PRIGIONIERI DI STATO


Tre mesi, novanta giorni. Un tempo lungo abbastanza da far finire persino un Grande Fratello, ma non per fare luce sul sequestro dei 18 pescatori italiani incarcerati in Libia.
Ancora più lontana all’orizzonte appare la soluzione. Ancora in alto mare, ancora annaspano le autorità italiane.
Era il 1 Settembre scorso quando 18 figli d’Italia, in mare per portare pane a casa, venivano abbordati da motovedette libiche mentre era in corso una battuta di pesca in un tratto di mare considerato pescosissimo e situato in acque internazionali. Altre imbarcazioni riescono a scappare guadagnando ognuna una rotta diversa, eccetto che l’Antartide e l’Annamadre.
Dopo di allora il buio. E la vergogna.
Vergogna perché colui che siede alla Farnesina e deputato agli Esteri, intervistato, bolla la questione come di “semplice solizione”.
Eppure ci sono 18 padri di figli e figli di famiglia che da sei mesi sono imprigionati all’estero.
Sarà un caso, ma tutto inizia la sera stessa del viaggio del Di Maio in Libia, dove incontra il capo del governo di Tripoli Fayez al-Sarraj e poi il presidente del governo di Tobruck Aguila Saleh Issa, ma non il non riconosciuto generale Haftar, capo delle forze ribelli che hanno rapito i 18 figli d’Italia e che si divide la Libia.
Solo che i pescatori di Mazzara del Vallo sono stati abbordati da una motovedetta libica donata dal Governo Italiano affinché questo combattessero i trafficanti di essere umani in mare, quindi al governo “legittimo” e riconosciuto. Dunque non è stato il generale Haftar a compiere il sequestro dei nostri connazionali o il generale ha sequestrato anche le imbarcazioni del governo? Lo stesso governo che ha autonomamente deciso che contrariamente alle 12 miglia internazionalmente riconosciute il proprio confine arriva a 74. E l’Italia per tutta risposta in documenti ufficiali considera queste acque come “pericolose” perché controllate da “truppe armate” (Di Maio).
Quindi se è vero che la Libia fa un po’ come le pare è altrettanto vero che l’Italia, dal canto suo, accetta le decisioni unilaterali altrui e rinuncia ad un proprio diritto. Di fatto sottomettendosi.
Ma c’è dell’altro: pare che l’organo deputato alla vigilanza dell’attività di pesca (VI.PE.), attivo dal 1958, non eserciti più questa “protezione” in mare ai nostri pescatori dall’insediamento del primo governo Conte (Salvini-Trenta-Toninelli): perché?
È forse questo il motivo per cui, come da telefonate registrate, la Marina Militare sconsiglia – se non vieta – ai nostri pescatori di andare a pescare in suddette acque internazionali e che se dovessero essere sequestrati “pazienza”? È sempre questo il motivo per cui i soccorsi che erano partiti non sono mai arrivati?
E in questa carrellata della vergogna non poteva non mancare il Ministero della Giustizia nei cui atti ufficiali (2019) si legge che è stato stipulato un patto per il baratto dei prigionieri proprio tra Italia e Libia. Dunque se questo trattato esiste (e si può leggere) allora perché non se ne dà seguito così come chiesto da Tripoli ovvero barattando i nostri 18 pescatori in cambio dei loro 4 calciatori-scafisti?
È pur vero che non dovrebbe esistere che scambiamo dei prigionieri, ma se esiste il trattato (ed esiste!) va ratificato!
La dignità doveva esserci prima di stilare un simile documento. Ora questi figli d’Italia vanno riportati in Patria contro tutto e contro tutti.
Ad ogni costo.
La faccia l’abbiamo già persa con la bustarella per il matrimonio della Silvia Romano. Che non era in Africa per lavoro. Abbiamo già pagato un alt(r)o prezzo non monetizzabile: la vita di Nicola Calipari in cambio della liberazione della giornalista Giuliana Sgrena.
Come il Conte-CasalinA ha accettato alla rinuncia di esercizio dei propri confini, compensi dando atto a quel documento fatto, letto, firmato, approvato, sottoscritto e che giace, dimenticato, in un cassetto. Se questo è il Natale istituzionale del ricongiungimento familiare domestico che lo sia anche per questi 18 pescatori la cui colpa è solo quella di vivere con l’onestà del proprio lavoro e per le loro famiglie stipate da mesi in una tenda e incatenate in piazza Montecitorio da dove la linea telefonica con la Farnesina, dopo due ore di attesa, cade inesorabilmente.
Che non siano altri Jan Palach o Domenique Venner.
Poi pensate a tutti quanti noi imbarcati in questa scialuppa di nome Italia con questi soggetti al timone. La situazione non è poi tanto differente.

PRIGIONIERI DI STATOultima modifica: 2020-12-01T08:41:15+01:00da tony.fabrizio

Lascia un commento

Se possiedi già una registrazione clicca su entra, oppure lascia un commento come anonimo (Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato ma sarà visibile all'autore del blog).
I campi obbligatori sono contrassegnati *.