Ci sono eventi che per comprenderli non sempre è sufficiente farli coincidere con l’anno zero di chi vuol capire. Penso ai figli e ai nipoti degli esuli giuliano-dalmati, penso ai figli e ai nipoti dei partigiani, tanto per rimanere in Italia: entrambi nati, dopo determinate vicissitudini storiche, che, anche se non vissute sulla propria pelle, fanno irrimediabilmente parte del proprio DNA, sono corredo della propria esistenza e della propria evoluzione. Penso all’assedio di Leningrado, dove i Russi persero 700mila vite umane e a qualcuno toccò di subire perdite da vicino. Un padre, un fratello mai conosciuto. A questo dramma familiare, se ne aggiunse un altro, quello della dissoluzione dell’Unione Sovietica, una seconda grande madre per tanti russi. Questa è l’inizio della storia di Vladimir Putin, figlio e orfano dell’assedio di Stalingrado e dell’Urss, all’epoca capostazione del KGB a Dresda che, dopo l’assedio, tornò a vivere a Leningrado. Il suo unico bene consisteva in una vecchia Volga tanto che, non sapendo come sostenere se stesso e la sua famiglia, pensò di mettersi a fare il tassista.
Tutta questa psicologia contorta non giustifica, non sminuisce né gratifica il Presidente russo, tuttavia, può aiutare a farcelo comprendere meglio. Quando l’Urss crollò e tutti abiuravano deponendo i quadri di Lenin, di Stalin, di Marx, la sola struttura che rimase in piedi fu il KGB, una sorta di enclave dell’Urss, mentre Putin rispose con la collocazione del quadro di Pietro il Grande, ribadendo, in più occasioni, che non si può non rimpiangere il culto dell’Unione Sovietica.
È indicativo a tal proposito che nella parata dello scorso maggio per celebrare la vittoria sul nazifascismo abbia ridato alla Marina Militare il simbolo della falce e martello, mentre altri reparti militari indossano il nastrino giallo e nero, i colori dello zar. Però a far paura sono le parate del presidente Xi Jinping in una Cina (a)spettatrice, dove il Comunismo si chiama repubblica popolare o forse più le rune al braccio dei nazionalisti ucraini.
Sintetizzando, si può dire che la politica di Putin è un meticciato di Comunismo stalinista (rifiuta Lenin) e imperialismo – dove quest’ultimo elemento è prevalente- con una concezione della politica estera che si riferisce al panslavinismo, ovvero il desiderio (utopico?) di creare un’area di influenza geopolitica che coincida con la vecchia Urss – diciamo pure una rifondazione – e che comprenda le regioni baltiche, la Moldova e le repubbliche centrali dell’Asia e del Caucaso.
In quest’ottica si spiegano le affermazioni nel discorso alla Nazione del 2005, quando Putin ebbe modo di affermare che “l’Ucraina indipendente e separata dalla Russia esiste solo perché fu creata da Lenin dopo la rivoluzione comunista”. Quella stessa Ucraina che iniziò a minare la potente Urss che è la stessa che, durante il Secondo conflitto mondiale, si schierò dalla parte dei nazisti nella Waffen SS di Hitler. La stessa Ucraina che oggi Putin vuole “denazzificare” – fosse accaduto in Italia, si sarebbe parlato di “defascistizzare” – che “è uno stato corrotto e comandato dagli americani, che cerca senza successo di fare i conti con il suo passato sovietico. «Volete la decomunistizzazione? Siamo pronti a mostrarvi cosa vuol dire davvero decomunistizzazione» ha detto. È una delle giustificazioni principali di Putin per l’invasione: se l’Ucraina è stata creata dal comunismo sovietico, la decomunistizzazione significa cancellarla dalle mappe”. Indubbiamente l’Ucraina attuale è a guida americana con un presidente comico di professione che è il fantoccio delle rivoluzioni colorate di Soros, ma l’Ucraina non è solo il suo governo. L’Ucraina è terra e popolo, quello che ha conosciuto gli anni del Comunismo più buio e che se ne guarda salvaguardando la propria identità, mentre il presidente russo continua a trincerarsi nel suo castello, contornato di yes man (non è un caso che è amico di Berlusconi) che gli danno una errata concezione della realtà in cui può ancora trovare attuazione il progetto – utopico, ma solo perché comunista – della Grande Russia prerivoluzionaria. Un modo per dare smalto al suo potere che sta perdendo consenso, dopo vent’anni di regno: il gradimento per l’invasione dell’Ucraina si attesta ben al di sotto del 53% rispetto a quello di fine anno (fonti russe!), nonostante abbia contribuito a ridare orgoglio al suo popolo. Lo stesso orgoglio di essere popolo, di avere un’appartenenza a radici di una Nazione e nel difendere la propria identità come stanno facendo gli Ucraini. Inconcepibile per certi Italiani, ormai da troppo tempo disabituati alla Politica dell’Idea, dei Valori, dell’Essere e delle Identità. Perennemente in attesa di un messia liberatore e dipendenti da qualsiasi cosa sia altro da se stessi e ciechi e muti verso chi si da(va) fuoco in piazza e si suicidava in mille altri modi, che scuoteva la gente invitandola a insorgere contro il fatalismo. Una vita trascorsa, ma non vissuta a vergognarsi di se stessi, trascorsa perennemente con il torcicollo che, oltre a non far guardare avanti, non offre nemmeno una visione a centottanta gradi di ciò che è stato il passato. Perennemente sprecata a tifare per il bello, il simpatico, il front man, la donna, il dissenso. Intrisi di quella narrazione che vede complotti orditi, anche se non dovesse funzionare lo scarico del bagno o un nuovo ordine mondiale se qualcuno propone lo spostamento dell’ascensore del condominio. Questa mancata “prontezza ideale e intellettuale” porta al più a essere spettatori paganti, con le proprie terga, dove il protagonismo e la partecipazione si limitano al solo tifare, immediatamente dopo aver passato alle etichettature come una unione europea qualsiasi: Putin è sovranista, Biden è massone, gli Ucraini sono nazisti. Che il mainstream e la controinformazione hanno raccontato battersi contro altri nazisti. Ma quanti sono questi nazisti? Chiediamolo a quel mainstream che racconta che non c’era stata alcuna invasione, pardon, sconfinamento che è più politicamente digeribile, e che a fronteggiarsi sono solo frange fratricide dell’esercito della stessa nazione. E di qui anche il tentativo di far rientrare nei vostri (?) canoni morali e perbenisti anche la guerra.
Con tale mente petalosa non si riuscirà mai a capire un anziano che a settant’anni impara a costruire molotov, donne (il 35% dell’esercito ucraino) che imbracciano fucili, genitori che non imbarcano i figli sui treni perché quella è la loro terra e va difesa, Ucraini che combattono quasi corpo a corpo per il suolo natio, che vanno incontro ai carri armati cantando l’Inno Nazionale. Eppure una gioventù che è andata incontro alla morte cantando ce l’abbiamo avuta prima di loro. Questa è la storia. Il mondo è di nuovo diviso in blocchi contrapposti: finora ci sono stati i pro vax e i no vax, ora abbiamo i no pax e sì pax. Se uno dei due rappresenta un pericolo, non ci si deve necessariamente schierarsi con l’altro, non sempre se l’uno è il bene, l’altro deve per forza essere il male. In medio stat virtus: e in mezzo a Usa e Russia c’è proprio il popolo ucraino.