DAL DIARIO DI UN GIOVANE RATTO DA LABORATORIO

Io me la ricordo la mia prima volta. È stato un fine settimana fantastico, non vedevo l’ora che arrivasse mattina per poterci andare, finalmente. Anche se era consentito farlo per tutta la notte. Che trasgressione!
Mesi e mesi di attesa, sembrava non avessi mai avuto vita, prima. La notte prima non avevo dormito, tanta era l’ansia e l’attesa e la voglia.
Mi avevano descritto sensazioni inenarrabili. Pianto, commozione, gioia. Un fastidioso doloretto. Per tutti quelli che l’avevano fatto prima di me. Ma ora finalmente toccava a me! I miei 18 anni – qualcuno nell’emancipato nord anche 12 e 16 anni- ora avevano il loro valore. Finalmente avrei potuto anche io fare la mia storia, la mia foto da incorniciare, da mettere negli anali… ops annali.
Allora ho ubbidientemente atteso il mio turno prima di ricevere anche io il mio sigillo, ero un mezzo in mezzo a tanta gente ma io non socializzavo, non parlavo con nessuno perché mantenevo la distanza di sicurezza, quella sì che è sociale! Il telefono, quella diavoleria tecnologica con la quale ora si può fare tutto, non era sintonizzato su nessun canale di informazione alternativa, l’obiettivo della fotocamera mi puntava inesorabile. A dire il vero non era necessario nemmeno più lo sforzo perché anche i canali ufficiali lo dicevano chiaramente, ma io, noi niente…. fake! Fake! Fake! Fake anche il comunicato n. 387 dell’Aifa in cui si dice chiaramente che la Lorenzin, governo Renzi, nel 2014 firmava la porcata con cui l’Italia, non loro, in cambio di copiosissimi posti di lavoro da parte di Big Parma mai arrivati, accettava di fare da laboratorio sperimentale dei vaccini a livello mondiale. I famosi 10 vaccini senza i quali non si viene ammessi alla scuola dell’obbligo.
Persino sotto il consenso informato, dove io ho apposto il mio autografo, c’era scritto che la trasmissione del contagio poteva esserci tranquillamente anche con il vaccino. Dicevano che non sapevano quali gravi reazioni allergiche poteva provocare il vaccino, dicevano che le probabilità di contrarre il virus si riducevano solo dell’1% dopo il vaccino. Dicevano che non avevano fatto nemmeno i test di cancerogenità. Dicevano chiaramente che chi avrebbe fatto il vaccino accettava di fare da cavia ad un vaccino sperimentale con potenziali danni irreversibili solo per ridurre dell’1% le possibilità di contrarre il virus. Ma io il consenso informato non l’avevo letto, ma solo firmato sollevando da ogni responsabilità il medico inoculatore, il farmacista inoculatore, l’aspirante inoculatore. Desideroso di entrare anche io nel club degli inoculati, di avere anche io il codice di identificazione sotto pelle come gli altri, di sfoggiare la medaglia con la primula, di spararmi in corpo anche io la prima dose di merda. Gli altri, quelli che avevano subito trombosi, cecità, scomparsa del ciclo mestruale e svariati danni tutt’a un tratto non contavano più. Così come non contava più il fatto che quella dei 18enni era la categoria meno colpita eppure quella che aveva aderito in massa ad una vaccinazione inspiegabile. Azzarderei addirittura inutile.
Dicevano che le mascherine non servivano a nulla, che dai test effettuati (gli esperimenti!) hanno ammesso che nessun beneficio era stato rilevato. Ma, forse, qualche danno sì. L’ipercapnia, ad esempio. La truffa, poi. Però io l’ho sempre indossata, correttamente indossata come raccomandato, all’aperto, al chiuso, mentre passeggiavo, quando ho abbracciato per l’ultima volta mio nonno da dietro ad un cellophane. Il sesso no, perché era vietato. Però le ho tenuto la mano. Senza baci.
Mio nonno… che sfigato a conquistarsi tutto. Io, invece, me ne stavo comodamente sul divano aspettando che altri mi risolvevano la situazione. Postando i video su TikTok mentre venivo spiato con la finalità della raccolta di dati biometrici che non è altro che la classificazione di massa. O mentre ingurgitavo mondezza da delivery e spazzatura da mainstream e sotto gli occhi avevo un mio amico-idolo pro vaccino che, dopo averlo fatto, ha avuto una (in)spiegabile emorragia cerebrale, però aspettavo da altri il permesso di uscire, di respirare, di vivere. Permesso che era già mio, avuto gratis e che nessuno mi aveva mai tolto, se solo avessi tentato di capire qualcosa di quella Costituzione calpestata, vilipesa e pisciata con la quale all’hub mi hanno umiliato regalandomela. Barattandola. Ma io avevo preferito la birra a 50 centesimi e il panino del fast food. Al nonno del mio amico che non stava nelle RSA gli avevano promesso una erezione di quattro ore che “manco ‘e tiempe bell’ ‘e ‘na vota” ma lui non ci ha creduto.
Nel frattempo… io stavo in vigile attesa. In attesa che un virus che si cura veniva spacciato per mortale quando a morire ci ha portati la follia umana, la stupidità collettiva, il panico contagioso.

Tratto dal “Diario di un giovane ratto da laboratorio”.

DAL DIARIO DI UN GIOVANE RATTO DA LABORATORIOultima modifica: 2021-06-08T15:00:43+02:00da tony.fabrizio

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