AZOV È ACCIAIO

Prima le donne e i bambini. E tra i primi ad essere rilasciati c’è lei, Cateryna Poliskcuck, professione medico, nome di battaglia “Uccellino”, così ribattezzata grazie alle sue doti canore con le quali ha allietato le notti all’Azovstall.
Con lei, come lei torna libero Mykhailo Vershyn, capo della polizia di pattuglia di Mariupol. E anche il fotografo “Eyes of Azovstal” Dmytro Kozatsky. Insieme con “Chimico”, “Docente” e “Hassan”. Ci sono anche “Frost” e “Fox” di cui si scriveva fossero stati condannati al plotone d’esecuzione.
E non mancano i loro comandanti Denis “Redis” Prokopenko e Svyatoslav “Kalina” Palamar. Sono liberi. Come il maggiore Bodhan “Tavr” Krotevych. E pure il più giovane, il nemmeno ventenne Alexander Igorovitch.
Azov sta tornando a casa!
Non per stare sul divano o davanti alla tivvù a godersi lo spensierato riposo. Per gente come questa “casa” è l’Ucraina, casa è la loro terra martoriata e le loro abitazioni distrutte. Casa è quella battaglia da continuare per difendersi ancora. Per difendere la loro gente, il loro popolo, la loro Identità.
Il comandante Denis Prokopenko al riguardo ha fatto sapere che stanno bene, sono in uno stato d’animo combattivo e sono persino desiderosi di tornare a combattere. A dimostrazione che Azov è acciaio per davvero e che le loro battaglie in nome della difesa di Identità e Tradizione sono cucite tra pelle e animo, tra tatuaggi e mimetica da combattimento. Sono ragioni di vita, per continuare a vivere per davvero. Che è anche morire, per vivere in eterno.
Dei duecentoquindici difensori dell’Ucraina, duecento sono stati scambiati direttamente con Viktor Medvedchuc, l’oligarca amico di Putin. Nello scambio di duecento a uno sono stati inseriti praticamente tutti gli ufficiali del reggimento Azov. Questo conferma il valore degli oligarchi nel sistema russo. Un sistema di oligarchi, dunque, altro che sistema di popolo! Questo può indurci facilmente ad una seconda conclusione, seppur ovvia e scontata: il Cremlino fin da subito aveva dichiarato che non avrebbe mai accettato uno scambio Medvedchuc-Azov: evidentemente non è andata così. E non è la sola cosa che non è andata come pianificato dal fine giocatore di scacchi per questa – a questo punto – (solo) “sua” operazione speciale. Elevata a “mobilitazione militare parziale”, dove parziale non sta ad indicare certo il numero degli “arruolabili” sotto l’effige della rispolverata bandiera rossa con tanto di stella, falce e martello che nelle ore immediatamente successive al discorso dello zar ha fatto registrare il sold out dei voli in partenza dalla Grande Madre ed ingorghi automobilistici interminabili ai confini con la Georgia. Tutti civili quelli che fuggono? E, se è vero che la Russia può contare su un numero pressoché elevato tra riservisti e signori della guerra opportunamente addestrati – pare 300mila all’incirca – per quale motivo fuggono paradossalmente i “civili”, che non corrono il “pericolo” dell’arruolamento? Perché lasciano la propria terra f fare dove garrisce di nuovo la bandiera a strisce gialla e blu? E il consenso similplebiscitario dell’inquilino del Cremlino? Quel consenso che sembra essere ormai un problema anche tra storici alleati e nuovi padroni del regno dello zar, Pechino in primis. Ché, se il Dragone sta da una parte, è solo dalla propria parte. I musi gialli, infatti, si sono detti contrari non solo al prosieguo delle ostilità, ma finanche ai referendum nel Donbass e in Lugansk che avrebbero dovuto sancire la legittimità dell’operazione speciale, la russificazione, e, invece, si sta trasformando nella cartina tornasole del fallimento della strategia dello scolaretto revanscista del KGB. Che, poi, a dirla tutta, questa cosa delle elezioni pare tanto essere una replica di ciò che è già successo sotto regia yankee nel 2014 e oggi, magari inquinandone il risultato (scontato), non pare discostarsi da ciò che succede oltreoceano.
Le patrie galere sono ora libere di ospitare i (propri) renitenti alla leva, quei russi che sono scesi numerosi in piazza da Mosca a San Pietroburgo per protestare contro la mobilitazione ordinata dal Cremlino: la gente non ha voglia di guerra, ha voglia di vivere e non di morire, di andare via e godersi la vita sull’esempio degli oligarchi, non di perire per una idea non loro di rifondazione dell’unione sovietica. Forse, in questo la Russia è davvero “europea” nel peggior senso del termine, incapace di credere e di incarnare un’Idea ed è (anche) per questo che questa europa è incapace di riconoscere dignità e valore ai combattenti di Azov che non si sono tirati indietro difronte a chi ha minacciato la scomparsa della loro Identità. Di popolo e di Tradizione. Offrendo il più alto esempio di combattimento che si ricordi dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi. E, tocca ammetterlo, da apprezzare è addirittura il presidente-pupazzo Zelensky che ha tutte le colpe di questa guerra – che non è certo tra Russia e Ucraina – ma che è rimasto in Patria. Dove, forse, sarebbe dovuto rimanere Putin che ormai inanella continui passi falsi che si traducono in un bilancio tutt’altro che positivo: crescente rifiuto di combattere una guerra che i russi non vogliono – che significa anche un calo vertiginoso del consenso – rianimazione di un carro bestiame vecchio e senza motivo di esistere come la Nato con conseguente allargamento della stessa organizzazione; dimostrazione al mondo di arretratezza e incapacità dell’apparato bellico neosovietico – chissà cosa abbia appreso Putin dalle esercitazioni congiunte con la Nato e la sua richiesta di aderirvi -; implosione del CSTO e dell’area di influenza russa che certifica la potenza cinese con conseguente placet a fare razzia; conseguente isolamento diplomatico del Cremlino che si traduce in una già sudditanza cinese in primis, turca sicuramente e, forse, anche indiana; l’allontanamento, se non un definitivo addio, dei rapporti commerciali di Mosca con l’Europa – a vantaggio degli Usa che intavolano un nuovo piano Marshall – dopo (anche) la rottura dell’asse Mosca-Parigi-Berlino; crescente recessione economica russa che sarà costretta a svendere le proprie ricchezze, gas in primis a Cina e India su tutti che faranno da riserva per il Cremlino a prezzi stracciati; certificazione (e contributo) all’unipolarità del mondo a guida anglo-americana; ultimo il primo motivo dell’operazione speciale, quello della denazificazione che si è conclusa con la liberazione dei nazisti di Azov.
Per Putin e la Russia avrebbe dovuto essere lo sbocco al mare, ma qua tocca raccogliere il salvagente, seppur cinese, che Pe-chino ha lanciato allo zar, oltre che bisogna anche tenere presente che Kissinger ha cent’anni e non è eterno. A meno che non si scopra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che la Russia è solo l’altra faccia degli Usa. Allora potrà essere compreso anche Azov che è faccia pura, senza maschere né filtri. E che Putin, se non è complice, è proprio fesso. Che non so cosa sia peggio. C’è di vero, però, che gli Ucraini non sono i russi, che la loro Patria l’hanno resa grande contro una Grande Madre e che gli invasori stanno lasciando persino la propria terra d’origine. Per scelta e non per scelta, per convenienza e per continuare a vivere. Mentre gli aggrediti ritornano a casa, in quella casa mai abbandonata, più vivi che mai.

AZOV È ACCIAIOultima modifica: 2022-09-22T04:19:45+02:00da tony.fabrizio

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