Sulla strage di Capaci (non) abbiamo scoperto l’America

Roma, 23 mag – Solita corona di fiori, retorica fiera delle belle parole, nave della legalità. Mica della giustizia. Anche quest’anno è stato approntata la commemorazione della strage di Capaci, dove persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie, giudice anche lei, Francesca Morvillo e tre agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montonato, che furono feriti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza. Oltre ad un’altra ventina di anonimi rimasti tali che passavano disgraziatamente per lo svincolo di Capaci. Come ogni anno, anche quest’anno tutto è stato curato per il ricordo, per un’altra puntata farsa di quella commedia che si ripete ormai da trent’anni.

Strage di Capaci, quello che ancora non è stato chiarito

Un canovaccio hollywoodiano su cui imbastire una narrazione per tanti anni ancora, tanto… non si recita certo a soggetto, volendo farsi beffa di un altro illustre siciliano. Che parlava, giustappunto, di maschere e di volti. Una sceneggiatura che pullula di elementi vuoti in numero pari alle cicche di sigarette che fumi quando sei nervoso. Un intreccio buono da dare in pasto all’opinione pubblica e ad una magistratura inquirente, ma che non indaga. O almeno, non come dovrebbe. Il brutto e il cattivo contro cui la gente può divertirsi e accanirsi. ‘O verru – il porco – o lo scannacristiani, come è stato definito, per la sua ferocia con cui era solito ammazzare le persone. Uno capace di uccidere anche a mani nude. Uno che è stato definito sostanzialmente un “picuraro”, anzi, una pecora – per come eseguiva gli ordini – in mezzo a tanti pecorari, senza offesa per nessuno. Che si è intestato centinaia di omicidi, da quello del piccolo Di Matteo sciolto nell’acido sino a quello del giudice Chinnici, quando aveva già adoperato l’autobomba. “Più di cento, ma meno di duecento”, così tanti da non ricordare tutti i nomi. Ma tutti con dovizia di particolari. Come le cicche che l’FBI ha analizzato – fatte trovare? – e su cui ci sono le tracce di Brusca. Un pecuraru capace di fare saltare in aria un uomo dello Stato, uno che conoscevano anche – e forse soprattutto – all’estero, visto che giornali del calibro del New York Times aprivano parlando di lui, ma che lascia le cicche a terra. Uno che è uno scannacristiani che ha sciolto, sezionato e dato in pasto a maiali e familiari un bambino di 12 anni e che è nervoso per premere un telecomando. Sempre che un pecuraru sappia come usarlo un telecomando. O che i telecomandi non siano due. E un secondo telecomando sarebbe stato azionato da altrettanti pecurariPecurari in grado di progettare, architettare un simile attentato al cuore dello stato? In grado anche di calcolare la curva della carica cava come un perito di esplosivostica? Dieci centimetri più giù e la Croma bianca si sarebbe alzata in aria senza che succedesse nulla. Se Falcone fosse stato sul sediolino posteriore – lì dove avrebbe dovuto essere – si sarebbe addirittura salvato, come si è salvato il suo autista. Al suo posto.

Cosa Nostra aveva al suo interno una simile intelligence “militare”, visto che anche la maggior parte delle deposizioni sono state lasciate nemmeno in lingua italiana?
Abbandonando un poco il copione ufficiale – che altri hanno provveduto a scrivere per noi – potremmo chiederci se l’elemento su cui riflettere sia davvero la badilata di tritolo, la dinamica esplosiva, di chi fosse il ditino che ha pigiato il bottoncino o è utile – per le indagini, per la verità, per la giustizia (di cui, però, manca la nave) – su chi abbia avvisato chi che Giovanni Falcone aveva appena lasciato il ministero di Grazia e Giustizia ed era diretto all’aeroporto di Ciampino, da dove si sarebbe imbarcato su un volo privato con destinazione Punta Raisi, aeroporto intitolato a lui e al suo amico Borsellino, altra beffa di stato. Quel volo, oltre ad essere privato, era riservato, dei servizi, volava in segreto e nessuno, oltre chiaramente ad apparati dello stato, sapeva, avrebbe dovuto sapere di quel volo: orario di partenza, di decollo, di atterraggio e chi trasportasse e dove.

Chi ha analizzato le intercettazioni telefoniche ha potuto notare delle telefonate in orari particolari, localizzazioni e destinazioni che destano più di un sospetto. Un numero 0337, clonato, effettua delle chiamate in America, nel Minnesota da dove non si è mai saputo chi abbia risposto. Il perché, forse, sì. L’autore – Antonino Gioè – è misteriosamente morto in carcere. E il mistero che aleggia sulla sua morte è solo frutto delle stesse indagini. Della lettera che il giudice Signorino, invece, scrisse prima della sua morte nemmeno se ne sente parlare. Si sente parlare di Ingroia, che, mentre Borsellino gli diceva del tritolo arrivato in Sicilia per lui, Ingroia parlava delle ferie imminenti. Si parla di un altro magistrato-giustiziere, made in Usa, Andonio Di Pietro e la Tangentopoli che spazzò via una intera classe dirigente. Con la fine della cosiddetta prima repubblica, ci propinarono Giuliano Amato a Palazzo Chigi, un uomo metà politico e metà tecnico, solo una presidenza transitoria per aprire la strada al primo banchiere di nome Carlo Azeglio Ciampi. Solo pochi giorni dopo, il 2 giugno, fecero la festa alla repubblica a Civitavecchia sul panfilo inglese Britannia, dove iniziò la svendita del patrimonio italiano. Sempre nello stesso anno il magnate “filantropo” Giorgio Soros partecipò alla vendita della Lira speculando contro la Banca d’Italia. La lira perse oltre il 30% del suo valore e ne conseguì l’uscita dal Sistema Monetario Europeo.

Chi ha sconfitto la mafia e chi l’ha riportata in Italia

Ma l’emergenza era un’altra ed era costituita dai “naziskin”, con casi montati ad arte, con i talk che iniziavano a nascere per preparare la gente ad ing(r)oiare il primo reato d’opinione, la legge Mancino. Così facendo la stessa gente non ha mai chiesto alla tivvù, perché è stata messa in condizione di non chiedersi più, se la mafia potesse architettare il congegno, l’organizzazione, la predisposizione, lo studio, la scelta, il momento, il perché di una strage come quella di Capaci, come quella di via D’Amelio.

Il (de)corso creato in quel lontano 1992 oggi è visibile a tutti, dall’euro fino ai vari (tentativi di) bavagli e di un movimento innominabile sui social, ma l’unico a scendere in piazza e che ha voluto solo esprimere il dissenso contro i vari governi antitaliani che – guarda caso – ha ritrovato dopo 24 anni quegli stessi uomini che, mentre Falcone saltava in aria, salpavano sul Britannia. Quel movimento – non elettorale – che è l’erede di tale Cesare Mori che debellò il fenomeno mafioso in Sicilia e che fu richiamato per entrare nei ranghi dello Stato che, gramscianamente, è potere anche se non è governo. Quella mafia riapparsa, guarda caso, nuovamente sul finire della guerra, nel 1943, insieme ai “liberatori alleati”.

 

Sulla strage di Capaci (non) abbiamo scoperto l’Americaultima modifica: 2023-05-23T06:50:10+02:00da tony.fabrizio

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