla, quartiere residenziale di Milano, 20 ottobre ’44: l’Italia ha già tradito, i liberatori sono già rintanati sulle montagne dove era stipata la libertà, l’Italia è “alleata” ai loro cobelligeranti angloamericani. Alle 11.24 36 bombardieri pesanti “B-24 Liberator” del 451st Bomb Group dell’USAAF, alzatisi in volo da Castelluccio, in provincia di Foggia, e dopo che una parte della formazione era uscita dalle coordinate, decide di “riparare” all’errore bombardando “altro”. La scelta cade sui quartieri popolari di Gorla e Precotto. Nella scuola elementare Francesco Crispi di Gorla sono presenti 200 alunni cui fu dato in ritardo anche l’allarme antiaereo quando il carico di morte di oltre 2 quintali e mezzo fu liberato, mentre la scolaresca, insieme con insegnati e collaboratori, tentava ancora di mettersi al riparo nel sottoscala. 614 furono le vittime, 184 i bambini. Innocenti. Accedeva 80 anni fa e accade ancora oggi.

Dimenticare in fretta

Oggi tendiamo a dimenticare in fretta ciò che, invece, della nostra storia non abbiamo mai potuto sapere. Perché è stata una svista tra tante stars and strips. Perché alla fine quei bambini sono morti per colpa di Mussolini che faceva tenere le lezioni pure durante la guerra. Pure non essendo più al governo. Perché aveva pensato di rendere sovrana quella Nazione che oggi è una portaerei con 113 basi NATO americane. Alla faccia dell’alleanza! Il controllo passa per la fiducia. E qui sarebbe doverosa aprire (anche) una interessante parentesi su quelle leggi del ’38 passate alla storia quali “razziali” ma che furono essenzialmente leggi politiche, volte a mettere fuori dalle istituzioni e dai palazzi dei bottoni coloro che ancora oggi decidono le sorti del mondo. Niente. Tutto infoibato. Anche quest’anno. Acciocché la narrazione, la rivisitazione, l’invenzione faccia il suo corso. Storico. Eppure, a quasi un secolo di distanza, con i documenti che riemergono e le fonti dirette che ancora sopravvivono, stragi come quella di Gorla si dovrebbero fare conoscere, studiare anche e soprattutto nelle scuole. Siamo in democrazia, in fondo. Ce lo hanno insegnato loro.

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Guerra in Medio Oriente? Dal Golfo Persico invochiamo Gigino Di Maio

LUIGI DI MAIO RAPPRESENTANTE EUOPEO PER IL GOLFO

Roma, 11 ott – Defilato – almeno da tivvù e giornali – il fronte ucraino dove, se non si fosse ancora capito, si combatte una guerra all’Europa, un altro fronte che interessa non meno degli altri l’Italia è proprio quello (solo) acuitosi in questi giorni in Medio Oriente. E se il governo in carica, al netto di ogni schieramento, non rassicura gli italiani, questi possono ugualmente dormire su sette cuscini: il nostro inviato nel Golfo Persico c’è e risponde al nome di Gigino Di Maio. Dove “nostro” sta per inviato dell’Unione europea che è la sola rassicurazione.

Gigino Di Maio, un personaggio da rispolverare per fare un po’ di sana ironia sulla situazione

Già, perché se Gigino fino a pochi mesi fa non sapeva nemmeno individuare sulla cartina geografica il suo attuale luogo di spedizione, dove, cioè, lo avevano mandato – che tanto ricorda quel “moto a luogo figurato” con cui Grillo ha costruito le altrui fortune politiche: l’istituzionalizzazione del vaffa – a (non) lavorare in modo da non provocare danni, ora lui c’è e sta laggiù. Per tutto, per tutti. Un passe-partout, da vero fan della certificazione e della concessione. Un po’ come i suoi abiti sartoriali adatti per ogni occasione, tirati a lucido come la cravatta diventata parte del suo corpo. Una protuberanza. Un “costume” ormai. Come la brillantina nei capelli e la cromatina sulle scarpe. Sorriso sornione rassicurante, occhi da panda, eloquio da democristiano, aplomb tipico e ossequio per la carica. Quasi un apparatčik, inteso nella storpiatura napoletana di chi “appara (figure) kitsch”. Di cui è un vero fuoriclasse.

Da Pomigliano con furore

Caricato a molla, come uno di quei cagnolini da cruscotto per le auto, imbalsamato a mo’ di manico di scopa, saprà il nostro districarsi tra bombe e carrarmati, tra pace e guerra, tra jihad e tagli acqua, luce e gas, ormai affar suo? E, se non saprà, sarà semplicemente Di Maio. Una coerenza. Da Ministro degli esteri che ha “okkupato” l’”Afarnesina” non confonderà più il Cile con il Venezuela, non compirà più viaggi intercontinentali, visti quali sgarbo istituzionale – stesso frasario di quando cianciava di incriminare nientepopodimeno che il Presidente della Repubblica in persona, poi trasformatosi nel migliore di sempre – rivelatisi una vera e propria odissea per quella ventina di pescatori di Mazara del Vallo che finirono sequestrati e per i loro familiari accampati in piazza Montecitorio che mai riuscirono a parlare con l’altro capo del telefono della Farnesina. Lui “c’è lha fara pure” st(r)avolta.

D’altronde in soli due mandati – mandato dove? – da “arrangiatore”, nel senso napulegno di “artista del lavoro”, è assurto agli scranni dell’emiciclo romano quale apriscatole del Parla-mento, si è affacciato ai balconi istituzionali per vantarsi di aver sconfitto la povertà, dopo aver infuocato le piazze al grido di “onestah!”. Ha risolto la crisi dei lavoratori della Whirlpool di Ponticelli, nel senso che la chiusura non è stata scongiurata e sul tavolo del Ministro (lo è stato davvero!) ci sono stati solo i licenziamenti. Da Ministro del Lavoro senza aver mai lavorato a Ministro degli esteri senza conoscere nemmeno una lingua, persino la sua, Gigino ha dato ampia prova di essere un buono a tutto. Uno che ha saputo riciclarsi in ogni dove, in ogni come, senza, tuttavia, un perché. Ed è il migliore in assoluto, un autentico resistente, l’unico sopravvissuto, rispetto ad altre stelle cadute quali Toninelli, DiBa, Roberto Fico – con una vocale in più e non solo rispetto all’omonimo premier slovacco – dj Fofò e Lello Ciampolillo, dei quali gesta e imprese non si dimenticano di certo. Persino più di babbo Grillo e del figlio di babbo Casaleggio. Come Rosseau. Più di Russò (traslitterazione giginesca). Gigino non russò. Per sé e per i suoi. Chissà se noi con lui lì possiamo dormire sonni tranquilli. Per 13000/16000 euro al mese, Gigino a tutto gas!!!

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