UNITED COLORS OF RACISM : La tragedia tutta italiana del razzismo ad ogni costo!

Seid Visin e Saman sono due facce della stessa medaglia, l’una d’oro e l’altra di stagno. Nocera e Novellara, nord e sud di uno stivale sempre più multietnico, sfruttato e bistrattato, trattato a proprio uso e consumo e poi rinnegato. Quell’Italia terra di nuova vita e di morte, croce e delizia.
Seid, ragazzo adottato da genitori italiani che in Italia diventa figlio e poi calciatore,l coronando il sogno della maggior parte degli adolescenti. Morto suicida per motivi che solo i genitori conoscono e che hanno voluto tenere privati in un primo momento, ma poi costretti a svelare.
Saman arriva in Italia dal Pakistan insieme con la famiglia per una speranza di vita migliore, per un futuro che la sua terra non gli ha offerto, per scelte che chi l’ha messa al mondo ha fatto anche per lei, fino a condannarla a morte. Allo strangolamento.
Seid è immediatamente diventato un caso da “sfruttare”, da rivendere sulle pagine dei giornali e sulle “prime pagine” di quelle trasmissioni televisive di tuttologi che abbondano in ogni dove. Poco importa se non si sa cosa sia davvero accaduto. La storia è di quelle strappalacrime che va subito rivenduta e veicolata per la speculazione e lo sciacallaggio dal Berizzi di turno e in ottemperanza al politically correct. Così uno sfogo adolescenziale su un social scritto tre anni prima diventa il motivo per cui il ragazzo si è suicidato: il razzismo. Magari una forma di sottile e deprecabile bullismo compiuta da coetanei su un ragazzo di un piccolo paesino del sud che ha subito il cambio e l’impatto come quello che una città come Milano può dare?  Ma no. Said aveva la pelle nera per cui è il razzismo il motore di tutto. Ma la mamma e il padre adottivi smentiscono. Costretti a rilasciare dichiarazioni e a tutelare, in un momento tragico e privato, la loro immagine e quella del figlio, per una cosa fondamentale che si chiama verità. Ma il mainstream ha deciso: ad ammazzare Said è stato il razzismo. L’udienza è tolta e la sentenza è emessa: un ragazzo di colore non può avere problemi di depressione, d’amore, di nostalgia, di stanchezza, di stress e mille altri mali che affliggono il nostro tempo. Magari per un lockdown che è stato un vero e proprio confinamento lontano da casa e dagli affetti e che è pesato un po’ troppo. No! Seid è morto di discriminazione.
Quella discriminazione, al contrario, cui non si è fatto minimamente cenno nella tragica storia di Saman, sparita ormai da più di un mese e con una confessione di strangolamento dello zio che si spera faccia almeno ritrovarne il cadavere.
La colpa? La libertà di volersi integrare. Di voler magari rinunciare al velo e di decidere di chi innamorarsi. Una colpa “italiana” così grave e poco diffusa, tanto da attribuire con ipocrita disinvoltura di certa stampa “allineata”, l’etichetta di  “ragazza ribelle” alla giovane e sfortunata Saman.  E poco importa se la ragazza sia stata, piuttosto, costretta a fuggire dalla propria famiglia. Un nucleo familiare numeroso e composito che pare l’abbia invitata a ritornare ingannandola. O, forse, il ritorno a casa sia dovuto al recupero dei documenti per un allontanamento definitivo. Qui la famiglia non parla con i giornalisti, non cerca di dare spiegazioni in merito. Fugge all’estero piuttosto. Non prima di essersi  riunita in una sorta di “consiglio” per decretare la condanna a morte della diciottenne, in nome dell’islamico Corano. Elemento fin troppo evidente, fatto passare sottogamba. Una autentica e ipocrita  mistificazione islamista taciuta e silenziata ad arte.
Qualche timido tentativo di derubricare l’accaduto in femminicidio, che è quanto di più spregevole si possa attribuire ad una donna, equiparata ad ogni costo all’uomo, mai (e mai più) complementare ad esso e per la quale non esiste demarcazione che differenzia maggiormente la donna dal resto del genere umano come il termine femminicidio. Quasi che l’omicidio non includesse la donna come appartenente alla specie umana. Per Saman non ci sono accuse di razzismo all’Islam, alla famiglia, alla mancata integrazione di chi vive nella nostra stessa terra, ma pretende che questa Italia sia solo un’appendice dell’islamico Pakistan o della più sperduta provenienza geografica.
Nessuna accusa e nemmeno una presa di posizione da parte dell’intero “quarto potere”. Nessun politico inginocchiato, non una femminista che rivendica diritti e libertà per le donne. Solo tanto silenzio. Eloquente. Complice. Omertoso. Che nemmeno la peggiore Sicilia dei tempi d’oro di Corleone.
Non è forse questo un caso di razzismo al contrario? Non è forse questo un caso di mancata integrazione verso il Paese ospitante? Non è forse questa una mancanza di rispetto verso l’Italia e gli Italiani, terra e gente che ha offerto ospitalità e integrazione senza nulla pretendere e che pare non essere mai abbastanza. Tanto da essere rifiutata nel modello educativo, formativo, di vita?
Giammai qualcuno che si indignasse al contrario, in difesa del bianco considerato suprematista a prescindere. Colpevole pure di respirare e di vivere, persino di essere nato e mai e poi mai vittima di una qualche anomala forma di discriminazione, di episodi di razzismo al contrario che dovrebbero pesare il doppio se commessi da chi abbiamo accolto. E invece no: lo stereotipo imposto vuole che il razzismo abbia la faccia nera, più nera possibile.  Magari con lo sguardo trafelato ma soddisfatto di chi arriva col barcone stringendo in mano il telefonino cellulare di ultima generazione. E ciò nonostante é ritenuto “vittima” a priori. Coccolato e osannato da una finta e ipocrita politica dell’accoglienza che non garantisce neanche la sicurezza e una sopravvivenza decorosa per tanti disperati abbandonati a se stessi nelle periferie-ghetto delle nostre città. Con buona pace dei “buonisti” di turno!
https://www.camposud.it/2021/06/united-colors-of-racism-la-tragedia-tutta-italiana-del-razzismo-ad-ogni-costo/

DAL DIARIO DI UN GIOVANE RATTO DA LABORATORIO

Io me la ricordo la mia prima volta. È stato un fine settimana fantastico, non vedevo l’ora che arrivasse mattina per poterci andare, finalmente. Anche se era consentito farlo per tutta la notte. Che trasgressione!
Mesi e mesi di attesa, sembrava non avessi mai avuto vita, prima. La notte prima non avevo dormito, tanta era l’ansia e l’attesa e la voglia.
Mi avevano descritto sensazioni inenarrabili. Pianto, commozione, gioia. Un fastidioso doloretto. Per tutti quelli che l’avevano fatto prima di me. Ma ora finalmente toccava a me! I miei 18 anni – qualcuno nell’emancipato nord anche 12 e 16 anni- ora avevano il loro valore. Finalmente avrei potuto anche io fare la mia storia, la mia foto da incorniciare, da mettere negli anali… ops annali.
Allora ho ubbidientemente atteso il mio turno prima di ricevere anche io il mio sigillo, ero un mezzo in mezzo a tanta gente ma io non socializzavo, non parlavo con nessuno perché mantenevo la distanza di sicurezza, quella sì che è sociale! Il telefono, quella diavoleria tecnologica con la quale ora si può fare tutto, non era sintonizzato su nessun canale di informazione alternativa, l’obiettivo della fotocamera mi puntava inesorabile. A dire il vero non era necessario nemmeno più lo sforzo perché anche i canali ufficiali lo dicevano chiaramente, ma io, noi niente…. fake! Fake! Fake! Fake anche il comunicato n. 387 dell’Aifa in cui si dice chiaramente che la Lorenzin, governo Renzi, nel 2014 firmava la porcata con cui l’Italia, non loro, in cambio di copiosissimi posti di lavoro da parte di Big Parma mai arrivati, accettava di fare da laboratorio sperimentale dei vaccini a livello mondiale. I famosi 10 vaccini senza i quali non si viene ammessi alla scuola dell’obbligo.
Persino sotto il consenso informato, dove io ho apposto il mio autografo, c’era scritto che la trasmissione del contagio poteva esserci tranquillamente anche con il vaccino. Dicevano che non sapevano quali gravi reazioni allergiche poteva provocare il vaccino, dicevano che le probabilità di contrarre il virus si riducevano solo dell’1% dopo il vaccino. Dicevano che non avevano fatto nemmeno i test di cancerogenità. Dicevano chiaramente che chi avrebbe fatto il vaccino accettava di fare da cavia ad un vaccino sperimentale con potenziali danni irreversibili solo per ridurre dell’1% le possibilità di contrarre il virus. Ma io il consenso informato non l’avevo letto, ma solo firmato sollevando da ogni responsabilità il medico inoculatore, il farmacista inoculatore, l’aspirante inoculatore. Desideroso di entrare anche io nel club degli inoculati, di avere anche io il codice di identificazione sotto pelle come gli altri, di sfoggiare la medaglia con la primula, di spararmi in corpo anche io la prima dose di merda. Gli altri, quelli che avevano subito trombosi, cecità, scomparsa del ciclo mestruale e svariati danni tutt’a un tratto non contavano più. Così come non contava più il fatto che quella dei 18enni era la categoria meno colpita eppure quella che aveva aderito in massa ad una vaccinazione inspiegabile. Azzarderei addirittura inutile.
Dicevano che le mascherine non servivano a nulla, che dai test effettuati (gli esperimenti!) hanno ammesso che nessun beneficio era stato rilevato. Ma, forse, qualche danno sì. L’ipercapnia, ad esempio. La truffa, poi. Però io l’ho sempre indossata, correttamente indossata come raccomandato, all’aperto, al chiuso, mentre passeggiavo, quando ho abbracciato per l’ultima volta mio nonno da dietro ad un cellophane. Il sesso no, perché era vietato. Però le ho tenuto la mano. Senza baci.
Mio nonno… che sfigato a conquistarsi tutto. Io, invece, me ne stavo comodamente sul divano aspettando che altri mi risolvevano la situazione. Postando i video su TikTok mentre venivo spiato con la finalità della raccolta di dati biometrici che non è altro che la classificazione di massa. O mentre ingurgitavo mondezza da delivery e spazzatura da mainstream e sotto gli occhi avevo un mio amico-idolo pro vaccino che, dopo averlo fatto, ha avuto una (in)spiegabile emorragia cerebrale, però aspettavo da altri il permesso di uscire, di respirare, di vivere. Permesso che era già mio, avuto gratis e che nessuno mi aveva mai tolto, se solo avessi tentato di capire qualcosa di quella Costituzione calpestata, vilipesa e pisciata con la quale all’hub mi hanno umiliato regalandomela. Barattandola. Ma io avevo preferito la birra a 50 centesimi e il panino del fast food. Al nonno del mio amico che non stava nelle RSA gli avevano promesso una erezione di quattro ore che “manco ‘e tiempe bell’ ‘e ‘na vota” ma lui non ci ha creduto.
Nel frattempo… io stavo in vigile attesa. In attesa che un virus che si cura veniva spacciato per mortale quando a morire ci ha portati la follia umana, la stupidità collettiva, il panico contagioso.

Tratto dal “Diario di un giovane ratto da laboratorio”.

NON SOLO GIOVANNI BRUSCA HA PAGATO!

NON SOLO GIOVANNI BRUSCA HA PAGATO!

La scarcerazione di Giovanni Brusca, il killer più feroce di tuti i tempi, colui che ha ideato e messo in atto la strage di Capaci al più importante giudice antimafia ed alla sua scorta, colui che ha sequestrato, strangolato e sciolto nell’acido un bambino di dodici anni ha riempito e riempirà ancora le pagine di giornali e telegiornali provocando unanime sensazioni di rabbia, dolore, sconcerto. Tutte capibili, ma va capito anche altro.
Al netto dei nomi altisonanti, importanti od “eccellenti”, per rifarci al gergo utilizzato per le scarcerazioni di cui il MoVimento 5 stelle tramite il Ministro della Giustizia Fofò Bonafede non ne sa(peva) nulla, avvenute con una circolare firmata da una “sprovveduta” segretaria di un ufficio periferico di sabato pomeriggio, ci sono personaggi scomodi ed ingombranti, veri e propri giganti trasformati in capri espiatori, servitori di uno stato ingrato che continua a condannarli persino dopo le indagini, dopo i processi, dopo le pene espiate per intero e senza sconti.
Penso alle vittime del golpe – perché tale fu! – giudiziario e finanziario del 1992, penso a due personaggi per tutti, l’uno di caratura nazionale e l’altro di rilevanza non minore, ma per una sorta di “orgoglio patrio”: penso al segretario del PSI Bettino Craxi, forse l’ultimo statista Italiano. Dobbiamo ritornare alla notte di Sigonella per ricordare un’Italia che ha fatto l’Italia, che poteva permettersi di fronteggiare gli USA a muso duro e schiena dritta, non solo con la forza militare, ma anche con quella diplomatica. E mai come in questo strampalato e pericoloso periodo storico che stiamo vivendo – non certo da protagonisti – non si può che ripensare a lui ed alle sue parole dall’amaro sapore profetico che trent’anni fa non abbiamo colto circa ciò che sarebbe stata l’Italia in questa Europa, a cosa avrebbero portato le privatizzazioni delle tante società statali, a come sarebbe stata svenduta la nostra Nazione. Al costo di qualche monetina, per di più di nostra proprietà. Posso citare Enel, Telecom, INa, IMI, COMIT, ENI o semplicemente l’IRI che oggi sarebbe la più grande azienda al mondo e che fino ad allora la classe dirigente italiana aveva tenuto saldamente. Siamo negli anni in cui si affacciarono sulla scena politica personaggi come Romano Prodi, quello che disse che avremmo guadagnato di più lavorando un giorno di meno e oggi già con un piede sul colle più alto di Roma. Erano i tempi della crociera del Britannia che aveva imbarcato a bordo anche tale Mario Draghi, oggi nominato Presidente del Consiglio.
Craxi è morto in esilio, ad Hammamet, ha scelto di morire tale perché non è più potuto tornare nella nostra terra da “uomo libero”.
E penso al napoletanissimo dottor Bruno Contrada, uomo di Stato, vertice delle Istituzioni, persona di fiducia dello Stato tanto da chiedergli di infiltrarsi per capire, autentico mastino di razza dell’Intelligence nostrana, ripagato con l’umiliazione dell’arresto, della condanna, dell’assoluzione impugnata, della cancellazione della condanna dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU) e da una nuova impugnazione da parte di quella magistratura che preferisce comparire sui giornali per il personale momento di gloria piuttosto che fare la storia per tutti.
Questi uomini hanno avuto vite distrutte e famiglie dilaniate, hanno pagato in termini giudiziari – quella ingiusta giustizia degli uomini iniziata quasi un secolo fa condannando e mettendo a morte altri uomini senza processo – ma anche in termini personali: carriere spezzate, malattie che hanno invaso i loro corpi, e la loro mente, ombre che inevitabilmente si ripercuoteranno anche sui loro figli e nipoti, parenti e amici. Autentici protagonisti della storia d’Italia consigliati e quasi costretti a chiedere la Grazia al Presidentissimo di turno (carica ricoperta anche da sinistri assassini riabilitati) quando, invece, avrebbe dovuto essere lo Stato a dire e a dare semplicemente un “grazie”. Grazia che, per un sussulto di dignità che solo chi ha la certezza della coscienza monda e le mani pulite per davvero può permettersi, non è mai chiesta.
Giovanni Brusca, dopo venticinque anni di detenzione per essere stato un collaboratore di giustizia e non un pentito, per avere fatto bene i suoi conti, come aver “lavorato in carcere” dicendo cose che poteva dire o magari solo quello che poteva “servire”, è libero di tornare a casa a godersi le sue ricchezze patrimoniali mai confiscate (MAI CONFISCATE!) sbeffeggiando anche pensione sociale e reddito di cittadinanza già riservato ad altri suoi “compari”, mentre persone come Bettino Craxi o Bruno Contrada, Publio Cornelio Contrada, il cui ultimo capitolo del suo orrore giudiziario vede il ricorso al risarcimento per condanna sbagliata da parte dello Stato che ha servito e di quella Patria per la quale ancora prova dolore nel vederla condannata, non godranno mai del diritto forse a questo punto più anelato, quello all’oblio.
Sarà un caso che gli stessi personaggi che si sperticano in corsi e ricorsi contro tutti e tutti sono gli stessi che pronunciano le parole più “misurate”? “La liberazione di Brusca, che per me avrebbe dovuto finire i suoi giorni in cella, è una cosa che umanamente ripugna – commenta all’agenzia Adnkronos Salvatore Borsellino, fratello di Paolo ucciso nella strage di via D’Amelio, poche settimane dopo Giovanni Falcone -. Però, quella dello Stato contro la mafia è, o almeno dovrebbe essere, una guerra e in guerra è necessario anche accettare delle cose che ripugnano. Bisogna accettare la legge anche quando è duro farlo, come in questo caso. Brusca è uscito dal carcere di Rebibbia dopo 25 anni. Questa legislazione premiale per i collaboratori di giustizia fa parte di un pacchetto voluto da un grande stratega, Giovanni Falcone, per combattere la mafia, dentro ci sono​ l’ergastolo ostativo, il 41 bis. Va considerata nella sua interezza ed è indispensabile se si vuole veramente vincere questa guerra contro la criminalità organizzata”.
Il Generale Dalla Chiesa, altro servitore di quello stesso Stato che lo chiamò alla lotta alla mafia e che, per premio e incentivo, lo lasciò solo disse che i primi fiori che sarebbero arrivati al suo funerale sarebbero stati da parte dei suoi mandanti: la prima corona che arrivò fu quella della Regione Sicilia. Per cui in questa Italia qua possiamo pure continuare ad andare avanti a cercare l’ormai famosa, o forse famigerata, agenda rossa. Certa che continuerà a proteggere ‘o verru perché testimoni ad altri processi o faccia attenzione a ciò che dice, mentre da vivo condanna a morte capitano Ultimo, già solo e senza scorta, costretto ad indossare un mephisto che lo renda irriconoscibile e a rinunciare alla propria identità. Come il peggiore dei criminali comuni.

DE LUCA E DE MAGISTRIS : MA ALLA FINE, CHI E’ PEGGIO TRA I DUE???

La Regione ferma la vendita di una parte del demanio che lei stessa aveva messo in vendita, ma senza saperlo.
Potrebbe sembrare un simpatico scioglilingua, di quelli anaforici, cacofonici e che non significano nulla. E, invece – purtroppo – questi sono dati reali ed indicativi. Il Comune vende se stesso, o meglio una parte di esso, per non essere stato capace di prendere ciò che è suo.
Non saprei chi scegliere tra De Luca e de Magistris, ma questi due, che amministrano per la seconda volta rispettivamente Regione e Comune, si copiano addirittura, si “e-mulano”, ovviamente in negativo. Se DeMa, nell’indignitoso tentativo di ripianare le dissestate casse del Comune, non ha esitato a mettere in vendita il palazzo del Consiglio Comunale, De Luca addirittura “pensa” di vendere una pineta intera ad un privato. Ad essere precisi, si tratta di una vasta aerea dell’estensione di 300 000 mq comprendente il Parco degli Uccelli, la Pineta di Varcaturo e la foce del Lago Patria,. La cosiddetta “Oasi dei Variconi” un vero e proprio polmone verde dal valore ambientale inestimabile e che De  Luca svende al prezzo di costo  di 1 euro al metro quadro. All’oscuro di tutto, naturalmente, anche il Sindaco del comune di Giugliano in Campania, attuale titolare della concessione del parco.
Vari e a strascico le polemiche seguite a tale decisione, dai consiglieri comunali alle sigle sindacali, tutti impegnati in polemiche postume quanto sterili, a caccia di un consenso da mercato. Tutti obbedienti alla sola logica del profitto, tutti pronti (e proni) ad appuntarsi sul petto la medaglia della vittoria. Magari della battaglia e non della guerra.
Ma poco importa (per loro) se la pezza – non solo del sindaco con la bandana – sia persino peggiore del buco: in poco più di un anno la Corte costituzionale per ben due volte ha richiamato all’ordine il sindaco de Magistris e la sua (?) giunta fu arancione ed oggi multicolor ricordando e ribadendo come il lasso temporale per far quadrare i conti va ridotto da 27 e 3 anni, prorogabili massimo a 5. E per la seconda volta in poco più di un anno sempre la Corte costituzionale boccia la contabilità di Palazzo San Giacomo perché è illegittimo utilizzare le anticipazioni dello stato per coprire le proprie malefatte.
È risaputo che le erbe cattive sono dure da estirparsi e stavolta una mano a Gigino ‘o flop arriva nientemeno che dal Governo centrale che, grazie ai (promessi) ristori bis dovrebbe poter incassare i balzelli mai riscossi né incassati per intero.
Giustificazione pragmatica e vuota quella da esperto conoscitore della macchina burocratica De Luca che accetta di apparire quasi ingenuo, quasi che lui non ne sapeva nulla, un Andreotti di Regione, ingenuo come quando in Italia venivano consumati sequestri, omicidi e stragi. De Luca, infatti, non sapeva nulla della (s)vendita dell’area verde sulla litorale Domizio e immediatamente ha provveduto a fermare lo scempio di un’azione non coordinata tra Regione ed amministrazione regionale. Ci vuol faccia tosta, ma c’è chi ce l’ha.
E se così alla fine contano i risultati, indipendentemente dalla strada che si è percorsa, il bilancio comunale sarà ancora una volta salvo e la pineta di Varcaturo con annesso Parco degli uccelli ed altre bellezze topiche non diventeranno proprietà di un privato. Il che significa che de Magistris e De Luca  saranno salvi e salvati ancora una volta, ma Napoli e la Campania che fine faranno?
 https://www.camposud.it/2021/05/de-luca-e-de-magistris-ma-alla-fine-chi-e-peggio-tra-i-due/

IL GARANTE DELLA PRIVACY : LA COVID CARD DI DE LUCA??? A me me pare ‘na strunzata!!!

Garante batte De Luca 1 a 0.
Ve lo ricordate Vicienzo, tronfio e impettito dietro la “sua” scrivania annunciare la card vaccinale, rimarcare con orgoglio di averla pensata, ideata e realizzata e vantarsi per essere stato il primo in Italia?
Ve lo ricordate DELUCADONOSSOR ( Marina Salvadore ci perdonerà per aver attinto dal suo novello Terronia Felix ) elargire libertà e concessioni ai suoi “amici di buco”; concedere la libertà a chi recava l’imprimatur ; dischiudere il suo arci-circolo a chi aveva appena inoculato la pozione miracolosa, l’elisir di lunga vita?
Ebbene, il Garante della privacy si è pronunciato: “A me, me pare ‘na strunzata!”
A dire il vero in tanti, campani e non, considerate le nazionali dimensioni del fenomeno da baraccone, avevano espresso perplessità su tale iniziativa del Presidente della regione Campania. Per i più non è stato difficile capire che tale passepartout creava delle discriminazione e invadeva il campo della riservatezza, dando così modo di conoscere (e disconoscere) situazioni che attengono la sfera intima e personale. Ma non per Vicienzo: per lui era cosa buona e giusta etichettare le persone ed esibire il bollo regionale per elargire agli inoculati determinate concessioni: vuoi andare a teatro in Campania? Ci vuole La covid-card! Vuoi andare a ristorante in costiera? Ci vuole la covid-card! Vuoi prendere moglie o marito? Ci vuole “cavid-card!”.
I toni debbono essere necessariamente canzonatori perché De Luca ormai non può più essere preso in considerazione seriamente. La pandemia poi ha acuito la situazione, ma il Garante nei confronti dell’inquilino di Palazzo Santa Lucia non è stato così morbido. Tutt’altro, gli ha riservato proprio un sonoro “cazziatone”: la card vaccinale come lasciapassare per servizi turistici, matrimoniali, culturali e sociali vìola la privacy. In base all’istruttoria avviate dal Garante, è emerso che l’iniziativa è priva di una base giuridica. Disposizioni come quelle adottate dal governatore col lanciafiamme che inficiano le libertà e i diritti personali sono inammissibili in assenza di specifica legiferazione nazionale. Poi arriva anche il sonoro ceffone: «progetti come quello campano introducono sistemi di rilascio e di verifica della vaccinazione difformi da quelli individuati a livello nazionale e, soprattutto, e mettono a rischio la stessa interoperabilità delle certificazioni a livello nazionale ed europeo. In contrasto proprio con la finalità di agevolare la libera circolazione all’interno dell’Unione Europea durante la pandemia di Covid-19». Altro che democrazia! E pensare che proprio De Luca dovrebbe esserne uno strenuo difensore, vieppiù viene da un partito che tale condizione la richiama persino nel nome. Ma con l’uomo lucano ad essere partita è solo la democrazia. D’altronde, proprio il Covid che è stato causa diretta e indiretta di tante morti, ha salvato De Luca, la sua posizione sopra le righe nel partito, la sua posizione sullo scranno della giunta regionale, per lui sempre più un confino per non essere riuscito ad approdare alle cadreghe ben più comode e più imbottite di Palazzo Madama o di Montecitorio. Ma è risaputo, Vicienzo è tutto un pezzo… e ha già annunciato che la produzione e la distribuzione dei pass vaccinali non si fermeranno. Perché? De Luca forse non riconosce lo Stato Italiano? Può non uniformarsi alle leggi della Nazione? Quanto sono costate alle casse della Regione queste tessere, manco a dirlo, rivelatesi inutili? Perché continuare a sperperare denaro pubblico, dei contribuenti per un capriccio del sovrano? Chi risarcirà i cittadini campani per questa ulteriore bufala… deluchiana? Perché perpetrare con questa sua farsa nei confronti dei cittadini che sono liberi di muoversi in Italia, in Europa, nel mondo, ma non in Campania, amministrata sempre più a regno delle sue volontà? Lui esiste, insiste e resiste, ma il Garante lo ha ridimensionato: Vicie’, statt’ ‘o posto tuoio !

https://www.camposud.it/2021/05/il-garante-della-privacy-la-covid-card-di-de-luca-a-me-me-pare-na-fessaria/

Obbligatoria in Campania la “tessera del PD” : DELUCADONOSSOR ‘O RRE’!!!

Ottimamente ha scritto la saggista Marina SALVADORE nel suo recente volume  “TERRONIA FELIX”, ribattezzandolo DELUCADONOSSOR! Niente, Vincenzo De Luca a fare la persona seria proprio non ce la fa: ha fatto ridere quando si doveva piangere, si è fatto “pupazzo” quando nessuno voleva più reggergli le fila. E’ passato ad essere un govern-attore diventando la caricatura di se stesso ed oggi, ancora smanioso e rampicante,  far finta di essere il capo della classe quando le scuole sono chiuse. Senza alcun pudore né dignità si presta a fare la propria parte in un altro, ennesimo “esperimento” di ingegneria sociale, prova “in primis” per lui stesso, in quanto ad affidabilità di mero esecutore di ordini.

L’ultima ordinanza emessa dal Presidente col lanciafiamme è, a tutti gli effetti, un attestato di discriminazione nell’epoca (dell’abuso) del politically correct, che c’è ovunque tranne che dove dovrebbe esserci. “Omnia munda mundis” evoluto in “La legge è uguale per tutti ma qualcuno è più uguale degli altri”, per intenderci.
Lo aveva annunciato e nessuno è riuscito a farlo ragionare, a partire dall’opposizione per finire al fu commissario straordinario per l’emergenza Domenico Arcuri: De Luca, che pure ha una sua giunta, inaugura la Covid Card, un certificato di avvenuta vaccinazione che è a tutti gli effetti un “passepartout”, una chiave del pensiero unico e uniformato. O formattato.
Nell’ordinanza n. 17 si legge, infatti, che l’Unità (!) di Crisi regionale predisporrà, “di concerto con le associazioni di categoria” protocolli con adeguate misure per assicurare la fruizione in sicurezza di diversi servizi – turistici, alberghieri, wedding, trasporti, spettacoli eccetera – anche attraverso facilitazioni e deroghe alle misure di sicurezza più restrittive, per cittadini in possesso di certificazione/Smart card di completamento della vaccinazione. Fermo l’obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione individuale e di osservanza delle altre misure di prevenzione di base. Ovviamente solo a chi è stato bravo ed ubbidiente da farsi inoculare entrambe le dosi del vaccino. Tra un po’ ce le spaccerà addirittura come il bis di un succulento pranzo luculliano, un’ingordigia di senso di responsabilità. Vuoi sposarti? Serve la tessera! Vuoi prendere l’R2? Serve la tessera! Vuoi andare a far visita con la tua macchina alla mamma relegata in un ospizio, eufemisticamente RSA? Serve la tessera! Mi raccomando, però, di indossare sempre e correttamente la mascherina, di detergere continuamente le mani, di osservare la distanza di sicurezza anche sei in corpo hai il siero, doppia pozione, dell’immunità.
Una vera e propria azione discriminatoria che poco o nulla a che fare con la Medicina. Questa è (im)pura campagna elettorale, di riserva, una seconda dose a elezioni finite. Il signor Presidente si è inventato la green card e sta facendo volantinaggio così, tentando di cavalcare l’onda – o l’onta – finché dura e si prodiga per farla durare più a lungo possibile.
Una intera regione, la regione più importante dell’intero Mezzogiorno, ostaggio di un impanicato fobico che ha arrabattato la propria fortuna elettorale, con la resurrezione, vivaddio solo politica – o meglio – elettorale e che adesso impartisce e dispensa anche l’imprimatur. Urbi et orbi, secondo la sua volontà.
E con il (religioso) silenzio assenso di chi dovrebbe contrastarlo, dall’opposizione in Consiglio regionale, sino alla signorina Lamorgese che dovrebbe leggere gli atti che arrivano sulla sua scrivania. Sono degni di considerazione anche quelli, seppur non arrivino con i barconi, passando anche da mr. chiusura Speranza Robertino, scrittore per ripiego, ministro della salute, ma non sa manco lui il perché. o il come!
E chi se ne frega se il Garante della privacy in audizione al Parlamento ha detto che questa cosa della green card non si può fare, che è anticostituzionale in quel Paese, non più Nazione, dove finora si mangiava e si respirava Costituzione e che ora,”all’intrasatta”, diventa carta da cesso. Non più sicuro rifugio di quegli antifà da stra-pazzo che vedono ancora il Fascismo ovunque, ancora dopo un secolo, tranne che in quella Costituzione a loro tanto cara che contiene conquiste sociali e diritti del lavoro nati nel Ventennio. Eppure finora cuscino intonso per i loro utopici sogni.
Vicienzo continua a fare e a disfare a suo piacimento – duecentoquarantamila card di suo parto sono bloccate per il solito intoppo burocratico perché non si sa chi le debba distribuire…………. Ma continua a fare ‘o gallo ‘ngopp’ ‘a munnezza nel suo “regio lagno”. Quando invece, con una sana e responsabile opposizione, garantista di quel popolo che si sente continuamente colpevolizzato e la cui esistenza è finalizzata all’esclusivo raggiungimento dell’immunità di gregge, (sfiorando di diventare dei piecuri) , potrebbe inchiodarlo alla proprie responsabilità, anche pregresse.  Per dirla con una locuzione attuale e congeniale a lorsignori – per essere stato il principale distruttore della Sanità campana.
Carta canta… e in Campania se vuoi avere il semaforo verde devi tesserarti, omologarti, accettare i loro diktat in nome delle libertà (?) e della democrazia, garantita dal Pd e dai suoi rappresentanti che dettano usi e costumi della nuova Italia, del nuovo umanesimo, del trans-umanesimo che è nuova civiltà. Zan zan! Lo hanno detto chiaramente! E loro (il PD e i suoi cani al guinzaglio) sono candidati ad essere gli esclusivi forieri e gli unici diffusori del “nuovo” pensiero.  E sì  che tutto questo si sarebbe potuto risolvere con 15 euro in via Sant’Andrea delle Fratte…

https://www.camposud.it/2021/05/obbligatoria-in-campania-la-tessera-del-pd-delucadonossor-o-rre/

CAREBONARA (my)DAY!

Alla fine ci sono riusciti.
Prima le accuse/proposte da La Zanzara di sostituire la famiglia tradizionale con una famiglia omosessuale nelle pubblicità Barilla respinte – con tanto di polemica create ad hoc – dal “patron dei maccaroni”, poi le accuse della signora Laura Boldrini che si era scandalizzata perché, sempre in una pubblicità stavolta della Mulino Bianco, che non è altro che il tentativo della Barilla di non fallire del tutto quando fu costretta a vendere lo stabilimento, si vedeva una mamma mettere in tavola la colazione e alle quali Guido Barilla non ha nemmeno replicato. Sarebbe stato davvero difficile farlo tanto è enorme la boldrinata, tanto da essere stata colta in fallo (sperando non si offenda): proprio lei che dai suoi inservienti, così trattava le colf, sfruttate e sottopagate, si faceva addirittura prenotare il parrucchiere perché è una donna sola: cioè dovrebbe avere più tempo per lei o se avesse avuto un kompagno avrebbe dovuto farlo lui?
Adesso anche Barilla è stata costretta ad un’artistica abiura del proprio pensiero in una giornata di quelle “internazionali di” che non servono ad un emerito caspita.
Se dico 6 aprile a me viene in mente  la terribile scossa di terremoto che ha devastato L’Aquila e l’Abruzzo e i tanti, tantissimi, troppi “terremotati” dimenticati, resuscitati solo alla vigilia di qualche campagna elettorale e buoni per le fesserie delle promesse e a racimolare qualche consenso. Poi ho scoperto che il 6 aprile si festeggia/si commemora/ si ricorda/si dedica insomma è il “Carebonara”. Il giorno degli spaghetti alla carbonara. Proprio quest’anno che (ancora) non sai delle condizioni dei terremotati de L’Aquila o dei tanti ristoratori, cuochi, chef, camerieri e dell’indotto che ci gira intorno, loro girano un cortometraggio, una pubblicità di 9 minuti con tanto di attore di grido e utilizzando, difficile a farlo diversamente, una eccellenza italiana: la pasta. Chiaramente lo fanno con un tema di guerra, la II mondiale. Manco a dirlo lo fanno con gli Americani, anzi con i soldiers americani di colore. Quale, inutile dirlo. Lo fanno apparendo buoni, manco a dirlo: donano la razione K, ovvero uova in polvere e bacon, dalla cui scatol(ett)a il genio italico ci tira fuori gli spaghetti alla carbonara! Cosa importa se tutti noi sappiamo che la carbonara è nata in Romagna, terra rossa e da dimenticare, soprattutto se riferita alla II guerra mondiale, a Riccione e da lì poi esportata a Roma, scenario perfetto per lo spot!
Chi se ne fotte se lo spot mostra soldati che, alla loro prima volta, attorcigliano spaghetti come se fossero Italiani rodati e consumati, quando da Bologna in su gli spaghetti li “arrotolano” con l’ausilio del cucchiaio, fino ad arrivare a quelli che li tagliano e sui quali mi verrebbe da chiedere veramente le prove da superare per il rilascio della carta di identità!
Chi se ne frega se la storia è stata (ancora una volta) riadattata, riscritta, aggarbata all’uopo e allo scopo: ciò che occorre, che è utile, che è cosa buona e giusta è che passi il messaggio che i popoli vanno uniti, che le differenze, anche culinarie,  non esistono e che, se si amalgama tutto, che se al posto del guanciale o della pancetta, diatriba tipica e topica, può andarci bene anche il bacon. Magari affumicato. Giusto per buttare fumo negli occhi e vendercele per lacrime di commozione. Tanto poi Barilla chiarirà: non è un documentario! Ma i surrogati non sono mai eccellenza, primizia e qualità, rischiano di compromettere i sapori. Quelli veri e autentici. Della tradizione.
I “formati” fassisiti come abissine e tripoline sono già state messe al bando: a quando la battaglia per boicottare la pasta perché fatta di grano che ricorda un’altra famosa “battaglia” di ben altro sapore e che evoca ben altre immagini e magari propinarci la pasta fatta con la paglia e col fieno da dare in pasto a questi acefali ruminanti come tante bestie al macello?

IL MIGLIOR MODO DI “GIUSTIZIARE” NAPOLI!

“Occorre sbarazzarsi del cattivo gusto di voler andare d’accordo con tutti.​ Le cose​ grandi​ ai​ grandi, gli abissi​ ai​ profondi, le finezze​ ai​ sottili e le rarità​ ai rari”. Chissà se cent’anni dopo, Nietzsche avrebbe scritto, al di là del bene e del male, ancora queste parole. Eppure, cent’anni dopo, queste parole sono più che mai valide. Proprio oggi che viviamo una crisi sanitaria mondiale, ma le “cure” sono rappresentate da provvedimenti economici; oggi che in piena pandemia è stato riconfermato al Ministero della Sanità un signore che nemmeno è medico; oggi che in pasto al volgare popolino, trattato sempre più da popolo bue, si danno le opinioni e i consigli di una veterinaria; oggi che chi non ha mai lavorato diventa ministro del lavoro e dello sviluppo economico e poi, come se non fosse già abbastanza, siede alla Farnesina conoscendo poco e male persino la propria lingua madre. Madre che questa lingua la insegnava. Agli altri.
Ma finché c’è speranza… si potrà sempre attingere dal mondo della giustizia.
Che è, forse, stando ai processi ed i “precessi”, il modo migliore per giustiziare Napoli.
Non è bastata la decennale disastrosa gestione della giunta pluri-rimpastata de Magistris, non è bastato guadagnarsi la fama di peggiore giunta che abbia mai governato Napoli, che ecco che ci riprovano: si attinge ancora dal calderone della Giustizia per estrapolare il nome del candidato ad essere il nuovo Sindaco di Napoli. Che poi tanto nuovo non è. Catello Maresca, infatti, risulta essere un nome già “riciclato” pur non essendo mai stato di fatto candidato. Nel lungo, breve e medio periodo. La “carriera” politica del magistrato iniziò anni fa candidandosi alle comunali dell’hinterland napoletano, espressione sinistra di una coalizione di liste civiche, fino ad arrivare ad essere l’anti-De Luca all’ultima tornata elettorale. Progetto poi abbandonato. L’occasione si ripresenta alla tornata elettorale immediatamente successiva e con le dovute differenze: questa volta, però, si corre per Palazzo San Giacomo, il Magistrato non sarà più il nome da opporre a De Luca col quale si è già intrapresa la “massima collaborazione istituzionale” (parole dello stesso Maresca).
Dichiarazione che ha fatto storcere il naso di quelli che De Luca non l’hanno votato e che adesso, per convergere sul PM anticamorra, sarebbero costretti persino all’abiura dei propri simboli!
Dunque, si potrebbe avere un candidato di una certa sinistra che si candida con e per il centrodestra il quale, però, dovrà rinunciare ai propri simboli in nome di una coalizione civica! Eccetto Fratelli d’Italia che lo sosteneva alla Regione ma che lo ha scaricato al Comune a vantaggio di Sergio Rastrelli, figlio dell’inarrivabile Antonio e conosciuto, almeno in politica, soprattutto perché “figlio d’arte”.
Queste sono le premesse, molto chiare e ben poco identitarie, da barattare per ottenere il nome del magistrato napoletano. E il programma? Cosa intende fare Maresca per rifondare Napoli dopo questo decennio penoso su ogni fronte?
Maresca, che ha subito e bene appreso il politichese spicciolo, non conferma né smentisce l’ipotesi candidatura, ma intanto tesse i rapporti con l’inquilino di Palazzo Santa Lucia e incontra le associazioni di categoria. Ma il nome è forse più importante del programma? È davvero strategico siffatto nome al punto da rinunciare a metterci la faccia, pur di metterci (solo) la matita?
Perché, dopo questo decennio che – finalmente! – andiamo a chiudere, si ripropone ancora una volta un magistrato?
È vero che ognuno di noi è unico e irripetibile – almeno nella validità filosofica della locuzione – ma Catello Maresca viene presentato come il pm anticamorra, come il giudice Maresca quindi con accezione alla categoria. Ancora un magistrato in politica, dunque? È ancora una garanzia un magistrato impegnato in politica? Proprio a Napoli? Dopo de Magistris? Dopo dieci anni di de Magistris? Dopo Di Pietro e Ingroia? Dopo Nitto Palma e Pietro Grasso? Dopo Felice Casson e Marta Cartabia? Dopo Palamara e nel momento del massimo sputtanamento per certa magistratura? Ma basta con i magistrati in politica! Che già fanno politica e abbastanza pure che arrivano persino a legiferare in nome e per conto del Parlamento, sempre più esautorato dall’esercizio dalle proprie funzioni. L’appartenenza alla magistratura può rappresentare, dunque, un valore aggiunto? Eppure, Maresca nel suo campo il valore lo ha dimostrato arrivando a dirigere le operazioni per la cattura del boss di camorra Michele Zagaria, ha rappresentato l’accusa nel processo contro Giuseppe Setola, è passato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli sino a diventare sostituto procuratore del capoluogo partenopeo. Ha all’attivo anche un processo verso quella Destra sociale napoletana che, forse, conviene non ricordare. Basta conoscere una piaga della città per poterla governare? Napoli non è solo camorra e non è solo la camorra il problema di Napoli! Napoli è la terza città più importante d’Italia e la prima dell’intero Meridione. Questa, ma non solo, è la via!
Un percorso – quello catelliano – che sembra ricordare quello di un altro togato, tale Raffale Cantone, amico di tanti e benvoluto da tutti, colui che pare “passasse” le veline grazie alle quali è stato costruito il personaggio di Roberto Saviano con tutto il conseguente “sputtanapoli”. Colui che sputa nel piatto dove mangia, che scappa dal luogo che (non) ama e che lo sfama, ma che non concorre ad aiutarlo, a curarlo, a cambiarlo. Troppo facile così. Troppo comodo. Troppo inutile.
Un’altra Gomorra no, per carità!
Allora che ognuno faccia ciò che gli riesce meglio, non tutti possono fare tutto: questione di attitudini, di competenze, di capacità, di formazione, di percorsi. O non ci resterà che presentarci al seggio elettorale sciorinando libri, stavolta quello di Palamara!

https://www.camposud.it/2021/03/il-miglior-modo-di-giustiziare-napoli/

Giggì, attaccate ‘o tramm!!

Ebbene, le elezioni comunali slittino al prossimo autunno. Gigino de Magistris chiude (finalmente) la sua esperienza a palazzo San Giacomo e, come un commerciante qualunque di Napoli, come uno qualunque di tutta Italia in questo triste momento, mette in saldo la merce invenduta e procede allo svuota-tutto prima di chiudere i battenti!
Ultima trovata di Gigino ‘o bluff, ritardataria, quasi postuma e senz’altro inutile, è la messa in vendita di alcuni tram storici che circolavano a Napoli già prima della II Guerra Mondiale.
Si tratta dei vecchi modelli CT139K, visibilissimi in numerose cartoline e praticamente in tutti i film ambientati negli anni ’30 e fino al dopoguerra, così diffusamente presenti da divenire parte integrante del paesaggio della città partenopea.
Mezzi con un’anzianità di servizio di oltre ottant’anni, 13 metri di lunghezza, 2 e mezzo di altezza, peso superiore alle dieci tonnellate, attualmente custoditi nel deposito ANM di San Giovanni a Teduccio, in attesa di venderli. O meglio di svenderli.
Ogni mezzo antico, infatti, sarà ceduto a circa tremila euro, più le spese di ritiro. Non un’asta e nemmeno una offerta al migliore acquirente.
Neppure una mossa della disperazione del Sindaco dal bilancio folle, “miracolosamente” approvato, tanto da pensare che da Sindaco con la bandana in testa sia diventato il Sindaco co’ le pezze ‘n fronte.
Ma questa vendita non ha certo il sapore della mossa della disperazione: non si vuol trarre profitto, non si vogliono rimpinguare le casse comunali – non sarebbe nemmeno una goccia nell’oceano – ma si deve solo (s)vendere.
Chissà che non esista già anche un fantomatico acquirente che si paleserà il 19 marzo, ultima data utile per l’acquisto degli storici reperti.
Eppure Napoli vanta lo storico museo di Pietrarsa cui si potrebbero affidare gli ancora funzionanti tram napoletani. Saprebbero certo come utilizzarli al meglio per finalità turistiche o solo didattico-divulgative. Ma si potrebbero valorizzare in mille altri modi, se solo si volesse:  adibirli a ristoranti, così come accade in altre città europee come Praga; farne una linea dedicata ai turisti come accade nella non lontana Milano; fittarli per la pubblicità itinerante; venderli come ha fatto Torino (a New York), ma di certo non svenderli come ha “pensato” di fare l’attuale amministrazione, pur di toglierseli dal groppone.
Idea che non ha trovato terreno fertile nemmeno nel numero uno di ANM Nino Simeone che, anzi, non ha nascosto la propria soddisfazione nel liberarsi dell’incomodo! E questo la dice lunga sulla lungimiranza e la qualità manageriale degli uomini scelti dal Sindaco per guidare le sue partecipate!! Anziché puntare sulla valorizzazione del nostro patrimonio che rappresenta una importante parte della memoria storica cittadina, si pensa a far cassa con quattro spiccioli. Ma tant’é !! Senza vergogna. Senza pudore.
E invece si continua a far male a questa città, a pugnalarla ulteriormente, a stravolgerla e distruggerla tanto da renderla irriconoscibile. Ulteriormente. Infierire fino all’ultimo. Oltre l’utile. Oltre tutto.
Chissà quale strano progetto serba, se serba,  il peggior Sindaco che Napoli abbia mai avuto!   Non ci stupirebbe se alla base dei suoi pensieri ci sia solo il disinteresse più totale per la città e i suoi abitanti! D’altronde Gigino ha già la mente in Calabria per cui Napoli può letteralmente cadere a pezzi: dalle strade alle infrastrutture, dai progetti ai rappresentanti istituzionali. Non ci resta che fare appello al buonsenso dei cittadini e sperare che la (s)vendita dei tram vada deserta.  O che nessuno sappia cosa fare di un vecchio tram in disuso e impolverato. Pur se, al contrario, può essere certamente una occasione ghiotta e fantasiosa per il rilancio turistico cittadino.
Ma, a pensarci bene,  uno dei tram in vendita, e magari solo uno,  Gigino potrebbe acquistarlo proprio per la sua campagna elettorale calabrese. E se malauguratamente per lui, ma per fortuna dei calabresi, dovesse andar male la consultazione elettorale, potrebbe pur sempre …………..  attaccarsi al tram!!!

https://www.camposud.it/2021/03/4907/

ISOLATA LA VARIANTE CAMPANA : SI CHIAMA DE LUC(R)A, MA PARE ESSERE POCO ATTIVA !

Ed eccoci di nuovo qua, cioè al punto di partenza. Ci risiamo: si chiude! Di nuovo! CAMPANIA ZONA ROSSA. Mobilità ridotta, pance vuote, bocche asciutte, fiato trattenuto, vita sospesa, uomo annullato.
Il bollettino incriminato parla chiaro: su 25327 tamponi effettuati sono 2842 i positivi di cui 215 sono gli asintomatici (non gli ospedalizzati), pari all’11,2 %. Su 5802000 abitanti, i morti sono 13 ovvero lo 0,22%. Questi sono i numeri della morte, snocciolati quotidianamente a mo’ di rosario. Gonfiati o no, sono quelli con i quali si tenta di ammazzare una regione già agonizzante, come del resto tutte le “omologhe” facenti parti di questa Nazione proiettata sempre più verso quelli che furono gli stati preunitari, perché a guardare l’indice RT campano si assiste addirittura ad una flessione (da mettere all’indice perché da zona gialla): da 1,4 a 0,9.
Mica si può dire che la gente è stata responsabile, responsabilmente è uscita e si è comportata in maniera consapevole determinando, così, una condotta certificata dai numeri? La colpa è della gente che è andata sul lungomare a respirare! E cosa importa se in Irpinia – dove si registrano più contagi che a Napoli – o nel Sannio – dove il reparto Covid pare essere nientemeno chiuso per mancanza di clienti, ops… pazienti – non c’è il mare: lì la gente ha avuto l’ardire di andare al ristorante per godere delle eccellenze gastronomiche locali e, di contro, le “vittime” hanno osato esercitare un diritto su cui si fonda questa demokratica repubblica che è quello di lavorare, ragion per cui questa “gentaglia” è colpevole e va punita!
Dunque, nell’intera regione più importante del Mezzogiorno d’Italia, contro il “vairus” sembrano non funzionare più nemmeno le strategie da sceriffo del governatore De Luca, scaricato prima e riciclato poi persino dal suo (?) partito e votato in maniera plebiscitaria da quelli che ieri ridevano alle sue macchiette da baraccone di terz’ordine e oggi osannano le chiusure a iosa, invocano il lockdown incondizionato e, mai ebbri, continuano a rendersi partecipi di sporchi e pericolosi giochi (e gioghi) di palazzo.
E, nel tentativo di indurre in riflessione, guai a dire che se siamo di nuovo a questo punto, ovvero alla situazione di partenza che è voce del verbo “non abbiamo risolto niente” – il che, dopo un anno e più, è più che grave – è perché le strategie da sceriffo, le minacce dell’Impanicato, il lanciafiamme, l’odio verso chi è solo colpevole di lavorare, di vivere o di portare a pisciare il cane non sono servite a nulla, se non a incartare promesse elettorali farcite da demagogia da (ri)elezione cui è ormai ridotta questa putrefacente e incartapecorita politica nostrana, sempre più cappio e tagliola per tutti.
Siamo seri: la zona rossa di oggi è diretta discendente dell’immobilismo e persino dell’incapacità di ieri, di ieri l’altro ed è solfa vecchia di dieci anni. Della decennale fame mai doma, dell’ingordigia… virale.
E vergognosamente (per noi), seppur senza vergogna da parte loro, non si dà ora né ancora conto dei moduli Covid arrivati in nottata, con tanto di parata in pompa magna, su camion dell’Esercito, in perfetto stile (e conseguente crisi di inferiorità) “bare di Bergamo”, per la regia di quel Generale oggi sostituto del supercommissario con poteri speciali Domenico Arcuri; non si dà conto della condizione in cui versano detti moduli Covid; del motivo per cui sono stati inaugurati più volte e non sono entrati in funzione mai; dei ventilatori d’importazione che non si sono mai potuti utilizzare per la mancata traduzione del libretto d’istruzioni; delle strategie per il contenimento che vanno dai diktat al lanciafiamme, dalle denigrazioni pure agli infanti sino alle privazioni per tutti; dei posti letto, o meglio, della dichiarazione dei posti letto in terapia intensiva aumentati, raddoppiati, decuplicati che manco l’Italia intera!
È solo uno sporco (e vano) tentativo di nascondere il lerciume sotto al tappeto, ma che continua a rimanere in casa.
Dunque, il pericolo si incontra nelle scuole le cui aperture sono appannaggio del Ministero, dei Presidi e dei Sindaci, ma non nel tragitto che per arrivare ad essa si compie: per cui meglio chiudere la scuola se non si è fatto nulla per potenziare o organizzare il trasporto pubblico locale dove si viaggia come carri bestiame. Archiviato come complottismo, manco a dirlo, ogni tentativo di interrogarsi sui motivi per cui, con scuole chiuse a vantaggio del surrogato deno-minato DAD, non si è lavorato già un anno fa sul “nuovo modo di viaggiare”: nome altisonante buono da sfruttare per la propaganda elettorale in cui il Governat(t)ore ha profuso ogni sforzo. Meglio chiudere i negozi oramai vuoti che espongono ormai inutilmente le raccomandazioni istituzionali di distanziarsi, igienizzarsi e di isolarsi. La beffa che si aggiunge al danno. Un santo(ne) protettore capace di miracoli come quello di moltiplicare le dosi di vaccino arrivate in Campania, terra franca grazie a Lui, in maniera non equa rispetto al resto di quell’Italia che ora conviene considerare una Nazione e vaccinare il 135% di quanto è possibile. Come? Ripartendo in sei la dose che era per cinque. E se lo dice lui che è commissario straordinario alla San(t)ità…
Ora che la gente (anche grazie a Dio e non a Lui!) non muore più, in qualche modo bisogna (de) “lucrare” e il principio cardine, come da manuale, sembra essere quello di indire la zona rossa che significa proventi, risorse, guadagno, soldi (altro che ristoro!), ma non certo per la plebaglia. E De Luca stavolta la standing ovation se la merita tutta: regione rossa prima della (sempre invisa) Lombardia che sta, purtroppo, messa peggio di noi, unica regione d’Italia in zona rossa. Almeno all’atto della proclamazione.
Insomma, si continua a scappare da un virus, ad evitarlo anziché curarlo. Forse, non conviene.
Rilevata, dunque, la variante campana: prendere tempo per perdere tempo, cambiare tutto affinché nulla cambi, ha da passà ‘a nuttata insomma.
Allora chiudiamo per salvare il Natale, chiudiamo per salvare il Carnevale, chiudiamo per salvare la Pasqua, chiudiamo per salvare l’estate, chiudiamo per salvare di nuovo il Natale, chiudiamo per salvare di nuovo il Carnevale, chiudiamo per salvare di nuovo la Pasqua, chiudiamo per salvare di nuovo l’estate, chiudiamo per salvare il prossimo anno, chiudiamo per salvare il prossimo decennio, chiudiamo fin quando non ci sarà più nulla da chiudere, più nulla da salvare.

https://www.camposud.it/2021/03/isolata-la-variante-campana-si-chiama-de-lucra-ma-pare-essere-poco-attiva/