BRUNO CONTRADA: PUNTATA N DI UNA SAGA INFINITA
Mezzo milione di euro può essere il prezzo della condanna di una vita. 500 mila euro è il taglio alla sanità nella finanziaria “pandemica” dell’attuale governo, 667 mila euro la condanna per l’annullamento di una condanna ad un servitore dello stato. Uno strano caso di giustizia (s)Contrada o, meglio, di una ingiustizia contratta che arriva come una bomba ad orologeria… tanto attesa.
In una Italia che nella stessa giornata ci consegna l’ennesimo (presunto?) caso di “correlazione” tra mafia e politica, in questa Italia dove se tradisci il mandato elettorale da parte di chi ha ritenuto darti fiducia passi per “responsabile”, per “costruttore” e non per traditore, come può trovare giustizia il giuramento di un Servitore dello stato che conta meno, niente, rispetto a quello dell’antistato, del deep-state di questa re-pub(bl)ica dei collaboratori di giustizia, dala giustizia lontani anni luce e che la in-seguiranno solo per interesse. Assicurato. Garantito. Promesso. Per legge.
Quell’Italia condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per aver ingiustamente perseguito, condannato e imprigionato un Uomo che ha fatto solo il proprio dovere, il proprio lavoro e che non si è prestato a fare quello che non gli apparteneva.
L’Italia dove ha perso la giustizia e dove oggi l’ennesima “procura feudale”, già servita ma ormai serva, chiede di riesaminare un processo che già aveva avuto una soluzione. Un’assoluzione. Anzi, un annullamento. Ebbene sì, perché il casellario giudiziale del dr. Bruno Contrada ex dirigente generale della Polizia di Stato, numero tre del Sisde, capo della Mobile di Palermo, capo della sezione siciliana della Criminalpol, medaglia d’oro al merito di servizio (20 anni), croce di anzianità di servizio della Polizia di stato (35 anni), è immacolato. Candido. Pulito. Ma la croce più grande gli è stata consegnata – sperando possa essere l’ultima e non per un mero fatto di età anagrafica – da quello stato che ha servito fedelmente per una vita, da quando era bersagliere fino ad ufficiale di Polizia, e che oggi lo ripaga impedendogli di prendere quanto altri hanno deciso gli spettasse per l’ingiusta condanna subita, patita e, tuttavia, onorata. Come se una cifra in danaro, qualunque essa sia, possa ripagarlo dell’onore macchiato, dell’onta affibiatagli, della carriera annientata, della salute persa, degli affetti rovinati, della vita distrutta.
Un accanimento che ormai ha il sapore della storia infinita, del gusto amaro e velenoso del male, della soddisfazione di chi può solo prendere tempo per perdere tempo, della crudeltà di non vedere Bruno Contrada finalmente riabilitato nella sua Italia, dove le sentenze vanno rispettate proprio come Egli ne è stato esempio arrivando ad essere l’unico “ospite” di una patria galera aperta appositamente per lui, ma non quando queste assolvono.
La Patria Italia per la quale ha pure sofferto nel vederla condannata da un Tribunale superiore, forse supremo, che pure gli rendeva finalmente giustizia a danno della sua Nazione che ormai sforna figli irrispettosi, capaci di avallare persino chi esegue meccanicamente una selezione naturale di persone, meglio se anziane, nei luoghi di cura (di)mostrando palesemente che la vecchiaia, una volta saggezza e valore, conta poco, perciò nulla.
Bruno Contrada è un giovanotto quasi novantenne, un quasi cieco che ancora ci vede benissimo, una mente lucidissima imprigionata in un corpo che rende giustizia solo alle pene inflittegli, un nonno-esempio di un’umiltà semplice e disarmante che, evidentemente, continua a far paura a chi ancora deve avere paura. Che nessuna cifra in denaro potrà mai rendere paga.
SINFONIA DELLA FELICITÀ: MA MARADONA NE SAREBBE FELICE?
De Magistris: quale eredità?
E mettilo un po’ di sale… in zucca!
Bonito da sempre è paese devotissimo a Sant’Antonio da Padova e, al pari della fede, resiste il voto di recarsi scalzi alla tradizionale tredicina.
Parli di voti e qualcuno “votato” subito si sente Padreterno, ma qui tocca rimanere atei e pure diffidenti e precisare, a chi in chiesa ci entra e ci esce solo per obblighi istituzionali, che Sant’Antonio ricorre a giugno e non a gennaio.
Non sarebbe pura demagogia far passare l’immagine delle mamme viste stamani in via Piave per delle devote al santo taumaturgo di Padova, nonostante in quella strada una volta sorgeva la chiesa – o meglio la baracca – ad Egli dedicata, ma le mamme, quelle poche ai cui figli è stato concesso di poter frequentare le lezioni in presenza, sono state costrette a togliersi le scarpe pur di raggiungere l’edificio scolastico, adibito e recuperato da un ex mobilificio poiché la rampa che porta a scuola era completamente ghiacciata.
A dire il vero, qualcuno un po’ di sale lo aveva sparso, ma solo nella parte finale della strada di accesso a scuola, quella con l’incrocio con Via Maleprandi, quello dove sosta(va) il vigile urbano che sicuramente se ne sarebbe reso conto, se solo però stamattina fosse stato presente (a se stesso). Anche perché l’ingresso – e spesso solo quello – è la sola occasione per confermare che anche a Bonito c’è un corpo di polizia municipale.
Ma i disagi non finiscono qui: ebbene sì, perché se i novelli scalatori sono riusciti a guadagnare incolumi l’ingresso, ops il varco, scolastico, anche grazie al solo cancello che costeggia l’ex mobilificio, riconvertito a unico appiglio di fortuna su cui fare affidamento, arrivati sulla scala in ferro che costituisce l’unico accesso al plesso di Bonito, bisognava rifarsi la croce e riprendere la scalata dato che sulla suddetta scala “non è stato possibile spargere del sale perché altrimenti si rovina” c’è stato riferito dal personale scolastico.
Eppure la neve era stata ampiamente annunciata dal comunissimo (non comunistissimo) meteo, figuriamoci se chi campa di app non ne era al corrente. Anzi, sul sito istituzionale del comune, ancora campeggia l’invito del Sindaco ai detentori di mezzi spazzaneve e spargisale che intendono offrire (non alla lettera chiaramente) tale servizio, di regolarizzare la propria proposta.
Ebbene, dopo stamattina Sindaco e squadra non hanno app…igli!
Forse per spargere un po’ di sale nel mese di gennaio davanti ad una scuola occorre istituire una commissione atta a valutare la fattibilità della cosa, ma prima occorre individuare le persone che ne debbono far parte e per individuare le persone che ne debbono far parte bisogna prima stilare un regolamento e prima di redigere tale regolamento occorre individuare una commissione cui affidare la redazione di detto (f)atto?
Eppure il sale, almeno stando al sacco che campeggia da sempre, abbandonato sul ciglio dell’ingresso, c’era e c’era pure tanto di transenna col divieto di accesso all’ingresso della strada: bisognava solo rendersene conto e usare la transenna per impedire il transito dalla parte superiore del percorso!
O, si sarebbe addirittura potuto osare stampando un cartello che vietava ripercorrere Via Piave e persino indicare una strada alternativa.
Quando ci diranno che nei pressi della scuola è stato creato un percorso ludico per bambini e genitori?
La mamma con le scarpe in mano è la triste immagine di un paese in ginocchio, che scivola sempre più in basso fino a sgretolarsi completamente, fino a sparire, ma attenzione perché, come si dice a Bonito, “a la spenta de la neve si videno le stronze”!
Il Sindaco “pasionario” di una città in ginocchio che si occupa della crisi tra Armenia e Azerbaigian!!
Anno nuovo, politici vecchi. E politica ancor più vecchia che trova elementi “dissuasivi” e fuorvianti, per nascondere le proprie magagne e i fallimenti.
Palazzo San Giacomo si tinge sempre più di vergogna. Pur essendo, la vergogna, un sentimento per troppi motivi sconosciuto agli attuali occupanti del Palazzo.
Il primo Consiglio comunale del nuovo anno della città metropolitana vede presentata dal consigliere Solombrino e, (manco a dirlo!) approvata, una mozione con la quale si chiede alle autorità italiane di attivarsi per chiedere rispetto dell’integrità territoriale dell’Azerbaijan, fortemente “minacciata” dalla confinante Armenia.
Forse dimentichi – e speriamo non ignoranti – che i motivi del conflitto azero-armeno hanno più di un secolo e affondano le radici nella Russia di Stalin quando, il buon “Baffone”, allora Commissario delle Nazionalità, insieme al Partito Bolscevico del Caucaso, prese l’importante (per l’Unione Sovietica) decisione di annetterla all’Azerbaigian sulla base del fatto che sarebbe stato economicamente vantaggioso per la regione. Ma questo era in realtà solo un meschino pretesto. La vera ragione, piuttosto, era tenere Yerevan e Baku (rispettivamente le capitali dell’Armenia e dell’Azerbaigian) sotto il diretto di controllo di Mosca.
Chissà se gli attuali amministratori cittadini ignorano ugualmente che la Napoli che loro “amminestrano” è conosciuta nel mondo intero anche per una stradina dedicata proprio all’Armeno San Gregorio.
Un conflitto, quello azero-armeno, che è stato anche teatro dei genocidi. Il prezzo della solidarietà allo stato del Karabak che, come l’Armenia, ha respinto l’offensiva dell’Azerbaijan che, ostinatamente, tenta di recuperare la propria integrità territoriale risalente ai tempi pre-sovietici.
Di fatto una guerra “istigata” da altre due superpotenze, la Turchia – attivissima nel conflitto – che sostiene l’Azerbaijan e la Russia – più neutrale – schierata a favore dell’Armenia.
Tutte le più importanti personalità politiche mondiali (e qui ci spieghiamo il silenzio dell’Italia) hanno espresso una voce e una posizione politica chiara in merito. Dal presidente Macron che ha redarguito le offensive militari dell’Azerbaijan, al Ministro degli Esteri tedesco che ha chiaramente annunciato che la Germania, nel caso in cui il fuoco sull’Armenia non dovesse cessare, potrebbe rivedere la propria posizione di neutralità.
Un vero intrigo internazionale, con attori politici di primo piano che si fronteggiano su uno scacchiere spinoso e fin troppo caldo. Uno scenario inquietante che può esplodere all’improvviso, come spesso accade in quell’area geopolitica sempre in fermento e che mette ragionevolmente in apprensione gli osservatori. Ma non il nostro Gigino, il “Sindaco arancione”, il “pasionario” della rivoluzione napoletana. Il rappresentante dei poveri e degli emarginati, il liberatore dei deboli e degli oppressi, quello che tiene viva la memoria della Napoli delle Quattro Giornate, delle Medaglie (non sue) puntualmente appuntate sul petto e che non perde occasione per gridare, quando gli conviene, allo spauracchio del Fascismo e condannarlo (ormai sono da tribunale, o forse da teatro comico, anche le Abissine rigate e le Tripoline della Pasta Molisana). Colui che non disdegna di sostenere e schierarsi con il peggiore dei dittatori, a favore di un regime repressivo e autoritario e sostenerne la prevaricazione ai limiti della legittimità.
Nella mozione si accenna anche che il Nagorno-Karabakh, riconosciuto come parte dell’Azerbaijan, agli inizi degli anni ’90 sia stato occupato militarmente dall’Armenia e che il 27 settembre dello scorso anno l’Armenia abbia aggredito con le armi ancora una volta il malcapitato l’Azerbaijan.
Ci piacerebbe leggere sulla stessa mozione o conoscere dai suoi autori se le notizie sono state verificate e – magari – spiegarci anche come è possibile che uno Stato con soli tre milioni di abitanti come l’Armenia entri in guerra, se non previa costrizione. Magari per difendersi.
Ma sarà colpa di questo stramaledetto Covid se le notizie arrivano “mutevoli” o se non arrivano proprio come nel triste caso della Siria.
Stando sempre alla mozione e a quanto sostiene l’”Associazione Napoli – Baku”, l’antico gemellaggio tra la città di Napoli e la capitale dell’Azerbaigian risalente agli inizi degli anni 70, ha prodotto risultati concreti in termini di amicizia, scambi culturali, commerciali e istituzionali.
Che Napoli sia gemellata con Baku, forse a qualcuno in città risulta. Ma a leggere il documento sembra si parli degli Stati Uniti o di qualche altro paese industrializzato. Se é vero come é vero che in quella mozione del Consigliere Solombrino si fa esplicito cenno alla cooperazione nel campo degli approvvigionamenti energetici, in quanto principale fornitore di petrolio per il nostro Paese. E chissà cosa accadrà quando entrerà in funzione il gasdotto TAP. Senza parlare degli attuali scambi commerciali che riconoscono l’Azerbaigian quale principale acquirente del made in Italy e primo rivenditore di prodotti italiani nell’area caucasica, per una percentuale che si aggira intorno al 92%.
Qui l’affare puzza. E non è solo il gas…
https://www.camposud.it/2021/01/il-sindaco-pasionario-di-una-citta-in-ginocchio-che-si-occupa-della-crisi-tra-armenia-e-azerbaigian/
Molo borbonico crollato: ma chi è ‘o vero Chiavicone?
Dopo le abbondanti piogge che si sono abbattute su Napoli in questo periodo natalizio, aggiungendo danni alle sciagure post-covid, oggi è il giorno delle lacrime, salate come la salsedine del mare e che, come il mare, prima o poi, per fortuna o sfortuna, sono destinate a placarsi.
Eppure questo potrebbe – o addirittura dovrebbe – essere il giorno degli sputi che (male) potrebbero arginare l’indignazione per il crollo del molo borbonico di Via Caracciolo.
Sputi postumi quanto inutili che sarebbero dovuti arrivare prima, già quando, per arginare il degrado che è conseguenza dell’incuria che è come dire menefreghismo, si decise di puntellare un’opera d’arte per… lasciarla poi così.
Già quando, da approdo per i pescatori “luciani”, del Borgo Santa Lucia, si decise che il molo settecentesco dovesse fungere da chiavicone, ovvero da terminale dello scarico fognario. Il vero approdo borbonico, infatti, era in via Santa Lucia, ma ormai non vi é più traccia. E questa è la prima, vera, seria tragedia. Quasi come quella che nessuno, nemmeno in questo momento, se ne ricordi e lo racconti.
D’accordo, ci sono state le denunce nel corso degli anni ma che oggi non servono a ripulirsi la coscienza. Non servono per non vedere un’opera d’arte, una “veteris vestigia flammae”, i segni tangibili di un’antica passione, ridotta a un cumulo di massi vergognosamente riversi in mare. Macerie. Cumuli. Rovine rovinate.
Quella di questi giorni non è di certo la prima mareggiata verificatasi e subita e il molo finora aveva retto. Ad abbatterlo, a contribuire al crollo è stata l’incuria, la trasandatezza, la superficialità di chi, puntellandolo, se ne è poi definitivamente dimenticato.
Dando così teatro allo scaricabarile istituzionale: è competenza della Regione, ma deve intervenire l’Autorità portuale, che prima deve essere autorizzata dalla Sovrintendenza dei Beni Culturali che, però, attende la segnalazione dell’Amministrazione Comunale verso la quale nessun fondamentalista meridionale, nessun neo-borbonico, nessun meridionalista è stato capace di indirizzare quella Vandea promessa, promossa e mai messa in atto da centosessant’anni, finendo così per dare luogo ad una sceneggiata che vede come solo protagonista il tipico e topico individualismo meridionale. Lo stesso che ha arrecato più danni a Napoli e all’intero Meridione che nemmeno quelli compiuti da Garibaldi con i suoi Mille.
Ed oggi tutti a versare lacrime per ripulire la coscienza. Pulita come quelle mani precedentemente lavate, a fare lo struscio sul lungomare per piangere il “morto” e scaricare il peso, il fardello della propria identità, a fornire a se stessi una giustificazione che non serve a nessuno.
È successo e succederà ancora se ad amministrare Napoli, la Campania e l’Italia in generale non ci sarà qualcuno che ama la propria terra, che non aspetta per intervenire, che capisce che deve intervenire non in emergenza e non per arginare e che adotti una politica di prevenzione, quella degli amministratori veri e degli statisti capaci di immaginare il futuro.
Oggi è toccato irrimediabilmente al molo borbonico, ma non è l’unico dono che la dinastia della Real Casa ha lasciato in città: uno su tutti ‘o Reclusorio, nell’accezione popolare anche ‘o Serraglio. Quel cosiddetto Real Albergo dei Poveri e più precisamente Palazzo Fuga, realizzato dal Vanvitelli, che é certamente molto più impressionante di quella bomboniera, tanto vantata, che si chiama a Roma “Porta del Popolo”. Come ebbe a dire Stendhal dopo aver visitato le due Capitali dello stivale più importanti del suo tempo! Ebbene, in che condizioni versa questa meraviglia architettonica della Capitale del Mezzogiorno? Da quando è stata abbandonata? Quanti progetti sono stati presentati in merito? Quali le azioni intraprese? Quando potremo assistere al suo recupero e all’indispensabile e non più rinviabile restauro? Quanti sono i beni “ereditati” in città?
Il molo borbonico crollato rappresenta metaforicamente questa società moderna, malata di mondialismo, dove tutto è comune e niente è nostro, dove non esistono confini, ma nessuno è sovrano: è un caso che sulla moneta comune ci siano ponti e archi che ultimamente crollano inesorabilmente divenendo scenografie di morte per questa società priva(ta) di fondamenta, di radici, di identità?
Non sappiamo più chi siamo e le future generazioni non lo sapranno mai. La nostra memoria è stata recisa (sarà un caso che i nonni se non sono stati portati via dal Covid non si possono frequentare?) e quindi non sappiamo più dove andare, prendendo per buono qualsiasi solco che altri – opportunisticamente – hanno già tracciato per noi.
È ora che si diventi protagonisti senza essere necessariamente primi attori, che si diventi comunità pur essendo comparse. Che chi é chiamato a governare senta il peso, la responsabilità e la passione per l’arte del fare, del progettare, del realizzare per la comunità. E non per se stessi o per la propria parte!
E noi, con il nostro Quotidiano, saremo sempre presenti a pungolare, spronare, criticare ed incalzare amministratori distratti o strafottenti, costruendo, giorno dopo giorno,
una nuova identità e una nuova coscienza civile per una città meravigliosa che può e deve rinascere.
https://www.camposud.it/2021/01/molo-borbonico-crollato-ma-chi-e-o-vero-chiavicone/