I FUTURI MERCENARI

È ancora fresco l’inchiostro con cui Vladimiro Putin ha firmato – rendendolo già operativo – il decreto che dà di fatto avvio alla russificazione.

Fresco come il sangue dei combattenti a Charkiv, a Irpin, a Mariupol. Nell’Ucraina da denazificare che, adesso diventa da russificare, dopo averla razziata – nulla c’entra il termine con “razza” che richiama Norimberga – che è un processo farsa per come si è svolto – né tantomeno il famoso Manifesto che probabilmente nessuno si è preso la briga di leggere, nemmeno di iniziare a leggere, tanto che già l’art. 1 recita “Le razze umane esistono. La esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti di milioni di uomini simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi”. Dunque, che che ne dicano l’anpi, i buonisti e tutta la pseudo-intellighenzia da salotto, non dice che una razza è superiore ad un’altra – ora è tempo di passare alla fase 2 dell'”operazione speciale”.
L’editto emanato – tecnicamente uzaka, è la Provda che lo dice – è un capolavoro di dettato giuridico, a partire dal giuramento, con tanto di formula ufficiale: “Mi impegno a essere fedele alla Russia, a compiere scrupolosamente il mio dovere civico e a sostenere i miei obblighi in accordo con la Costituzione e le leggi della Federazione russa”.
Dunque, un “do ut des”, come a dire “io ti do la cittadinanza facile e tu mi dai la fedeltà”. E la vita.
Cosa c’è di tanto terribile in quest’ultimo atto d’amore dell’ex agente segreto divenuto Presidente e zarista in fieri? Che tutto quanto concepito dalla mente del fine giocatore di scacchi riguarda i bambini! Solo i bambini. Quelli che le bombe altrui hanno reso orfani. Quelli che probabilmente hanno avuto il padre in trincea e la mamma stuprata, alla quale hanno portato via i figli. Magari prima che morisse. Quei bambini – oltre 4000 – che non si sa che fine abbiano fatto quando da Azovstall’ partivano i famigerati pullman che non sono mai giunti al punto di destinazione concordato.
Ebbene, “l’ultimo baluardo della cristianità” ha compiuto quest’ulteriore opera buona e ha semplificato – per gli orfani potranno giurare persino i responsabili dei ricoveri che li ospitano – la procedura di adozione a vantaggio delle famiglie russe che potranno (o dovranno?), così, adottare i bambini, orfani e no, ma i bambini, una volta diventati uomini (e donne?) dovranno assolvere a ciò che la Grande Madre Russia chiede loro, compreso imbracciare un fucile e andare al fronte per servire la Patria. Che non è la loro.
Merce umana importata, altro che ius sanguinis! O forse no, visto che per Putin l’Ucraina non esiste, che è Russia a tutti gli effetti e, in base a questa sua cartina geografica, non ha nemmeno invaso.
Merce umana che dovrà rimpiazzare le gravi perdite subite in Ucraina. Merce umana che si va a prelevare altrove per importarla e sostituire quella esistente, secondo un piano ben collaudato che dovrebbe ricordare un odiatissimo nemico ai tanti figli di Putin nostrani.
Ma d’altronde in Russia – così come in Ucraina – non è vietato nemmeno affittare un utero, perché mai si dovrebbe vietare questo tornaconto personale? Quasi una necessità. Un male neccessario.
Dunque, come non si può volere denazificare un Redis, al secolo Denis Prokopenko, che, mentre studiava filologia germanica e si laureava in lingue e letterature straniere, non ha mai smesso di concepire la sua avversione alla Russia come una questione personale: quasi tutta la sua famiglia, originaria della Carelia – oggi repubblica della Federazione russa al confine con la Finlandia – fu sterminata dall’Armata rossa nella guerra del 1939, quando il territorio passò da Helsinki all’Unione Sovietica.
Certo, fa paura che a 30 anni e fresco di studi, quando il mondo è tuo e si dovrebbe solo andare in giro per locali, ti cuci la patch della Carelia sull’avambraccio e tenti di rendere giustizia ai tuoi avi. E agli sconosciuti come loro.
Anche Denis è in Russia, ma Putin si è guardato bene dal mostrare il trofeo di guerra, il simbolo della denazificazione, della sua famigerata e celebrata vittoria con le manette ai polsi. Così come al posto dei laboratori segreti, dove tutti giocavano al piccolo chimico nei cunicoli segreti dell’acciaieria, ha trovato solo quasi 3000 tonnellate di acciaio da razziare. E ha razziato! Ma le prove dell’esistenza dei laboratori le porta all’Onu. Che è americano e corrotto nonché parte integrante di quell’apparato criminale che (i figli di) Putin dicono/dice di avversare.
Che poi è ciò che i gementi e piangenti figli di Putin hanno già vissuto con il loro eroe già dimenticato, tale Puzer Stefano, di professione portuale, incarnazione di infinite identità del metaverso e, manco a dirlo, uomo di Putin – come lo era Salvini. E Draghi – quando fu mandato a comprare il sale da un palazzo all’altro, poverello.
Il copione si ripete, sempre uguale, ma tanti – ormai troppi – ancora una volta si prestano a questa recita a soggetto. Ad essere spettatori. Secondo le voci fuori campo della contro(in)formazione – che va unicamente contro il bene dei tanti seguaci fondamentalisti – riducendo tutto a tifo, a piaggeria, a partigianeria.
Non è per me una vittoria riportare una simile bestialità neo-bolscevica, in tanti interpreteranno la fonte, si appelleranno alla traduzione della lingua, dovranno incipriare tutto per fare apparire, non essere, tutto bello e buono. Persino buonista. Finanche (auto)illudendosi. Per continuare a credere senza capire. A tifare. Quando mai in una guerra si tifa? La guerra che doveva portare alla denazificazione da parte di Putin e che i suoi seguaci dal divano hanno condotto contro Azov. Che si è “arreso”. Che poi si è riorganizzato e combatte per la propria Terra, per la propria Patria versando ancora il proprio sangue.
La guerra tifata in differita che ancora non finisce, ma che Putin avrebbe già dovuto vincere perché la denazificazione è avvenuta. E, invece, va avanti. Verso l’accesso al mare. Verso nord. Verso quell’imperialismo che vede nell’Ucraina solo il primo boccone di un lauto banchetto. In salsa americana. Che ha pregato tanto la Russia di invadere l’Ucraina. Che nel conflitto Nato-Russia non invia più i missili a medio raggio. E che, dopo oltre tre mesi, ancora non vede scambiarsi un solo colpo tra Washington e Mosca. Ma che rivede Kissinger. Che è lo yenkee che riarmò e rialzò la Russia dopo il crollo dell’Urss e che oggi ri-apre a Mosca. Ancora. Oggi, come ieri. Come a Yalta.
È tutto così tremendamente chiaro che lo capirebbe persino un bambino. Proprio come quei bambini ucraini “rapiti” e “adottati” da Putin.

I FUTURI MERCENARIultima modifica: 2022-06-01T04:56:04+02:00da tony.fabrizio

Lascia un commento

Se possiedi già una registrazione clicca su entra, oppure lascia un commento come anonimo (Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato ma sarà visibile all'autore del blog).
I campi obbligatori sono contrassegnati *.