Il politically correct, volendo correggere, ha sbagliato tutto. Che poi chi decide cosa è corretto e cosa non lo è? E per chi? Lapalissiano che tale supposta superiorità sia prerogativa sinistra e che per non farci mancare nulla e sentirci sempre più servi di qualcuno importiamo una simile idiozi(ologi)a dalla terra a cui abbiamo consegnato le chiavi di casa nostra 70 anni fa.
Già la perifrasi di definizione in lingua straniera (che-sembra-un-dire-fascista-ma-non-lo-è!) è un affronto a Dante, a Petracca e a Boccaccio che rappresentano il tridente dei mostri sacri (trattasi di ossimoro, non di offesa) della nostra lingua e che hanno speso una vita intera per arricchirci e per farci parlare e che noi ringraziamo “dimenticandoci” di loro.
Così la finzione inizia con la lingua, sempre meno usata per parlare e sempre più utilizzata come strumento per arrampicate (a)sociali che dischiude le porte ai salotti buoni(sti), ma non acCESSIbili a tutti.
Dunque il cieco diventa ipovedente, il bidello un collaboratore (anche se il bidello, quando era solo tale, collaborava molto di più), il paralitico è diversamente abile, che poi poco importa se non si è corretti mentendo sull’abile e lo si prende per il culo col “superabile” perché non supererà proprio niente, nè sarà, purtroppo, super(iore) a nessuno.
Nemmeno culo si può dire, che poi non offende nessuno e anche un’espressione colorita, persino una parolaccia, a volte può conferire maggiore enfasi al discorso! Per dare colore, però, sarebbe meglio non marcarlo, o meglio, per rispetto (?) scolorirlo così il negro meglio definirlo nero senza tenere il punto… sulla G.
I forieri della giornata della parolaccia, i fanculoferi, sono assurti (e assurdi) addirittura in Parlamento e gli inoccupati sono definiti ministri, minestri alla II chiama, dimostrandosi in-capaci. Ovvero dentro la strage.
Ma tutto ciò non importa (loro): al bando, programmi, ideali e idee; l’uno vale uno è l’uno vale l’altro, anche quando l’uno non è più uno e vale zero.
Ecco dunque che il Ministro dell’Istruzione (degnissimo membro della FORMAzione, un 5 stelle super) invita a disertare le lezioni giustificando l’assenza e fa la guerra alle merendine che in realtà dovrebbe essere prerogativa del Ministro della Salute la cui unica speranza è solo il suo cognome!
Mentre nelle scuole si festeggia il Natale senza un nato, è una fortuna se ancora ci hanno lasciato almeno gli articoli a specificare i generi altrimenti Natale senza più la Nato significa non più un avvento, ma una dipartita, ossia non avere più in casa nostra i “padrini” del politically correct.
Anzi, per essere corretti davvero, per integrare non bisogna essere integralisti, ma bisogna annullarsi del tutto! Festa del papà o della mamma? Concetti retrogradi e classisti, persino sessisti perché bisogna pensare a chi una mamma ed un papà non ce l’ha fregandosene di chi ce l’ha. “Per chi ancora è normale” direbbe Checco Zalone.
Ecco, ad esempio, spiegate le sardine, che sono aperte a tutti, ma non ai Fascisti (quelli consegnati alla Storia 80 anni fa), che sono contro l’odio, ma che nascono contro Uno, che in piazza accolgono tutti, ma i Fascisti (ancora loro) solo a testa in giù, che vogliono far politica senza programmi, che non hanno colore, ma sono rossi… cantati.
Il pensiero politically correct chiaramente è scevro da sessismo, ma se un Direttore Editoriale (che non ha competenza sui titoli degli articoli) scrive “patata bollente” a proposito del sindacO Raggi si finisce in Tribunale e poco importa se tali espressioni siano state usate anche da colleghi a manca come la Gruber o dallo stesso Feltri riferito a Ruby Rubacuori: evidentemente una donna marocchina non interessa al politically correct dei buonisti.
Così se l’uomo è un tombeur de femmes, in nome della parità dei sessi, del femminismo, dell’uguaglianza e del politicamente corretto non si può dire che la donna del momento (in realtà di ieri), Nilde Iotti, brillava sotto le lenzuola. Eppure è un complimento! Che Togliatti avrà toccato con mano… e non solo.
Chissà quando il concetto a stelle e strisce ci imporrà democraticamente di non stampare più i dizionari della lingua italiana (almeno salveremo un albero!), di non usare nemmeno più quello dei sinonimi e dei contrari (e salveremo un altro albero!) tanto le cose non possono e non devono più chiamarsi con il loro nome. Chissà se esisterà un politically correct che sostituirà un panettone o anche solo il pane sulle tavole degli ex lavoratori ILVA, oggi in attesa di okkupazione, diciamo pure in mezzo ad una strada, e con loro le loro famiglie, se esisterà un politically correct in grado di mascherare i buchi della chemioterapia per i veleni ingeriti, se esisterà un politically correct in grado di saziare coloro che a Napoli, come a Genova, come a Taranto, come a Cremona, come a Palermo avranno solo fame.
Ma il politically correct ci dice che chi si è autocandidando a risolvere i loro problemi se n’è “andato” all’estero. D’altronde per Gigino anche la Farnesina…