Sia chiaro: se anche la Russia dovesse perdere la guerra propagandata quale operazione speciale per me non sarebbe un successo. Parlare di vittoria sarebbe ingiusto anche dalle parti del Cremlino. L’operazione di “denazificazione” ha assunto le caratteristiche di una vera e propria guerra che Putin – stando ai figli di P. e alle di lui bimbe che sono meglio, quindi peggio, della fu Čeka- non voleva. Anzi, costoro sapevano pure che lo zar non avrebbe mai attaccato perché, da fine giocatore di scacchi quale loro lo “conoscono”, non avrebbe mai ceduto alle pressioni di Bidenich – Bidè per coloro che dicono anche di combattere il pensiero unico e il conformismo – mentre dalla Casa Bianca, che non è più la residenza di mr. President che, a sua volta, vive e parla tramite ologrammi – perché mai visto che la Casa Bianca non ospita il presidente “v/nero” non si capisce – conoscevano il giorno e pure l’ora in cui Putin avrebbe dato il la.
Al Cremlino non interessa(va) l’Ucraina, ma solo l’eliminazione dei laboratori chimici e, poiché questi erano mascher(in)ati da sedi civili, Putin ha dovuto radere al suolo tutto. E tutti. Però, da ultimo baluardo della cristianità che non va in ferie manco a Pasqua, avvisa prima di sganciare chili e chili di tritolo, zolfo, carbonio e nitrato di potassio. E se la gente muore è perché i nazisti, che non hanno mai rotto le uova a Putin e che Putin ha sovente annientato, anche se poi questi non finiscono mai, si fanno scudo con i civili. Gli stessi nazisti che attendono dietro a sacchi di sabbia in strada e con molotov artigianali i carri zetasegnati, la ferita, la mutilazione, la morte. Da volontari. Anzi, sono loro – sostengono i combattenti dal divano – ad andare a occupare postazioni civili che diventano obiettivi militari, dimenticando tuttavia che si parla di città “civili” per cui, caserme a parte, il combattimento non si può che svolgere tra palazzi, attività commerciali che hanno visto la spesa proletaria, palestre appunto civili, scuole che Putin ha provveduto a far sgomberare in casa d’altri. Che è, dunque, lo stesso principio secondo cui in terra altrui, deposto il suo fantoccio con il fantoccio yankee, si pretende che non vi siano missili e non si entri nella NATO, il catorcio vecchio e inutile rianimato da Putin. Che è la stessa NATO verso cui l’Orso aveva fatto più di un pensierino, partecipando anche a delle missioni di simulazione e addestramento. Ma zio Vlady sta combattendo con le mani legate, anzi con una sola, anzi-ancora con le mani dietro la schiena. Anche dopo aver subito un numero di militi caduti in cinque giorni pari a quelli caduti in Afghanistan in 15 anni? Anche dopo aver licenziato otto Generalissimi fedelissimi? Anche dopo che cresce sempre più il fronte interno – che è segreto come lo sono i servizi a casa nostra – in forte dissenso con la condotta dell'(auto)erede di Pietro il grande? Anche dopo che è stato costretto a dispiegare milizie sull’intero confine, spostare il fronte di guerra e costretto a dover ripiegare sul mercenarismo ceceno e dopo la porta chiusa, seppur garbatamente, in faccia da Pechino e l’ingrossamento delle fila della NATO di altri Paesi confinanti? Possibile che un abile giocatore di scacchi non avrebbe previsto una simile mossa? Possibile che le minacce, addirittura atomiche, di Mosca non sono mai arrivate? Meglio così, sia chiaro. Possibile che, archiviati Dugin, Lilin, Orsini e qualche virostar riciclata e convertita, tutti sconosciuti e lontani dal Cremlino – dove il pensiero e la libertà sono al momento censurati – spunta, sempre lontano dal Cremlino e sempre qui in Italia, un altro “putinologo” che ci fa sapere che l’ex KGB non contempla sconfitte, dunque è un Battisti – forse più Cesare che Lucio – che guida a fari spenti nella notte e non ha intenzione di frenare, mentre noi siamo seduti sul sedile posteriore della stessa vettura? Fonte e dubbio ormai sono il binomio perfetto, come falce e martello, come libro e moschetto per la par condicio di quelli che una volta erano simili da quegli altri che avversavano la bandiera rossa con la quale oggi si trovano più a proprio agio rispetto ad una runa. Quante metamorfosi avrebbe scritto Kafka! Non sarebbero bastati gli eserciti per leggerle tutte.
I pasdaran del dubbio, quelli che non sanno metterti in tavola nemmeno una pasta al burro senza che si aggrappino ai tutorial della rete, ormai sono veri e propri fondamentalisti e pasionariә della nuova fase dell’esperimento: rianimano, scoprendone (finalmente) l’esistenza, quel neurone ormai atrofizzato di cui nemmeno ricordavano persino l’esistenza e iniziano a porsi domande, inutili, infondate, demenziali – come suggerito – divenendo, non rendendosene conto, fanatici dell’irragionevolezza. Una vecchia tecnica messa a punto da Lotta Continua. È un caso che oggi il dubbio viene “capeggiato” da chi “nel 1967 aderì al Partito Comunista Italiano lasciandolo l’anno dopo per aderire poi a Lotta Continua, che inizia l’attività di giornalista nel 1979, lavorando a proprio al quotidiano Lotta Continua, per il quale segue l’America Latina, e diviene professionista nel 1983, nel 1999, con abbondante calma e casualmente dopo una decina di anni dalla caduta del Muro, scrive all’improvviso sul dramma delle foibe (era figlio di profughi istriani anche al tempo del PCI), che nel 2021 però i grandi amori nostalgici ritornano, con uno speciale sui 100 anni del Comunismo e il resto è nell’oggi, con una evidente faziosità a tratti apparentemente cerchiobottista fatta passare da “dubbio intellettuale”?
Sono gli stessi dubbi che gli stessi personaggi praticavano già mezzo secolo fa: l’omicidio Calabresi ad opera di neofascisti – quindi domande su domande sul suo viaggio investigativo in Svizzera, sulla somiglianza del killer con un certo Nardi – o la strage di Primavalle, quando casa Mattei andò a fuoco per dissidi interni alla sezione. Anche lì dubbi su dubbi, depistaggi su depistaggi, mentre morirono Virgilio di 22 anni militante missino Nel Corpo Volontari Nazionali e il fratellino Stefano di 10 anni. Mario Mattei riuscì a scappare gettandosi dal balcone, la moglie Anna Maria e i due figli più piccoli, Antonella di 9 anni e Giampaolo di soli 3 anni, riuscirono a fuggire dalla porta principale quando il fuoco cominciò a diffondersi. Lucia di 15 anni grazie al padre si calò nel balconcino del secondo piano e da lì si buttò, presa al volo dal Mattei già a terra nonostante le ustioni sul suo corpo. Silvia, 19 anni, si gettò dalla veranda della cucina: batté la testa sulla ringhiera del secondo piano, la schiena sul tubo del gas, fu trattenuta per qualche istante dai fili del bucato e quindi finì sul marciapiede del cortile riportando la frattura di due costole e tre vertebre. Gli altri due figli, Virgilio e il fratellino Stefano, morirono bruciati vivi non riuscendo a gettarsi dalla finestra per scampare alle fiamme. Il dramma avvenne davanti ad una folla che si era radunata nei pressi dell’abitazione e che assistette alla morte di Virgilio, rimasto appoggiato al davanzale a cercare aiuto, e di Stefano, scivolato all’indietro dopo che il fratello maggiore che lo teneva con sé perse le forze. I corpi carbonizzati vennero trovati dai vigili del fuoco vicino alla finestra stretti in un abbraccio.
L’incendio è un vile atto di terrorismo, un trasversale omicidio politico: militanti comunisti di Potere Operaio, borghesi benestanti figli della migliore società, colpiscono a morte la famiglia di un lavoratore di una proletaria periferia romana. Un atto infame, assassino, a cui segue una vicenda paradossale: tre militanti di Potere Operaio, Achille Lollo, Marino Clavo e Manlio Grillo, pur condannati, diventano protagonisti di una storia giudiziaria infinita, contraddistinta innanzitutto da latitanza, rimozione della verità, mancata giustizia, da una vergognosa campagna innocentista della sinistra italiana, dalla copertura economica e morale agli assassini da parte di esponenti della “cultura conforme e politicamente corretta” come Franca Rame e il Nobel concubino Dario Fo. Anche qui tutto era iniziato col dubbio, coperto da depistaggi firmati da chi oggi spaccia, alla stessa maniera, il beneficio del dubbio utile e in gran rispolvero.