LA CAMPANIA DIVINA, De Luca “DI VINO” E…….BASTA !!

Se c’è un attore che da un po’ di anni a questa parte mette tutti d’accordo nel detestarlo, che ha finito per essere il vicino delatore, il sostenitore delle idiozie più strambe in epoca Covid, questi è Alessandro Gassman e lui, manco a dirlo, diventa il “prescelto” dal presidente Vincenzo De Luca. E non poteva essere diversamente, visto che in quanto a idiozie pandemiche, il Presidente della Regione Campania non ha conosciuto vergogna. Se, poi, l’attore è romano e pure mezzo francese, allora Vincenzo De Luca lo sceglie addirittura per “dare voce alla Campania”. Lo sceglie nel senso che lo paga – con i soldi dei contribuenti, ovviamente – per interpretare – leggi pure “fingere” – uno spot sulla regione Campania, “Campania divina”, che tale non è.
Siamo ben consapevoli che in un paio di minuti non si può regalare la celebrità a tanti posti e a tanti monumenti che la notorietà ce l’hanno già da sé (appunto!), ma a ben vedere la pubblicità, altro che Campania divina: sembra più una valorizzazione di Napoli e Salerno, di Salerno & Napoli. La costiera amalfitana, il mare, il sole, ‘o Vesuvio… tutte cose che ha giustamente inventato Vincenzo De Luca. Quel De Luca che non incanta e che non stupisce, ma è sempre quello del famigerato “Patto di Marano”, ovvero l’accordo con il fu De Mita che ha dato il colpo di grazia ai già martoriati territori interni. Nel nanosecondo dedicato nello spot, non si riesce nemmeno a capire (bene) se lo scorcio paesaggistico che ritrae le topiche case colorate, addossate una sull’altra, si riferiscono a Positano, a Procida o addirittura a Calitri. Non una boccata di ossigeno della verde Irpinia con i suoi boschi, le sue montagne, la flora e la fauna, i prodotti DOC e IGP rinomati nel mondo. Come se l’Irpinia fosse solo Montevergine. Altro che Campania divina: nemmeno di vino se si ignora Taurasi e Tufo ad esempio, ma non ci si dimentica dei pomodori e il mare!
E cosa dovrebbero dire Benevento e l’intero Sannio (già quasi, a giusta ragione, Molisannio!) cui non è stato dedicato un frazione di secondo? Eppure Benevento pullula di storia e di edifici (l’Arco di epoca traianea e la Chiesa di Santa Sofia, patrimonio dell’UNESCO su tutti), vanta il secondo museo egizio più grande d’Italia, dopo quello di Torino.
Il Vesuvio, la costiera (ma non quella cilentana!), il pesce (c’è il mare, guarda un po’!) sono attrattive arcinote al turista e non hanno certo bisogno di essere pubblicizzate! Così come Pompei, Ercolano e Paestum. Eppure, a quattro passi da Paestum, si trova il Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano e Alburni: chi sa, nel caso specifico, che quest’area riservata è stata iscritta nella rete dei Geoparchi UNESCO dal 2010 e già dal 1997 fa parte della Biosfera NAB dell’Unesco? Non è forse da pubblicizzare? O i borghi e i paesini dell’entroterra dove si mangia… “da Dio”, per dirla con De Luca.
Però un merito a Vicienzo ‘o sceriffo va riconosciuto, ovvero quello di aver avuto l’onestà di pubblicizzare solo le bellezze naturali campane e non ciò che egli ha realizzato nel “decennato” a Palazzo Santa Lucia: il disastro della Sanità che nemmeno la pandemia ha fermato, anzi: con gli ospedali COVID è stata imbastita una vera e propria truffa, il trasporto pubblico locale azzerato, il “Sistema Salerno” e, per brevità di articolo, non citiamo le innumerevoli sciagure di cui egli è l’unico artefice, il principale responsabile, il vero colpevole.
Acqua e solo acqua la Campania di De Luca. O, forse, una Campania che fa acqua da tutte le parti. Eppure i tratturi, la via Appia, l’acquedotto Carolingio, quello irpino, Aeclanum, la valle telesina sono solo pochissimi tesori che andrebbero fatti conoscere, le ricchezze che sono state “maranamente” dimenticate e che andrebbero valorizzate: queste andrebbero pubblicizzate! D’altro canto, Cristo si fermò ad Eboli, il “divino” De Luca, a quanto pare, molto, ma molto prima.

 

LA SCHLEIN TROMBA DE LUCA (padre e figlio!)

“Mi candiderò in eterno!” annunciava titanicamente durante i suoi gratuiti soliloqui in “regionevisione” solo qualche settimana fa il presidente Vincenzo De Luca. Lui che non accettava tetti massimi di ricandidabilità. Ed aveva già fatto persino l’accordo (e i conti senza l’oste): in campo il Governatore con il lanciafiamme aveva schierato tutti i suoi uomini – attivi e no, da Mario Casillo che “vale” 41mila voti a Loredana Raia con le sue 26789 preferenze, passando per Bruno Fiola (23mila voti circa) e fino al presidente del consiglio regionale Gennaro Oliviero, per non parlare degli “spenti” Lello Topo e Umberto Del Basso De Caro – per portare preferenze all’emiliano Stefano Bonaccini che, in visita a Napoli qualche giorno fa, aveva dato il suo placet al terzo mandato per Vicienzo.
Di parere nettamente antipodico, la Schlein che aveva immediatamente replicato al governatore emiliano, come riporta Il Mattino «Al mio competitor voglio chiedere una cosa molto seria: ho sentito che da parte sua c’è un’apertura al terzo mandato di De Luca. Mi chiedo se sia questa l’idea di rinnovamento di Bonaccini, perché abbiamo idee molto diverse. Nuovo gruppo dirigente e poi De Luca? Bene…».
La Schlein femminista, ecologista, sostenitrice delle politiche lgtbq+*, “progressista figlia di papà incarna, dall’alto della sua tripla cittadinanza”, tutte quelle caratteristiche che l’inquilino di Palazzo Santa Lucia aveva intravisto nei giovani concorrenti del Festival della Canzone italiana più politicizzato di sempre: “sciammanati, sfessati, sfrantumati”. In rigoroso ordine gerarchico. E ancora: “La cosa più incredibile è che pensano di essere moderni. No, sono degli imbecilli!” e, amaro scherzo del destino, sarà proprio lei che è come loro a decretare la vita o la morte (politica) del Governatore d’acciaio, la cacciata del despota dal suo regno, del tiranno dalla sua roccaforte.
Se il sistema Salerno, ben oleato con gli uomini giusti piazzati ai posti che contano, gli operanti miracoli della moltiplicazione delle tessere, i padrini della (loro) politica clientelare e le truppe cammellate al gran completo pronte ad eseguire l’ordine del padrone arroccato nel suo castello che li precettava per controllare le sezioni, (un po’ meno i gazebi), ha retto e funzionato eccetto che a Napoli, il trionfo della Elly potrebbe colpire doppio e tranciare le gambe – politicamente parlando – anche al più onorevole rampollo di casa De Luca, Pierino, alle strette dipendenze del concorrente sconfitto Bonaccini e per lui coordinatore delle iniziative politiche e del programma per il Mezzogiorno.
Il deluchismo stavolta ha toppato e ne è consapevole anche il capostipite fondatore, tanto che alla prima uscita pubblica dell’era Schlein in occasione del convegno “Sanità e autonomia differenziata” indetto dalla Uil, ha dribblato cronisti e telecamere – e non è da lui! – e si è chiuso in un eloquente mutismo. De Luca, però, assurto ormai alla caricatura de sé stesso, senz’altro potrebbe deliziarci con la sua eroica battaglia a suon di “perle” a difesa del feudo (c)ostruito e indirizzate alla pulzella elvetica. Ci sarebbe pure da ridere, se il lascito di De Luca non si concretizzasse nell’invivibilità più completa: dalla decimazione e dall’azzeramento del Servizio Sanitario, all’impossibilità di trovare un’occupazione e al conseguente inevitabile aumento della povertà, dal disastro del servizio di trasporti pubblico locale – da quello su gomma e quello su rotaie – all’emigrazione giovanile che è tornata ai tempi del dopoguerra, dall’impossibilità di mettere su famiglia sino all’urbanistica che, con la legge ad hoc varata a Ferragosto, va a favorire amici e compari della solita (e solida) congrega del mattone. Una Regione ferma, che non cresce e in cui non si può avere un futuro. Tutte sfide di cui il centrodestra regionale dovrà interpretare e farsi carico, inevitabilmente, se non si vorrà regalare di nuovo la Regione agli Elly campani, magari capeggiati da un resuscitato (senza meriti) de Magistris e stipati nei centri sociali che qualcuno in città si è attivato perché beneficino dei soldi (di tutti) del Pnrr per la ristrutturazione dell’ex complesso  carcerario okkupato di Materdei.
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Campania, De Luca “si traveste” da Salvini: ruspe sul bunker del boss Zagaria

Roma, 17 feb – È vero che tutto è accaduto nella giornata di giovedì grasso, è vero pure che ormai è tempo di maschere e mascherine, ma certa politica ha davvero esagerato: Enrico Letta che tesse le lodi della Meloni è qualcosa di troppo anche per Carnevale, ma non è il solo. Vincenzo De Luca, con quel suo stile inconfondibile, riesce persino a fare di meglio e si “maschera” addirittura da Matteo Salvini.

De Luca “travestito” da Salvini: ruspe sul bunker del boss

L’ultima uscita del governatore della Regione Campania, infatti, lo ritrae a Casapesenna (CE) tra ruspe, caschi e divise pronte ad abbattere il bunker (vuoto) del malavitoso Zagaria al posto del quale sorgerà un parco – il parco della rinascita – praticamente erba, speriamo non erbacce, quindi, niente. Alla fine della fiera, chiacchiere. E non di Carnevale. “L’abbattimento del bunker di Zagaria è un simbolo negativo che cade” annuncia tronfio sui canali social il governatore dal lanciafiamme facile con la sua inseparabile mascherina (non della festa) che, però, in italiano corretto – che non è il politichese – non sta ad indicare poi tutta questa vittoria che si intesta. Almeno, Salvini aveva uno spindoctor capace di scrivere senza lapsus e correttamente nella lingua madre! Ma De Luca non si è recato nel comune casertano fortino del clan dei Casalesi per parlare, ma per fare parlare, di sé ovviamente: ribadisce, infatti, più volte e a qualsiasi microfono gli capiti davanti alle labbra che la Regione – cioè lui – ha sostenuto economicamente il Comune nell’opera di demolizione, altrimenti non si sarebbe potuto realizzare nulla. Lavori che vedranno il loro completamento nei prossimi dodici giorni. Speriamo, altrimenti si sarà alzata solo polvere.

Meno coreografia, più sostanza in futuro

Il gesto, al netto di intestazioni e di padroni (e pure padrini), è di per sé importante in un territorio difficile dove non basterà certo un’area verde al posto di una villa per poter cambiare. Soprattutto se le istituzioni, locali in primis, non vigileranno e lasceranno all’incuria e all’abbandono, come da protocollo, il parco che ha da essere ancora creato. Sempre a proposito di parchi e di aree verdi, poco lontano da lì sorge il tristemente noto “Parco verde” di Caivano, succursale dello spaccio dopo lo sgombero e il parziale abbattimento delle Vele di Secondigliano. E la “coreografia” cambia poco o per niente fino ad arrivare nella città di Napoli, dove interi quartieri come il Vasto, il Lavinaio sono lasciati al degrado e all’insicurezza, dove delinquenza e criminalità pullulano. E non certo da dodici giorni.

Questa è la miglior politica e non solo la campagna elettorale che si dovrebbe fare. L’Inquilino di Palazzo Santa Lucia ha già annunciato che si candiderà “a vita” quindi per il terzo mandato e lo spettacolo di cui oggi si è reso protagonista ha tutto il sapore del ridicolo e del farsesco: distruggere un’abitazione dotata di ogni comfort quando si poteva destinare ad altro uso, sociale e più civile; presenziare alla demolizione senza invitare – pro forma – chi ha lavorato alla cattura del boss della camorra; celebrare questa “vittoria dello stato – per dirla con Zagaria – a distanza di oltre 10 anni dall’arresto. Cosa teme De Luca? Il governo di centrodestra? La disfatta locale, specchio di quella nazionale, di un Pd in calo verticale di consensi? Il proprio indice di gradimento che precipita, ora che si è sgonfiata pure la gestione della pandemia, vera fortuna di De Luca a cui non credeva nemmeno lo stesso Pd? Siamo seri e non facciamo più scherzi, altrimenti all’inaugurazione del parco toccherà invitare anche Saviano!

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UN CONTRATTO DI LAVORO PER “SPAZZARE VIA TUTTO”……ANCHE LA COSCIENZA !!

L’aria che si respira è quella del di dì festa, la location addirittura un castello, il Maschio (toccherà pensarci prima o poi) Angioino (ancora con razze, casate e toponimi?) la sala, elegantissima, quella dei Baroni. Il motivo della cerimonia uno tra i più importanti nella vita, quello che spazza via tutto: un contratto di lavoro. Allora è consentita pure la partecipazione di mammà e babbo a vedere ‘o figlio ca piglia ‘o posto. Ma le “contraddizioni’ – per dirla con un luogo comune – non finiscono qui. Nossignore. Perché i contratti di lavoro sono ben 200 sottoscritti in una sola giornata, vieppiù nella città di Napoli, per antonomasia – ma quante se ne nascondono dietro la Nea Polis è un segreto di Pulcinella – capitale della disoccupazione. E non è tutto: i duecento nuovi occupati saranno degli operatori ecologici in quella che tutti identificano come la capitale della monnezza.
Al netto di un’amara ilarità, questa situazione, che è la conclusione del concorsone terminato a settembre, quello che si è tenuto per opera e volontà di “masto Vicienzo Co.Co.Co” – con il Covid, nonostante il Covid, nonostante quello che è stato Vicienzo con il Covid – apre profonde riflessioni su molteplici fronti. A partire proprio dai luoghi comuni che vanno infranti, se a Napoli 200 giovani – età media 24 anni – hanno firmato un contratto di lavoro per operatori ecologici, la verità incontrovertibile è che c’è una gran voglia di lavorare. E qui va aperta un’ulteriore riflessione sul Meridione da tempo coda antipodica del nord unico motore dell’economia italica; sulla capitale – che poi non è tale – del reddito di cittadinanza inteso come sussidio di stato, a partire proprio dal padre del RdC Peppino Conte che, appena il governo Meloni ha annunciato di voler rivedere l’elargizione economica, si è immediatamente fiondato sotto al Vesuvio: Scampia, quando deciderai di non farti sfruttare così?
Dei 200 assunti, si apprende, solo 19 hanno la licenza media, 169 sono diplomati presso una scuola superiore e 19 sono addirittura laureati! Onore a loro, non c’è che dire, ma davvero mammà e papà hanno fatto sacrifici – leggi privazioni – per un ventennio almeno, per far studiare il proprio figlio pe’ se piglià ‘no posto e il posto tanto ambito è quello del netturbino? Mestiere nobile, maestro di una vita “superiore” anche per un napoletano doc quale è Totò che gli affida la morale de La Livella che è maestra di vita. Ma se un laureato, un diplomato “vince facile” per andare ad accaparrarsi il posto dello scopatore, non preclude forse la possibilità a chi non ha proseguito gli studi o non li ha proprio finiti? Ed è corretto, e forse pure normale, che chi sa districarsi tra i labirinti giuridici (i DPCM quotidiani di Conte, tanto per dirne una), che chi sa leggere un bilancio comunale, chi sa valutare la stabilità di un palazzo e magari renderlo sicuro, dopo tanta formazione debba seguire un ulteriore corso per imparare a guidare una macchina atta a spazzare la strada, piuttosto che seguire le direttive di come si spazza un marciapiedi? Sempre per un fatto di scelte, di attitudini, di formazione.
Ribadiamo: onore al valore, coraggio su tutti, di questi ragazzi plurititolati che non hanno certo avuto paura di cominciare dal basso (sperando per loro che non finiscano sempre più in basso), ma a voler riflettere, persino i “professoroni” che hanno permesso tutto questo potevano interrogarsi sulla liceità del loro operato. Sulla “giustizia” ai sacrifici di ognuno. Se sia giusto spazzare via – è proprio il caso di dirlo – così sacrifici, impegno, difficoltà, sogni passate per i tanti tomi ingurgitati. Distruggere ambizioni e possibilità. Imparare ad accontentarsi. Se sia giusto che un “dottore”, pur di lavorare, sia indirettamente costretto ad accettare le regole del gioco. E del giogo. Se non si voglia, invece, indirettamente, ma nemmeno tanto, creare un appiattimento di ogni individuo nella società, magari con quella fisima dell’essere tutti uguali che è tutt’altra cosa rispetto all’uguaglianza, altra cosa ancora rispetto all’equità. Atteso il fine buono, buonissimo, buonista di tutti. Omnia Munda Mundis. OMM….. Omm’….

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NAPOLI MARCIA… PER LA PACE

Finalmente è arrivato il tanto agognato 28 ottobre e la diarchia formata da Vincenzo De Luca e da Gaetano Manfredi scende in piazza… per la pace. Che poi nemmeno a loro è chiaro se vogliono la pace o vogliono dire no alla guerra che non è esattamente la stessa cosa, così come entrambi auspicano l’immediato cessate il fuoco, ma i rispettivi partiti di appartenenza spingono per l’invio a mandare armi in Ucraina. Che non vuol dire certo fare la guerra.
Siccome, però, non c’è due senza tre, allo spettacolo non poteva mancare nientepopodimeno che lei, la guest star istituzionale, il mercoledì in mezzo alla settimana, la prezzemolina Liliana Segre, senatrice a vita (fino alla morte) della Repubblica italiana.
Ma andiamo con ordine in questo “guazzabuglio di guelfi e ghibellini” – come direbbe il Principe della risata – che, però, non fa ridere, ma anzi, ottimamente rende la situazione per quella che è.
Metti la Segre che ha subìto la persecuzione nazifascista all’indomani delle leggi razziali del ’38 che, però, sostiene il governo ucraino di Zelensky il quale, però ancora, annovera tra le sue Forze Armate l’ormai famoso Battaglione A3OV la cui ideologia si rifà ai principi del nazionalsocialismo tedesco;
metti che il governat(t)ore De Luca, colui che minacciava di far imbucare  i Carabinieri con il lanciafiamme alle feste di laurea, colui che, mentre invocava la riapertura dei manicomi, minacciava l’utilizzo indiscriminato del Napalm, colui che si presenta in piazza a manifestare con la mascherina mentre il ministro Schillaci firma il decreto che reintegra i medici non vaccinati – lo stesso vaccino che De Luca aveva diviso e moltiplicato: laddove il Ministero e l’Istituto Superiore di Sanità davano indicazioni per tre, massimo quattro iniezioni per dose, Vicienzo riusciva a ricavarne ben cinque! – e sospende l’utilizzo di mascherine negli ospedali, colui che non si è risparmiato nel definire “idioti” i fratelli d’Italia scesi in piazza a Salerno, proprio a casa di De Luca, proprio come lui ha fatto oggi, proprio lui parla di pace!;
metti anche il sindaco Gaetano Manfredi che, mentre ciancia di rincari dovuti alla guerra e, di conseguenza, propina a destra e a manca attenzioni e parsimonia, più falsati dei rincari, nell’utilizzo di corrente e gas, si accolla, o meglio accolla ai contribuenti napoletani, le spese per le utenze dei centri sociali – per stessa candida ammissione dei figli di papà annoiati & mantenuti – e allora il miglior cortocircuito è servito!
Da Piazza del Plebiscito si è, dunque, levato il loro grido “trino e uno”, sicuramente unico nel suo genere, distante migliaia di chilometri da ogni fronte di guerra.
Ma anche i numeri dell’evento sono da capogiro: quasi 300000 (trecentomila!!!) euro per mobilitare gli astanti. Che, tradotto dal politichese, significa che la regione Campania, ovvero De Luca in persona, ha sostenuto un costo pari a circa 300 mila euro per trasportare a Napoli i manifestanti provenienti pure dagli angoli più remoti della regione. Manco a dirlo, quelli usati sono soldi dei contribuenti campani. Che sarebbero dovuti essere utilizzati sicuramente in maniera migliore, per altre criticità magari impellenti e, non ultimo, per la collettività, non certo per finanziarsi una manifestazione sicuramente non del tutto chiara e trasparente.
La puzza di bruciato è fortissima e arriva molto lontano, tanto che la sente persino lo scrittore Maurizio de Giovanni, l’intellighenzia che ha monopolizzato addirittura la mammasantissima RAI. “È un sit-in da evitare, una parata ambigua” ha detto lo scrittore. Una prova di forza che manco Xi Jinping riconfermato per la terza volta alla guida del partito. Strana assonanza, perché anche De Luca vorrebbe candidarsi per il terzo mandato consecutivo a Palazzo Santa Lucia. Per continuare ad “amminestrare” la Regione con parenti, amici e compagni tutti “sistemati”, previo prova del consenso: pare esista addirittura un sistema-Salerno, accertato pure dalla magistratura! E certo vogliamo stupirci dell’uso strumentale che l’inquilino della Regione fa delle istituzioni? Mica vogliamo parlare della convocazione, su carta intestata della Regione Campania, della Protezione Civile? O dell’”invito” esteso a tutte le scuole campane? Una manifestazione organizzata in un giorno di scuola, in un orario scolastico in una regione in cui la dispersione scolastica ha raggiunto livelli importanti e si è guadagnato addirittura il triste primato per gli studenti che finiscono la scuola senza essere in possesso delle competenze fondamentali. Che sono quelle basilari. È lo stesso De Luca fautore delle scuole sempre chiuse per il Covid! Chissà quanti studenti e quante scuole avrebbero partecipato, se la “marcia” fosse stata organizzata di sabato pomeriggio o di domenica. Non ci saremmo stupiti se alla partecipazione avesse corrisposto anche un bonus per i crediti formativi, come fatto in occasione della marcia della pace Perugia-Assisi divenuta una marcia d’odio e di guerra nei confronti di Matteo Salvini, allora Ministro dell’Interno. E a proposito di ex ministri: anche il fu ministro della Salute Robertino Speranza, recentemente candidato e riconfermato proprio nel regno di Vicienzo, boccia la sanità campana che si guadagna, non senza (de)meriti, il primo posto per mortalità “evitabile”, cancro e patologie cardiache nello specifico. Si tratta dello stesso De Luca impegnato a propagandare senza sosta la riapertura di ospedali interi, nuovi padiglioni attrezzati, unità di emergenza nuove di zecche, mentre decuplicava giornalmente i posti in terapia intensiva?
Strano che non abbia saputo indicare la panacea per un problema semplice ed evitabile come il disagio procurato agli automobilisti con la sua trovata di piazza (basti pensare che era interdetto il parcheggio nell’intero tratto che andava da Piazza del Plebiscito a Piazza del Carmine!) che, però, avrebbe aperto il dibattito sulle condizioni stradali della città che avrebbero ben gradito per la manutenzione una parte dei fondi utilizzati per pagarsi e affollarsi la sua manifestazione. Condizioni stradali che non saranno certo sfuggite a chi si è recato a Napoli per la manifestazione, in primis agli studenti, visto che, almeno dai pareri raccolti, della guerra in Ucraina ne sapevano meno di quanto interessasse loro. Però, loro voteranno, per cui è bene che vengano già “istruiti” a scuola. E non si gridi nemmeno alla strumentalizzazione del sistema scolastico! Mica li si può indurre a pensare che la struttura dove si recano per apprendere è spesso fatiscente, piuttosto che stimolarli ad interrogarsi se sia costruita di cartone, visto che basta un po’ di vento e alle prime quattro gocce d’acqua viene chiusa? Meglio chiuderla pure oggi!
E pure se De Luca non si vede dal palco, l’importante è che se ne parli. Se non dal palco, meglio (anche) al seggio. Pure se alla pace avrebbe potuto gridare il 5 novembre, come nel resto dello Stivale, ma meglio una manifestazione tutta “sua”, o meglio, tutta per sé. Vincenzocentrica! Pure se la pace poca gli interessa, visto che gli interessi sono altri. E pace pure alla marcia, se la prima cosa ad essere marcia è proprio l’ambientazione di questa ennesima, indecorosa tragicommedia.

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IL PARADOSSO DELL’OSPEDALE MOSCATI DI AVELLINO: “SI ENTRA SOLO IN CODICE ROSSO”!!

Un sospiro che non dà alcun sollievo, una risata amara che ha tutto il sapore della beffa e pure l’odore che è meglio non dire di cosa.
È stata revocata l’ordinanza del manager dell’Azienda ospedaliera Moscati di Avellino inviata alla Centrale Operativa del 118 attraverso la quale sensibilizzava il Servizio ambulanze ad evitare il trasporto presso il nosocomio del capoluogo irpino dei pazienti che non fossero in codice rosso. Questo perché, o almeno questo è ciò che si apprende dalle dichiarazioni, il Pronto Soccorso della città irpina ha registrato il record di accessi, con ingressi di ben 3850 unità in un solo mese. Quanto basta per mandare in tilt l’organizzazione ospedaliera che ha rischiato di riversare una condizione di forte stress lavorativo sul personale sanitario deputato alle emergenze. E ancora: del numero complessivo degli ingressi, il 53% (circa 2mila accessi) avrebbe potuto sicuramente trovare adeguata risposta sul territorio, in quanto classificato al triage con codice verde o bianco, il 41% è risultato di media gravità (codice arancione e azzurro) e il 6% è stato classificato come codice rosso; 76 i pazienti arrivati per traumi ortopedici (25 alla settimana gli interventi ortopedici chirurgici, tra indifferibili ed emergenze); 199 quelli risultati anche positivi al Covid-19 e assistiti negli spazi dedicati. E ancora: il 71% (2700) dei 3850 pazienti, rientrava nel bacino di utenza del capoluogo irpino, il 16% proveniva da una provincia diversa (soprattutto dall’area sud della Campania), il 9% dai Comuni dell’Alta Irpinia e dell’Ufita-Baronia, il 4% da altra Regione.
Hai voglia a sciorinare numeri e a snocciolare percentuali, queste non sono altro che le conseguenze della grande abbuffata sulla Sanità ai danni dei contribuenti: ridimensionamento delle prestazioni dell’Ospedale Frangipane di Ariano Irpino; depotenziamento dei nosocomi dell’Alta Irpinia (Bisaccia) e la lenta agonia che da anni affligge il Criscuoli di Sant’Angelo dei Lombardi; addirittura la chiusura del pronto soccorso del Landolfi di Solofra; oltre ai tagli indiscriminati che lasciano tutta la gestione dell’ordinarietà e della straordinarietà alle “capacità” (di inventare) del manager. Oltre alla insufficienza del personale ospedaliero (cronico quello dei Pronto soccorso dai quali “sono andari via” ben 600 medici, come riporta la Simeu, la Società italiana di Medicina d’emergenza-urgenza) e non ultima la sospensione delle attività delle case di cura private e convenzionate che non hanno erogato prestazioni nel periodo di ferie.
Questa gestione disastrosa, da codice rosso, ha un solo colpevole: quello del Commissario Straordinario e Presidente della Regione Campania. Ovvero: la macchietta della pandemia e l’“ammacchiatore” dell’emergenza Vincenzo De Luca. Il personaggio per cui il Covid è stata una fortuna. Lo sceriffo che sguainava forbici con cui tagliava nastri di inaugurazione a reparti inventati di sana pianta; la maschera che inaugurava gli stessi ospedali anche più volte (di cui questa testata ne ha fatto memoria e dato voce, scaturite in molteplici denunce da parte dell’on. Marcello Taglialatela), il regista-scenografo della parata di ingresso notturno in città dei tir carichi di moduli prefabbricati per nuove strutture anti Covid.  Il mago che quei moduli Covid non li ha mai  nemmeno messi in funzione.
Una “emergenza pianificata” – che già in sé è una contraddizione, vizietto tipico anche del (fu) Governo centrale – che sarebbe dovuto rimanere in vigore sino al 31 di agosto, ma che ha potuto essere revocata grazie alla sinergia del manager dell’Asl e all’omologo della Direzione del Moscati che vede la panacea nell’avvio di quanto previsto dal Pnrr.
Oltre che ad essere negato il diritto ad essere curati, appare paradossale che a stabilire la gravità dell’urgenza (codice rosso, giallo, verde, bianco) è proprio il personale sanitario in servizio sulle ambulanze e, per fortuna, non tutti i pazienti fanno ricorso al 118.
Ciò che resta assurdo, invece, è la risposta che la politica, oramai ridotta a chiacchiere da becera campagna elettorale, che non riesce nemmeno a rendersi conto delle conseguenze delle proprie decisioni: perpetrando tagli su tagli, depotenziando le strutture periferiche, chiudendo quelle prospicienti. In tal modo facendo, la minima cosa che possa accadere è l’ingolfamento dell’unico nosocomio aperto e funzionante. Se mai può essere una soluzione la chiusura degli ospedali in piena pandemia, con una popolazione tra le più vecchie d’Europa, a tutto vantaggio degli ospedali Covid il cui virus, a quanto dimostrato, poteva tranquillamente essere curato con meno clamore, minori “strutturazioni” e impalcature degne di un pessimo show.
E paradossalmente è una “fortuna” pure non poter sentire il grido dei pazienti terminali a cui sono state sospese le cure salvavita o quelle allunga-vita. Altro che codice rosso! Medesima trovata, identica firma.
https://www.camposud.it/il-paradosso-dellospedale-moscati-di-avellino-si-entra-solo-in-codice-rosso/tony-fabrizio/