Fenomenologia dellA LaurA BoldrinA

Laura BoldrinA nacque femmina. Con tutti gli attributi. Quelli di serie di cui si è pur avvalsa per lasciare una traccia di sé.

Ma andiamo con ordine.

Laura – nome oggetto della più retrograda medioevale espressione poetica maschilista del padre (aborro!) fondatore (trasecolo!) della Lingua (femminile!) italiana, precursore dell’Umanesimo, tal Cesco Petrarca che passò una intera esistenza a comporre prosa e versi per affermare sostanzialmente un solo concetto: “Dite a Laura che l’amo” – abita questo pianeta sovraffollato dal 28 aprile 1961.

Prima – perché donna – di cinque figli di una famiglia pseudopatriarcale – il papà era avvocato, ma la mamma insegnante d’arte – trascorre l’infanzia e la pubescenza nella bucolica cornice del paesino maceratese di Matelica che abbandonerà alla volta di Jesi, dove conseguirà il diploma di maturità classica. Inutile riportare il voto, consideriamolo pure un 6 politico.
Dopo un ventennio che era venuta alla luce, decide di andare a lavorare (termine d’altri tempi!) in una piantagione di riso in Venezuela. Magari, fosse stata al servizio del caporalato pugliese, i danni dell’aggreSSione solare sarebbero stati più contenuti.
La raccolta del riso, o magari la sua condizione (femminile) di figlia di papà, le donerà un’agiatezza economica tale che le consentirà di intraprendere un viaggio da nababbA alla scoperta del centro America passando per Panamà, Costa Rica, Nicaragua, Honduras, Guatemala, Messico e Stati Uniti, fino a New York.
Un Di Battista che c’è arrivata prima, in quanto donna.
Ma quanto cazzo si viene remunerati nella raccolta del riso seppur per pochi mesi?
“Folgorata” nella megalopoli della Grande Mela, decide di scindere in due l’anno solare e dedicare sei mesi allo studio e gli altri sei a viaggiare. Pur non dedicandosi nemmeno più alla raccolta del riso.
Dopo quattro anni, in realtà due, ovvero quattro semestri, se consideriamo le altre quattro metà dell’anno impiegate a viaggiare per il pianeta, si laur(e)a in Giurisprudenza presso La Sapienza di Roma. Chissà, se frequentando l’ateneo, si è mai interrogata sul suo stile architettonico e, se sì, chissà perché non ne ha mai chiesto l’abbattimento, esigendone le rovine come prova.
Intanto già si “interessava” di filantropia unendo la passione del giornalismo trasformandola in risorsa all’AISE, l’Agenzia Italiana Stampa e Emigrazione, poi impiegata alla Rai, ma non nelle risaie, e trova anche il tempo per convolare a nozze (vero!) col giornalista Luca Nicosia dalla cui unione (verissimo! Di maschio e femmina!) è di fatto nata l’erede unica Anastasia.
Luca l’inseminator, però, non è il compagno con cui lA LaurA si è accompagnata, almeno fino al 2015, ma si tratta del giornalista di Repubblica, The Guardian e The New York Times Vittorio Longhi di origine eritrea e parte in causa nell’operazione di regime change contro il Presidente Isaias Afewerki, giustificata dal solito pretesto occidentale dell’esportazione di democrazia e dei diritti con annessa demonizzazione del dittatore ostile ai piani dei poteri forti mondialisti per il tramite di padre Mussie Zerai, ricevuto alla Camera dei Deputati della Repubblica italiana quando la concupita del Longhi occupava lo scranno di terza carica dello stato, senza mai chiarire se si fosse trattato di conflitto di interesse, visto che l’organizzazione Progressi di Longhi ha come mission il fatto di “fare pressione sulle istituzioni” ed è inserita in un circuito chiaramente facente capo a George Soros, di cui conosciamo le ingerenze sui governi nazionali.
Ma LaurettA non ha certo tempo da perdere con queste quisquilie e pinzellacchere: sarà per questo che ha “dimenticato” di pagare la liquidazione alla sua colf che è sparita, pur se doveva ricevere i suoi soldi? O perché “i conteggi erano difficili a farsi che hanno richiesto tempo”, conti che non fa certo lei, visto che, essendo una donna sola, non si prenota nemmeno il parrucchiere, ma chiede di farlo alla sua assistente parlamentare che, però, dovrebbe fare altro e per cui alla lavoratrice non versa nessuna remunerazione aggiuntiva? Ma solo perché lei non sa di conti.
La LaurA, però, nonostante sia una donna tutta d’un pezzo, non disdegna di e-mulare e inginocchiarsi per un’uccisione di un afroamericano della solita Police-sceriffo, ma il suo naso è così lungo che non vede le nostre Desirèe Mariottini, drogata, stuprata ancora vergine in un tugurio occupato da spacciatori clandestini africani e poi ammazzata nel quartiere San Lorenzo a Roma e Pàmela Mastropietro anche lei drogata, stuprata, accoltellata, squartata mentre era ancora viva e messa in due valigie abbandonate sul ciglio della strada da Innocent Oshegale. Erano donne, ma forse troppo bianche. Nessun piegamento di ginocchia o chiusura di sinistro pugno per Ermanno Masino, Daniele Carella e Alessandro Carolè, uccisi a picconate dal Adam Kabobo perché “sentiva le voci”. E neppure per Stefano Leo, giovane lavoratore autoctono, ammazzato da un Said qualunque perché italiano e “per togliergli tutte le sue idee, il suo futuro, le promesse e l’amore dei genitori”. Nessun silenzio di otto minuti e passa rotto dal grido “Non riesco a respirare” per David Raggi ammazzato da Aziz che con un coccio di bottiglia gli ha tagliato la gola. Né per le vittime del terremoto de L’Aquila, né per i morti del Ponte Morandi che rovinarono il Ferragosto a CasalinA. Però, ha indossato i panni della Vesta del p.c., del politically correct e con la solita sinistra supponenza continua a voler dettare l’agenda del più becero globalismo capitalista. Secondo cui è una vergogna tutta bianca quel nostro mos maiorum che risponde al nome di Tradizione. Culturale e civilizzatrice. Secondo cui persino la Legge – che è già usata ad abusata a proprio USO & consumo, dovrebbe creare categorie “pro-tette” in base alle quali creare autentiche discriminazioni. Dell’Ideologia sottoposta al Diritto, della Giustizia al politically correct. Reati più gravi, se a subirli sono gay e trans cui va dato più spazio nella società, in tivvù, con giornate apposite e apposite leggi. Nonostante quelle già ci sono e in loro tutela. Ne servono altre. Di più. Diverse. Mentre nessuna tutela è riservata alla procreazione, ai figli, alla famiglia. Di eterosessuali. Agli eterosessuali. Che non sono tutti di sinistra. O meglio, non ci sono gay di destra. Maschi troppo maschi. Sarà per questo che alla giornata dedicata alla Repubblica non ha applaudito i Leoni della Folgore? Fasci troppo fasci? O perché per lei semplicemente l’Italia non esiste. E con lei gli italiani. Lei, da figlia del mondo, cosmopolita, zingara, considera l’Italia un corridoio globale, la Casa di accoglienza dell’Africa e del circondario. L’Islamismo con i suoi riti inaccettabili in casa nostra la preoccupa poco o niente rispetto all’islamofobia. La violenza dei centri sociali sarà equiparata a quella delle risorse importate. E azzerata. Vuoi mettere la violenza di un saluto romano ad una commemorazione per i caduti? Vuoi mettere la violenza delle conquiste sociali, di quello stato sociale vanificato e chiamato adesso welfare. O la violenza con cui è stata debellata la mafia. E l’elenco sarebbe ancora lungo, ma la BoldrinA è una donna che bada alle parole, mica ai fatti! Ecco che si spiega la sua personale (e solitaria) vandea contro i suffissi (ops… suffesse) di parole e aggettivi maschili. Insomma, che la lingua italiana non contempli il genere neutro, ma solo maschile e femminile, alla nipote matta di Matteotti non va proprio giù. E se ancora non ha dichiarato la messa al bando dell’Accademia della Crusca è forse perché sia sostantivo che aggettivo sono femminili.
Ieri l’ultima – solo in senso temporale – delusione: il Senato, l’altro braccio boldrinesko di questa inesistente repubblica ha sentenziato che nel linguaggio istituzionale – ufficiale per la compagna gauche caviar Cirinnàchevitadimerda – non è inclusa la partita di genere.
Che genere di parità!?! Magari quella che ha portato altri suoi omologhi, diversamente (da lei) illustri predecessori ad inabissarsi, dopo aver tolto il culo dalla cadrega della Camera? E non solo i predecessori, visto che il suo figlioccio di governo risponde al nome di tal Robertino Fico. Altro sinistrato, altro defecatore sul 2 giugno e sulla (di loro) Repubblica antifascista. Altro pugnochiusista ed ennesimo rigurgito postumo del sessantottismo. Magari la finiamo anche di non pagare colf e badanti. E di fare i bagni a mare a Castelporziano, circondati da Corazzieri costretti a guardar le chiappe bianche alla PresidentA. Nemmeno Capalbio. Nemmeno lì sare(s)te tutti liberi e uguali.

Fenomenologia dellA LaurA BoldrinAultima modifica: 2022-07-28T15:24:01+02:00da tony.fabrizio

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