AVGVRI D’ITALIA

Ad essere sincero non mi sono mai spiegato tutta l’euforia legata all’ultimo giorno dell’anno.
Detesto i trenini e i conti alla rovescia non mi piacciono. Le cose che finiscono mi mettono sempre una triste malinconia, forse perché proprio anno dopo anno ho perduto pezzi importanti della mia vita. E di me stesso.
Non capisco come ci si possa rimbambire credendo che dopo qualche ora tutto potrà essere diverso, addirittura migliore, se le premesse non vanno in questo senso. I problemi economici, sociali e di salute non scompariranno allo scoccare della mezzanotte. Forse non accade più nemmeno nelle favole, nei giochi e nelle storie inventate.
Gli imbecilli ce li trascineremo dietro anche nel nuovo anno. Gli incapaci pure. I traditori del popolo e della Patria saranno ancora lì ad abbuffarsi grazie al popolo che ancora non ha i coglioni per cacciare loro le budella. Se il 2019 era stato l’anno della fatturazione elettronica che ha fatto chiudere tante piccole partite IVA, il countdown di quest’anno bisesto e funesto sarà il conto alla rovescia anche per 390 mila aziende che da domani non esisteranno più i cui proprietari ingrosseranno le fila dei nuovi poveri.
Alle grandi industrie non è andata certo meglio. L’anno venturo, ovvero fra qualche ora, il cappio al collo di tanti italiani sarà ancora più stretto. Uguale al laccio emostatico che è stato MESso intorno al braccio di tanti professionisti. Eppure si festeggia nonostante lo sappiamo fin troppo bene già da quest’anno. Che è finito ormai. Lasciate stare Lucio Dalla, ora che, ahimè, non c’è più: il suo “L’anno che verrà” è una denuncia contro la violenza del terrorismo che, seppur scritta negli anni di piombo, resta valida ancora oggi che assistiamo a stragi incentivate da frontiere aperte ed accoglienza senza utile e giusta cernita. Utile solo all’estinzione della specie che si vuole rimpiazzare a tutti i costi. Credeteci, Dio santo! Una denuncia-speranza (vana) visto che viviamo di e sui social, ma non siamo più capaci di comunicare. Continuiamo ad essere vittime delle demagogia credendo che sarà tre volte Natale, ma la realtà ci dice che quest’anno si è concretizzato il progetto di divieto di festeggiarne anche solo uno. E per di più senza il nato. Nello stesso contesto dove siamo favorevoli a far sposare i preti senza accorgerci che quelli scopano già. Anche i fanciulli. Che se sono vittime di uomini ci indigniamo q.b. che non è a sufficienza, ma se morsi da un cane lo abbattiamo senza colpo ferire. Senza pensare a come stanno mentre a mezzanotte i botti di Capodanno rischiano di spaventare a morte quelli che, magari sono stati solo un regalo una settimana prima e saranno vittime della vacanza estiva poi. Prima che poi.
Ricordo Capodanni in piazza, cene in famiglia o cenoni con gli amici. Dove si era allegri per forza, per imposizione o perché si stava bene. Ne ricordo altri da solo sul divano. Forse quello più tristemente benevolo che abbia finora vissuto.
Personalmente me la cavo dicendo che “sono di turno”, che questo benedetto lavoro del cacchio – che grazie a Dio c’è – si fa così. E mi va bene uguale. Ob torto collo. Ma fatico, e qui non si tratta di lavoro, a capire quelli che per 3 ore di festa mettono a rischio il loro posto di lavoro. Sostegno e sostentamento loro e delle loro famiglie anche dopo la mezzanotte del nuovo anno.
Mi sono sempre tagliato fuori dalle situazioni che non mi piacciono perciò, non volendo intristire le feste altrui, auguro a tutti i migliori anni. Con la stessa valenza di un comunissimo buongiorno o buonanotte di un giorno qualunque.
E se proprio vogliamo esorcizzare riscopriamo l’Italia, i suoi padri e i suoi eroi e il dono di Dante, risciacquato in acqua d’Arno dal Manzoni e reso “universal-nazionale” da San Giuseppe Moscati: Capod’anno iniziamo a scriverlo con l’apostrofo!

AVGVRI D’ITALIAultima modifica: 2020-12-31T09:03:30+01:00da tony.fabrizio

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