Le nuove esternazioni del governatore dopo la pausa estiva!!

Sarà stato il troppo sole della pausa estiva, sarà stata l’astinenza da microfoni e telecamere, ma Vincenzo De Luca riprende in grande stile e lo fa a modo suo.
L’occasione è la visita all’AIR, l’azienda di trasporti irpina, ed è subito show. Manco a dirlo sulla tematica tormentone che tiene banco ormai da due anni: il covid.
Il Presidentissimo critica il “governo delle mezze misure” dove lui non è riuscito ad approdare e con piglio da consumato statista di polso sinistro incalza i duecentocinquanta astanti circa, che sono poi tutti dipendenti dell’azienda di trasporto pubblico locale: “Vaccino obbligatorio per tutti i lavoratori del settore!”.
La Campania, a detta del detentore del lanciafiamme, punta a raggiungere eccellenti traguardi arrivando a vaccinare con entrambe le dosi 4 milioni e 600 mila cittadini per “riavvicinarci alle nostre vite a ottobre”. Incuranti di ciò che loro pensano. Proclama che ha tutto il sapore del tormentato tormentone governativo del “chiudiamo adesso per salvare il Natale, per riprenderci poi l’estate e abbracciarci infine domani”. Teatrino emergenziale che va avanti da due anni e mezzo, teatrino che risponde al nome di “emergenza sanitaria” quando il massimo organo in fatto di salute (l’OMS) ha solo parlato ufficialmente di epidemia e mai di pandemia. Ma per De Luca la cosa è ininfluente. Come la sanità da lui “amminestrata” che, proprio nel momento dell’emergenza pandemica, ha mostrato tutte le sue falle, fruttandogli più di una denuncia.
De Luca, si sa, è un democratico partito, ignorante del fatto che i lavoratori che decidono di non sottoporsi alla vaccinazione lo fanno proprio in ottemperanza ad una legge che, per scelta o incapacità del governo centrale, non impone ancora l’obbligatorietà vaccinale. Almeno quella diretta. Perché anche lui, uniformandosi al (dis)fare del governo che quotidianamente critica, sceglie la via indiretta del mezzo ricatto: se il vaccino è obbligatorio, ma solo in Campania e solo secondo lui per il comparto dei trasporti, va da sé che chi non si vaccina non può lavorare. Ma poi con la consueta faccia tosta da esponente di certa politica consumata, o meglio, consumato da certa politica, rassicura i lavoratori, non disdegnando l’immancabile zeppata al morente Gigino de Magistris e alle (fu?) ANM e CTP, con fare da vero Maramaldo: “noi tuteliamo i posti di lavoro”. Prova di coraggio (e di stomaco) per l’inquilino di Palazzo Santa Lucia che lo dice proprio in quella azienda che ha visto “avvicendarsi” l’ingegner Alberto De Sio, salernitano manco a dirlo, scelto – leggi imposto – direttamente da De Luca al posto dell’irpino Angelo D’Amelio, difeso dall’acerrimo nemico-amico deluchiano Ciriaco De Mita.
Un altro salernitano, proveniente dalla dirigenza della Salerno Mobilità, società in house al comune di Salerno, nominato questa volta Amministratore Unico dell’Autoservizi Irpini. In ottemperanza al famigerato e famelico patto di Marano che ha visto l’opera di completa distruzione dei territori interni a due mani.
Immancabile anche la stoccata al medagliere impettito del gen. Figliuolo e della sua scelta di avvalersi del commissario sanitario. Scelta disprezzata e condannata da Vicienzo in virtù del fatto che il generale deve occuparsi della logistica per cui non gli servirebbe il parere di un perito tecnico. Immediatamente poi, pur non essendo lui un tecnico, ma forse solo “perito”, sveste i panni da tuttologo e veste quello del disinformatore interessato, spacciando come definitivo l’ok per il vaccino Pfizer. In realtà, non è proprio come dice De Luca che deve aver fatto un bel po’ di confusione: la FDA, l’agenzia che regola la distribuzione dei farmaci negli Stati Uniti (non in Italia!) ha pubblicato due lettere. In una lettera autorizza la distribuzione del vaccino Comirnaty. Nell’altra, conferma lo status di autorizzazione d’emergenza del vaccino Pfizer. C’è un problema però. Il dottor Malone spiega che il vaccino Comirnaty prodotto sempre dalla Pfizer non è ancora disponibile sul mercato. La FDA ha quindi autorizzato qualcosa che ancora non è stato distribuito. Sempre la FDA e i media hanno giocato (?) volutamente su questa ambiguità per poter far credere al pubblico – e pure a De Luca – che fosse stato il vaccino Pfizer in realtà ad essere autorizzato. Pertanto, siamo di fronte all’ennesima informazione non ortodossa o, se vogliamo, all’ennesima manipolazione mediatica.
Poi, per coerenza, il governat(t)ore rincara la dose: “i no vax non lavoreranno in Air”. Chissà cosa ne penseranno i dipendenti della mobilità del comparto casertano Clp a cui ha promesso di entrare in Air, vantandosi di aver creato posti occupazionali pari a quattro volte la Whirlpool. Chissà se prima o dopo la chiusura, ma comunque quella salvata da Di Maio, allora ministro del lavoro.
Un successo pari a quello venduto da De Luca dei posti in terapia intensiva moltiplicati che manco Gesù col pane e coi pesci: quotidianamente, esponenzialmente, a dismisura, ma solo a parole. Da disponibili, in occupabili, in attivabili, in ipotetici, in…ventati.
Insomma, De Luca ritorna sulla cresta dell’onda e lo fa secondo il suo consueto stile, senza vergogna né pudore, che ormai, se non fa più ridere, inizia ad assumere i caratteri del patologico cronico degenerativo.

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COSE DA PAZZI

Primo lunedì di rientri, traffico più sostenuto, saracinesche che – spero – si rialzeranno, ma ciò che mi auguro non riapra è il Parlamento italiano. Camera dei deputati e Senato della Repubblica possono star chiusi, debbono star chiusi: sono completamente inutili oramai. Non c’entrano le pensioni d’oro o la settimana di lavoro ultracorta. La vacanza di un mese per spostare le chiappe dal velluto della cadrega all’acqua salina è una beffa più per loro che per la gente comune: la verità è che il Parlamento ha perso la sua funzione: non legifera più, il governo e la pubblica amministrazione applicano norme mai votate, mai promulgate, disposizioni illogiche, illegittime e irricevibili. Siamo alla mercè del ministro di turno e di come si sveglia la mattina, siamo alla riduzione della rappresentanza della gente in Parlamento, ma poi formiamo task force che governano al posto del governo così come dice il governo, perché, quando cozza con il parere dei dicasteri – se di loro parere si tratta – la task force formata da esperti, luminari e illuminati non le tiene minimamente in considerazione.

Il parlamento è stato esautorato della sua funzione, il professorino impomatato Peppuccio Conte, che con la legge mangia, stava per estrometterlo del tutto. E l’opposizione lasciava fare. Silente. Mascherinata. Appecorinata. Vedi mai dovesse bruciarsi un po’ di consenso. Toccò ad un manipolo di bivacchi, feroci e con le zanne, che avevano proposto e promesso ferrea opposizione e lancio delle sedie, imbracciare cartelli e –  testa sul collo – metterci la faccia ricordare che l’Italia è(ra ancora) una repubblica parlamentare a quei 920 dipendenti del popolo italiano, che loro avrebbero qualcosa da dire e da fare. Inutilmente.

Nelle due camere non si dialoga, non si litiga, non ci oppone, non ci si impegna. La politica oggi si fa sui social, non più nelle piazze, tra la gente, ma attraverso il display del telefonino il leader arriva direttamente sul divano di casa, dove tutti sono ormai parcheggiati in attesa che ce la faremo, che andrà tutto bene.

Che tristezza i profili social dei politici, sembrano quelli di adolescenti brufolosi il cui unico pensiero è quello di augurare il buongiorno e la buonanotte, di postare la foto del cagnolino piuttosto che il menarca o la panza di sostanza. Abbuffate luculliane sbattute in faccia a chi, grazie al loro menefreghismo, non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena. Che per colpa loro non sa se avrà più un lavoro. Privati persino della dignità e della libertà. Ma che diritti vogliamo accampare? Siamo in pandemia, sanitaria seppur mai dichiarata, l’OMS ha sempre e solo parlato di epidemia. Siamo in emergenza! Emergenza sanitaria la cui soluzione è sempre e solo economica affrontata in maniera politica da chi politico non è e la politica, per sua stessa ammissione, non l’ha fatta mai. Emergenza che dura due anni e che pare durerà ancora. Un’emergenza insoluta e che non si deve risolvere perché è utilizzata quale mezzo di governo.

Emergenza mascherine, emergenza ossigeno, emergenza sanitari (che non sono i cessi, o non tutti!), emergenza climatica, emergenza sbarchi. Ora siamo all’emergenza Afghanistan. Che è un poco come il nostro governo in vacanza per un mese ed il parlamento chiuso per quaranta giorni. Che non è in quarantena, nonostante l’emergenza. Che è un po’ come i buonisti nostrani che pensano alle privazioni delle libertà delle donne afgane, mentre loro indossano la mascherina ed escono previa esibizione del green pass. Che si scandalizzano per le pratiche talebane mentre in Italia gli esperti consigliano di non avere rapporti con il concupito, che non accettano il divieto di uscire, ma che sgattaiolavano come topolini per non sgarrare col coprifuoco.

Però i talebani sono altrove, mica in Italia e dare sempre la colpa al lupo fa comodo alle pecore, il cui unico obiettivo è l’immunità di gregge. Attenzione: i talebani non sono altro che pastori! E da pastori hanno sconfitto l’Armata Rossa prima e gli U.S.A. adesso. Quegli USA che lasciano in eredità non la democrazia esportata, ma un arsenale di armi ai loro nemici. Cose da pazzi! Che lasciano il popolo afghano al suo fatalistico destino, lasciano che i bambini rivalichino il filo spinato in mezzo alla polvere, lasciano che gli aquiloni non possono più volare. Missione compiuta? Missione finita. E l’ISIS? Il motivo per cui erano laggiù. L’ISIS sterminata con la cattura e l’uccisione di Osama Bin Laden mai mostrata o, se vogliamo, sempre nascosta. L’ISIS vuol dire Arabia Saudita, non Afghanistan, ISIS vuol dire Qatar e Israele. Se parliamo di terrorismo islamico dobbiamo parlare di Nasser Al Saed, scrittore saudita che già dalla fine della Seconda guerra mondiale, iniziò a denunciare i Saud per avere aiutato Israele, non muovendo un dito, ad espellere i palestinesi dalle loro case. Successivamente Al Saed dimostrò come le origini saudite fossero in realtà ebree dopodiché sparì. Rapito in Libano dai Sauditi e poi buttato giù da un aereo. Però la colpa è dei talebani, buoni a passar da capro espiatorio a vantaggio dei sauditi che nessuno tocca né intacca i loro legami controllati dal clan sionista. Sarà un caso che i tagliagole non hanno mai sfiorato sauditi e Israele? Israele che fa guerra all’Iran. Israele che ammazza e dissangua la Palestina. Israele che occupa e si (auto)elegge popolo eletto. Israele che perseguita. Israele che per tutti è perseguitata. Israele compagna e moglie dell’Amerika, quell’Amerika sionista che ha alzato le mani in Afghanistan, lasciando campo libero alla Cina. Quell’Amerika cinese proprietaria del laboratorio di Wuhan. Da cui tutto ha avuto origine e che ha permesso ai politici vacanzieri di creare questa emergenza. Che è stata la fortuna di tanti, di tutti. Inventati, infettati, mescolati, ripescati, riciclati, sempre loro. Sciatti, finti, venduti, comprati, servi. Come la nostra Italia in mano a loro. Come la libertà che tentano di propinarci, che in realtà non è che la concessione che si fa allo schiavo il giorno della festa.

LE 53 GIOVANI VITE SPEZZATE DEI NOSTRI MILITARI CADUTI IN UNA GUERRA INUTILE E SANGUINOSA: Offende oltremodo la repentina ritirata deli americani e degli alleati occidentali

La notizia arriva in una serata rovente di un ferragosto strano, privato del suo significato e della sua essenza: sul palazzo presidenziale di Kabul è stata ammainata la bandiera rossoneroverde della repubblica islamica ed è stato issato il lugubre drappo dei talebani. La notizia si rivelerà poi una bufala, come se la gravità del fatto non bastasse già da sé ad attirare l’attenzione e fosse necessario ricercare lo scoop o calcare la mano. Ciò che, invece, è una realtà che non si cambia è che questa notizia l’ha ascoltata la madre di Giuseppe La Rosa, 31 anni e primo militare italiano a morire in Afghanistan, nella provincia di Farah. L’ha vissuta la mamma di Giovanni Bruno, caporalmaggiore 23enne, ultimo a tornare avvolto nel tricolore da laggiù. E come loro ha trafitto l’animo delle altre 51 mamme, delle altre 51 famiglie dilaniate in vent’anni da altrettanti lutti. I loro figli caduti nell’adempimento del proprio dovere, caduti perché credevano in ciò che facevano, caduti e oggi reso vano persino il loro estremo sacrificio.
La notizia viene data dalla giornalista della CNN in abaya – il velo afgano che copre i capelli e il collo lasciando scoperto il viso – e immediato sale vibrante il coro monòtono e monotòno: tutti a gridare alla libertà delle donne che ha il sapore della polemica trita e ritrita ogni qualvolta un convoglio battente il tricolore veniva colpito a fuoco e cadevano, abbattuti, i nostri militari.
Polemiche, accuse, cordoglio, funerali in pompa magna, magari in diretta, ottimi per la passerella istituzionale, Ripensamenti di circostanza e poi di nuovo un altro alzabandiera seguito dall’ammainabandiera tra le strade polverose di Kabul, di Farah, di Herat.
Man mano che iniziavano a familiarizzare con nomi quali Camp David, base avanzata, lince, rullista… già perché ogni mamma, padre, moglie o figlio “sapeva” che il “loro” soldato laggiù sbrigava pratiche di ufficio, era impiegato presso la base e non usciva in pattuglia. Per evitare polemiche, preoccupazioni, pensieri.
Gli Italiani in quella parte di Asia hanno costruito pozzi, ponti, scuole, hanno distribuito derrate alimentari e assistito la popolazione e il solo caduto civile in un conflitto a fuoco dimostra che esiste un italian style anche nel combattimento. Quel combattimento che non era nostro, quella guerra fatta per (ri?)stabilire la pace, quell’impegno assunto perché siamo “parte integrante della NATO”. E così, mentre i nostri militari laggiù erano impiegati in una “missione” di pace e di istruzione ( il neologismo ipocrita con cui (non) si USA e osa definire  guerra)  attraverso cui sono stati apprezzati dalla popolazione locale e si guadagnavano la fiducia e la riconoscenza degli “occupati”, gli ideatori a stelle e strisce della stessa missione combattevano il terrorismo islamico e il fondamentalismo religioso in un territorio che, sottoposto al loro “attento controllo”, raddoppiava, triplicava, incrementava esponenzialmente la produzione di oppio fino a diventare il primo Paese al mondo per la coltivazione di quel prodotto trasformato poi in eroina e morfina.
Cosa resta oggi degli insegnamenti alla popolazione locale dei nostri 53 ragazzi morti anche per loro? Quale introvabile altare visiteranno gli orfani degli immolati? Italiani che nel caldo asfissiante e polveroso, tra un tramonto mozzafiato e un’alba troppo giovane hanno insegnato alle locali forze di polizia il controllo del territorio, l’istruzione, il sacrificio, oggi ripagati con le immagini delle colonne di mezzi militari abbandonati sul ponte al confine con l’Uzbekistan dall’esercito americano in fuga. Quale il significato dei soldiers in ritirata che passano correndo davanti ad uno stranito militare che ha tutta l’aria di essere un nostro Carabiniere, che ancora imbraccia la sua Beretta Pm12? Strano modo quello di ripagare la sofferenza e il sacrificio dei lunghissimi e rinnovabili centottanta giorni di permanenza in territorio straniero – che poi non sono mai tali, perché il cambio non arriva mai puntuale – con militari e diplomatici saliti sui tetti per guadagnarsi il loro posto nel fuggi fuggi a bordo di un elicottero. Siamo lì per aiutare la popolazione locale – così dicono – che lasciamo dopo vent’anni abbandonata al loro destino. Che lasciamo nelle stesse condizioni di prima. Se non peggio. In mano ai talebani. O ai tagliagola dell’ISIS. Siamo lì per esportare la democrazia – ci dice l’Amerika – la sua demokrazia, per un profondo senso della giustizia e della libertà, proprio noi che siamo diventati l’Italia di Palamara. Proprio noi parliamo di libertà che siamo sottoposti silenti, dormienti e consenzienti alla folle imposizione liberticida del green pass. Cosa direbbero i 53 soldati caduti a vedere ridotta così la loro Patria, diventata ormai solo una brutta parola?
Dov’è il bastimento equipaggiato dei Boldrini, dei Del Rio, dei Letta, degli Zan che salpa repentino per andare a parlare di libertà ed emancipazione ai tagliagola del nuovo califfato islamico? E prima, hanno chiesto alle donne locali se non è un’imposizione togliere loro il velo in casa propria? È questo il frutto del nostro impegno di uomini e risorse economiche. Questo è il traguardo raggiunto dopo vent’anni. Che non sono certo un Ventennio! In vent’anni il mondo è cambiato, ma a non cambiare sono stati i talebani. Che piedi scalzi e barba in faccia hanno lottato e sconfitto la Russia prima e l’America dopo. Da umili pastori. Senza tecnologie e senza l’industria bellica dai grandi capitali. Il mondo è cambiato e la “cortina di ferro”, che ha gli anni della NATO, ha un nuovo fronte. Che è quello cinese. Che proprio USA  e UE troppo spesso sottovalutano o dimenticano addirittura. Quella UE ridotta a grande ONG, buona sola per i migranti. Quella Italia che sarà il corridoio umanitario attraverso cui passeranno anche i tagliagola, i terroristi, i fondamentalisti. Che, se non sosteranno, di certo non si limiteranno solo a passare. Forse è il caso di riconsiderare il nostro impegno nella NATO e nella UE, forse è il caso di impiegare finalmente i nostri militari per la difesa dei sacri confini della Patria, dell’Italia. Solo così un sacrificio non sarà vano nè vanificato da altri. Che è l’atto peggiore. Forse andrà considerato che non si possono servire due padroni: obtorto collo, siamo colonia dal 1943 e oggi non possiamo inventarci partner commerciali della Cina che compra l’italia a pezzi, facendoli scivolare su quella Via della Seta che è la corsia preferenziale per portarci la guerra in casa. Mentre i nostri militari vengono impiegati a fare la caccia a chi la domenica mangia gli arrosticini, piuttosto che andare a interrompere la Santa Messa. Quei militari che manganellano i loro stessi connazionali che si battono per la privazione dei diritti. Anche di quelli in divisa. Che si indignano ugualmente, pur non indossando l’uniforme, quando li vedono mangiare sulle scale della mensa con il rancio consegnato in un sacchetto di carta. Forse i talebani non stanno solo in Afghanistan, dove per adesso hanno promesso un passaggio di comando deciso, ma incruento, hanno aperto al diritto di istruzione per le donne e altre libertà che, oggi in Italia, non sono più così scontate. Manterranno le promesse? Vedremo. Ciò che, al contrario, non rivedremo più sono i 53 militari che a Kabul, a Herat, a Farah ci hanno lasciato la vita. Che l’Italia ha dato loro. Che i governanti di questa Italia  sciatta e senza dignità hanno strappato loro!

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BRUSCIANO celebra il suo eroe di guerra con un atto che sa di rivoluzionario !!

È stato inaugurato ieri mattina a Brusciano il murales intitolato al Sergente pilota Giovanni Esposito, eroe della Guerra d’Africa, caduto in battaglia nei cieli di Dessiè in Etiopia il 15 febbraio 1936.
Il pilota bruscianese fu “decorato al valore con la medaglia d’argento del Nastro Azzurro” e ricordato quale pilota ardito, entusiasta, esempio fulgido di volontarismo in Africa Orientale. In numerose azioni, affrontava tutti i rischi pur di raggiungere risultati pari alla sua fede di combattente. Il suo aereo (un Savoia Marchetti S.81) precipitò per cause ancora sconosciute, probabilmente in seguito ad un attacco e, nel tentativo di atterrare e salvare la sua vita e quella del suo equipaggio, trovò la morte con i suoi camerati” dell’equipaggio. E’ quanto si legge nel comunicato a suo tempo diramato dall’Arma Aeronautica e ripreso dall’Associazione “La Cima” che ha ideato, fortemente voluto e realizzato l’iniziativa.
A lui è già dedicata l’arteria principale del suo paese, ma in tanti, grazie all’encomiabile lavoro di questi ragazzi, hanno potuto conoscere chi fosse davvero questo eroe dimenticato.
Numerosi sono stati gli astanti che, fieri, nel corso della manifestazione, hanno ringraziato l’Associazione “La Cima” per aver riportato alla luce questa storia del loro illustre compaesano finora taciuta o addirittura sconosciuta. Un sussulto di orgoglio e di appartenenza, di legame con il paese vesuviano, proprio come testimoniato dallo stesso Giovanni Esposito il quale era solito passare a volo radente i cieli sopra Brusciano per “salutare” il suo paese. Un particolare suggello a testimonianza del suo legame con il paese natale, dove lasciava cadere anche un fazzoletto profumato in dono per la sua promessa sposa, mai più salita all’altare dopo la morte del suo amato Giovanni.
Il murales che ritrae il volto del sergente pilota bruscianese in compagnia del suo aeroplano, in un tripudio di colori, incorniciato dall’immancabile tricolore sullo sfondo di cieli solcati, è opera del locale artista Pasqualino Mocerino.
Commovente anche la cerimonia, al suono di una tromba che ha intonato il Silenzio fuori ordinanza e l’Inno d’Italia, tra gli scroscianti applausi della cittadinanza commossa e lo sventolio del tricolore.
Un vero atto rivoluzionario quello compiuto dall’Associazione “La Cima”: viviamo i tempi del Black Live Matter, dove appartenenza e radici vengono estirpate in nome di un politically correct che più irrispettoso non si può. Dove i monumenti e le vestigia dell’antico splendore, ma anche del pensiero non non uniformato a quello imperante vengono imbrattate con la speranza di cancellarle. Ma a Brusciano, con una maestosa creazione artistica, viene glorificato un “proprio” eroe caduto per difendere la propria Patria fuori i confini nazionali. Dove “proprio” è da intendersi non in quanto bruscianese, o non solo bruscianese, ma della Patria, dell’Italia intera. Quella difesa, glorificata e resa sacra attraverso il dono della vita.
Un esempio di spirito di abnegazione per le generazioni presenti e quelle future, uno sprone a conoscere ciò che eravamo per marcare la propria identità e proiettarla nel futuro, (re)stando «Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!…»

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L’ ITALIA E’ CAMPIONE D’EUROPA DI CALCIO : IT’S COMING HOME !!!

Alla fine siamo Italiani. Ci piace mangiare bene e bere buon vino, ci piacciono le donne e lo facciamo meglio di tutti. Vestiamo bene e gesticoliamo quando parliamo. In Italia il calcio è sport nazionale e ognuno è calciofilo. Non esiste Italiano la cui vita, direttamente o indirettamente, non sia (stata) condizionata da undici uomini in mutande che prendono a calci un pallone. Saranno vecchi cliché, ma noi siamo questo. Non solo questo ma siamo anche questo. E ne siamo orgogliosi. Lo si è visto nei festeggiamenti di piazza, nell’euforia della vigilia e del post partita, negli sfottò perenni che finiscono per essere tratti distintivi, identificativi e, per certi versi, pure qualificativi.
Ma come, la piazza in un momento come questo? Sì, la piazza quale luogo di assembramento, così perfetto da prestarsi a contagi e cat-calling carpe diem dicono quelli affacciati dall’attico così alto che l’unica cosa che si vede è lo scintillio dei Rolex sbrilluccicanti. La piazza ora e non quando vi rubano i diritti, dicono quelli che controllano il bonifico dal divano e rassicurano gli altri che andrà tutto bene.
Suvvia, siamo adulti e vaccinati – si fa per dire – e questa gente in piazza non c’è stata nemmeno quando rubavano il futuro ai propri figli o vedevano in mutande il ristoratore di fiducia o la partita IVA amica con cui barattavano volentieri la fattura in cambio dello sconto.
La piazza stavolta è da vietare perché fa paura, ma fa paura agli arcobalenisti il cui grido di bella ciao può essere suonato alla distanza sociale, alla mascherina senza senso, all’assembramento, all'(a)socialità che tentano di imporre.
Fa paura la Canzone degli Italiani, cantata a squarciagola da tanti tifosi prima della partita e poi in piazza come festeggiamento. Tu chiamala, se vuoi, unità!
Fa paura perché hanno dovuto dire ai giornalisti che è meglio parlare della compagna di Bonucci che lo aspetta a… braccia aperte piuttosto di come i calciatori della Nazionale italiana siano presi a modello per il modo in cui cantano l’Inno d’Italia. Giammai! I calciatori sono i primi “influencer” e se lanciassero la moda dell’inno… bella ciao ciao ciao.
Già questa cosa che il calcio è uno sport di squadra e che Mancini ha creato il gruppo, la coesione, la squadra appunto è una cosa pericolosa. Non ci sono state riserve, ma solo titolari aggiunti, non ci sono state prime donne, ma solo uomini pronti a sacrificarsi, nessuno di loro che abbia pronunciato la magnifica parola IO, ma un napoletanaccio precario che nel momento della vittoria ha indossato la maglia di un loro compagno di squadra infortunato. Allora meglio attaccarla questa squadra! Squadra razzista perché non c’è un solo calciatore nero/scuro/di colore (politically correct uno e trino imperante): chissà se hanno mai pensato che i colori della pelle diverso dall’originale è frutto di un colonialismo che l’Italia vivaddio non ha mai messo in atto. La divisa che non divide, ma che rende tutti uguali disegnata da un artista la cui griffe è rappresentata da un’aquila: obbrobrio! Allora omologhiamoli, facciamoli inginocchiare, anche se la loro fortuna sono i piedi e non la testa. Non condividono? Me ne frego! Lo facciano per solidarietà verso gli altri. Così fan tutti. Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi… inginocchiatevi ad un avversario temibile e forte perché frutto del valore multietnico. Ma questa trovata della forza del meticciato è una cagata pazzesca e questo gruppo funziona, questa Italia vince e convince. Piace. Allora non va seguita, se non a rischio covid. Nella terra che ha il più alto numero di vaccinati. Dove il fattore campo può far sperare ed esasperare. Allora meglio non dar voce a questa Nazionale il cui telecronista ufficiale è contagiato dal Covid, benché vaccinato.
Vaccini, tamponi, contagi che questo europeo, a torto o a ragione, ha messo da parte almeno per un mese, a danno e beneficio della realtà. Quella realtà che ha voluto le piazze piene e gli assembramenti solidali per la morte di Maradona, per la vittoria della Coppa Italia a Napoli o per lo scudetto a Milano, senza che ci sia stata se non una strage, nemmeno un focolaio. File non tanto differenti da quelle chilometriche e durature agli hub vaccinali o in attesa di vedere il feretro contenente solo il corpo del personaggio famoso che è stato e che, sebbene presente, non è più.
Concetti, pensieri e teorie che non c’entrano nulla col calcio? Questo è il campionato europeo più politicizzato di sempre, dove tutto si mischia, si imbastardisce e si contagia col pensiero unico e colorato dell’united colors rosso-arancione-giallo-verde-azzurro-blu-indaco. Persino lo stadio. Panem et circenses? Sì, panem et circenses: dopotutto siamo la Magna Grecia dove le olimpiadi sospendevano anche le guerre. Allora ben vengano le piazze stracolme e gioiose, benedetto siano coloro che intonano Mameli che finalmente è conosciuto. Per fortuna che ci siamo inventati tifosi per riscoprirci patriottici. Forza sovranismo e viva l’orgoglio patrio.
Chi vuol essere lieto sia, di doman non v’è certezza è l’elisir per sentirsi vivi e per rinascere, per esorcizzare paure e negatività come dimostrano le piazze di Napoli e Milano. “It’s coming home”, li abbiamo mandati a casa. Restate pure a casa stavolta lo diciamo con gioia. Ma vicino a questa Nazione e alla sua Nazionale………….. signori, tutti in piedi!!

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La nostra satira Il governo allenta la morsa delle restrizioni? Ce pensa Don Vicienzo!!

L’indice RT scende, il contagio rallenta, il virus zoppica, i malati sono pochi, i morti pure, i vaccinati sono in numero esiguo perché non ci sono (più) vaccinabili, gli hub chiudono, le dosi avanzano, le dosi si regalano, le dosi si iniettano pure quelle scadute, si amalgamano, si scheckerano, la gente esce, respira, vive, tenta di riappropriarsi dei propri spazi e delle funzioni che sono insite nell’essere umano, perché ormai saturi di restrizioni. Sfiniti nel vero senso del termine dal ritornello usato ed abusato “resta a casa”, “andrà tutto bene”?
E allora ? Ce pensa Vicienzo!
Il presidente del Consiglio Mario Draghi “premia” gli Italiani graziandoli dall’obbligatorietà dell’uso della mascherina all’aperto e il “politico-nemico” mette il cappello, il suo, su tale obbligo caduto. Buono per essere spacciato in tema di consensi nonostante questo divieto non sia mai esistito in base alle legge 159 del 2020 !! Questa è lesa maestà: ce pensa Vicienzo!
Nel corso del (purtroppo) consueto appuntamento con la “croce del venerdì” ovvero, quando il presidente De Luca ogni sette giorni si sfoga in diretta radio-tele-cavo-piccione-omnia-streaming davanti al gonfalone della Regione e ad un bicchiere d’acqua (?), il Presidentissimo anticipa che ha già conferito mandato ai legislatori del Regno di mettere in campo la giusta pena per chi mancherà di ottemperare all’ordinanza n.19. Il “regio lagno” prevede il categorico divieto di vendita con asporto di bevande alcoliche di qualsiasi gradazione dalle ore 22:00 alle ore 06:00 da parte di qualsiasi esercizio commerciale e di distributori automatici. Ovviamente c’è anche un punto B che precisa e integra il punto 1 nella misura in cui le bevande alcoliche sono vietate fuori dai locali e negli spazi pubblici all’aperto anche se te le porti da casa. Va da sé che l’alcol (anche a fiumi) resta consentito al banco del locale perché alla porta deve esibire il green pass della Regione, che ne regola la topicità e tipicità della deglutizione.
Poi raccomanda (che non è una brutta parola) ai Comuni ed altre Autorità non meglio specificate la vigilanza atta a impedire che si formino assembramenti nella zona della movida e negli orari di cui sopra.
Poi, solo poi, si ricorda che la Campania, Contea da lui stesso amministrata, è parte di un più ampio territorio delimitato da confini nazionali. E allora fa appello all’ordinanza del Ministero della Salute ( nazionale)  che obbliga all’utilizzo di dispositivi di protezione (non solamente mascherine, quindi) delle vie respiratorie in situazioni in cui non è garantito il distanziamento sociale (?) e in luoghi non isolati quali centri cittadini, piazze, lungomari.
Ma quant’è bravo Vicienzo??!! Bravo certamente, ma ad imbastire la campagna elettorale. Ma non è stato rieletto solo pochi mesi fa? Sì, ma adesso a Napoli si vota di nuovo per le amministrative e De Luca prepara la “sua” campagna elettorale! D’altronde, se è riuscito a farsi riciclare dal suo partito pronto a scaricarlo, da quel Pd per cui è tesserato; se è riuscito a sfruttare una pandemia a proprio uso e consumo per “sfregare” ancora un po’ con le sue terga lo scranno più alto di Palazzo Santa Lucia; se è riuscito a trasmettere il panico fobico ai suoi corregionali per non farli ricorrere alle prestazioni sanitarie in ospedale,  piuttosto dirottandoli verso quella sanità territoriale (i distretti sanitari di base) che lui ha “straordinariamente” auto-commissariato, distruggendoli; chiudendo ospedali; inaugurandone altri anche più volte; ma sempre gli stessi che non sono mai entrati in funzione, riconvertendo reparti, facendo avanzare carriere in odor (o tanfo) di elezioni. Perché, dunque, non continuare a reggere il gioco (e il giogo) in vista della competizione per Palazzo San Giacomo? Sempre che DeMa non se lo venda prima!
Che poi a leggere, anche distrattamente, l’ordinanza n.19 del 25 giugno 2021, più che dettare disposizioni e raccomandazioni in materia di contrasto e prevenzione del contagio da Covid-19,  sembra ascoltare una filippica contro l’uso dell’alcol dalle ore 22:00 alle ore 06:00 . Eppure  esiste ancora un gran numero di Italiani che nel resto della giornata non bivaccano ubriachi in preda a ogni genere di sostanza che altera psiche e mente. Ma che, piuttosto, lavorano per mandare avanti questa Nazione nonostante tutto ancora viva. E cosa dire dei gestori di pub, ristoranti, pizzerie, chioschi, chioschetti, bar, baretti, vinerie e supermercati in genere che, secondo il modo di vedere degli Amministratori pubblici di ogni ordine e grado, sembrerebbe essersi trasformati in untori, interessati esclusivamente a vendere virus più che birra, contagi a go-gò più che vino, assembramenti pericolosi più che cocktail e aperitivi. Ma tranquilli amici miei : tra alcol e Covid non c’è alcuna relazione!  E questo sembra esser noto anche a  quell’uomo di….. spirito del nostro Don Vicienzo!!

DAL DIARIO DI UN GIOVANE RATTO DA LABORATORIO

Io me la ricordo la mia prima volta. È stato un fine settimana fantastico, non vedevo l’ora che arrivasse mattina per poterci andare, finalmente. Anche se era consentito farlo per tutta la notte. Che trasgressione!
Mesi e mesi di attesa, sembrava non avessi mai avuto vita, prima. La notte prima non avevo dormito, tanta era l’ansia e l’attesa e la voglia.
Mi avevano descritto sensazioni inenarrabili. Pianto, commozione, gioia. Un fastidioso doloretto. Per tutti quelli che l’avevano fatto prima di me. Ma ora finalmente toccava a me! I miei 18 anni – qualcuno nell’emancipato nord anche 12 e 16 anni- ora avevano il loro valore. Finalmente avrei potuto anche io fare la mia storia, la mia foto da incorniciare, da mettere negli anali… ops annali.
Allora ho ubbidientemente atteso il mio turno prima di ricevere anche io il mio sigillo, ero un mezzo in mezzo a tanta gente ma io non socializzavo, non parlavo con nessuno perché mantenevo la distanza di sicurezza, quella sì che è sociale! Il telefono, quella diavoleria tecnologica con la quale ora si può fare tutto, non era sintonizzato su nessun canale di informazione alternativa, l’obiettivo della fotocamera mi puntava inesorabile. A dire il vero non era necessario nemmeno più lo sforzo perché anche i canali ufficiali lo dicevano chiaramente, ma io, noi niente…. fake! Fake! Fake! Fake anche il comunicato n. 387 dell’Aifa in cui si dice chiaramente che la Lorenzin, governo Renzi, nel 2014 firmava la porcata con cui l’Italia, non loro, in cambio di copiosissimi posti di lavoro da parte di Big Parma mai arrivati, accettava di fare da laboratorio sperimentale dei vaccini a livello mondiale. I famosi 10 vaccini senza i quali non si viene ammessi alla scuola dell’obbligo.
Persino sotto il consenso informato, dove io ho apposto il mio autografo, c’era scritto che la trasmissione del contagio poteva esserci tranquillamente anche con il vaccino. Dicevano che non sapevano quali gravi reazioni allergiche poteva provocare il vaccino, dicevano che le probabilità di contrarre il virus si riducevano solo dell’1% dopo il vaccino. Dicevano che non avevano fatto nemmeno i test di cancerogenità. Dicevano chiaramente che chi avrebbe fatto il vaccino accettava di fare da cavia ad un vaccino sperimentale con potenziali danni irreversibili solo per ridurre dell’1% le possibilità di contrarre il virus. Ma io il consenso informato non l’avevo letto, ma solo firmato sollevando da ogni responsabilità il medico inoculatore, il farmacista inoculatore, l’aspirante inoculatore. Desideroso di entrare anche io nel club degli inoculati, di avere anche io il codice di identificazione sotto pelle come gli altri, di sfoggiare la medaglia con la primula, di spararmi in corpo anche io la prima dose di merda. Gli altri, quelli che avevano subito trombosi, cecità, scomparsa del ciclo mestruale e svariati danni tutt’a un tratto non contavano più. Così come non contava più il fatto che quella dei 18enni era la categoria meno colpita eppure quella che aveva aderito in massa ad una vaccinazione inspiegabile. Azzarderei addirittura inutile.
Dicevano che le mascherine non servivano a nulla, che dai test effettuati (gli esperimenti!) hanno ammesso che nessun beneficio era stato rilevato. Ma, forse, qualche danno sì. L’ipercapnia, ad esempio. La truffa, poi. Però io l’ho sempre indossata, correttamente indossata come raccomandato, all’aperto, al chiuso, mentre passeggiavo, quando ho abbracciato per l’ultima volta mio nonno da dietro ad un cellophane. Il sesso no, perché era vietato. Però le ho tenuto la mano. Senza baci.
Mio nonno… che sfigato a conquistarsi tutto. Io, invece, me ne stavo comodamente sul divano aspettando che altri mi risolvevano la situazione. Postando i video su TikTok mentre venivo spiato con la finalità della raccolta di dati biometrici che non è altro che la classificazione di massa. O mentre ingurgitavo mondezza da delivery e spazzatura da mainstream e sotto gli occhi avevo un mio amico-idolo pro vaccino che, dopo averlo fatto, ha avuto una (in)spiegabile emorragia cerebrale, però aspettavo da altri il permesso di uscire, di respirare, di vivere. Permesso che era già mio, avuto gratis e che nessuno mi aveva mai tolto, se solo avessi tentato di capire qualcosa di quella Costituzione calpestata, vilipesa e pisciata con la quale all’hub mi hanno umiliato regalandomela. Barattandola. Ma io avevo preferito la birra a 50 centesimi e il panino del fast food. Al nonno del mio amico che non stava nelle RSA gli avevano promesso una erezione di quattro ore che “manco ‘e tiempe bell’ ‘e ‘na vota” ma lui non ci ha creduto.
Nel frattempo… io stavo in vigile attesa. In attesa che un virus che si cura veniva spacciato per mortale quando a morire ci ha portati la follia umana, la stupidità collettiva, il panico contagioso.

Tratto dal “Diario di un giovane ratto da laboratorio”.

DE LUCA E DE MAGISTRIS : MA ALLA FINE, CHI E’ PEGGIO TRA I DUE???

La Regione ferma la vendita di una parte del demanio che lei stessa aveva messo in vendita, ma senza saperlo.
Potrebbe sembrare un simpatico scioglilingua, di quelli anaforici, cacofonici e che non significano nulla. E, invece – purtroppo – questi sono dati reali ed indicativi. Il Comune vende se stesso, o meglio una parte di esso, per non essere stato capace di prendere ciò che è suo.
Non saprei chi scegliere tra De Luca e de Magistris, ma questi due, che amministrano per la seconda volta rispettivamente Regione e Comune, si copiano addirittura, si “e-mulano”, ovviamente in negativo. Se DeMa, nell’indignitoso tentativo di ripianare le dissestate casse del Comune, non ha esitato a mettere in vendita il palazzo del Consiglio Comunale, De Luca addirittura “pensa” di vendere una pineta intera ad un privato. Ad essere precisi, si tratta di una vasta aerea dell’estensione di 300 000 mq comprendente il Parco degli Uccelli, la Pineta di Varcaturo e la foce del Lago Patria,. La cosiddetta “Oasi dei Variconi” un vero e proprio polmone verde dal valore ambientale inestimabile e che De  Luca svende al prezzo di costo  di 1 euro al metro quadro. All’oscuro di tutto, naturalmente, anche il Sindaco del comune di Giugliano in Campania, attuale titolare della concessione del parco.
Vari e a strascico le polemiche seguite a tale decisione, dai consiglieri comunali alle sigle sindacali, tutti impegnati in polemiche postume quanto sterili, a caccia di un consenso da mercato. Tutti obbedienti alla sola logica del profitto, tutti pronti (e proni) ad appuntarsi sul petto la medaglia della vittoria. Magari della battaglia e non della guerra.
Ma poco importa (per loro) se la pezza – non solo del sindaco con la bandana – sia persino peggiore del buco: in poco più di un anno la Corte costituzionale per ben due volte ha richiamato all’ordine il sindaco de Magistris e la sua (?) giunta fu arancione ed oggi multicolor ricordando e ribadendo come il lasso temporale per far quadrare i conti va ridotto da 27 e 3 anni, prorogabili massimo a 5. E per la seconda volta in poco più di un anno sempre la Corte costituzionale boccia la contabilità di Palazzo San Giacomo perché è illegittimo utilizzare le anticipazioni dello stato per coprire le proprie malefatte.
È risaputo che le erbe cattive sono dure da estirparsi e stavolta una mano a Gigino ‘o flop arriva nientemeno che dal Governo centrale che, grazie ai (promessi) ristori bis dovrebbe poter incassare i balzelli mai riscossi né incassati per intero.
Giustificazione pragmatica e vuota quella da esperto conoscitore della macchina burocratica De Luca che accetta di apparire quasi ingenuo, quasi che lui non ne sapeva nulla, un Andreotti di Regione, ingenuo come quando in Italia venivano consumati sequestri, omicidi e stragi. De Luca, infatti, non sapeva nulla della (s)vendita dell’area verde sulla litorale Domizio e immediatamente ha provveduto a fermare lo scempio di un’azione non coordinata tra Regione ed amministrazione regionale. Ci vuol faccia tosta, ma c’è chi ce l’ha.
E se così alla fine contano i risultati, indipendentemente dalla strada che si è percorsa, il bilancio comunale sarà ancora una volta salvo e la pineta di Varcaturo con annesso Parco degli uccelli ed altre bellezze topiche non diventeranno proprietà di un privato. Il che significa che de Magistris e De Luca  saranno salvi e salvati ancora una volta, ma Napoli e la Campania che fine faranno?
 https://www.camposud.it/2021/05/de-luca-e-de-magistris-ma-alla-fine-chi-e-peggio-tra-i-due/

Obbligatoria in Campania la “tessera del PD” : DELUCADONOSSOR ‘O RRE’!!!

Ottimamente ha scritto la saggista Marina SALVADORE nel suo recente volume  “TERRONIA FELIX”, ribattezzandolo DELUCADONOSSOR! Niente, Vincenzo De Luca a fare la persona seria proprio non ce la fa: ha fatto ridere quando si doveva piangere, si è fatto “pupazzo” quando nessuno voleva più reggergli le fila. E’ passato ad essere un govern-attore diventando la caricatura di se stesso ed oggi, ancora smanioso e rampicante,  far finta di essere il capo della classe quando le scuole sono chiuse. Senza alcun pudore né dignità si presta a fare la propria parte in un altro, ennesimo “esperimento” di ingegneria sociale, prova “in primis” per lui stesso, in quanto ad affidabilità di mero esecutore di ordini.

L’ultima ordinanza emessa dal Presidente col lanciafiamme è, a tutti gli effetti, un attestato di discriminazione nell’epoca (dell’abuso) del politically correct, che c’è ovunque tranne che dove dovrebbe esserci. “Omnia munda mundis” evoluto in “La legge è uguale per tutti ma qualcuno è più uguale degli altri”, per intenderci.
Lo aveva annunciato e nessuno è riuscito a farlo ragionare, a partire dall’opposizione per finire al fu commissario straordinario per l’emergenza Domenico Arcuri: De Luca, che pure ha una sua giunta, inaugura la Covid Card, un certificato di avvenuta vaccinazione che è a tutti gli effetti un “passepartout”, una chiave del pensiero unico e uniformato. O formattato.
Nell’ordinanza n. 17 si legge, infatti, che l’Unità (!) di Crisi regionale predisporrà, “di concerto con le associazioni di categoria” protocolli con adeguate misure per assicurare la fruizione in sicurezza di diversi servizi – turistici, alberghieri, wedding, trasporti, spettacoli eccetera – anche attraverso facilitazioni e deroghe alle misure di sicurezza più restrittive, per cittadini in possesso di certificazione/Smart card di completamento della vaccinazione. Fermo l’obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione individuale e di osservanza delle altre misure di prevenzione di base. Ovviamente solo a chi è stato bravo ed ubbidiente da farsi inoculare entrambe le dosi del vaccino. Tra un po’ ce le spaccerà addirittura come il bis di un succulento pranzo luculliano, un’ingordigia di senso di responsabilità. Vuoi sposarti? Serve la tessera! Vuoi prendere l’R2? Serve la tessera! Vuoi andare a far visita con la tua macchina alla mamma relegata in un ospizio, eufemisticamente RSA? Serve la tessera! Mi raccomando, però, di indossare sempre e correttamente la mascherina, di detergere continuamente le mani, di osservare la distanza di sicurezza anche sei in corpo hai il siero, doppia pozione, dell’immunità.
Una vera e propria azione discriminatoria che poco o nulla a che fare con la Medicina. Questa è (im)pura campagna elettorale, di riserva, una seconda dose a elezioni finite. Il signor Presidente si è inventato la green card e sta facendo volantinaggio così, tentando di cavalcare l’onda – o l’onta – finché dura e si prodiga per farla durare più a lungo possibile.
Una intera regione, la regione più importante dell’intero Mezzogiorno, ostaggio di un impanicato fobico che ha arrabattato la propria fortuna elettorale, con la resurrezione, vivaddio solo politica – o meglio – elettorale e che adesso impartisce e dispensa anche l’imprimatur. Urbi et orbi, secondo la sua volontà.
E con il (religioso) silenzio assenso di chi dovrebbe contrastarlo, dall’opposizione in Consiglio regionale, sino alla signorina Lamorgese che dovrebbe leggere gli atti che arrivano sulla sua scrivania. Sono degni di considerazione anche quelli, seppur non arrivino con i barconi, passando anche da mr. chiusura Speranza Robertino, scrittore per ripiego, ministro della salute, ma non sa manco lui il perché. o il come!
E chi se ne frega se il Garante della privacy in audizione al Parlamento ha detto che questa cosa della green card non si può fare, che è anticostituzionale in quel Paese, non più Nazione, dove finora si mangiava e si respirava Costituzione e che ora,”all’intrasatta”, diventa carta da cesso. Non più sicuro rifugio di quegli antifà da stra-pazzo che vedono ancora il Fascismo ovunque, ancora dopo un secolo, tranne che in quella Costituzione a loro tanto cara che contiene conquiste sociali e diritti del lavoro nati nel Ventennio. Eppure finora cuscino intonso per i loro utopici sogni.
Vicienzo continua a fare e a disfare a suo piacimento – duecentoquarantamila card di suo parto sono bloccate per il solito intoppo burocratico perché non si sa chi le debba distribuire…………. Ma continua a fare ‘o gallo ‘ngopp’ ‘a munnezza nel suo “regio lagno”. Quando invece, con una sana e responsabile opposizione, garantista di quel popolo che si sente continuamente colpevolizzato e la cui esistenza è finalizzata all’esclusivo raggiungimento dell’immunità di gregge, (sfiorando di diventare dei piecuri) , potrebbe inchiodarlo alla proprie responsabilità, anche pregresse.  Per dirla con una locuzione attuale e congeniale a lorsignori – per essere stato il principale distruttore della Sanità campana.
Carta canta… e in Campania se vuoi avere il semaforo verde devi tesserarti, omologarti, accettare i loro diktat in nome delle libertà (?) e della democrazia, garantita dal Pd e dai suoi rappresentanti che dettano usi e costumi della nuova Italia, del nuovo umanesimo, del trans-umanesimo che è nuova civiltà. Zan zan! Lo hanno detto chiaramente! E loro (il PD e i suoi cani al guinzaglio) sono candidati ad essere gli esclusivi forieri e gli unici diffusori del “nuovo” pensiero.  E sì  che tutto questo si sarebbe potuto risolvere con 15 euro in via Sant’Andrea delle Fratte…

https://www.camposud.it/2021/05/obbligatoria-in-campania-la-tessera-del-pd-delucadonossor-o-rre/

CAREBONARA (my)DAY!

Alla fine ci sono riusciti.
Prima le accuse/proposte da La Zanzara di sostituire la famiglia tradizionale con una famiglia omosessuale nelle pubblicità Barilla respinte – con tanto di polemica create ad hoc – dal “patron dei maccaroni”, poi le accuse della signora Laura Boldrini che si era scandalizzata perché, sempre in una pubblicità stavolta della Mulino Bianco, che non è altro che il tentativo della Barilla di non fallire del tutto quando fu costretta a vendere lo stabilimento, si vedeva una mamma mettere in tavola la colazione e alle quali Guido Barilla non ha nemmeno replicato. Sarebbe stato davvero difficile farlo tanto è enorme la boldrinata, tanto da essere stata colta in fallo (sperando non si offenda): proprio lei che dai suoi inservienti, così trattava le colf, sfruttate e sottopagate, si faceva addirittura prenotare il parrucchiere perché è una donna sola: cioè dovrebbe avere più tempo per lei o se avesse avuto un kompagno avrebbe dovuto farlo lui?
Adesso anche Barilla è stata costretta ad un’artistica abiura del proprio pensiero in una giornata di quelle “internazionali di” che non servono ad un emerito caspita.
Se dico 6 aprile a me viene in mente  la terribile scossa di terremoto che ha devastato L’Aquila e l’Abruzzo e i tanti, tantissimi, troppi “terremotati” dimenticati, resuscitati solo alla vigilia di qualche campagna elettorale e buoni per le fesserie delle promesse e a racimolare qualche consenso. Poi ho scoperto che il 6 aprile si festeggia/si commemora/ si ricorda/si dedica insomma è il “Carebonara”. Il giorno degli spaghetti alla carbonara. Proprio quest’anno che (ancora) non sai delle condizioni dei terremotati de L’Aquila o dei tanti ristoratori, cuochi, chef, camerieri e dell’indotto che ci gira intorno, loro girano un cortometraggio, una pubblicità di 9 minuti con tanto di attore di grido e utilizzando, difficile a farlo diversamente, una eccellenza italiana: la pasta. Chiaramente lo fanno con un tema di guerra, la II mondiale. Manco a dirlo lo fanno con gli Americani, anzi con i soldiers americani di colore. Quale, inutile dirlo. Lo fanno apparendo buoni, manco a dirlo: donano la razione K, ovvero uova in polvere e bacon, dalla cui scatol(ett)a il genio italico ci tira fuori gli spaghetti alla carbonara! Cosa importa se tutti noi sappiamo che la carbonara è nata in Romagna, terra rossa e da dimenticare, soprattutto se riferita alla II guerra mondiale, a Riccione e da lì poi esportata a Roma, scenario perfetto per lo spot!
Chi se ne fotte se lo spot mostra soldati che, alla loro prima volta, attorcigliano spaghetti come se fossero Italiani rodati e consumati, quando da Bologna in su gli spaghetti li “arrotolano” con l’ausilio del cucchiaio, fino ad arrivare a quelli che li tagliano e sui quali mi verrebbe da chiedere veramente le prove da superare per il rilascio della carta di identità!
Chi se ne frega se la storia è stata (ancora una volta) riadattata, riscritta, aggarbata all’uopo e allo scopo: ciò che occorre, che è utile, che è cosa buona e giusta è che passi il messaggio che i popoli vanno uniti, che le differenze, anche culinarie,  non esistono e che, se si amalgama tutto, che se al posto del guanciale o della pancetta, diatriba tipica e topica, può andarci bene anche il bacon. Magari affumicato. Giusto per buttare fumo negli occhi e vendercele per lacrime di commozione. Tanto poi Barilla chiarirà: non è un documentario! Ma i surrogati non sono mai eccellenza, primizia e qualità, rischiano di compromettere i sapori. Quelli veri e autentici. Della tradizione.
I “formati” fassisiti come abissine e tripoline sono già state messe al bando: a quando la battaglia per boicottare la pasta perché fatta di grano che ricorda un’altra famosa “battaglia” di ben altro sapore e che evoca ben altre immagini e magari propinarci la pasta fatta con la paglia e col fieno da dare in pasto a questi acefali ruminanti come tante bestie al macello?