L’incomprensibile e bonario riconoscimento di un accordo europeo fallimentare!

La Meloni, non Fratelli d’Italia, dopo le dichiarazioni sul vertice di Bruxelles è destinata a superare di poco il 10% perché non ha un Borghi o un Bagnai (che non sono leghisti) all’interno del suo partito.
Sarà un mio limite, ma sui temi economici non ho mai stimato la Meloni e già quando la sentivo difendere il pareggio di bilancio in costituzione mi faceva venire l’orticaria.

Non è bastata la copertina del Times e la benedizione a stelle e strisce per incoronarla leader: purtroppo è ancora legata a papà-Silvio che le ha messo in piedi il partito e che ieri l’ha richiamata a sé.

Avevo già espresso i miei dubbi sulla battaglia della pulzella, solo l’ultima quella sulle barricate da lei annunciate se fosse passata la sanatoria sui migranti: la sanatoria è passata, è legge, ma non si è visto nemmeno un (suo) ponteggio.

Non voglio entrare in tecnicismi che non mi competono (anche se già i soldi che arriveranno a rate dalla seconda metà di giugno 2021 dietro richiesta di riforme – austerity – e che ormai si chiamano risorse, non fanno presagire nulla di buono). Ma perché, esprimere un giudizio proprio su Conte, o meglio legittimare il suo appoggio simil-Berlusconi, chiedersi se Conte ne è uscito in piedi e non pensare agli Italiani che, se non sono stesi, sono piegati a 90°, o pronti a quattro zampe?

Me ne frego di come ne esce Conte e da una che è leader di un partito che dovrebbe fare opposizione (non oppio-sizione né oppo-finzione) mi sarei aspettato avesse pensato di più ai “suoi” fratelli d’Italia.

E la coerenza, altro punto di forza della Vispa Teresa? Ezra Pound diceva che “chi non s’intende di economia non capisce la storia” quindi come può voler fare la storia?

Tutto questo, però, le darà il merito (non a Fratelli d’Italia) di aver ingrossato le fila dei voti alla Lega di Salvini che ha tenuto fede almeno alla parola. Meno di Berlusconi che va a fare il Calenda a Calenda.

Conviene ancora far parte del berlusconismo e non mettersi in proprio? Perché questa perdita di carisma da un annetto a questa parte? Cosa lega ancora Giorgina a Silvio? O semplicemente conviene più stare all’opposizione? Si può chiamare opposizione se poi si finisce con il concordare la svendita della propria Patria al miglior offerente con la scusa che poteva andare peggio?

Li commissioni pure, oggi i sondaggi e ci faccia sapere quale percentuale ha raggiunto. O forse lo ha fatto stando alle dichiarazioni riparatorie delle ultime ore? O alle critiche che le sono piovute sui social più dei miliardi di Bruxelles a Conte? O si è ravveduta ed allineata a qualche dichiarazione a caldo di esponenti del suo stesso partito in netta antitesi con quanto da lei affermato?
Intanto al popolo che ha fame lei dice che è contenta perché gli sono state date le posate e magari loda chi gliele ha fornite d’argento.https://www.camposud.it/2020/07(l-incomprensibile-e-bonario-riconoscimento-di-un-accordo-europeo.fallimentare/

L’idiozia che imbratta e decapita statue e monumenti: La Crociata iconoclasta!

La fase due è appena cominciata e dilaga ovunque trovando persino terreno fertile. Non è una nuova ondata di Covid-19 bensì un virus ugualmente contagioso e che fa danni terribili. È quello dell’idiozia umana che si manifesta con l’imbrattamento, la decapitazione, la distruzione delle statue ritenute razziste. Avete capito bene: le statue! E non se ne salva nessuna: da Montanelli a Colombo, dalla sirenetta Ariel a Jefferson. Persino la statua di Haile Salassie, icona dell’antirazzismo e mito  del politically correct.
Ma se in un primo momento la foga devastatrice si estingueva appena finita la vernice rosa o rossa, appena la testa rotolava giù al culmine dell’orgasmo dell’imbecillità plaudente, la fase due prevede la sostituzione di tali effigi con tutto ciò che il pensiero unico, sempre più unico pensiero, impone per essere imposto universalmente.
Una settimana fa, uno street artist anonimo ha, infatti, deciso, di prendere in prestito il volto dell’influencer campana trapiantata a Milano Flavia Corrado, nickname per i social “Zia Flavia Food and Boobs” – letteralmente cibo e tette – e di montarla  su un corpo di una Madonna prosperosa, quasi giunonica, dalle forme procaci e dalle grazie bene esposte grazie al drappo aperto sul petto a vantaggio del reggiseno. (un déjà vu della moda lanciata solo un anno fa in solidarietà di un’altra donna – si può ancora dire? – scaricatrice in porto e piatta come una tavola che fece togliere il reggiseno alle donne in forma di solidarietà. O forse di uni-formità).
Iniziativa apprezzata dalla sexy cuoca star del web che vide la validità di tale messaggio nella desessualizzazione della donna, creata in un contesto patriarcale, che ha da sempre derubato le donne del piacere carnale. Una lettura che basta solo ai loro occhi, senza il minimo senso della democrazia, del rispetto di chi crede, all’arte in primis, estesa – leggasi imposta – a tutti. Come dire: meglio una copulazione della Madonna che il dogma dell’Immacolata Concezione, con la specialità di essere alle altre uguale. Uniformata.
Se questi sono i muri di Napoli, nelle sale cinematografiche, prossimamente (speriamo vivamente di no!), per una strana alternanza della parità dei sessi, potremo assistere all’ennesimo film (Habit) che oltraggia la figura di Gesù Cristo, interpretato da un’attrice dai discutibili comportamenti, una lesbica che si abbandona a gesti lussuriosi con un’altra donna.
Se è vero che questa follia nero-rossa devastatrice ha già avuto ampio risalto, è altrettanto vero che – almeno in Italia – non una parola è stata spesa da alcun membro (ogni riferimento è puramente causale) del Governo Conte bis, quello che annovera – ancora! – al Ministero per i beni e le attività culturali un certo Dario Franceschini, una cosa a metà tra Ministro e un distruttore ante litteram, un precursore dell’oltraggio al patrimonio artistico che si trova a gestire, un avanguardista del cartonato con cui ricoprì le statue dei musei capitolini in occasione della visita del presidente iraniano Hassan Rouhani. Una sorta di partecipata distruzione istituzionale che non risparmia di passare per la scristianizzazione del sacro. Il tutto – manco a dirlo – sotto religioso silenzio del Bergoglio di Romana chiesa: non una parola in merito alle madonne rivisitate secondo il “novo impressionismo” che dona loro sufficienti sembianze di vulva, nessun biasimo per la blasfemia perpetrata, nessun cenno di difesa dei cristiani offesi. O fessi, stando all’atteggiamento di papi e governat(t)ori. E se la distruzione, che altro non è che distrazione, viene tollerata, subita, taciuta e coadiuvata, nessuno si scandalizzi se i distruttori scendono in strada a volto coperto, armati e marciano in stile militare. Nessuno gridi al razzismo, nessuna guardi al pericolo, nessuno strillo di violenza. È intollerante la pedina degli scacchi, la parolina colorata presente sulla confezione dello shampoo, il film storico che ha sancito il primo Nobel conferito ad un’attrice di colore, il calciatore che non si inginocchia o la macchina da corsa cui va cambiata la livrea. Eccedendo nel senso opposto e valicando quel confine che si chiama libertà, quella altrui invasa in nome della propria.

Una farsa che è durata abbastanza, priva di consistenza e, dunque, montata a dovere. Una forza ciclonica conferita dai collusi dell’ignoranza che deve essere spazzata via con la stessa facilità con cui si è affermata.
Per cui… via col vento!

VAI VICIENZO……… esilarante macchietta dell’impalbabile governo regionale!

http://https://www.camposud.it/2020/06/vai-vicienzo-esilarante-macchietta-dellimpalbabile-governo-regionale/

L’ora delle decisioni irrevocabili è giunta. L’ora di metterci davvero la faccia e sfuggire alle millanterie, è questa. In piena campagna elettorale balneare. Per Vincenzo De Luca dovrebbe essere una passeggiata, un tuffo a mare. Lui, il legislat(t)ore propagandistico che supera in squilibrio persino Conte ed i suoi Dpcm; lui che supera pure il Trump del “law and order” (legge e ordine) nella battaglia ai cinghialoni gaudenti per una laurea; lui che è fortunato persino nella sfortuna, adesso dimostrerà la sua vera faccia. E con un tempismo (elettorale e propagandistico) che è come una manna(ia) dal cielo.
Mentre l’Italia e gran parte del mondo sta per tirare un sospiro di sollievo dal punto di vista epidemiologico e pensa alle vacanze; la gente scende in strada per protestare per la nuova emergenza di Mondragone che piomba nel terrore per un altro focolaio accesosi (o meglio importato) in palazzoni occupati in prevalenza da immigrati bulgari e un numero imprecisato di Rom. Nel frattempo, all’ospedale di Sessa Aurunca, una donna di origine bulgara risultata positiva al Covid, ha dato alla luce un bambino – per fortuna non positivo ai test – facendo registrare 9 casi di nuovo contagio. Divenuti in poche ore una sessantina.
Immediata la dichiarazione della zona rossa della cittadina del litorale Domizio. Con obbligo di quarantena, che, stando ai proclami del Governatore campano, durerà fino al 30 giugno. Dunque solo una settimana, per tutti gli occupanti del comprensorio abitativo occupato. Poco più di una barzelletta!
Immediate le proteste dei residenti, pardon occupanti, per lo più braccianti e manovali che, vivendo alla giornata, non ci stanno ad essere chiusi dentro le abitazioni come un italiano qualsiasi. Case per giunta occupate abusivamente e, pertanto, chi vuoi che si preoccupi di essere veicolo di contagio per la restante parte della popolazione e per tutti coloro che orbitano nel bacino d’utenza della cittadina casertana?
“Screening di massa su modello Ariano Irpino”, annuncia gridando “lo sceriffo”, per un pugno di voti in più. Ma all’appuntamento non tutti si sono presentati. La gran parte degli immigrati è già fuggita. (sotto gli occhi di tutti!!) . Per non essere trasportata nel centro Covid di Maddaloni e non incorrere in lungaggini medico-burocratiche, dimostrando sul campo abbandonato, ferrea ed orgogliosa difesa dello loro status di invisibili, finora gelosamente mai palesata.
Ma De Luca è anche esponente del Pd, il partito difensore e amico di tutti. Tranne che degli Italiani. E prima di tutti coloro che Italiani non sono. Già, proprio il suo PD, che solo cinque mesi orsono non aveva la minima intenzione di ricandidalo per la corsa a Palazzo Santa Lucia. Ma tutto cambia e ora, grazie alla pandemia e alle sue sparate comiche da sceriffo, basta attenersi alle “linee guida” democratiche e la candidatura non gli viene più negata. Per cui, si abbassino i toni, niente vocazione ai lanciafiamme, nessuna invocazione al Napalm (che non è il loro trisavolo ulivo), niente Carabinieri sui pianerottoli (eppure lì servirebbero per davvero), niente divieti di festeggiamenti di lauree e diplomi nonostante questo sia proprio periodo di sessioni di esami scolastici e universitari , niente epiteti metaforici: si dovesse mai minimamente ledere la dignità di qualcuno!
Il calderone è già pronto, tante pance sono vuote e il carrozzone si è avviato per la discesa: poteva capitare occasione più ghiotta di questa a De Luca? Lui che è stato l‘uomo che a mani nude ha combattuto il Coronavirus. Potrà coronarsi di un altro successo il novello Napoleone?
Ma non è sempre Natale e ad incoronarlo, stavolta, dovranno essere i cittadini campani. Quelli che hanno capito che il lockdown, cioè a dire la chiusura selvaggia e totale, è servita esclusivamente ad affamare; a creare nuova povertà e ad aumentare la disoccupazione. Quei campani ormai consapevoli che la chiusura indiscriminata voluta da Vicienzo non è stata altro che il tappeto sotto cui nascondere la gestione dissennata della Sanità, con gli spostamenti di medici e paramedici per favorire l’amico o il compare. L’insufficienza o meglio l’inesistenza di apparecchiature mediche, diretta conseguenza dei tagli farneticanti alla Sanità di cui egli, sempre lui, è stato Commissario Straordinario per lungo tempo. E se il virus qui non ha attecchito, non è stato grazie alla mascherina monouso fornita in doppia razione qualunque sia stato il numero del nucleo familiare e con tanto di foglietto illustrativo ben marchiato dalla Regione che spiegava che quel presidio sanitario non era uno strumento di protezione individuale. Ma piuttosto per ragioni climatiche e ambientali che hanno reso, da subito, meno pernicioso e violento il virus maledetto. O forse sarà stato per l’intercessione dei Santi e Patroni Campani, da S. Gennaro, a San Giuseppe Moscati, passando Per S. Pio da Pietrelcina, San Procolo, San Ciro e chi più ne ha , più ne metta!! E stendiamo un velo pietoso sulle condizioni di disarmo generale dei nostri Ospedali alla vigilia dell’epidemia di Coronavirus. O a quelli dimenticati come il Frangipane dello scandalo criminale di Ariano Irpino, dove lo screening alla popolazione è stato fatto dopo 57 giorni di isolamento dal mondo. Con il rischio di mettere in ginocchio la già debole economia della cittadina irpina.
Ma vai Vicienzo, prestati a quest’altro “cabaret” che è l’unica cosa seria che (ti) è rimasta” (parole tue!): dopo essersi stancati di ridere i Campani ricorderanno che il tuo ruolo era quello di governare e non quello di fare la “macchietta” del tuo stesso e impalpabile governo regionale.

Ariano Irpino: area pilota della gestione De Luca

La seconda fase della fase due che è stata tale per l’Italia tutta eccetto per la Campania, quella che avrebbe restituito alle persone una sorta di normalità, almeno apparente, dovrebbe sancire anche il tempo del ritorno a poter fare confronti, incontri e dibattiti. Dovrebbe essere quindi il tempo del tramonto dei soliloqui, dei comizi senza contraddittorio cui ultimamente sono avvezzi governanti illuminati e mancati statisti improvvisatisi.
Di contro nelle piazze e fra la gente si potrà finalmente iniziare a far circolare le idee, ci si potrà incontrare e scontrare sul piano dialettico, si potrà ritornare finalmente a far politica sul territorio che non è quella di proclami live, delle dirette Facebook e degli annunci dalle tivvù private e logo istituzionale.. Dovrebbe tramontare, quindi, anche il De Luca reinventato, quello emerso dall’emergenza che adesso si avvia a finire e che dovrà restituirci il De Luca vero, quello che il suo stesso partito di appartenenza, solo qualche mese fa, prima dell’epidemia, non pensava minimamente di ricandidare per la corsa a palazzo Santa Lucia. Quel De Luca uscito vittorioso cinque anni fa solo grazie al tristemente noto “patto di Marano”, oggi impudentemente in gran rispolvero, con cui i demitiani convogliarono le loro preferenze verso l’attuale Governatore, dando vita all’iniquo, se non scellerato, accordo che di fatto sanciva la morte delle aree interne, non solo del singolo centro, ma addirittura intere province come Avellino e Benevento, anteponendo, chissà perché, Salerno a Caserta e addirittura a Napoli capoluogo.
Adesso “Vicienzo”, chissà perché, riparte proprio da un piccolo centro di un’area interna di una provincia dell’entroterra dimenticata: Ariano Irpino, piccolo centro della verde Irpinia, distante meno di un’ora di macchina dalla Nusco baluardo demitiano, eletta addirittura area pilota per lo screening di massa.
Nella città del Tricolle ha sede l’unico ospedale che ha resistito ai famigerati tagli alla sanità dello “sceriffo”, accentrando in sé tutti i comuni del circondario, tuttavia non immune da decurtazioni e privazioni di risorse, uomini e mezzi.
La direttiva deluchiana farcita – come è risaputo – di riduzione del personale, tanto che medici ed infermieri sono stati spostati da altri reparti per consentire la riapertura dell’unità di pronto soccorso, male equipaggiati al punto che, come si è appreso dalle interviste circolate nei giorni di punta del contagio, i Direttori Sanitari invitavano il personale in prima linea ad indossare una doppia mascherina, qualora ne possedessero, ha fatto sì che il nosocomio ufitano si piegasse contagiando gran parte del personale sanitario fino a dover chiudere l’intera struttura ospedaliera per un’opera di sanificazione completa.
Una bomba sanitaria che non ha risparmiato nemmeno le RSA ubicate ai piedi dello stesso comune irpino e l’intera cittadina, compreso il personale civile. Una situazione ingovernabile che nello stesso giorno ha visto sia le dimissioni del direttore generale dr. Gennaro Bellizzi, sia l’emanazione dell’ordinanza regionale per mezzo della quale De Luca ha blindato Ariano Irpino rendendola zona rossa, seguita da altri sette comuni, uno nella Valle caudina, uno del beneventano e ben cinque del Vallo di Diano.
Lucchetti ai comuni, blocco della circolazione, confini invalicabili, divieti su divieti per i cittadini, chiusure di tutto, sospensione di ogni funzione vitale orgogliosamente sciorinati urbi et orbi, pubblicizzati su ogni piattaforma pubblica e privata, investimenti a destra e a manca per dire che intendeva fare ciò che si sarebbe dovuto vedere nell’evidenza dei fatti.
Una prima ordinanza cui è seguita una proroga per un totale di cinquantasette giorni cui segue un minuzioso centellinare degno del miglior stato di polizia in cui nulla è stato fatto per capire qualcosa sull’origine del contagio, sulla sua diffusione, sul modo per combatterlo e soprattutto per evitarlo. Due mascherine a famiglia indipendentemente dalla composizione del nucleo familiare, come per gli altri comuni, uno qualsiasi, monouso, ma per l’intera quarantena, non a norma e di un materiale non meglio identificato. Che se vendute da qualsiasi esercizio commerciale lo si sarebbe potuto denunciare per truffa. Ma De Luca parla il politichese che fa esultare le anime semplici dalla bandiera facile e dalla difesa a priori che è tifo, assurgendo a statista di quella popolazione copiosa che è la Campania troppo copiosa da essere rinchiusa in casa. Ignorando un problema che, non dicendoci se ancora esiste, se è risolto e se persiste, si è preferito nasconderlo sotto al tappeto.
Misure che hanno certificato l’inefficienza dei provvedimenti adottati visti i nuovi contagi registrati nel territorio arianese, diretti figli del lockdown da parte dal governatore vocato al lanciafiamme tra gag, macchiette e gigionerie mediatiche che hanno creato un personaggio per compensare – leggasi divertire pur di distrarre – alle mancanze di amministratore.
Chissà se la stessa fermezza, gli stessi modi risoluti e qualche comica minaccia in stile sceriffo di cui ormai è pieno l’etere avrebbero fatto sì che la domanda, presentata nei tempi e nei modi giusti dal commissario prefettizio Silvana D’Agostino, includesse nella lista dei comuni ex zona rossa per l’istituzione di 200 milioni di euro a sostegno dell’economia ormai in ginocchio anche Ariano Irpino, sempre più dimenticata da tutti e ad ogni livello.

https://www.camposud.it/2020/06/ariano-irpino-area-pilota-della-gestione-de-luca/

LA NUOVA VECCHIA EMERGENZA: LA DESTRA

Se il 2 Giugno è la festa degli Italiani, il 2 Giugno 2020 sancirà il ritorno alla normalità. È vero, i confini tra le regioni della Nazione -qualunque siano le ragioni – apriranno il giorno dopo, ma il pericolo c’è ed è pure doppio, se non triplo. Persino trino. Salvini e Meloni. E forse Taiani. Il Centro-Destra unito. Che ha chiesto, con regolare iter, di poter deporre una corona d’alloro all’altare della Patria di una Nazione divenuta ormai Paese, sempre più mera espressione geografica e portafoglio elemosiniere di un asse a due fatto passare per unione dei più.
Nell’ottica della sua coerenza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha concesso loro solo il diniego (ma sul Vittoriano non ha competenze il Ministero dei beni culturali?) e, come suo costume, o forse mascherina, ha fatto sapere alla stampa che poi ha fatto sapere ai diretti interessati richiedenti (Salvini-Meloni-Taiani) che l’accesso all’altare della Patria era negato in un giorno in cui ogni celebrazione è sospesa al fine di non oltraggiare il Presidente della Repubblica, divenuto esclusivista depositario, che, però, sarà a Codogno. In trincea. A guerra finita. Un po’ come pretendere di conoscere i personaggi protagonisti di corsi e ricorsi storici al museo delle cere.
Nessun DPCM, nessun Deprecabile Porco CoModo, ma solo un comunicato emesso dallo staff di Palazzo Chigi asserragliato da manifestanti in vibrante protesta contro le politiche del governo in un sabato sera, all’ora di cena e di tiggì, sempre più l’ora di Conte, distratti da ciò che accade da Trump in attesa di montare il servizio per (non) raccontare ciò che accade a casa nostra.
In realtà, le stesse ragioni per cui proprio nel giorno della Festa della Repubblica il Centro-Destra si ritrova nelle piazze di tutta Italia, in attesa del 4 Luglio, quando – via libera governativo permettendo – la piazza potrà ritornare ad essere unica e condivisa.
Giustizia, quella come la intendono loro, è fatta: d’altronde non dovrebbero esserci minacce di assembramento visto che per il 25 aprile le autorizzazioni sono state regolarmente concesse, le manifestazioni si sono regolarmente svolte e nessuno aveva ancora sguinzagliato l’ipotesi degli assistenti “cimici”.
Tramonta la paura del Coronoavirus addirittura per bocca degli addetti ai lavori, quello veri, quelli del mestiere, i medici che si contornano di ricercatori che non si conformano e che fanno capo ad equipe di scienziati, la curva dei contagi, divenuta plateau in coincidenza della vigilia degli incontri europei, flette con gravità sempre maggiore (che è una cosa buona nonostante il linguaggio da referendum) anche se la minaccia di un nuovo lock-down è sempre presente benché scongiurato dal calendario di elargizione del recovery fond (i soldi -nostri- arriveranno solo nel 2021 e dilazionati in 7 lunghi anni) ma il pericolo per l’Italia torna ad essere Salvini e Meloni. Forse perché sempre più seguiti e implorati dal popolo. Forse perché ogni sondaggio li dà in crescita. Sicuramente perché in due sfiorano il 50% dei consensi ed estendendo la percentuale anche a Forza Italia si supera di gran lunga la metà della preferenza degli Italiani. Cui vanno anche aggiunti i cosiddetti “altri” che contribuiscono a fare un quadro che ha le sembianze, e i numeri, di un plebiscito. O, se vogliamo, disprezzo totale per questo governo delle 4 sinistre. Che pretende di controllare la Repubblica, la res pubblica, la cosa di tutti fino a farme sempre più affar di pochi, sempre più oligarchia per pochi eletti ed illuminati. Un’altra giornata ingannevole come la scheda elettorale che ha consentito la nascita di questa Repubblica: nata, o fatta nascere, col consenso di coloro che, anche analfabeti, votavano tracciando il segno sulla raffigurazione di una donna incoronata credendo di scegliere la Monarchia, ma che in realtà rappresentava la Repubblica.
Una storia partita male e che mai ha conosciuto picchi così bassi e sinistri, come da parte di chi chi si preoccupa di fare la storia, di una repubblica degradata sempre più a cosa pubica.

SILVIA ROMANO È LIBERA. MA DA COSA?

Silvia Romano, liberata nel giorno in cui le Sardine rianimate ci dicono che Aldo Moro è stato ucciso dalla mafia, oggi torna a casa e i suoi compagni per l’okkasione abbandonano presidî, avamposti e barconi per salutarla dai balconi. Ancora una volta i balconi, come il 25 aprile.

Festeggiano la bella notizia che pare varebbe 4 milioni di euro dei contribuenti che a loro volta non hanno ricevuto 600 miseri euro di cassa integrazione e di chi ha ugualmente ricevuto la richiesta di balzello che dovrà versare all’erario in quanto titolare di un negozio chiuso pure nei giorni di feste commerciali. Come la Festa della Mamma, in un tempo che ha sospeso, in attesa di cancellare, ogni significato di famiglia a favore di un non meglio identificato genitore 1 e genitore 2 (che sempre genere maschile è, almeno grammaticalmente), A e B, senza capo né coda.

In un tempo di annullamento di ogni identità, in cui il governo centrale è abile solo a smarcarsi da ogni responsabilità e nel delegare ogni attività, dal lockdown alla lotta al virus, che trova la sua forza nella capacità di non decidere, che si impone riassumendo e non riunendo, che dichiara guerra ad una sua Regione – la Calabria – che ancora una volta è costretta a fare da sè ma non proferisce parola su un altro suo pezzo – Bolzano – che si comporta come la Calabria, restando così coerente alla propria contraddittorietà;

Che preferisce parlare di morte e minacciare chiusure nel Paese dei porti aperti, nonostante i contagi e le morti (non tutte di Covid) scendono anziché dire che il Cotugno di Napoli chiude i reparti Covid e l’ospedale nuovo alla fiera vecchia di Milano non è servito, che sempre più Regioni si avvicinano alla soglia 0 che ha lo stesso valore dei 5 stelle, ma non di quello da loro attribuito;

Che le Chiese che apriranno la domenica dopo la Festa della mamma e dopo i bar, ma prima delle scuole sembrano essere la risposta postuma del DAP sulle eccellenti scarcerazioni e dove anziché segnarsi per proteggersi con l’acqua santa lo si farà con il flacone dell’igienizzante, emblema di questa Chiesa che piega la Fede ai DPCM e che non è diversa dalla lavata di mani di Ponzio Pilato.

Buona Festa della mamma che ha lo stesso valore di un 2 Giugno festeggiato in questa repubblica sempre più despota oligarchia a comando.

SI MUOIA UNA VOLTA SOLA


È successo di nuovo. Scene già viste troppe volte eppure se ne ripetono ancora: il rumore fortissimo di uno schianto troppo lontano per vedersi, poi il silenzio surreale, le luci blu delle sirene che illuminano la notte, il loro effetto stroboscopico che contribuisce a stordire. Qualche voce, forse un lamento che sa di vita, poi la fine anche di questo. La morte stavolta ha il volto e l’anima di Pasquale Apicella, agente scelto della Polizia di Stato, caduto nell’adempimento del proprio lavoro che era la sua vita.
Prima paracadutista nell’Esercito, poi poliziotto a Milano, a Roma e, infine, a Napoli, in forza al Commissariato di Secondigliano dove non lo appagava un posto in amministrazione, tra le comodità di un ufficio, tanto che egli stesso aveva richiesto di essere operativo, in strada, in pattuglia.
Lino, così era conosciuto da tutti, era un uomo che viveva per la gente, amici e no, sempre in prima linea per il prossimo e non poteva non vivere anche il suo lavoro – la sua passione – a contatto con la gente: in tanti sono testimoni del suo prodigarsi per il prossimo, dalla tenerezza per “i bambini che perdono capelli” al consiglio per conoscenti di amici desiderosi di entrare in Polizia: “Non sognatevi di fare gli eroi” raccomandava. Pasquale, Lino, non era un eroe, ma lo Stato fatto uomo che sul suo percorso ha incontrato tre rom che fuggivano da un tentativo di rapina ad un bancomat. Tre rom che lo hanno strappato ai suoi affetti rendendo vedova una giovane donna e orfani due bambini: l’uno ancora troppo piccolo per capire che tra i colleghi sotto casa con le sirene accese non c’è più papà e non troppo grande per non chiedere dove egli sia e l’altra che nemmeno lo conoscerà mai, forse troppo piccola persino per ascoltare la disperazione di una madre che racconta i cambiamenti del suo viso a quel papà che sembra essere via solo per il turno di lavoro. Tre rom che adesso non sono con Lino né diventeranno eroi.
Nessun inseguimento da film, nessuna scena di sparatoria, ma tanta inumana brutalità fino a rendere la pantera un bersaglio da colpire, i due poliziotti ostacoli da eliminare per continuare la fuga che però si è interrotta come la vita del giovane militare.
Una Napoli senza alcuna stesa, nessuna devastazione di ospedali, niente intervista ai giornali, ma tanta dignità e compostezza, tanto rispetto per le scelte di vita e solo ringraziamenti da parte della vedova Apicella per chi piangerà con lei il suo Lino.
Non ci saranno funerali di stato, nessuna pompa magna, nessuna passerella allestita per l’occasione, come sovente avviene, ma solo un’intima rappresentanza di affetti, in ottemperanza alle vigenti disposizioni in materia, nel giorno in cui tutti i cristiani, e Napoli in particolar modo, onorano la Madonna di Pompei.
Forse meglio cosi: non si sarebbe sopportata un’altra “uccisione” di un tutore dell’ordine a carico di quella parte del potere costituto pronto a puntare il dito contro chi ha osato difendersi, contro chi ha solo pensato di impugnare l’arma d’ordinanza fornita dallo Stato per difesa personale, da parte di chi quotidianamente continua a offrire vessazione di ogni sorta.
E non ci saranno nemmeno picchetti interforze, onori alla salma in alta uniforme con sciabola e bottoni tirati a lucido ad affolare il percorso funebre: quella Polizia municipale, quelle Istituzioni tutte ben poco vigili nel monitorare – nel caso specifico – il campo rom di Giugliano in Campania dove vivono i quattro assassini, dove si consuma ogni genere di illegalità, dall’assenza di servizi igienici al dare alle fiamme qualsiasi tipo di rifiuto, dove l’illegalità senza Patria sposa la malavita locale, dove persino il Sindaco della cittadina non esiste più perché il Consiglio è stato sciolto per infiltrazioni mafiose e il Comune commissariato. Che significa che il campo rom, benché abusivo, continua ad esistere e questa brutta storia – come tantissime altre – rischia di essere interrata come i rifiuti che abbiamo fin sotto il naso, un comune dai confini ben delineati eppure terra di nessuno dove tutti possono trasformare l’illecito in business e continuare a lavorare affinché nulla cambi.
Terminata la diretta dalle pagine Facebook del “Ministero di Secondigliano” e “Polizia di Stato” per tutti resterà il ricordo, la bontà in quelli che hanno potuto apprezzare questo giovane napoletano, il suo sacrificio – che non sia vano come quello di tanti suoi colleghi servitori – gli ideali e i valori ben saldi che sono costati la vita, ma che sono valsi la vita, i tanti tatuaggi, altra sua passione, che egli amava creare e il sorriso in tutti quelli che lo hanno conosciuto. Forse la testimonianza più difficile eppure quella più autentica e duratura che si possa tatuare.

L’inciucio virale


Il Coronavisur è (stato) una minaccia mondiale che ha portato al lockdown totale paralizzando i mercati e fermando la produzione di aziende, indotti e fabbriche. La sola che è riuscita a non chiudere, ma a funzionare a pieno ritmo, addirittura incrementando la propria produzione, è stata la fabbrica del fango contro il Meridione. Con la partecipata manovalanza di tutte la prestigiosa intellighenzia autoctona del mondo dell’editoria, della scienza, della tecnica, dello spettacolo, stavolta indegno persino per i protagonisti: Vittorio Feltri direttore di Libero che, forse, tanto libero non è e che ha fatto sapere poi che le sue dichiarazioni erano state fraintese; Giulio Golia, iena napoletana che si è accanito sulla sua Napoli facendone la preda prediletta e diventando estorsore di confessioni per l’occasione; Luca Abete che ha fatto dello “sputtanapoli” la sua fortuna. Non sono mancate persino le genialate da uomini di scienza, capitanati dal catodico prof. Galli della Loggia, dai volti più popolari come Gerry Scotti che ha fatto sapere -poi anche lui- che si è solo limitato a prestare la voce al servizio, fino al mondo dello sport con i tifosi dell’Atalanta che, solo un paio di mesi fa, si sgolavano per accostare i napoletani al Covid-19. Chissà se a fronte dell’impressionante calo demografico (leggasi morti) registrato proprio a Bergamo, sono ancora dello stesso parere.
Codogno, Brescia, Vo’ Euganeo, Bergamo, Milano, Torino, Lodi sono tutte città lontane, forse agli antipodi di quella Napoli (resa) puzzolente in cui smaltire i rifiuti tossici del nord eppure mai così vicina a quella bile vomitata gratuitamente. O forse no. Napoli e il Meridione in generale possono e devono diventare la valvola di sfogo, il vomitatorio della parte “alta” dello Stivale in questa era pandemica. Il Meridione tutto è una eccellente arma di distrazione di massa dal problema vero. Come giustificare altrimenti l’eccellenza della sanità lombarda di colpo scoperta in eccedenza? Come spiegare che tale sanità, finanziata per più del doppio rispetto alle altre regioni, ha prodotto un clamoroso flop? Come commentare la strage perpetrata ai danni degli anziani con patologie pregresse (semplice vecchiaia per il Sud) nelle RSA (definiti ospizi dai terroni)? Come accettare che la Napoli della pizza, della camorra e del mandolino sia riuscita a far funzionare una cura al virus studiata a Napoli da un professore napoletano? Come digerire che tali sforzi, con mezzi ridotti per foraggiare altri colleghi medici e ricercatori, sia stata premiata dall’AIFA? Come nascondere la rilevanza che la stampa estera (collega, ma non collegata a quella italiana) ha individuata nell’Ospedale Cotugno di Napoli l’eccellenza mondiale nella lotta al virus? In che modo provare a non dire che persino la CNN incensava il nosocomio partenopeo con zero contagi, mentre altrove in Italia era strage di medici e paramedici che hanno superato di qualche decina la centinaia? Come spiegare che la tecnica di ripresa schiacciata ad altezza d’uomo non rende giustizia, ma può essere volutamente ingannevole in una città che ha conservato la struttura originale dei vicoletti, topos partenopeo, tanto che nel creare nuovi insediamenti abitativi – le vele – si è deciso di richiamare proprio tale struttura urbana?
Quei vicoli popolari, di gente che si arrangia e campa alla giornata, ma che pullula di “panari solidali” che scendono da ogni balcone.​ “Chi ha metta, chi non ha prenda”, come San Giuseppe Moscati – medico santo che riposa nel cuore di Spaccanapoli – ha insegnato e che gente dal cuore napoletano ha saputo trarre e conservare questo insegnamento oggi salvifico. Non solo per la pancia. Non certificazioni, niente burocrazia, nessun ISEE ma coscienza, rispetto, cultura, civiltà. Quella dell’essere popolo. E prima ancora la spesa sospesa. Allora se i vicoli vivono di solidarietà, va detto – e fatto dire – dalle persone richiuse in casa e ottemperanti ai DPCM che alla spesa provvede la camorra. Che non vive solo a e di Napoli. Eppure da Napoli e dal Meridione sono partiti camion e tir dai principali mercati ortofrutticoli e dai più importanti spacci alimentari alla volta del Nord, che era chiuso. Camion e tir che partivano stracolmi e che tornavano vuoti nonostante i confini, nonostante si parli di autonomia, nonostante l’offesa e la denigrazione. Questa non è la Napoli – che pure è stata – della scuola medica salernitana, della prima università pubblica, del florido e ricco Regno delle due Sicilie, di Pericle e di Adriano, di Leopardi e Croce, delle “quattro pietre” di Pompei ed Ercolano e delle Quattro giornate, di Enea e dell’inizio del viaggio di Dante, degli struffoli e dei friarielli: questa è la Napoli di oggi, quella di Saviano e di Gomorra, quella della Camorra e di “Giuda” Golia, quella di Striscia la Notizia e de Le Iene, quella di Galli della Loggia e di Ascierto, quella di Giulio Tarro e di Roberto Burioni, quella della popolazione da Milano a Palermo che, purtroppo, non è ancora popolo.
Allora sì, siamo inferiori: siamo inferiori alla sudditanza professionale e lavorativa, inferiori alla carriera a tutti i costi, al meretricio intellettuale del dire ciò che c’è da dire per non poter dire altro. Inferiori nel difendere la propria terra da chi non l’attacca e, ob torto collo, la sostiene, da chi per difendere se stessi è costretto a denigrare il prossimo che non è sentirsi meglio, da chi per stare bene ha bisogno di vedere altri stare peggio. Inferiori in questa supposta arroganza che non ci appartiene, inferiori nella superbia e nell’invidia, inferiori nella cattiveria gratuita che non ci tange. Siamo la città del sole, del sorriso e del saper vivere: ha da passa’ ‘a nuttata pure per voi.

Bandiera rossa vs virus invasor


Questa mattina mi son svegliato e ho trovato gli invasati. In verità poche unità in festa – non di tutti – per un appuntamento inventato e che resiste anche se in quest’anno infausto e bisesto cade di sabato – dagli astanti non considerato di certo giorno rosso – tutti precettati sul balcone. E non è una questione di erre moscia! Non barconi né finestre, dunque. Balconi, anonimi e adombrati rispetto a quello romano più largamente conosciuto. Insegna essenziale ed unica di riconoscimento: la bandiera rossa. Colonna sonora del sit-in l’impropria riusata e abusata Bella Ciao, “rubata” alle mondine, veste da partigiano – che cantava Fischia il vento o​ Fior di tomba​ – riciclato da nonni o perfetti sconosciuti con la variante attualizzata che anziché battere la ritirata tra le montagne stavolta, una volta conclusa la pièce, si rintaneranno in casa. Altro uso e costume tipico. Questo l’impegno manifesto della pluriforaggiata ANPI per la lotta al virus invasor.
Nell’Italia degli pseudo-imitatori degli scomparsi partigiani, che si lascia cancellare la testimonianza vera e diretta dei nostri nonni, collettiva memoria, resiste (ancora) la ricorrenza del 25 Aprile: da cosa si liberano gli aficionados, però, non è dato comprendere: ultimamente la nostra Nazione è stata teatro di uno sterminio di genti per colpa di un virus del quale, con profonda gioia di chi ci vorrebbe calpesti e derisi, persino gli esperti ci hanno capito poco, territorio in cui gli eserciti rispondenti a tre bandiere diverse si sono incontrati e non scontrati solo grazie a qualcuno che ha evitato di mettere i… “puntini” sulle “i” di Italiani abbandonati non da tutti, ma dai nostri alleati seppur continuamente e continuatamente rifocillati a suon di moneta rigorosamente unica, derubati su tutti i fronti, o meglio presso parecchie frontiere con tacito silenzio di chi siede alla Farnesina che per incarico che è lavoro dovrebbe avere rapporti con gli “esteri” e con certi “addetti ai lavori” che ci dicono chiaro e tondo e non in politichese quale sia il loro obiettivo, il loro compito da assolvere.
O forse si liberano dai DPCM illegittimi, dall’elargitore Conte, dalle sue imposizioni in stile URSS: divieto di assembramento o meno, proibizioni di circolazione o meno, i kapi ANPI se ne fregano e fanno sapere ad esecutivo e organi di governo sul territorio che loro andranno a portare un fiore sui luoghi della Resistenza: forse dove imprigionarono e stuprarono Norma Cossetto? Forse dove finirono Giuseppina Ghersi? Forse dove ammazzarono i 7 fratelli Govoni? Forse a Badovizza? Dovunque si sono sporcati le mani rosse di sangue?
Ma (ora come allora) ci hanno consigliato e obbligato ad indossare le mascherine – solo quando, però, l’ingegno italico si è messo all’opera producendone per la Nazione tutta con buona pace all’autarchia – ma che in realtà sono dei veri e propri bavagli. Se vogliamo liberarci della mascherina, restiamo in casa tanto ad informarci, se non a formarci, sarà compito della task force di governo creata ufficialmente per combattere le bufale, ma che dovrà propinarci le balle di stato.
Ma in questo 25 Aprile saranno beati i commercianti, le partite (sperando non diventino participio passato di cattivo auspicio che non è superstizione!) IVA, quelle dal cassetto della cassa vuoto e dal conto rimpinguato al punto da pagare solo metà della locazione del locale chiuso, beati saranno i dipendenti cui è stato stornato un mese dalla RCA per il mancato utilizzo dell’auto, pagando (normalmente) solo ciò di cui si è effettivamente usufruito, ma non certo con i 600 euro spacciati per panacea: almeno loro non avranno le vetrine delle attività sfasciate, le auto incendiate e tutti si risparmieranno il crepacuore per le città messa a soqquadro. Chissà se i frequentatori dei centri (a)sociali questa volta spaccheranno i vetri delle ville di loro proprietà, mentre magari il loro paperino “paperone” dentro casa osserva la colf nera e in nero sparecchiare la tavola per il lauto pranzo appena consumato. Chissà se i novelli partigiani balconati e defenestrati consumeranno le illecite sostanze, vero motore delle loro performance, anche sotto al patio o sul terrazzo dell’attico che, però, fa ben poco comunità e per nulla popolo.
Una Festa della Liberazione vissuta e propinata senza nessuna vera libera azione, ma solo una illusione che, forse, è l’insito significato di questo giorno che è mesto e non festoso, una vittoria che ha il sapore amaro della resa incondizionata, un successo dall’ingannevole gusto di un passaggio di consegne che è, in realtà, vera sottomissione, vera prigionia, che è bavaglio. Pardon, mascherina. E non dal 2020, cari figli della Filosofia e abitanti della Magna Grecia osannanti la caverna anziché Platone.
Gli arresti domiciliari, in quanto “DPCM” quindi di concerto con nessuno, andranno oltre il primo maggio e mieteranno anche vittime onorevoli: quest’anno toccherà al pdino Roberto Gualtieri che passerà alla storia solo per aver MES autografi a Bruxelles-potenza-di-fuoco e non per essere lo strimpellatore di Bella Ciao negandogli persino l’attimo di gloria futura in Piazza San Giovanni. E quest’anno non sarà l’Organizzazione a dare i numeri, a raddoppiarli, triplicarli, decuplicarli ed elevarli all’ennesima potenza: nell’epoca in cui anche il Grande Fratello è stato istituzionalizzato ci sarà la neonata Immuni, l’app del corona a dire dove, quando, per quanto e con chi siamo stati. Made in Berlusconi. Chissà se ANPI & compagni lo sanno. E la coerenza? La lotta? La bandiera? La festa? La libertà? Bella Ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao…

https://www.imolaoggi.it/2020/04/24/questa-mattina-mi-son-svegliato-e-ho-trovato-gli-invasati/

Basterà don Livio Viola e i parroci di provincia a salvare i fedeli da questo ‘regime’ senza fede?


In principio fu il virus. Il Corona che ha paralizzato la Cina, subito dopo l’Italia e poi, nazione dopo nazione, il mondo intero fino a diventare una vera emergenza sanitaria. Che da noi ha smascherato quella organizzativa. Poi tramutata in vera emergenza economica dai signori della finanza e dai tecnici degli atenei. Così mentre tra prestiti vincolati e legalizzazione dello strozzinaggio si progetta la fase 2 con ancora mezzo milione di decessi quotidiani, si scatena la guerra santa. In Italia: a Rocca Priora (RM), a Sant’Arpino (CE), a Sant’Antimo (NA), a Vignale (NO), a Cinisello (MI), a Borgotrebbia (PC). E nelle terre prescelte dal Covid accade dell’incredibile, forse del profano, sicuramente del vergognoso: a Gallignano, frazione del comune di Soncino in provincia di Cremona, i gendarmi senza pennacchi sono arrivati in chiesa piombando sull’altare e intimando a don Lino Viola di interrompere la celebrazione. Il Don, preciso come la puntualità con cui dice Messa, ha fatto notare ai militari che il DPCM non vieta di celebrare la santa Messa, che in una chiesa di 300 mq, tra ministranti e fedeli, vi era poco più di una decina di persone, tutte rigorosamente ottemperanti alle disposizioni – non alle leggi – in merito: muniti di guanti, di mascherine e persino praticanti del distanziamento sociale. Addirittura l’Eucarstia non era stata toccata con le mani, alla quale, però, solo “grazie” all’intervento dei zelanti Carabinieri, non è stato possibile accostarsi. Opportunamente indrottinati, forse i militari non hanno proceduto ad interrompere l’omelia perché il Diritto Canonico ne prefigura il reato, allora perché tanta fretta nell’interrompere la funzione religiosa? Perché invadere l’altare porgendo al celebrante un telefonino al cui capo vi era il Sindaco, forse Peppone? Visto che si era atteso tanto e la celebrazione volgeva quasi al termine, non si poteva aspettare per comminare la multa al Parroco? C’era bisogno di cacciare fedeli dal tempio, che tra l’altro appartenengono a due nuclei familiari per cui avrebbero formato assembramento anche in casa e non portare a conclusione il sacro rito? Un altro quarto d’ora in chiesa avrebbe costituito contagio? Quelle chiese sono le stesse che ospitano la Virgo Fidelis alla quale l’Arma è devota e dalla quale è protetta. Le stesse chiese sempre frequentate se non gremite in contesti internazionali. Le medesime chiese assiepate anche per battesimi, comunioni e matrimoni. Per sè e per i loro. Magari in alta uniforme e in pompa magna. Che qui valgono 280 euro cadauno per i fedeli e 680 per don Viola, ma 0 rispetto. Precisazioni che vengono dalla locale Curia che pare fare il tifo per il potere temporale. Non pervenuta la Santa Romana Chiesa guidata da papa Francesco, sempre più chiusa tra la genuflessa obbedienza e un silenzio più complice che religioso.
Che il militare sia sinonimo di obbedienza è risaputo, ma ciò non prescinde dalla capacità razionale e dal possesso dei requisiti morali. Se questi i fatti nell’hinterland cremonese, altri appartenenti alle FF.OO. di stanza in Toscana hanno multato una famiglia di quattro persone che tornava da una visita medica oncologica della bambina. Motivo? Non c’era motivo di portare con loro anche la madre ed il fratellino (minore come la bambina leucemica). 500 euro decurtati al padre disoccupato a cui poi sono arrivate le scuse della Dirigente della locale Polizia Stradale. Come se il mea culpa di facciata potesse riportare tutto alla verginità iniziale. Altri cittadini, invece, sono stati manganellati perché portavano i cani a fare i loro bisogni. Strano modo questo di combattere il virus che poi sarebbe compito dei medici. Falotica trovata di arginare il contagio che dovrebbe prescindere dal senso civico che gli Italini stanno dimostrando di avere. Un modello Italia, non un’Italia modello visto che siamo stati tra gli stati più colpiti, ma non i più colpiti e i soli ad essere all’isolamento domiciliare imposto con leggi incostituzionali. E se dietro ci fosse altro? Magari bisogna rimpinguare le casse per tentare di tenere fede a quanto propagandisticamente promesso? O chissà quale losca manovra che non è dato sapere nemmeno ai cittadini fedeli a questo esecutivo. Nemmeno a quelle FF.OO e quelle FF.AA. che hanno giurato sulla Costituzione e che adesso, da difensori e protettori della Repubblica e delle leggi- non dei decreti- dopo essere stati trasformati in braccio esecutore delle follie di palazzo, rischiano di essere trasformate in cavie umane per sperimentare il nuovo vaccino. E l’uniforme protesta già sembra essere montata. Chissà se adesso oseranno ancora invadere prepotentemente le chiesa per chiedere protezione o imprecheranno. Che ugualmente significa ammettere l’esistenza di Dio.
Pubblicato su IlSud24.it
https://www.ilsud24.it/2020/04/21/messa-soncino-bloccata-carabinieri/