DOPO 10 ANNI FINISCE L’EPOPEA DEI NOSTRI FUCILIERI DI MARINA : Girone e Latorre non colpevoli!!

Ci sono voluti dieci anni. Dieci anni per voltare pagina, una pagina che non si è mai nemmeno letta.
Finisce così la vicenda dei due marò – che ad onor del vero non sono nemmeno tali: Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due fucilieri di Marina, dei professionisti del reparto di élite della nostra Marina Militare e non dei “semplici” marinai come sono appunto definiti tutti gli appartenenti al Battaglione San Marco – accusati di aver ucciso due pescatori al largo dell’Oceano Indiano.
Finisce a tarallucci e vino, degno finale all’italiana di quell’enorme carrozzone di saltimbanchi e pannacciai che è diventata questa Italia del politically correct, dell’all inclusive e dell’united & uniformed.
L’accusa di omicidio volontario nei confronti dei due nostri militari è stata definitivamente archiviata da parte del giudice per le indagini preliminari di Roma su richiesta della stessa procura. Non ci sono elementi sufficienti nemmeno per instaurare un processo, nemmeno dopo i rilievi su una macchina fotografica e su un computer ritrovati a bordo della Enrica Lexie, la nave a cui lo stato italiano aveva affittato i due fucilieri per garantire sicurezza. Nulla si può ricavare nemmeno dall’esame autoptico sui corpi dei due pescatori, visto che sono stati cremati.
Due, però, restano i punti cardini che nessuno è mai riuscito a smontare in questa odissea in alto mare: le regole di ingaggio che sono state rispettate, ovvero i due colpi in aria di avvertimento sparati dalla petroliera, e questo lo sappiamo per stessa ammissione dei pescatori superstiti sul peschereccio indiano che, tornando da una battuta di pesca durata l’intera notte, dormivano tutti, e l’incompatibilità dei proiettili trovati nello scafo da pesca con le armi in uso ai due fucilieri.
A queste conclusioni ci erano arrivate anche alcune personalità italiane, pochissime in verità, che hanno potuto accedere agli atti – ma solo a quelli che si possono consultare – insufficienti, però, per far smuovere la macchina burocratica istituzionale. Tre governi avvicendatisi, quattro/cinque ministri succedutisi, ma nessuno che abbia davvero preso in considerazione il lavoro meticoloso che altri Italiani avevano fatto per loro e quello di quei giornalisti che ormai, sempre più spesso, dettano l’agenda politica e quella delle dichiarazioni dei politici di turno. Con buona pace della finzione istituzionale, dei rampanti cronisti sfrontati e dei professionisti della carta stampata (dagli altri) del giornalismo d’inchiesta.
Ai governanti – perché questo è il termine giusto – è bastato giocare a fare gli Indiani più degli stessi Indiani. Hanno accettato passivamente qualsiasi decisione del governo keralita, compresi i tempi biblici in cui non sono riusciti nemmeno a mettere in piedi un processo (in)credibile; compresa l’umiliazione della riconsegna del corpo militare, dopo che loro, da bravi Indiani, avevano acconsentito affinché tornasse in Italia per trascorrere il periodo festivo; compreso il risarcimento da parte del governo nostrano alle famiglie delle vittime, il che equivale ad ammettere una colpa da parte dei nostri due militari.
Una pena, una condanna senza nemmeno celebrare il processo.
Anche l’immancabile Europa c’ha messo del suo e col tribunale arbitrale dell’Aja ci si era accordati (di favore? Per chi?) che si sarebbe arrivati alla chiusura del processo, a patto che l’Italia avrebbe continuato ad indagare per omicidio volontario Latorre e Girone. Quell’Italia che aveva affittato i due professionisti a scopo di lucro equiparandoli a meri mercenari e che non ha disdegnato l’accusa al proprio corpo militare; quei governi che non sono stati capaci di andare in India e imbandire una soluzione che salvaguardasse faccia e uomini; quel corpo diplomatico incapace di intessere pubbliche relazioni, ma insuperabile nell’obbedire e dire solamente, sommessamente “Sì”; quella Nazione non più tale, capace di pretendere una Verità che sia una, una Giustizia che sia il vero. Di prendersi ciò che è suo.
Dieci anni di attese, di false speranze, di illusioni e di demagogia cui questa politica riparatoria del meno peggio ci ha tristemente abituati. Dieci anni di umiliazioni da parte dell’India che, con il dovuto rispetto e ogni riguardo, rimane sempre l’India rispetto all’Italia. Forse, a quell’Italia che non è più. Dieci anni in cui abbiamo visto il governo italiano pagare all’India le spese per detenzione, abbiamo visto due professionisti con le stellette fare il bucato nel retro dell’ambasciata divenuta loro prigione e Massimiliano Latorre colpito da infarto, provocato da stress e arrabbiature, che nessuno in Patria ha osato definire quale malattia professionale. Con tanto di colpevoli. Quella Patria che loro hanno giurato di difendere e che non è stata, per incapacità o non volontà, padrona di giudicare due dei suoi uomini, ma che è responsabile delle badilate di clandestini che vengono scaricate sulle nostre coste a mo’ di merce umana. Un giuramento per la propria Patria che va persino oltre il personale, come può essere la promessa di unione per una moglie: Latorre ha alle spalle un divorzio e una seconda moglie, ma la Patria è rimasta una sola. Quella Patria difesa e onorata col silenzio e la dignità anche quando c’erano tutte le condizioni per lamentarsi di altri (loro) rappresentanti, ben diversi da loro e molto meno degni della stessa Patria. Dopo dieci anni vengono a dirci che i marò sono innocenti. No, i togati d’Italia hanno solo detto che questi elementi non sono sufficienti per considerarli colpevoli o innocenti. Per giudicarli. E, forse, è meglio. Resta il fatto che l’Italia, quella istituzionale, non s’è fidata dei suoi uomini che si sono fidati dell’Italia. Anche di quella istituzionale. Ad una certa Italia non servivano dieci anni, innumerevoli umiliazioni e dei giudici che emettessero una sentenza che non si può non emettere.
La terribile minaccia di essere giudicati assassini per i due marò è stata cancellata, l’accusa è stata archiviata, alle famiglie dei pescatori basterà l’ingente somma corrisposta senza mai dire loro chi ha ammazzato i propri cari. La sentenza è data, l’udienza è tolta. Si tiri pure un sospiro di sollievo, si gioisca pure, se ci si riesce. La sola cosa che è stata archiviata, però, è la verità.

https://www.camposud.it/dopo-10-anni-finisce-lepopea-dei-nostri-fucilieri-di-marina-girone-e-latorre-non-colpevoli/tony-fabrizio/

LA VERA STORIA DI UN NATALE NEGATO!

“Anche questo Natale s’è presentato come comanda Iddio”. In realtà si è presentato addirittura in anticipo, con il dogma supplettivo del super green-pass. La Madonna immacolata è stata mandata in pensione: ora c’è il super green-pass a fare da “primipara” alla festa, anche se poi la Santa è stata richiamata in servizio. Vedi mai che questo governo avrebbe mandato qualcuno in pensione. Nemmeno se supera i duemila anni!
Una festa che festa non è. È Natale, una nascita, ma non si può dire chi è nato. Puoi dare sfogo a spese e consumo, sperpero e scialacquamento, ma non puoi dirne il motivo. Anzi, nemmeno il nome dei personaggi di contorno: no Maria, ma sì Malika. Non un divieto sterile, ma anche l’alternativa proposta. Sai bene che arriva Natale, le catene (nomen omen!) della grande distribuzione ti ricordano già ad Ognissanti con un’invasione di panettoni che Natale è alle porte. Una gastronomica torre di Babele che ti ricorda che devi iniziare a fare la colletta se vorrai permetterti un panettone (al rogo le Tre Marie per ovvie ragioni) durante la festa-non-festa, vista la macelleria sociale che stanno approntando.
Chissà cosa avrebbe detto Eduardo a vedere tutta ‘sta zarzuela. A lui mi sento di dire solo “Maestro, ‘o presepio non le piace! È proprio tutto l’”enteroclisema” da dietro che non va…”. Parola di commissione europea. La commissione europea dell’unione europea. Un’organizzazione che targa tutto e tutti, che etichetta ogni grazia di Dio e che stavolta non ha un nome, né un portavoce. Come se la commissione europea dell’unione europea non sia composta da essere umani. Anche se, forse, è esattamente così. Meno di un asterisco, di uno schwa, la ә che dovrebbe rappresentare tutti nel loro mondo rovesciato. Proprio rigettato.
In realtà non è la prima volta che l’anonima commissione europea ci prova: ci ha provato già con i crocefissi a scuola e in tivvù, anche se non era Natale; ci ha provato con i gay pride sul sagrato dei santuari e i crocefissi usati come sollazzo: ma guai a parlare di offesa! Cristo offende. Cristo che nasce per i fatti suoi in una mangiatoia, con il suo messaggio di inclusione e politically correct in salsa all lives matter, visto che uno dei Magi era nero, ricco e così regale da omaggiare di persona e offrire;
ci ha provato col divieto di celebrare Messa e con la sospensione della
Comunicazione con Cristo, con l’abolizione del segno della croce e del segnarsi con l’acqua benedetta, rimpiazzati con un comunissimo gel disinfettante. Con tanto di imprimatur di bergogliesca “e che sia”; ci ha provato anche con la stradina dei presepi di San Gregorio Armeno, provando a far chiudere l’unico luogo al mondo dove è Natale 365 giorni all’anno, ci ha provato a far abbassare le serrande ai napoletani e farle alzare ad acquirenti con occhi a mandorla che, con ottantamila euro, tentavano di tappare le altrui bocche e, fagocitando tutto, accaparrandosi anche l’arte.
Ma siamo pur sempre a Natale, il periodo più magico dell’anno e allora come per magia il Presidente della Repubblica – finora dormiente, muto, consenziente, assente, esistente?, connivente, da chiederne lo stato di accusa – inaugura la stagione de La Scala e riceve dodici minuti di applausi scroscianti. Non si sa perché, da un pubblico di signori incravattati in un teatro inaccessibile al popolino che non è ricco, alla plebaglia che è solo massa. Non è stato il popolino delle periferie, la massa della piazza, le fila sempre più ingrossate di nuovi poveri ad applaudire l’inquilino quirinalizio, osannato e addirittura “da bissare”: stessa narrazione di Pertini-il-più-amato-degli-Italiani che ha fatto più grazie di San Gennaro! Buono, buonissimo, il presidente, un partigiano di qualità. Buonista la Commissione europea dell’unione europea che non si tira indietro di fronte alla “buona azione” natalizia: dietrofront! Ci concede nuovamente il Natale. “Vittoria!”, “Miracolo!” sono il grido profano e sacro. Ma in tempi di pandemia, di emergenza sanitaria ricordata urbi et orbi da santoni di ogni campo, vorremmo assistere anche al “miracolo ospedaliero” di Natale. Davvero può essere tale un “Pronto”, il solo contatto di sangue stabilito attraverso un cavo telefonico? Con tatto è il miracolo del trattamento che ti aspetti in un ospedale da quando questi si chiamano “Aziende” ospedaliere e che sono luoghi deputati alla santificazione della vita, alla salvezza di quel valore altissimo e ineguagliabile che è la vita. Che vale ancora di più (per gli altri) se ricoverata, seimila euro. Novemila, se intubata.
Non è una favola il Cotugno di Napoli assurto agli onori della cronaca mondiale – Bel Paese escluso – che, ai tempi in cui ci si prodigava per abbracciare un cinese e ci si ingozzava di involtini primavera, registratava contagi zero, divenendo modello da studiare e paradigma da imitare nel mondo intero. Non è una favola la cura Ascierto, quel plasma che sembrava far miracoli contro il covid: che fine ha fatto? La cura addirittura finanziata con una vagonata di migliaia di euro da Vincovid De Luca – almeno così ha detto – ai tempi in cui si accaparrava la candidatura del meno noto fratello del primario napoletano. Quale crisi di coscienza per questi luminari, studiosi, ricercatori “costretti” ad essere ipocriti persino verso Ippocrate e il loro giuramento? La scuola medica salernitana e il Diritto romano sono solo due pilastri che l’Italia ha piantato per lo sviluppo della conoscenza per il mondo intero e che oggi sono calpestati, offesi, vilipesi, cancellati. Come cancellati sono anche sei miliardi di euro alla Sanità in pieno tempo di pandemia: popolo di pensatori e di scienziati… ​popolo diviso, inviso e comandato. Popolazione. Senza un’azione. Inetta. Infetta. A fette. Fatto.
A nulla serve la “protesta mediatica” casalinga con tanto di prova fotografica domiciliare dell’albero addobbato solo per puntigliosa rivalsa verso un divieto che non ha ragione logica di essere, se solo l’anno scorso si sbarravano le porte di casa propria persino ad amici e parenti; non ha ragione di esistere quell’albero addobbato, se poi nel silenzio e nell’indifferenza generale vengono abbattuti contemporaneamente (al confinamento domiciliare) gli alberi secolari delle nostre città che hanno resistito a tutto finora, tranne che alla follia umanoide; se non ci si indigna per aver sradicato un albero di 113 (la vera emergenza!) anni solo per farlo diventare l’albero di Natale del Papa. Per un mese o poco più, l’albero non il papa.
Bisogna destarsi se si vuole continuare a coltivare i sogni. Adesso che è gia troppo tardi. A Napoli si dice che “non esiste ‘mariuolo, ma esiste chi se fa arrubbà”. A partire dai sogni. A partire dal Natale di Cristo!

 

(MAL)TRATTATO DAL QUIRINALE. Riflessioni sulla firma di un Trattato a dir poco superfluo ed oscuro!

Chissà se riusciremo mai a leggere cosa hanno sottoscritto lo scadente – perifrasi dovuta ai tempi dell’incarico – Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Presidente Francese Emanuel Macron. Due Stati omologhi anche nella forma di governo, visto che il taglio dei parlamentari è stato così netto che non si trova più nessuno per far il Presidente della Repubblica full time. Con un  mandato settennale, assicurazione garantita e lauto compenso riconosciuto, oltre a vitto, alloggio, lavatura e stiratura. Al punto che “qualcuno” ha proposto, all’attuale Premier Draghi, di volergli attribuire (di qui ad un mesetto, in occasione dell’Elezione del nuovo Presidente della Repubblica) un doppio incarico: inquilino dei palazzi Chigi e Madama. Ma questa è un’altra storia. Forse sarà storia.

Ma torniamo al “nostro Trattato” e immergiamoci nella lettura……. Ammesso che lo si possa leggere nella sua interezza perché, è risaputo, ogni trattato ha clausole segrete.
Dicevo, se proprio il testo di tal Decreto non sarà accessibile per noi umili, passivi e obbligati contribuenti, speriamo non sarà altrettanto inaccessibile – almeno prima della ratifica – per i parlamentari cui abbiamo demandato il compito di rappresentaci. Cioé a  coloro che son mandati da noi in Parlamento e ultimamente trasformatisi in mandanti. Anche se, a stare alla loro “muta-zione”, c’è poco da star tranquilli. Basti pensare che un tal Di Maio, inquilino alla Farnesina, partecipava (non) senza imbarazzo, seppur tra le seconde file, – il che non è poi così grave – all’incontro al Quirinale con quel Macron contro il quale si era rivoltato il popolo francese dei Gilet Gialli. Movimento di protesta cui il “nostro statista” Pentastellato era corso immediatamente in soccorso. Salvo poi  essere rispedito dagli stessi oltralpe. Ma Gigino è pur sempre il nostro Ministro degli Esteri, al pari di De Gasperi, Fanfani, Segni, Saragat, Moro, Andreotti… che siede dopo di loro alla Farnesina. Da dove non ci ha risparmiato epiche gesta: l’ultima è costato un sequestro di 108 giorni ad innocenti pescatori siciliani. Sarà per questo che ultimamente la politica estera é appannaggio del Quirinale! Che che ne dica quella Costituzione più bella del mondo e tutte le stampe e le ristampe delle migliaia, se non milioni, di manuali di Educazione Civica e Testi di Diritto Costituzionale che descrivono il Presidente della Repubblica come una figura meramente rappre­sentativa! Ma cosa porta un Presidente della Repubblica a so­ttoscrivere un Tratt­ato, precedentemente partorito e forteme­nte voluto dal Pd, a due mesi dalla fine del suo mandato, sen­za sottoporlo prima al Parlamento (che era) sovr-ano?
Se mai potremo sapere pure questo – perché quella pleba­glia che costituisce il popolo che vi mantiene, che è pur sempre il datore di lavoro di ogni deput­ato, senatore, porta­borse o usciere che sia,  le domande se le pone. E si chiede pure a cosa serve un Trattato del Quirinale, dopo quello de­ll’Eliseo? A cosa se­rve un’asse Roma-Par­igi, così a cosa sia servito l’Asse Parigi – Berlino sottoscr­itto ad Aquisgrana, se siamo cugini, se siamo tutti fratelli abbracciati, petalo­si e concordi come le stelline gialle sul drappo blu?
Non sarà che, forse, la (loro) Unione europea è implosa e ognuno inizia a far per sé ? E Francia e Germania  (che sarà pure una Nazione impolitica, quest’ultima, ma gli accordi li sa fare bene)  stanno forse facendo spese? Sarà che Parigi, finita l’era Merkel ( che sarà pure antipatica e invisa ai più, ma da Cancelliere ha fatto sempre e comunque l’interesse del proprio popolo) pensa a vivere e magari a sopravvivere e inizia a far provviste proprio in casa nostra?  Sarà che questa Unione non si muove più in direzione Bruxelles, ma in direzione Parigi? E se Parigi compra, l’Italia è la merce, è bancarella. E gli Italiani diventano codici a barre e i loro manda(n)ti nelle Aule Istituzionali, soltanto dei meri liquidatori delle Italiche ricchezze. Con tanto di forbito eloquio e gradevole favella. Che, però, non è tale in questa occasione dove citano tutto e tutti, tranne che i punti del Trattato sottoscritto. E non proferiscono parola alcuna su altri Trattati o “accordi di cooperazione” come quello di qualche giorno fa sottoscritto da Draghi e da un rampollo dei Rotschild. Stando a quanto riferito in aula dal deputato Pino Cabras, né su incontri “istituzionali-privati” come quello di Mariuolino con il presidente del World Economic Forum, tale Kalus Schwab, o quello di Mattarella con Bill Gates in Quirinale. Giusto per citarne alcuni.
Chi è questa gente per l’Italia? A che titolo firma? Cosa firma? In rappresentanza di chi? Su mandato di chi? Autorizzati da chi?
Se l’ignavia di costoro non fa uso di intelletto né di coscienza, sappiate che non è lo stesso per il popolo. Sarà per questo che l’attuale classe politica è completamente avulsa dalla realtà, dalla gente, dalla vita reale!  Ma sappiate che per ogni loro progetto “anti-italiano” si rafforza la coscienza nazionale e l’orgoglio di essere ostinatamente ITALIANI!

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UN GIOVANE FIGLIO DEL SOLE DI NOVANT’ANNI : SERGIO PESSOT, SCRITTORE MILITANTE. Dall’incontro con Che Guevara a Casa Pound.

Che Italia strana, stravolta e capovolta quella che stiamo vivendo. Quella che vuole gli anziani, che rappresentano la nostra memoria e le nostre radici, isolati e lontani. Soli. I giovani, invece, obbedienti, dietro uno schermo di compiuter  per l’apprendimento scolastico, o per le relazioni sociali, o solo per svago. L’Italia del politicamente corretto, delle quote rosa, dell’inclusione e dell’essere forzatamente tutti uguali arrivando all’esasperazione del cancella-culture, delle verità infoibate e del negazionismo.
In questo contesto storico, politico, sociale e “coolturale” c’è una generazione che non si arrende e che dà vita a veri e propri atti rivoluzionari. Accade così che un manipolo di giovani osa ancora riunirsi de visu e mettersi in ascolto di un novantenne venuto dall’altro capo d’Italia. L’Associazione “L’Uroboro” di Cava de’ Tirreni (SA) ha ospitato Sergio Pessot, scrittore, giornalista e saggista che ha presentato la sua ultima fatica letteraria “Figli del Sole”, libro autobiografico che racconta una vita eroica degna di essere vissuta. Agli antipodi della melassa amarcord di nostalgici ricordi, di personaggi riaccreditati post mortem, di movimenti utopici passati e non più riproponibili, la vita di Sergio Pessot è l’idea che si fa azione, la concretizzazione della militanza identitaria.
Adolescente impegnato in azioni goliardiche, da meri franchi tiratori nella sua Genova “liberata” che lo vede sparare ad un carro armato americano, frutto di anni di ferocia e di morte, nutrite dalle bombe “alleate” e alimentate da quel desiderio di vendetta che serpeggia nell’intero Stivale. Quella Idea dell’arrendersi mai – Niemals! – quando tutti gli altri avevano già il fazzoletto rosso al collo. Una fascinazione per quella Idea. attraverso i canti e l’Esercito che, schierato, passa in rassegna e lo porterà ad appuntare sul bavero le Fiamme Bianche della Repubblica Sociale Italiana. E a combattere anche contro la sorte avversa, a lottare per una Idea che in tanti avevano abbandonato, ma che non li ha mai visti arrendersi alla sconfitta.
L’Italia inizia a stargli stretta e allora Sergio fa ritorno in Sud America – era figlio di genitori emigrati – sempre con le stesse idee ben radicate nell’animo. Idee che lo portarono a combattere guerre rivoluzionarie laggiù e a diventare un cantore del peronismo. Idea e Movimento politico che egli vedeva più vicina al suo Fascismo. Dall’Argentina si sposta in Bolivia per cercare di restare fedele alle Idee preservandole da ogni “contaminazione” revisionistica, postuma e folkloristica. Intanto, grazie al suo impegno giornalistico che offre “orientamenti” sempre più importanti e vincolanti, ritorna in Italia per tentare di (ri)costruire qualcosa di nuovamente importante. Partecipa, quindi, alla fondazione del Movimento Sociale Italiano dando vita ad una formazione così estrema tanto da guadagnarsi l’epiteto – manco a dirlo, ribaltato anch’esso – di “figli del sole” portato con orgoglio nel corso di quella vita che, a mano a mano, diventava più “normale” con distacco dalla lotta e dall’interventismo in prima persona. Sino a quando incontra i militanti di Casa Pound in cui vede i nuovi “tedofori” di quella fiaccola testimone di quella Idea immortale.
Al netto della vita eroica e “da manuale” che è degna di essere conosciuta oltre che raccontata, il valore aggiunto di questo incontro è Pessot stesso. E’ il suo entusiasmo coinvolgente, che quasi viene scaricato contagiosamente sulla platea di astanti che non possono far altro che essere ipnotizzati dal pathos che anima l’esposizione e destarsi “solo” per battere le mani. Magari a seguito di una risata spensierata. Come si fa a non ridere quando racconta di essersi arrampicato sulla facciata di Palazzo Chigi – da buon amante della montagna-  per esporre il tricolore che il Presidente del Consiglio non aveva issato al balcone istituzionale e farsi beffa di quella che sarà successivamente la DIGOS che, in netta non ottemperanza ai voleri del Presidente del Consiglio in carica, avrebbe voluto identificarlo? Si arrampica sulla facciata del palazzo, dopo aver issato la bandiera sul pennone, chiede di entrare dalla portafinestra per poi uscire scortato dal portone principale del Palazzo che i suoi camerati stavano meditando di sfondare per liberarlo e, infine, rifilare un sonoro calcio negli stinchi a Giorgio Almirante.
Dispensatore di autentiche perle come quella che ci restituisce un Che Guevara – col quale condivideva l’alloggio – immerso nelle “sue” letture. Un giorno Sergio scopre il Che é intento a leggere il Manifesto di Verona e se ne stupisce molto: “Ma Ernesto, questo è Fascismo!”. “No, questo va oltre il Comunismo” controbatte il rivoluzionario cubano. Autentico italico adulatore che apostrofa poeticamente le donne quali “portatrici di acqua”.
Paradigma delle Idee che divengono azioni anche a novant’anni, che coinvolge e stravolge l’interlocutore per la sua vivacità, per la sua vitalità mai doma. “Militare, militare, sempre militare” è la sua preghiera. Rivolta a quei giovani lontani anni luce dalle sue “gesta” di adolescente già uomo, impensabili al giorno d’oggi, inattuabili con questa generazione che dovrebbe infuriarsi contro chi ruba loro la vita (altro che Greta!) con la DAD, la mancata socializzazione, l’omologazione al pensiero unico, l’amorfa imitazione degli influencer, la passiva somiglianza al divano, il rimbambimento ormonale, lo stordimento neuronale.
Chissà che non intenda proprio questo nel suo Figlio del Sole. ove scrive testualmente: “saper essere primavera che irrompe nell’inverno, nella stagione di sonno e di sedazione che stiamo attraversando dobbiamo riuscire a trovare il risveglio dentro di noi e saperlo trasmettere alla società narcotizzata che ci circonda.”.
E chissà se imitandolo, prima ancora di ringraziarlo, ci scopriremo anche noi “figli del sole”, magari dello stesso sole che non muore.
Tony Fabrizio, da un incontro con l’autore.
FIGLIO DEL SOLE, EDITORE ALTAFORTE-HOEPLI. DI SERGIO PESSOT. PUBBLICAZIONE AGOSTO 2021 Euro 16,00. Disponibile in tutte le librerie o anche in piattaforma AMAZON.
http://Che Italia strana, stravolta e capovolta quella che stiamo vivendo. Quella che vuole gli anziani, che rappresentano la nostra memoria e le nostre radici, isolati e lontani. Soli. I giovani, invece, obbedienti, dietro uno schermo di compiuter per l’apprendimento scolastico, o per le relazioni sociali, o solo per svago. L’Italia del politicamente corretto, delle quote rosa, dell’inclusione e dell’essere forzatamente tutti uguali arrivando all’esasperazione del cancella-culture, delle verità infoibate e del negazionismo. In questo contesto storico, politico, sociale e “coolturale” c’è una generazione che non si arrende e che dà vita a veri e propri atti rivoluzionari. Accade così che un manipolo di giovani osa ancora riunirsi de visu e mettersi in ascolto di un novantenne venuto dall’altro capo d’Italia. L’Associazione “L’Uroboro” di Cava de’ Tirreni (SA) ha ospitato Sergio Pessot, scrittore, giornalista e saggista che ha presentato la sua ultima fatica letteraria “Figli del Sole”, libro autobiografico che racconta una vita eroica degna di essere vissuta. Agli antipodi della melassa amarcord di nostalgici ricordi, di personaggi riaccreditati post mortem, di movimenti utopici passati e non più riproponibili, la vita di Sergio Pessot è l’idea che si fa azione, la concretizzazione della militanza identitaria. Adolescente impegnato in azioni goliardiche, da meri franchi tiratori nella sua Genova “liberata” che lo vede sparare ad un carro armato americano, frutto di anni di ferocia e di morte, nutrite dalle bombe “alleate” e alimentate da quel desiderio di vendetta che serpeggia nell’intero Stivale. Quella Idea dell’arrendersi mai – Niemals! – quando tutti gli altri avevano già il fazzoletto rosso al collo. Una fascinazione per quella Idea. attraverso i canti e l’Esercito che, schierato, passa in rassegna e lo porterà ad appuntare sul bavero le Fiamme Bianche della Repubblica Sociale Italiana. E a combattere anche contro la sorte avversa, a lottare per una Idea che in tanti avevano abbandonato, ma che non li ha mai visti arrendersi alla sconfitta. L’Italia inizia a stargli stretta e allora Sergio fa ritorno in Sud America – era figlio di genitori emigrati – sempre con le stesse idee ben radicate nell’animo. Idee che lo portarono a combattere guerre rivoluzionarie laggiù e a diventare un cantore del peronismo. Idea e Movimento politico che egli vedeva più vicina al suo Fascismo. Dall’Argentina si sposta in Bolivia per cercare di restare fedele alle Idee preservandole da ogni “contaminazione” revisionistica, postuma e folkloristica. Intanto, grazie al suo impegno giornalistico che offre “orientamenti” sempre più importanti e vincolanti, ritorna in Italia per tentare di (ri)costruire qualcosa di nuovamente importante. Partecipa, quindi, alla fondazione del Movimento Sociale Italiano dando vita ad una formazione così estrema tanto da guadagnarsi l’epiteto – manco a dirlo, ribaltato anch’esso – di “figli del sole” portato con orgoglio nel corso di quella vita che, a mano a mano, diventava più “normale” con distacco dalla lotta e dall’interventismo in prima persona. Sino a quando incontra i militanti di Casa Pound in cui vede i nuovi “tedofori” di quella fiaccola testimone di quella Idea immortale. Al netto della vita eroica e “da manuale” che è degna di essere conosciuta oltre che raccontata, il valore aggiunto di questo incontro è Pessot stesso. E’ il suo entusiasmo coinvolgente, che quasi viene scaricato contagiosamente sulla platea di astanti che non possono far altro che essere ipnotizzati dal pathos che anima l’esposizione e destarsi “solo” per battere le mani. Magari a seguito di una risata spensierata. Come si fa a non ridere quando racconta di essersi arrampicato sulla facciata di Palazzo Chigi – da buon amante della montagna- per esporre il tricolore che il Presidente del Consiglio non aveva issato al balcone istituzionale e farsi beffa di quella che sarà successivamente la DIGOS che, in netta non ottemperanza ai voleri del Presidente del Consiglio in carica, avrebbe voluto identificarlo? Si arrampica sulla facciata del palazzo, dopo aver issato la bandiera sul pennone, chiede di entrare dalla portafinestra per poi uscire scortato dal portone principale del Palazzo che i suoi camerati stavano meditando di sfondare per liberarlo e, infine, rifilare un sonoro calcio negli stinchi a Giorgio Almirante. Dispensatore di autentiche perle come quella che ci restituisce un Che Guevara – col quale condivideva l’alloggio – immerso nelle “sue” letture. Un giorno Sergio scopre il Che é intento a leggere il Manifesto di Verona e se ne stupisce molto: “Ma Ernesto, questo è Fascismo!”. “No, questo va oltre il Comunismo” controbatte il rivoluzionario cubano. Autentico italico adulatore che apostrofa poeticamente le donne quali “portatrici di acqua”. Paradigma delle Idee che divengono azioni anche a novant’anni, che coinvolge e stravolge l’interlocutore per la sua vivacità, per la sua vitalità mai doma. “Militare, militare, sempre militare” è la sua preghiera. Rivolta a quei giovani lontani anni luce dalle sue “gesta” di adolescente già uomo, impensabili al giorno d’oggi, inattuabili con questa generazione che dovrebbe infuriarsi contro chi ruba loro la vita (altro che Greta!) con la DAD, la mancata socializzazione, l’omologazione al pensiero unico, l’amorfa imitazione degli influencer, la passiva somiglianza al divano, il rimbambimento ormonale, lo stordimento neuronale. Chissà che non intenda proprio questo nel suo Figlio del Sole. ove scrive testualmente: “saper essere primavera che irrompe nell’inverno, nella stagione di sonno e di sedazione che stiamo attraversando dobbiamo riuscire a trovare il risveglio dentro di noi e saperlo trasmettere alla società narcotizzata che ci circonda.”. E chissà se imitandolo, prima ancora di ringraziarlo, ci scopriremo anche noi “figli del sole”, magari dello stesso sole che non muore. Tony Fabrizio, da un incontro con l’autore. FIGLIO DEL SOLE, EDITORE ALTAFORTE-HOEPLI. DI SERGIO PESSOT. PUBBLICAZIONE AGOSTO 2021 Euro 16,00. Disponibile in tutte le librerie o anche in piattaforma AMAZON.

DE LUCA TI CHIUDE LA SCUOLA E IL TAR LO BOCCIA!!

Vincenzo De Luca non fa frequentare la scuola e ad essere bocciato è proprio lui. Dopo l’iscrizione nel registro degli indagati per il cosiddetto “sistema Salerno”, ovvero la piovra attraverso cui lo sceriffo lucano elargiva appalti e distribuiva voti per sé e per i suoi, dispensando vita, morte e miracoli ai soliti noti, un’altra doccia gelata arriva dal TAR all’indirizzo dell’agitatore del lanciafiamme.
Il Tribunale Amministrativo Regionale ha, infatti, accolto il ricorso dei genitori contro la decisione del governator campano di chiudere le scuole. Vincenzino dominava il proscenio e con fare da super-uomo protagonista decretava la chiusura di tutte le scuole di ogni ordine e grado. A partire dai nidi e finire alle sessioni di laurea universitaria.
Lo ricordate tronfio e borioso atteggiarsi a tuttologo e criticare il bambino allevato al latte col plutonio che voleva “solo” andare a scuola? Quel bambino, a vederla con gli occhi di un adulto, e De luca è più di un adulto, di occhi ne ha quattro e “proviene” pure da un partito che, almeno nella dicitura, si dice essere democratico, voleva solo esercitare un diritto. Ma l’inquilino di Palazzo Santa Lucia glielo aveva negato. Fottendosene della negazione del diritto allo studio. Tanto di violazioni ne aveva già commesse tante, una in più, una in meno…
Per fortuna – in questi tempi e temi “palamarizzati”  si tratta davvero di una fortuna – numerosi TAR hanno accolto il ricorso di svariati  genitori contro la chiusura delle scuole, ritenendola illegittima perché immotivata. Il tutto riferito ai periodi in cui in Campania vi erano zone gialle o al massimo arancione, ma a De Luca piaceva confinare tutti in casa. Bambini, adulti, anziani, “lavoratori non necessari” … così, per il suo delirio di onnipotenza, visto che né Governo centrale, né i sapientissimi del Comitato Tecnico Scientifico, né gli scienziati dell’Istituto Superiore di Sanità, né tantomeno alcun organo di governo affiancato al governo chiamato a governare al suo posto si era mai pronunciato in merito o aveva chiesto simili restrizioni.
Vincenzino faceva il bello e il cattivo tempo e ordinava la chiusura delle scuole prima che lo facesse Gigino de Magistris per lo stato fatiscente delle strutture.
Chissà se il tuttologo lucano riparato a Salerno sa cosa può significare la privazione della scuola. Chissà se conosce i concetti e i relativi benefici della socializzazione, dell’apprendimento a parlare, a giocare, a socializzare, e di conseguenza, il relativo ritardo cognitivo e linguistico. Chissà se ha idea cosa significhi confinare in una stanza, magari davanti ad uno schermo, bambini e adolescenti per una anno – se andrà tutto bene – privandoli del contatto sociale e reale;  dei disabili che regrediscono in maniera irrecuperabile, dei nonn,i confinati anch’essi, che non possono dare una mano ai loro figli costretti a lavorare – ma solo se hanno un’attività necessaria (vedi sopra) – in condizioni indicibili, con conseguenti malattie fisiche e psicologiche derivanti dall’astinenza alla frequentazioni di quei “piezz’ ‘e core” che sono mutati in pezzi di virus. Vairus per Gigino ‘o paesano.
Pronta la contromossa del canuto governatore che, per non smentirsi, è peggio del buco. Alle nuove minacce di chiusura degli impianti scolastici, quest’anno potrebbe concorrere la mancata vaccinazione a tappeto. Evidentemente De Luca, ma non solo lui, ignora che a non vaccinarsi non si corre in alcun reato, ma sic stantibus rebus ci viene da chiedere per quale ragione il nostro non abbia chiuso gli ospedali, ad esempio, ma solo fino a completa vaccinazione del personale impiegato. Ma meglio non chiedere perché, in realtà, De Luca gli ospedali li chiude eccome, ma non per motivi di salute pubblica (in questi ultimi giorni il fronte caldo è rappresentato dall’ospedale di Cava de’ Tirreni che, dopo i tagli già operati, rischia di essere accorpato definitivamente al Ruggi di Salerno). Chiudere la scuola non comporta perdite di PIL e invece la Sanità sanerebbe tante cose.
E se De luca parla e sparla, silenzio di tomba viene dal ministro dell’Istruzione Bianchi, il quale pare sia essere un accorto sostenitore della didattica in presenza quindi un “avversario” per gli occhi deluchiani. Non favella nemmeno il presidente del consiglio Draghi.
In un Paese normale De Luca sarebbe già stato destituito, ma a Palazzo non si sente nemmeno più la voce della “chiattona” (cit. De Luca) anticasta e anti-De Luca. E lui ha ancora stella e stivale con sperone. E a quanto pare ancora pure la licenza di uccidere.
https://www.camposud.it/de-luca-ti-chiude-la-scuola-e-il-tar-lo-boccia/tony-fabrizio/

L DOVEROSO RICORDO DEI MARTIRI DI NASSIRIYA. L’Italia si inchina al sacrificio dei nostri militari.

A sera i riflettori si spengono sulla “tragedia più grande dalla seconda guerra mondiale ad oggi”.
Nassiryia è oggi una tragedia matura, ma non bastano le luci  delle diciotto candeline ad illuminare la verità e i colpevoli che continuano a stare nell’ombra, nel buio, al sicuro.
Il rituale propone, come da protocollo, scarpe lucide, divise lustrate, galloni tirati a lucido, anche con un po’ di saliva che non gusta mai.
Uomini impettiti che si gonfiano nel pronunciare parole vuote come libertà, giustizia, pace. Più vuote degli “uocchi” ormai privi di lacrime di una mamma e di un padre che hanno dato un figlio alla Patria che sua volta lo ha affittato ad altri. Più vuoto di un posto a tavola per un orfano ammutolito, più vuoto del posto in un letto troppo grande per una vedova.
Non c’è più nemmeno l’immagine di Martin Fortunato, 8 anni e lacrime sotto il basco amaranto di papà ormai avvolto dal tricolore. Non è più la sua tragedia ora che di anni ne ha 26.
Gli hanno raccontato che il suo papà laggiù era andato per proteggerci, ma 18 anni dopo proteggiamo quelli che da laggiù vengono e andiamo pure a prenderli. Gli hanno raccontato che suo papà portava la pace, ma è strano vedere dopo 18 anni che gli stessi colleghi di suo padre picchiano il proprio popolo, interrompono funzioni religiose, o meglio solo la Santa Messa, che irrompono nelle case di quelli che hanno giurato di difendere.
Che bello, tutti fratelli, la bandiera italiana, nessuno è fascista. O forse sì. 10, 100, 1000 Nassiryia fu il modo consueto di festeggiare degli antifascisti. La bandiera italiana è seconda a quella blu con le stelline e sostituita ormai da quella arcobaleno. Che non è della pace, ma del pacifismo. Che è quella dei gay pride ma, vedrete, andrà tutto bene.
Dopo 18 anni di puro rituale retorico, forse si potrebbe iniziare a chiedere al governo di allora cosa sanno oggi di ciò che sapevano già 18 anni fa circa l’azione terroristica preparata contro la Maestrale, del camion di fabbricazione russa con cassone blu imbottito di esplosivo. E questo è solo ciò che è dato sapere pure a noi. Cosa si sa dell’allora Ministro della Difesa e dei generalissimi con gli alamari sempre lustrati che ignorarono l’informativa e, quindi, la minaccia.
Chissà se sono bastati loro 18 anni per pulirsi la coscienza con lo stesso tricolore che copriva le bare. Chissà se alla loro finestra sventola ancora un tricolore, magari sbiadito perché dalla vittoria degli europei di calcio sono passati quattro mesi. Chissà se lo rinnoveranno per i mondiali di calcio.
Ma ora si deve eleggere il Presidente della Repubblica che è pure capo delle Forze Armate, per cui anche quest’anno le domande scomode le faremo un’altra volta. Magari nemmeno l’anno prossimo.

https://www.camposud.it/il-doveroso-ricordo-dei-martiri-di-nassiriya-litalia-si-inchina-al-sacrificio-dei-nostri-militari/tony-fabrizio/

 

DAL COVID ALLA POLMONITE SINCIZIALE: Il Professor TARRO condannato all’oblio !!

d eccoci qua che mentre pratichiamo l’ennesimo estenuante accanimento terapeutico alla pandemia da Covid-19 perché duri sempre più e ci preparano per un’altra, nuova emergenza – pare -climatica, per il prominente principio scientifico del “non c’è due senza tre” che ingloba anche il vecchio adagio “tra i due litiganti, il terzo gode”, ecco spuntare una nuova-ma-non-nuova emergenza (che tale non è). Manco a dirlo, sanitaria.
E come in ogni tragedia che si rispetti, anche in questa Italia ridotta a nave senza nocchiero, ma con al timone i croceristi del ’92 che, nonostante tutto, ancora si ostina a non affondare, “prima i vecchi e i bambini”: così, se il Covid s’è portato con sé la parte “antica”, le radici e i ricordi della nostra identità, quest’altra emergenza colpisce i bambini. È in aumento, infatti, o almeno così ci dicono, in ogni ospedale d’Italia, da Nord a Sud, un nuovo male, conosciuta essenzialmente perché questa influenza ha colpito due noti influencer: i coniugi (è Zan-politically correct?) Ferragnez. O meglio, la loro piccolina, ricoverata all’Ospedale Buzzi di Milano per quella che pare essere una polmonite sinciziale.
Già, proprio la polmonite sinciziale che, purtroppo, è male noto – “male oscuro” negli anni 1978/79 a Napoli- studiata, combattuta e sconfitta proprio da un “napoletano d’adozione”, il prof. Giulio Tarro, virologo di fama mondiale, scienziato candidato “per sbaglio” due volte a quel Nobel “troppo politicamente corretto” e, quindi, mai assegnatogli.
E come per l’emergenza Covid (la cui intervista per Campo Sud potete trovarla qui https://www.camposud.it/2020/10/le-interviste-di-campo-sud-tony-fabrizio-intervista-in-esclusiva-il-professor-giulio-tarro/), in netta controtendenza con i soloni dell giornalismo ufficiale elevato a quarto potere che dà voce solo ai “mestieranti di regime”, Campo Sud ha chiesto lumi in merito proprio allo scienziato siculo-napoletano.
La polmonite sinciziale che i media hanno scoperto oggi non è altro che il male oscuro che afflisse Napoli nel 1979 e che fu scoperto e debellato proprio dal prof. Giulio Tarro.
Le cronache di allora ci consegnano un bambino morto ogni giorno, tra il primo e il secondo anno di vita con una incidenza tale verificatasi solo a Napoli. Nessun medico di allora riusciva a capire di cosa si trattasse e soprattutto come poter intervenire prima che circa ottanta bambini ne rimanessero vittime. Fu proprio il “figlio scientifico” del prof. Albert Sabin, allora giovane primario dell’Ospedale Cotugno di Napoli, che iniziò a studiare il fenomeno (nonostante il Cotugno non trattasse casi pediatrici). In realtà, allora come ora, nessuno pensò di coinvolgere il Tarro già professore di Virologia oncologica all’Università di Napoli, ma “per sbaglio” ci pensò il giornalista di punta della Rai Willy Molco il quale chiese aiuto proprio all’illustre virologo per incontrare i medici che erano in prima linea contro questa epidemia dilagante. Di qui, l’interessamento anche del prof. Tarro che, grazie all’aiuto di colleghi che si occupavano direttamente dei casi, si rese immediatamente conto che questo male colpiva esclusivamente i bambini che venivano ricoverati in terapia intensiva perché non considerati quali casi pediatrici e intubati (guarda un po’…) senza che si conoscesse poi il cursus clinico. Studiando i casi, il Tarro si rese conto che si trattava di un virus quando non si pensava minimamente ad un fatto respiratorio. Studiò le cellule, dunque, anche i campioni dei bambini ricoverati in Pediatria e “vide” gli agenti e gli anticorpi del sangue. Provò, quindi, ad isolare il virus ed effettuò un riscontro della fusione di cellule, ovvero il sincizio.
Il giovane primario aveva avuto un’idea geniale: sulla maggior parte dei bambini ricoverati in pediatria individuò il sinciziale. Studiò “se era possibile intravedere un’epidemia e quindi la possibilità che il virus passasse da una cultura cellulare all’altra, individuando così la riproducibilità della malattia. Ebbe in mano il postulato di Koch, individuò cioè il virus responsabile”.
Apparve chiaro (solo al Tarro) che si trattava di un virus e il fatto che i bambini non venissero curati per bronchiolite, quando in realtà, era in atto una e vera e proprio epidemia proprio di bronchiolite fu l’errore mortale che portò alla fine di quasi cento bambini. Non si contano, per fortuna, quelli salvati dall’intuizione acutissima del Tarro che, conoscendo come trattare la bronchiolite, portò alla cura dell’infezione e a debellarla.
Per il principio “duplice” che impera e divide, che già allora preferiva i martiri agli eroi, le cassandre ai profeti e l’apprezzamento inutile poiché postumo, l’Istituto Superiore di Sanità non ammise subito questa scoperta epocale. Anzi, proprio l’allora ministro della Salute Tina Anselmi ex partigiana Gabriella, santificata per il prode gesto di non piegarsi al tentativo di corruzione circa dei medicinali ritirati, “massacrò” letteralmente il “povero” scienziato fino a quando non intervenne l’Organizzazione Mondiale della Sanità che lo fece convocare a Roma, prese visione dello studio direttamente dal suo scopritore il quale raccontò loro del virus sinciziale con conseguente apprezzamento pluripremiato e “sconfitta” per l’I.S.S. che fu costretto a riconoscere ad ammettere la scoperta. Un (in)successo istituzionale sanitario figlio di quella ambiguità italica che vuole il termine “sanitario” afferente non solo all’ambito medico, ma una più appropriata aggettivazione che per ben definire certi soggetti. Al pari di un Vespasiano che non è solo un imperatore romano.
Un’autentica realtà irreale quella che stiamo vivendo e che già la scrittrice Marina Salvadore aveva a suo modo “profetizzato” nel suo covid-congresso delle Janare in Terronia Felix edito nel dicembre 2020 e che ha per protagonista proprio il prof. Tarro, volutamente dimenticato dalla scienza ufficiale, che profetizza realtà che lo trasformano in una novella Cassandra, in un coraggioso Bruno Contrada lasciato a combattere la sua odissea giudiziaria da solo contro tutti, profeta in una patria irriconoscente, studioso, scopritore e debellatore di una pandemia nuova che nuova non è, ma che grazie a lui è stata capita, curata e sconfitta, ma ripresentatasi, meglio (ri)proposta – questo lo sa anche la scienza ufficiale, compreso i boriosi quotidiani presenti in tivvù fino a permesso loro revocato – grazie a quei virus immuni da difese immunitarie, azzerate dal lavaggio continuo e compulsivo delle mani, dall’uso perenne della mascherina, dai lockdown che hanno fatto sì che il nostro corpo non avesse più difese né barriere. Proprio come questa vulnerabile Italia, senza confini, né “testa”, né difesa.
https://www.camposud.it/dal-covid-alla-polmonite-sinciziale-il-professor-tarro-condannato-alloblio/tony-fabrizio/

DAL COVID ALLA POLMONITE SINCIZIALE: Il Professor TARRO condannato all’oblio!!

Ed eccoci qua che mentre pratichiamo l’ennesimo estenuante accanimento terapeutico alla pandemia da Covid-19 perché duri sempre più e ci preparano per un’altra, nuova emergenza – pare -climatica, per il prominente principio scientifico del “non c’è due senza tre” che ingloba anche il vecchio adagio “tra i due litiganti, il terzo gode”, ecco spuntare una nuova-ma-non-nuova emergenza (che tale non è). Manco a dirlo, sanitaria.
E come in ogni tragedia che si rispetti, anche in questa Italia ridotta a nave senza nocchiero, ma con al timone i croceristi del ’92 che, nonostante tutto, ancora si ostina a non affondare, “prima i vecchi e i bambini”: così, se il Covid s’è portato con sé la parte “antica”, le radici e i ricordi della nostra identità, quest’altra emergenza colpisce i bambini. È in aumento, infatti, o almeno così ci dicono, in ogni ospedale d’Italia, da Nord a Sud, un nuovo male, conosciuta essenzialmente perché questa influenza ha colpito due noti influencer: i coniugi (è Zan-politically correct?) Ferragnez. O meglio, la loro piccolina, ricoverata all’Ospedale Buzzi di Milano per quella che pare essere una polmonite sinciziale.
Già, proprio la polmonite sinciziale che, purtroppo, è male noto – “male oscuro” negli anni 1978/79 a Napoli- studiata, combattuta e sconfitta proprio da un “napoletano d’adozione”, il prof. Giulio Tarro, virologo di fama mondiale, scienziato candidato “per sbaglio” due volte a quel Nobel “troppo politicamente corretto” e, quindi, mai assegnatogli.
E come per l’emergenza Covid (la cui intervista per Campo Sud potete trovarla qui https://www.camposud.it/2020/10/le-interviste-di-campo-sud-tony-fabrizio-intervista-in-esclusiva-il-professor-giulio-tarro/), in netta controtendenza con i soloni dell giornalismo ufficiale elevato a quarto potere che dà voce solo ai “mestieranti di regime”, Campo Sud ha chiesto lumi in merito proprio allo scienziato siculo-napoletano.
La polmonite sinciziale che i media hanno scoperto oggi non è altro che il male oscuro che afflisse Napoli nel 1979 e che fu scoperto e debellato proprio dal prof. Giulio Tarro.
Le cronache di allora ci consegnano un bambino morto ogni giorno, tra il primo e il secondo anno di vita con una incidenza tale verificatasi solo a Napoli. Nessun medico di allora riusciva a capire di cosa si trattasse e soprattutto come poter intervenire prima che circa ottanta bambini ne rimanessero vittime. Fu proprio il “figlio scientifico” del prof. Albert Sabin, allora giovane primario dell’Ospedale Cotugno di Napoli, che iniziò a studiare il fenomeno (nonostante il Cotugno non trattasse casi pediatrici). In realtà, allora come ora, nessuno pensò di coinvolgere il Tarro già professore di Virologia oncologica all’Università di Napoli, ma “per sbaglio” ci pensò il giornalista di punta della Rai Willy Molco il quale chiese aiuto proprio all’illustre virologo per incontrare i medici che erano in prima linea contro questa epidemia dilagante. Di qui, l’interessamento anche del prof. Tarro che, grazie all’aiuto di colleghi che si occupavano direttamente dei casi, si rese immediatamente conto che questo male colpiva esclusivamente i bambini che venivano ricoverati in terapia intensiva perché non considerati quali casi pediatrici e intubati (guarda un po’…) senza che si conoscesse poi il cursus clinico. Studiando i casi, il Tarro si rese conto che si trattava di un virus quando non si pensava minimamente ad un fatto respiratorio. Studiò le cellule, dunque, anche i campioni dei bambini ricoverati in Pediatria e “vide” gli agenti e gli anticorpi del sangue. Provò, quindi, ad isolare il virus ed effettuò un riscontro della fusione di cellule, ovvero il sincizio.
Il giovane primario aveva avuto un’idea geniale: sulla maggior parte dei bambini ricoverati in pediatria individuò il sinciziale. Studiò “se era possibile intravedere un’epidemia e quindi la possibilità che il virus passasse da una cultura cellulare all’altra, individuando così la riproducibilità della malattia. Ebbe in mano il postulato di Koch, individuò cioè il virus responsabile”.
Apparve chiaro (solo al Tarro) che si trattava di un virus e il fatto che i bambini non venissero curati per bronchiolite, quando in realtà, era in atto una e vera e proprio epidemia proprio di bronchiolite fu l’errore mortale che portò alla fine di quasi cento bambini. Non si contano, per fortuna, quelli salvati dall’intuizione acutissima del Tarro che, conoscendo come trattare la bronchiolite, portò alla cura dell’infezione e a debellarla.
Per il principio “duplice” che impera e divide, che già allora preferiva i martiri agli eroi, le cassandre ai profeti e l’apprezzamento inutile poiché postumo, l’Istituto Superiore di Sanità non ammise subito questa scoperta epocale. Anzi, proprio l’allora ministro della Salute Tina Anselmi ex partigiana Gabriella, santificata per il prode gesto di non piegarsi al tentativo di corruzione circa dei medicinali ritirati, “massacrò” letteralmente il “povero” scienziato fino a quando non intervenne l’Organizzazione Mondiale della Sanità che lo fece convocare a Roma, prese visione dello studio direttamente dal suo scopritore il quale raccontò loro del virus sinciziale con conseguente apprezzamento pluripremiato e “sconfitta” per l’I.S.S. che fu costretto a riconoscere ad ammettere la scoperta. Un (in)successo istituzionale sanitario figlio di quella ambiguità italica che vuole il termine “sanitario” afferente non solo all’ambito medico, ma una più appropriata aggettivazione che per ben definire certi soggetti. Al pari di un Vespasiano che non è solo un imperatore romano.
Un’autentica realtà irreale quella che stiamo vivendo e che già la scrittrice Marina Salvadore aveva a suo modo “profetizzato” nel suo covid-congresso delle Janare in Terronia Felix edito nel dicembre 2020 e che ha per protagonista proprio il prof. Tarro, volutamente dimenticato dalla scienza ufficiale, che profetizza realtà che lo trasformano in una novella Cassandra, in un coraggioso Bruno Contrada lasciato a combattere la sua odissea giudiziaria da solo contro tutti, profeta in una patria irriconoscente, studioso, scopritore e debellatore di una pandemia nuova che nuova non è, ma che grazie a lui è stata capita, curata e sconfitta, ma ripresentatasi, meglio (ri)proposta – questo lo sa anche la scienza ufficiale, compreso i boriosi quotidiani presenti in tivvù fino a permesso loro revocato – grazie a quei virus immuni da difese immunitarie, azzerate dal lavaggio continuo e compulsivo delle mani, dall’uso perenne della mascherina, dai lockdown che hanno fatto sì che il nostro corpo non avesse più difese né barriere. Proprio come questa vulnerabile Italia, senza confini, né “testa”, né difesa.
https://www.camposud.it/2021/10/dal-covid-alla-polmonite-sinciziale-il-professor-tarro-condannato-alloblio/

QUALE EMERGENZA?

La Sicilia affoga. Catania è poco più che una terra emersa su un’isola. Me ne dovrebbe fregare delle parole di Mattarella, ma proprio non ci riesco. Non ci riesco, non voglio e non posso perché sono parole che non trovano riscontro nella realtà. Parole di accuse contro chi non si vaccina che non commette alcun reato. Parole di condanna verso quella parte di popolazione che ha tenuto la schiena dritta e fede alla propria idea pur difronte all’inganno. Al vile baratto col pane. Con la fame. Scegliendo quest’ultima.
C’è un Paese in piazza, fatto anche di vaccinati, che non accetta l’abominio del green pass, solidale con i portuali di Genova cui riconoscono la guida della battaglia di tutti che dovrebbe essere dei politici.
Mammaeuropa, da matrigna e maitresse della nostra moneta, ha fatto sapere che non ci saranno soldi per ridurre il costo delle bollette. Intanto rincara il carburante, rincara il pane, rincara la vita. L’onnipotente Draghi, in compenso, ha impresso l’imprimatur allo sblocco dei licenziamenti. Ricompare la Fornero e non solo in parlamento, ma anche sulla schiena di quei lavoratori che a settant’anni e passa cadono dall’impalcatura o schiattano sotto al sole alle due di un pomeriggio d’estate.
Mattarella dovrebbe esprimersi da canuto saggio, dispiaciuto di essere sfrattato, con le valigie pronte e il magone del trasloco imminente. Le ultime raccomandazioni e una lunga preghiera di speranza per ciò che sarà. E invece no. Lui divide. Lui, che dovrebbe incarnare l’unità nazionale, divide. Lui che dovrebbe essere il garante della Costituzione la utilizza come tampone per la prostata incontinente. Lui che dovrebbe essere il comandante delle Forze Armate ha una larga fetta che non gli risponde. Che preferisce farsi sospendere in nome di qualcosa che nemmeno è legge. E lui da costituzionalista quale è dovrebbe saperlo. Non dovrebbe consentirlo. E, invece, è un collaborazionista che continua a stare al suo posto. Che vuoi che sia, il Presidente della Repubblica è solo una carica di rappresentanza. Tanto di rappresentanza che non è mai stato eletto -votato- uno che non sia votato a sinistra. Non uno di centro o centro-sinistra, ma proprio  comunista. Pure partigiano. Bandito, assassino e voltagabbana, ma non diverso. E continua ad occupare il Colle nonostante tutto questo. Nonostante non ci sia un cazzo di rappresentante di quella opposizione che ne chieda lo stato di messa in accusa per alto tradimento. Troppo impegnati a piangere per il trapasso di Quota 100 e a pensare come dire ai propri tifosi che va tutto bene e controlla anche le pensioni dall’interno. Troppo impegnati con l’abiura dell’Idea, con il taglio delle radici e a tentare di spegnere la fiamma, alitandoci sopra. E ricorrendo, se altro non bastasse, a un revisionismo storico del 25 aprile il 25 di ottobre, per dire chiaramente che in tale data “l’Italia si liberò dal nazifascismo”. Anche questa è eutanasia, spero. Troppo impegnati a dire che non si è di destra, ma nemmeno di sinistra. E se c’è bisogno di dirlo… impegnati in quel ppe che assorbe la propria attività tanto da mandare puttane il proprio Paese quando anche uno sguardo è considerato cat-calling o irrispettoso verso ciò che non dovrebbe essere ciò che è. Nell’affanosa ricerca di un posto di senatore-avvita, nel senso di bullonato, in quello che nella gloriosa Roma costituiva il “consiglio dei saggi” e che oggi ha tutto il sapore del contentino di una palpatina, magari a pagamento, da parte di chi non prova più nemmeno un’erezione.
Intanto, le carrette del mare nemmeno si prendono più la briga di scaricare merce umana buona solo a farci un po’ di soldi, ma usano e (mai) abusano dei mezzi per la Difesa dei nostri confini comandanti da chi preferisce e stabilisce che persino un abito sartoriale vale di più del proprio sacro suolo, della parola data anni fa tramutatasi in vita di pane e di tetto. Me ne fregherei delle cazzate propinate a mo’ di proselito da venditore di aspirapolvere porta a porta dell’inquilino del Quirinale se non fosse complice e protettore di chi al porto vede estremisti e non lavoratori, ma “non vede” la pec con cui un manifestante comunica la propria presenza in piazza. E che lo si lascia assaltare per non far precipitare la situazione, mentre i suoi uomini in borghese diventano collaudatori.
Ma oggi in parlamento si discute il ddl Zan. Discute per modo di dire perché si potrebbe ricorrere al voto segreto che può essere una tagliola di cui può usufruire addirittura chi propone la legge liberticida. Senza metterci la faccia, ancora una volta. Bentornati nella realtà.

BORDELLO ITALIA

È legittimo l’obbligo vaccinale.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, rigettando la richiesta di alcuni medici e paramedici del Friuli Venezia Giulia che si appellavano alla libertà di scelta.
Non sono un virologo – ribadisco – e non aspiro ad esserlo, ma il punto, secondo me, non è l’obbligo vaccinale o meno (sul quale io sarei d’accordo a patto e condizioni che il Governo, cui sono deputate le scelte politiche della Nazione, se ne assuma tutte le responsabilità). Imponi pure l’obbligo vaccinale, ma prima di eliminare ogni tipo di limitazioni alla libertà, tu Governo elimini la sottoscrizione del consenso informato, ovvero la delega della responsabilità che, cosa che il Consiglio di Stato non ha tenuto conto, o forse sì, è assunta direttamente dal singolo operatore medico, paramedico, sanitario, etc.
Dico forse sì, perché il Consiglio di Stato potrebbe essersene completamente fregato. Voce del verbo dipiciemme, dl, circolare ministeriale. Ovvero facciamo come ci pare e senza nemmeno modificare la legge. Che presupporrebbe un passaggio – almeno pro forma – per il Parlamento che è stato del tutto esautorato. Voce del verbo “non conta più un cazzo”. Dunque, ha senso combattere legalmente appellandosi a quella magistratura palamarizzata, colorata, politicizzata, asservita, alleata, complice e collabirazionista? In uno stato di diritto che di diritto non ha più nulla?
Tuttavia, continuo a credere che il vaccino non sia il fine, bensì un mezzo, il mezzo per portarti a chiedere il green pass. Anche per la libera circolazione in casa tua, che in quanto a concessione manda a puttane il concetto stesso di libertà. Che, con buona pace di Friederich Nietzsche, “non è fare tutto ciò che si vuole, ma volere tutto ciò che si fa”. O magari potremmo finire, come diceva Sartre, ad “essere condannati ad essere liberi”.
Sarà perché sono un inguaribile italofilo, un autentico fondamentalista italico, ma non mi spiego, e di rimando li detesto, tutti coloro che combattono la certificazione verde – scusate se uso l’italiano, ma siano ancora nel settecentenario della morte di Dante e non possiamo solo parlare della porta dell’inferno al Qui…rinale – con il mantra – non must – “siamo gli unici al mondo”. Per quanto può essere detto in buona fede, questa premessa, secondo me, equivale ad una senso di inferiorità e di dipendenza dagli altri, concetti ormai insiti e radicati nell’animo. D’altronde anche i governanti, da Conte in poi, parlano di “modello Italia” e dicono la verità. Altro che complottismo! Questi parlano chiaro. Il modello Italia, ovvero il laboratorio sperimentale di lorenziniana memoria, prevede che l’Italia faccia da apripista anche sulla certificazione verde. Studiamo cosa succede in Italia e vediamo come applicarlo nel resto del mondo. Solo che in Italia è accaduto qualcosa di eccezionale: Trieste, senza la pretesa di essere modello, è stata seguita da tantissime piazze del centro-nord, qualcuna pure al Sud. È arrivata la solidarietà nei fatti (e nelle piazze) dalla Francia, dall’Inghilterra, dalla Slovenia, dalla Serbia, dalla Polonia (che ha letteralmente piantato le palle della sovranità a terra contro l’ingerenza di Bruxelles in casa propria, ma guai a nominare Visegrád), addirittura dall’Australia, che stanno messi (non so se) peggio di noi.
È di queste ore la notizia che il Regno Unito proroga di sei mesi il “Coronavirus act”, senza alcun voto del parlamento (su modello Italia, potremmo dire). Solo 90 minuti (fantozziani) per il dibattito. Quasi nessun parlamentare si è presentato per discuterne. Il vicepresidente dice: “non è umore della Camera votare sulla questione”. Poi tutti a festeggiare a Palazzo: guest star il filantropo e coltivatore di esperimenti di ingegneria genetica, passione ereditata dalla mamma, e proprietario della Pfizer, il miliardario Bill Gates.
Mentre in Francia, con 109 voti contro 66 è stato approvato l’articolo 1 del DDL sulla vigilanza sanitaria. Ovvero la proroga del quadro normativo per lo stato di emergenza sanitaria fino al 31 luglio 2022.
L’Ansa, protuberanza ed escrenza del PD, solo ieri batteva (!) la notizia che il nostro futuro verde-green sarà a prova di emissioni di CO2 che sarà misurato dalla certificazione verde cui sarà legato ogni aspetto delle vostre vite. Quindi, potrebbero decidere che tu non avrai energia elettrica nel fine settimana perché la pasta e fagioli cucinata il giorno prima ti ha trasformato in un pericoloso e criminale malato cronico compulsivo affetto da aerofagia e meteorismo. Parola di green pass. E dopo il poliziotto in borghese che, nel mezzo di una guerriglia testa il moto ondulatorio del mezzo già collaudato, io mi aspetto di tutto.
Ma questo modello Italia sembra non essere tanto gradito né debba trovare molto seguito: al G20 di Draghi mancheranno i capi di stato Putin (Russia) Bolsonaro (Argentina), Xi Jinping, (Cina) Kishida (Giappone), Obrador Messico).
Praticamente Mariolino, il primo della cla$$€, quello che vuol dimostrare di aver fatto bene i compito a casa e di aver anche approfondito per “conto” suo, faceva bene ad organizzare un pigiama party.
Ecco perché è importante la protesta di Trieste, ecco perché (anche) nel resto nel mondo hanno capito che è fondamentale essere solidali con i portuali di Trieste. A Trieste si sta combattendo per le sorti del mondo, a Trieste si sta facendo la storia. Di nuovo. Ancora. La nostra.
Se poi questa non la ritenere una buona notizia potete sempre gioire per la riduzione, grazie al PD, del 10% dell’IVA sugli assorbenti. Un risparmio di 0,30 eurocent al mese. In attesa che, come sostenuto, venga il ciclo anche agli uomini.