GUERRA AL QUATTRO NOVEMBRE


L’ultima dichiarazione di guerra arriva dai pacifisti, a danno di personalità servitrici dello Stato che per lavoro garantiscono proprio il diritto alla parola ai mercenari che, credendo di insegnare, si richiamano alla Costituzione – da cui in realtà sono lontani anni luce – e che impediscono un democratico confronto.
Accade nel liceo Marco Polo di Venezia, dove il Preside, in occasione della ricorrenza del 4 Novembre, aveva organizzato un incontro con ufficiali della Marina Militare e della Guardia di Finanza sperando di coinvolgere almeno le classi V, quelle che dovrebbero a breve maturare.
Apriti cielo e chiuditi scuola!
I militari non sono stati graditi a certi docenti e discenti della scuola che hanno deciso di disertare l’incontro in base alla Costituzione (art.11) che ripudia la guerra come strumento di offesa agli altri popoli e come mezzo di risoluzioni delle controversie internazionali.
Proprio la Marina, la scorsa estate, è stata oggetto di attacco da parte di chi la libertà nostra, in casa nostra, l’ha infranta così come i divieti nostrani, le leggi di uno Stato sovrano, tanto che una nostra (della Finanza, cioè dello Stato quindi noi) motovedetta, con militari a bordo, è stata addirittura speronata. Eppure la GdF si trovava in territorio italiano e non altrove a infangare libertà o a sparare cannonate dalla rada di qualche stato. Anzi, ultimamente nemmeno i confini della nostra Nazione può proteggere e, da servitori deputati al compito della difesa nazionale, sono stati impiegati nei trasbordi internazionali di merce umana. Così come mai hanno fatto la guerra i due fucilieri di Marina Salvatore Girone e Massimiliano Latorre che non hanno nemmeno mai spar(l)ato sullo Stato cui hanno giurato fedeltà e che li ha per anni abbandonati.
Per loro non è ancora finita!
Le Fiamme Gialle, invero, conducono sì una guerra, ma all’evasione fiscale, peraltro inasprita da provvedimenti del governo (forse lo stesso di questi insegnanti) e a cui ultimamente sono stati “impediti” gli esercizi di polizia di frontiera facendo del Belpaese – in compenso – un Paese di Polizia tributaria.
La Marina, insieme a Esercito, Aeronautica e Carabinieri, e alla Guardia di Finanza che però è un corpo armato, concorre a formare, per Costituzione, le Forze Armate dello Stato e dipendenti (eccetto la Finanza) dal ministero della DIFESA, non della guerra. Dal 1861! Anno in cui, probabilmente, questi occupanti di cattedre e di diplomifici del politically correct, fanno risalire l’unità d’Italia, che invece è stata conseguita proprio con l’armistizio di Villa Giusti, dalle ore 15 del 4 Novembre 1918. A conclusione della Grande Guerra. Con tanto di annuncio di vittoria del generale Armando Diaz.
Che piaccia o meno la storia è questa e il 4 Novembre non si festeggia alcuna guerra, ma solo la vittoria di essa. E si festeggia (con) gli uomini e le donne delle FF.AA., gli stessi che non fanno alcuna guerra: basti vedere la percentuale di caduti nelle missioni internazionali a testimonianza che esiste uno stile italiano anche nel combattimento. A testimonianza del gran numero di voli dell’Aeronautica verso ospedali italiani per per poter curare giovani e bambini delle terre di impiego dei contingenti italiani. A testimonianza dell’elevata quantità di aiuti materiali, cibo in primis, distribuiti nei Paesi di impiego.
A farlo sono uomini e donne comuni, gli stessi che se ne ritornano a casa dopo aver ricevuto sputi ed insulti in piazza, magari proprio da questo genere di insegnanti non proprio pacifici, né pacifisti e che l’indomani porteranno a scuola i propri figli affidandoli a insegnanti come questi.
Chissà cosa avrebbe potuto comportare l’ingresso dei militari nella scuola ai loro occhi, chissà quale estremo atto di guerra il confronto. Forse i maturandi-tutti-uguali-per-moda si sarebbero potuti spaventare alla vista di uomini e donne in uniforme? Forse i maschietti si sarebbero spaventati alla vista di barbe rade o curate? Forse le femminucce si sarebbero intimorite alla vista di chignon militare e retina per capelli? Forse avrebbe fatto impressione l’uguaglianza e l’emancipazione della donna soldato?
Fa paura, però, che un pugno di docenti (almeno stando all’onorario) coadiuvato dagli studenti (facile intuirne il motivo) costringa un Preside ad annullare un civile e democratico confronto con personale dello Stato in (ignorante) ottemperanza di quella Costituzione che, solo 10 articoli dopo, garantisce a «Tutti il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Fa ancora più paura il silenzio del Ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, forse ancora impegnato a firmare le giustificazioni per la manifestazione per Greta senza Greta e senza nemmeno consenso dei genitori degli alunni, che di fatto schiera (ancora!) il suo (?) ministero e acconsente ad un altro sgarbo istituzionale, verso personalità dello Stato.
Sarà un caso, ma proprio Fioramonti, a poche settimane della nomina al MIUR, è stato tirato in ballo circa gli attacchi contro Carabinieri e Polizia espresse dalla sua pagina social, addirittura contro il brigadiere Giangrande invalidato a vita per difendere non casa sua, ma Palazzo Chigi da un attentatore armato.
Violenza vomitata dalla lontana Pretoria (Sudafrica) dove insegnava economia politica (!) e dove, in piena fuga di cervello, dimenticava di insegnare persino l’italiano al proprio pargolo, tanto che, al ritorno in Italia per fare il ministro, ha dovuto iscrivere il fanciullo ad una scuola inglese, rifiutando l’esame di italiano a causa delle difficoltà per la lingua sconosciuta.
Questa è l’Italia attuale del no-4 Novembre? Questa è la Terra per cui i ragazzi del ’99 si sono immolati? Questa la Nazione delle non più irredenti Trieste e Trento? Questa la Patria di Armando Diaz?
L’Italia il 4 Novembre festeggia la Vittoria del I Conflitto Mondiale, festeggia la giornata dell’unità ed identità nazionale e delle Forze Armate. In piazza. E gli Italiani veri insieme con loro, con o senza quegli insegnanti che impongono il loro unico pensiero, ma non quello del ragionamento, che sono per la democrazia e la libertà, ma solo quelle a loro più congeniali vietando ciò che è altro da loro, che scagliano urbi ed orbi accuse di omofobia, ma che si circondano solo di propri simili, che si dicono docenti ma sono lontani anni luce da qualsivoglia minimo elementare insegnamento.

BIBBIANO ANCORA!

Esistono ricchezze che valgono molto più di ogni ideologia e convinzione. Si chiamano figli.
Esistono figure più nobili di quanto non possa già esserlo quella di un genitore. Si chiamano giudici.
Non è andata così però a Bibbiano, dove giornali e telegiornali, anche quelli allineati, hanno tenuto incollati per tutt’una estate l’Italia intera parlando del caso più aberrante degli ultimi anni ai danni di bambini innocenti che venivano affidati illecitamente ad amici e compsgni, arrivando a praticare su di loro sevizie e torture.
Su Bibbiano è stato detto di tutto, ma ciò che non è stato detto, nemmeno dagli organi di stampa non asserviti, e che non si dovrebbe faticare a tacere, è che ad indagare il Tribunale di Bologna – che aveva di fatto disposto gli affidi – è stato lo stesso Tribunale di Bologna che non ha riscontrato anomalie od irregolarità nelle assegnazioni. Fatte da loro. Precedentemente. Il Tribunale di Bologna, dunque, giudica se stesso. Assolvendosi. Autoassolvendosi.
Se sia la verità o l’occultamento della verità non lo sapremo mai, ma i bambini hanno parlato. Con la voce dell’innocenza. Dell’ingenuità. Taciuta. Poi tacitata. A Bologna è arrivata anche una super-commissione nominata “ad hoc” e presieduta da un iscritto al Partito Democratico che fa parte di quella magistratura (democratica) che dovrebbe essere apartitica ed apolitica. Politica e partito che sono gli stessi che invitavano il vertice dello scandalo di Bibbiano – la mente del sistema – a prendere parte alle conferenze organizzate. In qualità di esperto di una ramo in cui non era laureato. In quell'”ad hoc” potrebbe essere quindi contenuta ogni risposta, persino troppo evidente.
Se si pensa al sistema Bibbiano come ad una piovra, allora ci si chiede cosa abbiano fatto i magistrati di Ancona, competenti su quelli di Bologna. Forse troppo impegnati a non pestare i piedi a togati e colleghi che potrebbero anche servire. O meglio, di cui vorrebbero non servirsene. Mai.
Anche i giudici d’altronde hanno figli avrebbe detto una loro affiliata così come lo mandò a dire ad un Maresciallo dell’Arma.
Ci si chiede quindi cosa abbiano fatto gli oppositori politici del “partito di Bibbiano” oltre ad appendere striscioni e finiti poi a vendere magliette e a fare foto col giornalino, una volta al mese. Perdendo di fatto l’occasione di dimostrare per una volta, la sola, la loro, che la la Politica é impegno nobile a favore dei più deboli e non interessata elemosina di preferenze in una campagna elettorale perenne, indice della volubilità di idee ed ideali che in un linguaggio sempre più sinistro si identifica con la bramosia di potere, espressa attraverso il repentino cambiaMENTO di CA-sa-CCA.
Dopo aver chiesto di “parlare di Bibbiano” e dopo che la sinistra voce di Mentana ha provocatoriamente proposto di “parlare di Bibbiano ora”, ci si chiede se non sia il caso di parlare di BIBBIANO ANCORA!
Ora che il Pd – cui erano iscritti gli arrestati – è ancora al governo. E con l’acerrimo nemico 5 stelle se ne vanno a braccetto per l’Italia intera. Ora che i loro rappresentanti dalle sedi istituzionali chiedono un cambiaMento di mentalità affinché i concetti di padre e madre, quindi di famiglia, scompaiano completamente. Abolendoli. A beneficio della teoria gender.
Ora ed ancora che certa magistratura si è fatta “scoprire” a dare facili passepartout per l’intero Stivale a persone rifugiatesi in Italia perché discriminati sessualmente, quindi omosessuali, che stuprano come degli eterosessuali qualunque. Quegli eterosessuali che, dopo averle stuprato, squartano le fanciulle autoctone, forse non ancora abbastanza sottomesse e poi chiedono ai giudici di dare la colpa ai genitori – che gliela danno – di aver lasciato libera una sedicenne in casa sua, come tutti i sedicenni qualunque. Forse non abbastanza adulti da conoscere riti macabri da noi (non più) lontani e sconosciuti. Ma grandi abbastanza per farli andare al voto. Sperando di eleggere gli stessi che di Bibbiano vorrebbero non ci si ponesse più nemmeno il problema.

SCIACALLI DI MARE

Non credo si possa essere maggiormente sciacalli rispetto all’ostentazione della morte. Dei morti, anzi.
Mi chiedo come mai delle foto ritraenti il recupero dei morti annegati di migranti scattate dalle forze della Capitaneria di Porto, corpo specialistico della Marina Militare Italiana, Forza Armata dello Stato, siano finite in mano a dei giornalisti.
Mi chiedo per quale motivo o quante copie in più di un giornale abbia potuto far vendere vedere dei corpi giacere in fondo al mare. O almeno averne l’idea visto che l’acqua impedisce una perfetta visualizzazione dell’immagine.
Mi chiedo se davvero interessi vendere qualche copia in più a giornali che si sostengono con finanziamenti dello stato. Lo stesso Stato in cui non si può ritrarre o riprendere una delinquente ammanettato. Anzi, le manette non vanno nemmeno messe se il delinquente non è in grado di nuocere. A testimonianza dell’ossimoro, della contraddizione in termini del concetto. Che è stato.
Mi chiedo perché questo giornale si chiami Repubblica e se dietro a questo estremo atto di sciacallaggio non ci sia un “istituzionale” tentativo di scuotere le coscienze. La stessa che manca ai pubblicatori di certe cose.
Non credo che alcuna coscienza italiana possa essere scossa da queste immagini in quanto nessuno italiano per bene può dirsi colpevole di simile “commercio” di anime. Se non quelli che, senza scrupolu, trasbordano da un continente all’altro persone che fruttano denaro, illudendoli su integrazione, miglioramento della qualità della vita, possibilità di vita. Quelle persone che appunto hanno dimostrato ancora una volta di non avere coscienza. Ma essere solo portafoglio.
Giornalisti asserviti e ripetitivi che ancora una volta propongono immagini di minori morti abbracciati al padre o alla madre: le stesse figure che si vorrebbero cancellare.
È già capitato di vedere un bambino morto nella stessa maglia del papà. Adesso ci viene proprinato un bambino (o una bambina se ha importanza conoscerne il sesso) che muore abbracciato alla madre. In barba ad ogni elementare regola del mare che vuole si salvino prima le donne e i bambini. In barba ad ogni principio fisico che vuole la comparizione del rigor mortis molto tempo dopo la morte dunque due corpi di peso differenti non potrebbero calare a picco contemporaneamente e rimanere abbracciati sul fondo del mare.
Non voglio pensare che siano foto montate ad arte o filmati manipolati, ma mi chiedo dove si voglia arrivare proponendo queste immagini se non a offrirne altre con ulteriori varianti, ma sempre uguali. Proprio come il bambino morto nella maglia del papà e dimenticato troppo presto per far guadagnare la scena a questi morti abbracciati.
Quell’abbraccio è stato ucciso già sulla costa, alla partenza. Ucciso dall’inganno. Quello finto di una vita migliore. O solo di una vita. Che per quelli senza coscienza vale 35 euro al giorno. E non una sola ong filantropa con equipaggio fortunato ed umanitario a bordo, da costa a costa.
L'immagine può contenere: una o più persone
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SULL’OMICIDIO (ALLO STATO) DI TRIESTE

Ancora una piazza. Ancora tutti uguali. Questa volta senza vessilli di partito e di fazioni, ma tutti uniti. Uguali. Uniformi. Sotto il tricolore! Cui si presta giuramento e si rimane fedeli. Per tutta una vita. E oltre. Fino a vederlo avvolgere quelle quattro tavole di legno che lo stato baratta con uno stipendio. Offrendo vantaggi qualora figli e parenti volessero intraprendere la stessa strada. E forse la stessa fine.
Evitate di chiamarla divisa perché giacca, pantalone, basco, berretto e anfibi non dividono proprio nulla, ma uniscono, uniformano appunto. Da Trieste a Palermo. Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, Vigili del Fuoco, Polizia Penitenziaria: tutti uguali. Tutti verde bianco e rosso. Militari e civili. Perché ieri in Piazza Montecitorio si è scesi per manifestare malessere personale e professionale. Spesso, troppo, sfociato in conseguenze tragiche personali. Ma di cui tutti si limitano a raccontarne solo la cronaca.
Nella stessa piazza dove il benemerito maresciallo dell’Arma Giuseppe Giangrande non ha esitato a farsi ficcare delle pallottole in corpo da un esagitato e una pure nella spina dorsale che l’ha costretto per sempre sulla carrozzella, in virtù di un giuramento, per la difesa di coloro che, invisi al popolo, difendono solo la loro seduta sulla poltrona. Gli stessi che per questi Servitori dello stato dall’alto della loro poltrona non muovono un dito. Non sentono. Non vedono. Non parlano. Non pensano. Se ne fregano. Disarmiamoli, tagloamoli,mandiamoli male equipaggiati, inquisiamoli, processiamoli. Tanto sono condannati dalla mancanza di regole di ingaggio. Sono condannati se osano sparare o persino usare le manette. Strumenti di coercizione. Inutili. Sono loro stessi ammanettati. Da quelle leggi uguali per tutti che tentano solo di far rispettare. Emanate da coloro secondo cui il poco è troppo, ma che quando si tratta di loro non disdegnano auto blindate, corazzate, colonne di auto, guardia del corpo, corpo di guardia, sofistocate tecnologie e armi di precisione che fanno meno paura di quanto un anfibio di un assetto antisommossa possa fare ad un giornalista caduto in una fase di guerriglia civile perché gli antitutto vorrebbero impedire la libera espressione di parola in un pubblico luogo.
Unità di una forza pubblica bistrattata divenuta squadra di forza di un privato, d’élite usata finanche per mettere in ammollo le chiappe arrepecchiate e incartapecorite di chi da troppi anni è abituato solo al velluto.
Insieme alle Uniformi ieri in piazza tanti cittadini comuni a loro grati per il lavoro usurante e sottopagato e che si vergognano perché è diventata normale un’aggressione, non grave uno sputo, lavorare senza mezzi, con strumentazioni obsolete e sott’organico. Per difendere chi li difende.
Una piazza dove non ci si conta, in cui non si misura il consenso popolare, una piazza non volta all’utile come abitudine di certi inquilini – persino abusivi – di Palazzo. Spesso loro diretti datori di lavoro.
Una Piazza composta e rumorosa cui i servi di regime hanno dovuto togliere voce. Aumentandola. Su cui è dovuto calare un eloquente silenzio di insopportabile malessere che ha raggiunto l’apice toccando il fondo. Lo stesso silenzio assordante che è seguito alla morte di Pierluigi Rotta e Matteo Demengo, a quello tombale di Mario Cerciello Rega ancora caldo nonostante a 30 anni sia già sotto due metri di terra, a quello di ogni altro destinarario di funerali di Stato, passerella istituzionale e cordoglio tanto dovuto quanto finto. Lo stesso silenzio omertoso che costringe capitano Ultimo, l’uomo simbolo della lotta alla mafia, colui che ha arrestato Totò Riina, l’erede del generale Dalla Chiesa, il braccio operativo di Falcone e Borsellino a girare senza scorta, ancora una volta, a rinunciare alla propria identità imbavagliandola col mephisto e affollando le aule giudiziarie. Premio ed aule da dividersi con Bruno Contrada, altro servitore ben ricompensato e preferito. In attesa solo di celebrare altri funerali di Stato.

INCIDENTE NUCLEARE IN RUSSIA: CIO’ CHE (ANCORA) NON SI SA

Ad un mese abbondante dall’incidente nucleare occorso nella regione dell’Arkhangelsk, sulle coste del Mar Bianco, in Russia ancora nulla è dato sapere. Se non qualche notizia trapelata e non confermata dagli organi istituzionali preposti che non fa altro che accrescere il desiderio di conoscere. Desiderio acuito e trasformatosi in necessità di sapere se l’incidente si verifica nei pressi della Nyonoksa, base inaccessibile di sperimentazione delle forze navali russe.
Alle ore 12:00 circa di giovedì 8 Agosto, un’esplosione interessa la zona sulle coste a ridosso del Circolo Polare Artico a riguardo della quale iniziano a formarsi le ipotesi più disparate, fino a quando, solo due giorni dopo, arriva una tiepida ammissione dal Cremlino, nonostante vi siano ben 5 vittime. Si tratta di 3 specialisti civili e 2 militari appartenenti alla Rostaom, la società statale russa per l’energia atomica impegnata nella sperimentazione di un sistema di propulsione liquido con isotopi. Almeno stando alle fonti ufficiali che hanno proclamato due giorni di lutto che ha interessato la “città chiusa” di Sarov: una località, soggetta a restrizioni per quanto riguarda la residenza e l’accesso. Restrizioni dovute principalmente a motivazioni di natura militare. Queste realtà furono realizzate, durante la Guerra Fredda, soprattutto in Unione Sovietica, sebbene esempi siano riscontrabili anche altrove: si pensi soltanto a Los Alamos, nel New Mexico, conosciuta come la culla della bomba atomica.
Il Cremlino quasi immediatamente vieta anche l’accesso ad alcune zone della baia, ufficialmente per permettere il recupero dei reperti. Greenpeace con lo stesso tempismo fa sapere che nella stessa baia, evacuata e poi smentita ma dove gli abitanti hanno acquistato grandi quantitativi di iodio (che contiene gli effetti delle radiazioni), si è registrato un incremento di radiazioni in misura 16 volte superiori alla norma. Immediatamente le fa eco la Norvegia che fa sapere che ai confini con la Russia sono stati registrati livelli di iodio radioattivo molto superiori alla media. Avventatamente o meno, si inizia a parlare di una seconda Chernobyl dove, nel 1986, dopo l’incidente, i valori dei raggi gamma superarono di 7000 volte la soglia consentita. Appare evidente che non si può paragonare l’esplosione di un missile rispetto ad una centrale nucleare come fu Chernobyl, ma ciò che fa destare più di un sospetto, come ha commentato Leonid Bershidskij, ex direttore di​Vedomosti, oggi editorialista di​ Bloomberg, è proprio che “non bisognerebbe fare ipotesi neppure riguardo al minore e meno preoccupante degli incidenti nucleari. Né è ammissibile che ci vogliano giorni per ammettere che c’è stato un incidente radioattivo”. Sebbene “quel che è accaduto ad Arkhangelsk non sia una seconda Chernobyl”, sostiene l’analista russo, “le autorità avrebbero dovuto fornire spiegazioni chiare”. Altrimenti “è irragionevole aspettarsi che la gente creda a un governo che tiene le sue carte così coperte, e non per la prima volta”. Se non mancano le fotografie dallo spazio del momento dell’esplosione, Trump fa sapere tramite un tweet che “dall’incidente missilistico nucleare russo gli Usa stanno imparando tante cose a causa della tecnologia militare simile.” A conferma del commento del Presidente degli Stati Uniti d’America si schiera anche la CNN con l’esperto Jeffrey Lewis, del Middlebury Institute of International Studies di Monterey, che fa notare come, dalla foto scattata dal satellite – nei pressi del punto dell’esplosione – si può notare la presenza di una nave per il trasporto di combustibile nucleare Serebryanka, quella sopra citata per il recupero dei reperti.
Secondo l’esperto, la presenza di questa imbarcazione potrebbe significare che fossero in atto sperimentazioni di un missile da crociera a propulsione nucleare. “Siamo scettici sull’affermazione secondo cui quello che veniva testato era un motore a propellente liquido”, ha riferito Lewis alla CNN. “Pensiamo si trattasse di un missile da crociera a propulsione nucleare che chiamano Burevestnik.” Un missile conosciuto dalla NATO come SCC-X-Skyfall. Non è un mistero che il presidente Putin punti su questa tecnologia che, considerando anche il “successo parziale” degli ultimi test, appare ancora immatura, ma che il Premier ha presentato al mondo come un “missile invincibile”. Motivo che porterebbe a credere che sia questa la vera ragione per cui Trump abbia abbandonato il trattato ISF – siglato a Reykjavík da Reagan e Gorbačëv nel 1986, in piena Guerra Fredda – sui missili nucleari a raggio intermedio installati da USA e URSS sul territorio europeo. Con conseguente “monitoraggio”.
Resta, comunque, difficile stabilire cosa sia successo, se non impossibile poiché l’incidente è avvenuto in una zona della Marina Russa che potrebbe archiviare tutto come segreto militare”. La sola cosa certa è che le notizie – e le conseguenti spiegazioni – dal Cremlino sono state diffuse con il contagocce e con ritardo. Così come ritardate sono gli effetti di una contaminazione nucleare che potrebbe verificarsi. Così come ritardati sono stati gli effetti di Chernobyl.http://https://www.jpress.it/cronaca/incidente-nucleare-in-russia-cio-che-ancora-non-si-sa/

FUKUSHIMA: QUALE PERICOLO?

L’acqua, che per antonomasia dovrebbe lavare via tutto, in un futuro molto prossimo potrebbe essere foriera di danni, distruzione e morte.
L’ammissione arriva direttamente dal governo del Giappone che per mezzo del ministro dell’ambiente Yoshiaki Harada rende noto ufficialmente che la società Tokyo Electric Power (Tepco), che gestisce la centrale nucleare giapponese di Fukushima – già gravemente danneggiata dal sisma e dallo tsunami del Marzo 2011 – verserà nell’oceano Pacifico acqua radioattiva.
Dopo lo tsunami, la Tepco ha immagazzinato in spazi all’uopo dedicati l’acqua di raffreddamento proveniente dai condotti nucleari (quindi radioattiva) e che adesso stanno per diventare esausti. “L’unica soluzione è di versarla in mare e diluirla (…) Il governo ne discuterà, ma vorrei offrire la mia semplice opinione” ha continuato il rappresentante del governo nipponico.
Immediata la replica del segretario di gabinetto giapponese Yoshihide Suga che, in una conferenza stampa separata, ha precisato però che i commenti di Harada sono “la sua personale opinione”. Tepco non può decidere cosa fare, seguirà le istruzioni governative che attualmente ha interpellato più commissioni di esperti.
Lo spazio per immagazzinare l’acqua (960 serbatoi di acciaio) finirà definitivamente entro il 2022 e non è possibile costruirne altri poiché, secondo l’Autorità per il nucleare, nuovi depositi nel sito potrebbero saturarlo e togliere spazio per lo stoccaggio dei materiali altamente radioattivi dopo lo smantellamento della centrale. Altra possibilità sarebbe quella di usare per i nuovi depositi i terreni privati circostanti, privi ormai di valore dopo il disastro, ma le leggi giapponesi sugli espropri sono molto deboli e l’operazione potrebbe essere difficile. Secondo il Presidente dell’Autorità giapponese per il nucleare  Toyoshi Fuketa, scaricare l’acqua contaminata in mare, dunque, risulta essere la scelta più ragionevole e sicura (operazione che dovrebbe iniziare a breve visto che per la preparazione dell’impianto si stima che i lavori durerebbero un anno circa) dato che nelle acque dell’Oceano Pacifico, insieme con le acque di raffreddamento, finirà il trizio, un isotopo dell’idrogeno a bassa radioattività, per questa ragione difficile da rilevare: la sua radiazione non riesce a penetrare la pelle umana, ma può essere dannoso se ingerito o inalato. È tuttavia considerato poco pericoloso per l’uomo, perché viene espulso rapidamente attraverso le urine e il sudore.
Se il governo nipponico ce la mette (non) tutta per rassicurare l’opinione pubblica, si leva la voce di abitanti e pescatori della zona, nonché delle assai numerose associazioni ambientaliste, preoccupati dai danni che l’elemento chimico possa provocare al biosistema circostante che inficerà anche sulle esportazioni di pesce (l’Italia stessa importa pesce dal mare di Bering) le cui correnti, però, dovrebbero contribuire a diluire la quantità di trizio presente in acqua e a ridurne gli effetti. Anche dal punto di vista umano il cui ricambio idrico biologico (che espelle completamente l’acqua presente nel corpo ogni 72 ore) consentirebbe di avere effetti trascurabili dal punto di vista sanitario.
Stando al parere degli esperti, quindi, la notizia dello sversamento di acqua radioattiva nel Pacifico è frutto di una mancata informazione da parte dell’opinione pubblica che considera estremamente elevati i livelli di radioattività quindi ha destato ingiustamente timore poiché – nel caso di Fukushima – l’immissione supera di sole 10 volte il livello consentito e ciò non comporta alcun tipo di rischio.
Non è sapere comune, ma ogni impianto nucleare rilascia effluenti radioattivi nell’ambiente e sono stabilite specifiche norme che impongono il rispetto di determinati limiti di dose alla popolazione e anche l’effettuazione del monitoraggio della radioattività ambientale nelle zone limitrofe degli impianti. Nulla di nuovo o di diverso dagli altri per la centrale del Sol Levante.
Al netto dei tecnicismi e attese le verità giustificative dei periti (da loro ingaggiati), pare di capire (con una certa ragionevolezza) che lo sversamento nel Pacifico delle acque contaminate di Fukushima- che assume carattere di decisione già presa- è il male minore non certo la panacea; che il trizio non è rilevabile, ma è comunque presente nelle acque dell’oceano e che, se è vero com’è vero che le correnti aiutano a disperderlo, contribuirebbero anche a propagarlo; che, oltremodo, se non è rilevabile, si sarebbe potuto evitare la diffusione di un timore oceanico tra i meno esperti con un “silenzio istituzionale”; e che, in conclusione, tutti si affrettano a quantificare la vita dell’elemento radioattivo in 12 anni, ma nessuno ha provato a spiegare che cosa accade durante i suoi 12 anni di vita. E di attività. Vieppiù che le reazioni nucleari non si conoscono che dopo anni (Chernobyl docet!). Domande che, se è lecito porsi, è altrettanto lecito pretendere che vengano erudite, ma sulle quali per ora vi è un assordante silenzio. Ben poco tranquillizzante.http://https://www.jpress.it/cronaca/fukushima-quale-pericolo/

GLI ALBERI OSTACOLANO LA DIFFUSIONE DEL 5G

Vi sarà capitato di assistere – nell’ingenua indifferenza – alla “potatura” di alberi lungo qualche viale cittadino,al ridimensionamento del verde pubblico, magari quel poco che resta nelle cementificate città, ed anche all’abbattimento di arbusti secolari. Forse per stagione, forse per malattia, qualcuno per intralcio alle opere di urbanizzazione.
Se, però, il fenomeno interessa non solo una città, una regione, la nazione intera, la nazione confinante ma si estende anche oltreoceano, viene da chiedersi il motivo per cui questi alberi si siano “ammalati” tutti insieme, contemporaneamente, se non addirittura porsi qualche dubbio (o forse più di uno) e tentare di capire cosa stia accadendo.
La risposta, o almeno un’interpretazione, ha provato a darla il sito d’informazione “Oasi Sana” dopo studi, ricerche e inchieste attraverso le voci di uomini di scienza citando fonti di professionisti non schierati e lontani da ogni etichetta di complottismo: gli alberi vengono abbattuti perché rappresenterebbero un ostacolo al 5G, la nuova tecnologia di trasmissione dati e telecomunicazione.
Il fenomeno, nonostante le proteste ecoambientaliste, gli scioperi – che in realtà sono manifestazioni – e la settimana per il futuro di rilevanza mondiale(Week for future), nonostante Greta Thunberg non proferisca parola al riguardo, così come sulla Terra dei Fuochi, è largamente preoccupante in Italia tanto che sono sorti comitati in varie città italiane come racconta proprio l’inchiesta di Oasi Sana a firma di Maurizio Martucci: a Prato, i dimostranti sono scesi in strada al grido di “PIU’ ALBERI, MENO ANTENNE”; a Roma il Comitato Stop 5G Cerveteri ha chiesto al Sindaco di chiarire sull’abbattimento degli alberi secolari. Di contro, il Primo cittadino della città – famosa per la presenza della Necropoli della Banditaccia, uno dei più importanti siti etruschi del Lazio – ha provato a spiegare accusando di complottismo i difensori dell’ecosistema (come se questo non fosse anche del Primo cittadino, ndr) – ipotizzando la responsabilità della Giunta Raggi del contemporaneo abbattimento di piante annunciato addirittura in 60mila unità a Roma. In Abruzzo le Mamme Stop 5G hanno invece portato i loro figli nei parchi per farli abbracciare agli alberi.
Oasi Sana, attraverso il docente di fisica collaboratore alla Statale di Milano ed esperto dei problemi legati all’inquinamento elettromagnetico Andrea Grieco, chiarisce nell’inchiesta pubblicata sul loro sito internet il modo per cui gli alberi rappresentano un “nemico” per la propagazione del segnale 5G: “L’acqua, di cui in genere sono ricchi gli alberi e le piante, assorbe molto efficacemente le onde elettromagnetiche nella banda millimetrica. Per questo motivo costituiscono un ostacolo alla propagazione del segnale 5G. In particolare le foglie, con la loro superficie complessiva elevata, attenuano fortemente i segnali nella banda UHF ed EHF, quella della telefonia mobile. Gli effetti biologici sono ancora poco studiati, però alcune ricerche rilevano danni agli alberi e alle piante sottoposte a irraggiamento da parte delle Stazioni Radio Base (le antenne disseminate sui tetti dei palazzi). Le inesplorate microonde millimetriche dalle mini-antenne 5G (senza studio preliminare sugli effetti per l’uomo, nonostante le radiofrequenze siano possibili cancerogeni per l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) – leggiamo sempre nell’inchiesta di Oasi Sana – trovano nell’acqua e negli alberi un ostacolo nel trasporto dati, non avendo il segnale del wireless di quinta generazione lo stesso campo elettrico né la stessa penetrazione a lungo raggio dei precedenti standard 2G, 3G e 4G. In pratica, l’albero funge da barriera. Le foglie dell’albero assorbono lo spettro di banda del 5G, impedendone l’ottimale ricezione del segnale emesso dalle mini-antenne”.
Concludendo, secondo Oasi Sana “gli alberi di alto fusto sono un intralcio, un vero e proprio ingombro per la diffusione del segnale elettromagnetico del 5G che, irradiato dai lampioni della luce, non sarebbe recepito a terra dai nuovi Smartphone”, tesi cui sembrano convergere anche altri studi come quello di ‘Ordance Survey’ e quelli dell’Istituto per i sistemi di Comunicazione dell’Università di Surrey a Guildford in Inghilterra.
Se esistono studi condotti sull’effetto del 5G su alberi e piante, non esistono – e se esistono non sono ancora stati pubblicati – studi circa gli effetti che questa nuova tecnologia potrebbe avere sulla salute degli esseri umani.
In data 27 febbraio 2019 è stata presentata un’interrogazione parlamentare dal senatore del Gruppo Misto Saverio De Bonis in cui l’esponente politico ricorda all’ex ministro della Salute Giulia Grillo e al (riconfermato) ministro per l’Ambiente Sergio Costa che l’O.M.S. ha classificato Rf-Emf come «possibile cancerogeno per l’uomo» e studi più recenti hanno suggerito effetti riproduttivi, metabolici e neurologici di Rf-Emf, che sono anche in grado di alterare la resistenza agli antibiotici batterici. Uno degli studi più ampi, a cura del programma nazionale di tossicologia degli Usa (National Codicology Program) ha dimostrato un aumento significativo dell’incidenza del cancro cerebrale e di tumore al cuore negli animali esposti a campi elettromagnetici anche a livelli inferiori a quelli di cui alle attuali linee guida della Commissione internazionale sulla protezione dalle radiazioni non ionizzanti chiedendo di conoscere “quali iniziative i Ministri intendano assumere per evitare che l’esposizione superi i nuovi standard di esposizione massima totale dell’Unione europea su tutti i campi elettromagnetici per proteggere i cittadini, in particolare i neonati, i bambini e le donne in gravidanza e quali iniziative intendano adottare per definire standard di esposizione massima totale sicuri per la salute dei cittadini non dimenticando la tutela ambientale”.
Per ora è solo certo che lo Stato incasserà entro 4 anni, 6 miliardi 550 milioni 422 mila 258 euro, molto al di là delle previsioni della legge di Bilancio 2018 che ipotizzava entrate per 2,5 miliardi.

Forse la risposta è proprio questa.http://https://www.jpress.it/rubriche/ambiente/gli-alberi-ostacolano-la-diffusione-del-5g/

MONTE BIANCO: IL GHIACCIAIO NON FA PIU’ PAURA E NEMMENO NOTIZIA

Ricordate il Plancipieux, ghiacciaio del massiccio del Monte Bianco che stava per staccarsi in piena week for future quando i giovani di tutto il Pianeta si sono riversati in piazza per chiedere maggior rispetto per l’ambiente al seguito dell’attivista svedese Greta Thunberg? Il Ghiacciaio che si trova sul versante italiano del Monte Bianco che era lì lì per sciogliersi? Quello che aveva costretto il Sindaco di Courmayeur, in Val d’Aosta, ad allertare la popolazione e a chiudere le strade di accesso alla nota località sciistica, nonché prendere tutte le cautele del caso per fronteggiare l’emergenza? Quello che avrebbe potuto ridurre in macerie pascoli, boschi e insediamenti umani?
Sembrerebbe inspiegabile, eppure su giornali e ai telegiornali non se ne fa più menzione. Nemmeno limitatamente al monitoraggio dello stesso e alla conseguente emergenza. Che non si sa più se sia rientrata o ancora insiste.
La massa di neve e ghiaccio che minacciava la Val Ferret a una velocità di mezzo metro al giorno si è dunque arrestata o ancora continua la sua inesorabile discesa verso la valle?
I glaciologi che hanno studiato il caso – e cui ora nessuno più dà voce – sembrano concordare che la situazione si sia acuita a seguito di una frattura che ha interessato un pezzo di roccia sulle alture delle Grandes Jorasses che fungono da sostegno del ghiacciaio che si trova su una pendenza rilevante (il Monte Bianco con i suoi 4810 metri di altezza è la cima più alta delle Alpi d’Italia, di Francia e in generale dell’Europa).
Pendenza e supporto che facilitano la creazione di corridoi d’acqua che non aumentano la capacità di scivolamento, dovuto all’elevata lubrificazione, quindi alla consumazione ed all’assottigliamento delle lingue del ghiacciaio che fanno sì che il ghiacciaio stesso perda aderenza e conseguentemente consistenza.
E’ indubbio – a detta degli esperti – che l’origine del fenomeno sia da rintracciarsi nel surriscaldamento della temperatura terrestre che rappresenta una minaccia allo scioglimento anche di altri ghiacciai.
Eppure il nostro Paese non è stato interessato da un’eccezionale ondata di calore, vieppiù nella stagione estiva quando il caldo rappresenta la normalità e non l’eccezione. Tuttavia, ad ottobre inoltrato, ancora godiamo di un stagione con temperature tipicamente primaverili, addirittura con week end in riva al mare, ma il Plancipieux sembra non fare più paura a nessuno. Fino a non parlarne più.
Eppure gli studiosi dicevano che era impossibile prevedere se e quando la corsa della massa fredda verso valle avrebbe potuto interrompersi ed il pericolo sembrava potersi arginare solo a seguito di nevicate che ancora non si sono avute, ma necessarie per poter scongiurare il pericolo anche per l’uomo – e per i valdostani per primi – e riportare la situazione alla normalità con la riformazione del serbatoio naturale di acqua.
In controtendenza a questi studi, vi sono altre voci del campo – e forse fuori dal coro – che sostengono che non vi sia stata alcuna emergenza per il Plancipieux, ma che quanto sia avvenuto qualche mese fa sembrerebbe trattarsi di una normalissima fase nella naturale vita di un ghiacciaio.
E proprio il Plancipieux non è nuovo a questi fenomeni che restano comunque dei campanelli di allarme per i ghiacciai nello specifico e per il clima in generale da non sottovalutare, sia continui a scivolare verso la Val Ferret, sia che possa rinsaldarsi nel corpo staccatosi, ma anche un’occasione per interrogarsi se non sia il caso di studiare con maggiore incidenza (e magari di diffondere con concrete certezze) tali fenomeni che, per natura, restano imprevedibili.http://https://www.jpress.it/rubriche/monte-bianco-il-ghiacciaio-non-fa-piu-paura-e-nemmeno-notizia/

LA TAIGA SIBERIANA NON E’ UN ARGOMENTO DA COPERTINA

Ricordate le immagini di Notre Dame in fiamme? Giustamente se ne è parlato per giorni e giorni. Avete visto le immagini della taiga siberiana in fiamme? Poche, pochissime. Ne avete sentito parlare? Ancora meno.
Eppure la Siberia brucia da mesi e da mesi è in atto la distruzione non solo dell’habitat autoctono (popolazione, flora e fauna) ma anche della ricchezza locale. Il legno delle sue foreste è così pregiato tanto da essere ribattezzato “oro giallo” dai Cinesi, primari clienti. Dramma che non appartiene solo alla Siberia, alla Russia bensì al mondo intero poiché la taiga è uno degli ultimi (pochi) polmoni verdi rimasti sulla Terra.
Che, se non sono distrutti per mano dell’uomo, questa non ha contribuito certamente a non esserne complice. Anche con le scie chimiche che aiutano il carbonio sprigionato dagli incendi ad alzare la temperatura e a propagarsi per migliaia di chilometri. Non a caso in Groenlandia, nel circolo polare artico, è in atto un pericoloso scioglimento dei ghiacciai. Fotografato (e sopra-visionato) anche dallo spazio da Luca Parmitano. Astronauta militare.
Non è un caso che non se ne parli (ancora) o forse non se ne deve parlare: il legno della taiga è diventato una vera e propria ricchezza. Anche per chi non lo compra. Quindi per chi incendia per non farlo comprare. Per impoverire. Per isolare. Nell’esportazione e nell’importazione (si vedano le sanzioni alla Russia e lo scandalo Russiagate a minare i rapporti di Italia e Russia, nostro primario acquirente).
L’uomo vuole essere sempre più “controllore e dominatore” dei luoghi, delle popolazioni, delle loro economie e dell’ecosistema. Dunque, attraverso alluvioni, siccità, catastrofi naturali quali tsunami, o se volete maremoti, approfitta per modificare tutto l’ecosistema a proprio uso e consumo. Quindi ricchezza, povertà e conseguenti flussi migratori. Se non bastava la clonazione, l’utero in affitto ed ogni altra manomissione del ciclo naturale della vita, l’uomo vuole abbandonare il suo essere creatura per diventare a sua volta creatore. Piegando il mondo al suo esclusivo interesse.
Nonostante sia in atto una vera e propria guerra climatica non troverete nessuna Greta a manifestare. In Siberia. Forse perché le scuole sono chiuse o perché la foresta non brucia solo di venerdì. Non troverete nessuna Carola ad armarsi di nave, battello o zattera per andare a soccorrere e a portare aiuti alle popolazioni locali, nonostante la Siberia abbia un mare abbastanza grande e sicuro per l’approdo. Troverete, però, Olga, loro omologa, che protesta per le ingiustizie, ma viene incarcerata. Olga che viene portata via con la forza dai militari russi. Gli stessi che però poi acconsentono a fare da sfondo in una fotografia che ritrae la nuova eroina seduta a gambe incrociate a leggere (loro) la Costituzione.
Guerra climatica che non è affatto un argomento sconosciuto visto che da anni un generale dell’Esercito Italiano, il dottor Fabio Mini, attraverso la sua lunga esperienza acquisita in Italia e all’estero, divulgata per mezzo di dibattiti, conferenze e libri, sta tentando di darci informazioni preziosissime per la salvaguardia del nostro pianeta.
Le sperimentazioni non sono ferme alla bomba atomica e le guerre non si combattono più con le armi da fuoco, ma i nuovi soldati, prezzolati e mercenari, sono le Greta, sono le Carola, sono le Olga. Costoro hanno il compito “unico” di essere avatar, influencer, in ossequio al politically correct, solo secondo il pre-ordinato pensiero. Quello unico. Quello prestabilito. Quello da imporre. E a cui non ci stanno facendo interessare, ma ci fanno solo subire questo “spettacolo distruttivo”. Tutto questo non è fantascienza, non è fantasia e noi stiamo rischiando di essere solo degli spettatori. Molto molto passivi.http://https://www.camposud.it/2019/08/la-taiga-siberiana-che-brucia-non-e-un-argomento-da-copertina/

IL TRIDOLORE

IL TRIDOLORE
In occasione della ricorrenza dell’8 settembre e a distanza di più di tre quarti di secolo da quell’8 settembre 1943 ci sembra doveroso riconsiderare razionalmente quei tragici eventi e valutare serenamente le circostanze in cui tanti italiani di quella generazione si trovarono ad operare ed a scegliere la “retta via” che non era né facile da individuare né semplice da seguire. Possiamo fare tranquillamente piazza pulita di tutti quei giudizi prevaricanti ed ingiusti che sono stati formulati senza risparmio da amici e nemici ed anche da tanti cosiddetti storici di casa nostra. Possiamo farlo serenamente perché il tempo trascorso è tanto e perché la riflessione sui fatti ci porta a formulare un giudizio pacifico, onesto e scevro da eccessi “tifo”. Il maestro della storiografia moderna Benedetto Croce disse, con frase lapidaria, che “la storia non si fa con i sé e con i ma”, la storia sono i fatti, le fonti. La storia che proponiamo oggi è quella del napoletano Giovambattista Salvadore, sottufficiale della Regia Marina. Dopo che il maresciallo d’Italia Pietro Badoglio dai microfoni dell’Eiar lesse il “famoso” proclama dell’armistizio (che in realtà fu una resa incondizionata a tutti gli effetti, un mero passaggio di consegna della nostra Nazione nelle mani americane) le Forze Armate si trovarono senza più un capo, né disposizioni. Complice anche un passaggio della dichiarazione del Maresciallo d’Italia volutamente ambiguo […] Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza [….]. In realtà, dopo il Re e la Regina, il fuggi fuggi generale coinvolse anche Badoglio ed altri pezzi dello Stato Maggiore che ripararono a Brindisi, divenuta sede degli Entri istituzionali in fieri, lasciando di fatto le truppe allo sbando più totale. Lo stesso Salvadore racconta ai suoi cari che “l’8 settembre, come ero in batteria a Piombino alla 190.a. Il 9 settembre sono entrate in porto due cacciatorpediniere tedesche, 14 mezzi da sbarco e un piroscafo armato. La batteria è stata circondata da marinai tedeschi armati e dopo una mezz’ora è venuto un tedesco e ha detto che potevamo rimanere ai nostri posti, bastava che non facessimo atti di ostilità; egli avrebbe messo due suoi marinai di servizio al semaforo per le segnalazioni con le navi di passaggio nel canale di Piombino… e così avvenne. Io ero, quel giorno, di ispezione ed ebbi l’ordine dal comandante che a tempo debito avrei dovuto disarmare i due marinai suaccennati. Andai da loro e mentre parlavo del più e del meno, verso le ore 18, le navi dal porto incominciarono a sparare a fuoco serrato sulla batteria. Noi tre che eravamo sul terrazzo del semaforo, ci gettammo pancia a terra e strisciando scendemmo giù. Presi i due marinai con la scusa di correre verso il ricovero; ad un certo momento, mi girai di scatto, fingendo con una mano in tasca di avere una rivoltella e gridai “ALT!”. I due “giannizzeri” alzarono le mani e si fecero disarmare, poi li consegnai al personale di guardia all’aerofono. Il comandante dette ordine di andare ai pezzi ed in tutto non eravamo che una quindicina di persone, perché il rimanente se l’era squagliata. In tutti i casi, aprimmo il fuoco con tre cannoni e riuscimmo ad affondare un caccia, il piroscafo ed una decina di mezzi da sbarco. A mezzanotte, il porto di Piombino ardeva e per diverse ore e sempre si combatteva, perché i marinai tedeschi si erano asserragliati nel ricovero antiaereo del porto e di lì, con le armi automatiche, sostenevano il combattimento. La mattina seguente, il comandante telefonò al comando DICAT, spiegando ogni cosa e chiedendo di mandare i carri armati per farla finita… ma dal comando DICAT, dopo promesse, non si ottenne nulla e verso le 10 del mattino, il comandante ritelefonò, dicendo che se non avessero mandato per le undici i carri armati, sarebbe andato lui con i suoi uomini e che avrebbe portato tutti i tedeschi prigionieri al Comando. Di fatto, scoccarono le 11 e nulla si era ottenuto. In batteria non eravamo rimasti che 9 marinai, 2 sottufficiali ed il comandante quindi l’impresa era abbastanza rischiosa… ma noi l’intraprendemmo. Dietro ordine, ci caricammo il petto di bombe a mano e andammo all’attacco. Ad un certo punto, intravedemmo dietro un cespuglio un berrettino tedesco ed io lanciai una bomba a mano e di lì sortirono ben dieci marinai tedeschi che disarmammo subito. Ci portammo al di sopra del ricovero e incominciammo a buttar giù le bombe a mano, a quattro a quattro per ogni uomo, in modo che scoppiavano contemporaneamente 44 bombe a mano. A quel fracasso, dopo la terza scarica di bombe, i tedeschi cacciarono fuori un bastone con uno straccio bianco e il comandante parlò, nascondendosi dietro un ufficiale tedesco, dicendo che avrebbe mandato giù un sottufficiale con due marinai per disarmarli, man mano che sarebbero venuti fuori: così, andai io con due marinai a disarmarli. Erano diverse centinaia di tedeschi fatti prigionieri da noi -​ undici, in tutto – e quando ci videro rimasero​ a bocca aperta. Di lì a poco venne il comandante del DICAT, Bagarini, il quale parlò con un maggiore tedesco e vidi che, dopo, tutti si imbarcarono sui mezzi disponibili e presero il largo. Noi rimanemmo in batteria ed il comandante stilò la relazione, citando noi due sottufficiali ed i nove marinai “SUPERIORI AD OGNI ENCOMIO”. La mattina alle 5, mentre dormivamo sull’erba, vennero a mitragliare la batteria alcune motosiluranti tedesche e noi rispondemmo al fuoco. Il comandante telefonò al comando DICAT ma invano: TUTTI SE L’ERANO SQUAGLIATA, senza neanche avvisarci. Il comandante, quasi con le lacrime agli occhi, capì l’impossibilità di continuare a resistere, perché in pochi ed anche perché i tedeschi avanzavano dal mare e da terra quindi dette ordine di abbandonare la batteria. Ci distribuì viveri ed a me dette cento lire, perché ero privo di soldi, così abbandonai Piombino, diretto verso Pola, a piedi, perché qui c’era Maria con Loredana (moglie e figlioletta ndr) prive di ogni risorsa ed in più Nini (il cognato ndr) invalido di guerra e ammalato. Dopo ben quattordici giorni, quando stavo già per raggiungere Pola, a Degnano fui preso dai tedeschi. Presentai loro i miei documenti e cercai di fargli capire che non ero un partigiano. Ero in condizioni pietosissime, i piedi li avevo laceri e sanguinanti e riuscii ad andare a casa per un mese. Allo scadere del mese non mi presentai. Verso la metà di ottobre fecero il censimento degli uomini e dovetti presentarmi… e lì, sfortuna volle, incontrai proprio un maresciallo tedesco che mi aveva preso a Degnano, il quale mi riconobbe e voleva farmi subito vestire tedesco. Parlava molto bene l’italiano ed io gli spiegai che ero in condizioni familiari disastrose e ottenni di indossare la divisa di Marina Italiana e così fui inviato al battaglione Marina, formatosi l’8 settembre. Al dicembre del ’43 mi mandarono a Lussino con trenta marinai, a Monte Asino, batteria tedesca. Riuscii ad andare a Pola dopo 18 giorni, perché mi presentai al comandante e gli dissi che io non ero pratico di cannoni e che non ero all’altezza di… nulla. Così, lui mi mandò al mio comando di Pola. Ebbi un arronzone dal comandante, con la minaccia che se non avessi fatto il mio dovere, mi avrebbero mandato in Germania. Continuavo sempre a fare i miei comodi, cercando di scansare il campo di concentramento. Ebbi, dopo un anno, delle note caratteristiche, così compilate: “carattere apatico, inservibile sotto tutti i punti di vista, mediocre”. Ogniqualvolta si doveva uscire, per rastrellare i partigiani, io ero sempre ammalato, in modo che non ho mai preso parte a rastrellamenti. Per punizione, mi mandarono al comando Marina, dove il comandante Baccarini, capitano di corvetta, mi fece un altro arronzone, dicendo che se non avessi fatto il mio dovere, mi avrebbe denunciato alle SS, per l’internamento in Germania. Andai in missione a Vicenza e ritornai a Pola dopo 50 giorni… e il comandante mi disse che voleva dichiararmi disertore – ritornai con la famiglia che, allora, avevo sfollata in Asiago, perché Pinuccio (il secondo figlio, neonato) stava poco bene ed a Loredana non confaceva quell’aria – poi, il 31 gennaio, morì Pinuccio ed io lo feci presente al comandante e dissi pure che, date le condizioni della mia famiglia, io avevo bisogno di essere sempre a casa. Lui, stufo del mio modo di procedere, mi mandò via per selezionamento e scrisse una nota al Ministero, dicendo che io avevo preso parte ai combattimenti contro i tedeschi, l’8 settembre, e che ero un sottufficiale di scarsissimo rendimento e da espellere dalla marina repubblicana. Così, il 7 marzo del ’45 ottenni il congedo e il 27, con un foglio di viaggio falsificato, potei sfollare con la famiglia a Capodistria, levandomi dai pericoli delle ricerche delle SS. Il mio comandante in batteria era il capitano dell’esercito AVV. Andrea Magarini, abitante in via Valdarno a Firenze. Lui potrà testimoniare quanto io feci a Piombino, elogiandomi”. Esaminare i fatti, considerarli con assoluta serenità e fare pulizia di tutti quei luoghi comuni cari a tanta parte di Italiani, sempre pronti a denigrare i comportamenti dei loro compatrioti, badando bene però ad autoescludersi da ogni considerazione men che positiva, ma pronti ad esprimere con forza e convinzione giudizi negativi sui comportamenti individuali e collettivi di tutti gli altri è il solo modo che abbiamo per dare voce a quella verità taciuta in nome di loschi interessi, di onorare i nostri Padri che hanno contribuito, con il loro sangue ed il loro eroismo (11 CONTRO 100 MAI RICONOSCIUTO!), a lasciarci una Terra da loro resa sacra, il solo modo per continuare a definirci figli grati della nostra Nazione. Ingrata, post mortem, verso i loro Padri.