SALERNO, L’ANPI vieta di presentare i libri e vieta chi non vuole vietare!

Una mattina mi son svegliato e ho scoperto che un rispettabilissimo Docente universitario di storia medievale ha pubblicato un libro – di storia, pensa un po’ – e che intende presentarlo in una sala di una pubblica libreria – che strano, eh ?

Si tratta di “Controstoria della Resistenza”, la nuova fatica letteraria dal prof. Tommaso Indelli, edito da Altaforte Edizioni.

Allora, un’altra mattina mi sono svegliato e, tutto sudato, “batto” un comunicato congiunto, con tutto quanto può includersi nella mega galassia antifà, atto a vietare ad una libreria della città campana l’utilizzo della sala che avrebbe dovuto ospitare la presentazione del volume e che, di fatto, ha finito per boicottare sia l’opera che l’autore.

“Una semplice opinione” da parte di CGIL, CISL, UIL, Arcigay, schwa & asteriski vari che tentano così di mettere un “democratico” bavaglio alla controcultura. O meglio, alla cultura “non conforme”, alla vulgata in “uso” e consumo since 1945. La storia che nessuno deve conoscere e, se qualcuno la conosce, nessuno deve poter raccontare. Quella che per quasi un secolo ha portato a nascondere una tragedia immane, un vero genocidio ai danni dei propri connazionali, come é stato per le foibe.
Ora come allora, qualcuno non ci sta e, quindi, si attiva per riportare l’ago della bilancia quantomeno vicino alla verità vera, ben consapevole che non potrà mai godere di un “democratico” e civile contraddittorio in libreria.
In religiosa ottemperanza agli usi e costumi di lorsignori che li vuole ben nascosti e ottimamente assiepati,  a quei partigiani nuovi di zecca  viene chiesto, a casa loro, tramite un goliardico striscione “inclusivo”, se avessero per caso paura dei libri.
La reazione rossa – o meglio, verde – non si è fatta attendere, seppur di sabato, strano giorno per “lavorare”: giornali, tivvù, forza pubblica, militanti, “mili-pochi” a giudicare dalle immagini raccolte, tutti sono accorsi ad asciugare le lacrime versate e a raccogliere il grido di sdegno contro chi ha osato ribellarsi ai loro democratici divieti. Uno smacco insopportabile, un atto di ribellione non gradito, una protesta troppo poco politically correct quella semplice domanda che ha mandato in cortocircuito l’intellighenzia cittadina che non si è ripresa dall’illogicità della loro stessa richiesta: perché vietare quando ci si può confrontare? Perché tacitare quando il dibattito può arricchire? Perché cancellare ciò che non ci fa comodo sapere? Sinistre domande, perfino per loro.
Una mattina mi sono svegliato e, dopo aver vietato, minacciando la verità, penso bene che il sogno debba continuare calcando la mano e chiamando in causa persino il “clima da anni ’70” che, però, fanno notare gli avversati esponenti ribelli che la storia la conoscono e non la dimenticano, ha visto proprio nella stessa città campana la morte di un odiato giovanissimo avversario mezzo cieco come Carlo Falvella per motivi meramente politici. Di odio politico. Odio evidentemente mai sopito, in primis per la verità. Per la coerenza. Per interesse, visto che l’unica cosa che ha contato è stata la parcella degli avvocati assoldati per difendere i compagni assassini.
Interesse nel non sapere leggere un semplice striscione che ha avuto il merito di sottolineare tutta l’incoerenza di quanto fino a quel momento predicato, di quanto sia strumentale la loro concezione di democrazia, di quanti problemi abbiano con l’inclusione, quella vera, in un semplice confronto dialettico, culturale. Forse perché loro la “cooltura” la fabbricano. Con balle. Con stravolgimenti e con invenzioni. Con cancellazioni e riscrittura.
Una mattina mi sono svegliato e, pure se sono il sindacato dei lavoratori, “me ne frego” e impedisco ad un semplice esercente di lavorare, semplicemente perché mi è scomodo, sparando ogni cartuccia ancora disponibile e immaginabile, come l’azione intimidatoria – uno striscione! – il pericolo per la democrazia, quando sono loro stessi ad imporre divieti: ma, se proprio non si riesce a sostenere un dibattito culturale, se proprio non si riesce a leggere il libro, non era meglio, di sabato, continuare a dormire?

https://www.camposud.it/salerno-lanpi-vieta-di-presentare-i-libri-e-vieta-chi-non-vuole-vietare/tony-fabrizio/

Ora l’Anpi vuole “infoibare” anche i crimini di Tito

Roma, 7 apr – Se fino ad ora l’Anpi si è arrogato il compito, mai delegatole da nessuno, di riscrivere la storia che ha fondato su fantasie e, quando la fantasia scarseggia, su vere e proprie balle venute fuori da quei vuoti creati dal taglia e cuci operati a loro immagine e somiglianza, oggi tutto questo non le basta più e con il “ritorno (eterno) del fascismo” – funzionale ed essenziale per i “novelli partigiani” altrimenti non potrebbero più esistere (e non potrebbero nemmeno continuare ad incassare fiumi di denaro di Stato elargiti anche dall’attuale governo “fascista”) – si erge a difesa delle menzogne propinate che, con il disincanto del tempo, dopo un secolo, ormai non reggono più. Dunque, cosa fa? Protesta affinché gli altri non parlino. Accade a Milano, in occasione del convegno organizzato da “un editore nero”, per dirla alla Berizzi, l’esempio più eccellente di come ancora si campa grazie al fascismo, che ha per argomento della discussione Borovnica e altri campi di Tito”titolo di un libro delle edizioni di Ritter. Di quei campi terribili non si deve parlare.

Così l’Anpi vuole censurare i crimini di Tito

I difensori della dem-ocrazia, nella loro veste più spuria di anti-tutto, mica si presentano democraticamente al dibattito e cercano di misurarsi con il contraddittorio al solo fine di ricercare quella verità che non può mica trovarsi nel mezzo, ma è sicuramente sotto la spessa coltre di menzogne con cui hanno provato a “rifondare” il mondo. No, loro frignano, si appellano a chiunque e, come riporta il quotidiano Il Giorno, “invitano tutti e tutte (poteva mai mancare!) coloro che trovano assurdo e ingiustificabile che vengano concessi spazi pubblici a coloro che non condividono i valori costituzionali – antitaliani anche nella lingua con cui si esprimono – al presidio di domani sera (del 6 aprile, ndr), a pochi giorni dal 25 aprile. Contro coloro che non lo festeggiano e anzi lo disprezzano in maniera sprezzante”.

Quindi, i pronipoti dei banditi in foulard rosso chiedono giustificazioni al Municipio VIII che, per bocca della numero uno del parlamentino Giulia Pelucchi, ha pronta la pezza (rossa) con cui si giustifica dicendo che “L’ente promotore dell’iniziativa, Comitato 10 febbraio, ha preso in affitto (pecunia non olet?) i locali attraverso una procedura esclusivamente amministrativa che non coinvolge né Giunta né Consiglio Municipale”. Tutto in regola, dunque, ma non basta: “Come maggioranza prendiamo assoluta distanza dai promotori e ribadiamo con orgoglio i valori democratici (chissà quali!) e antifascisti (ecco!) su cui si fonda il nostro paese e la nostra città, medaglia d’oro nella lotta di Liberazione”. E rincara la dose: “Come Presidente mi impegno sin da ora a rivedere le modalità di concessione degli spazi, per evitare che si ripetano situazioni analoghe in cui una qualsiasi associazione può firmare l’adesione ai principi della Costituzione italiana invitando poi relatori che dichiaratamente ne contrastano i valori. […] Ho già richiesto di poter vedere la procedura di concessione”. Alla faccia della democrazia, della pluralità e dell’inclusione che predicano urbi et orbi. Insomma, ancora un uso “gramsciano” delle istituzioni su cui nemmeno il fratello antifascista del fascista Mario Gramsci sarebbe d’accordo.

La paura della verità storica

Ma come, proprio loro non riescono “democraticamente” a confrontarsi, tanto da essere costretti ad appellarsi all’oblio e ai democratici divieti? “E allora Borovnica?”. Cosa non si deve sapere? Che esistevano campi di concentramento titini? Che lì i partigiani rossi concentravano militari, italiani e fascisti a guerra finita? Che i campi di concentramento non erano campo di lavoro quando ormai non c’era più del lavoro da fare? Che proprio lì, sotto la direzione del boia jugoslavo, uomini e donne italiani trovarono la morte con il metodo della crocifissione o del trascinamento? O semplicemente che l’Anpi vuole nascondere i crimini commessi a danno dei loro stessi connazionali? No, fa più impressione la verità storica che non si infoiba rispetto ai loro petalosi deliri isterici. Nonostante i loro petalosi deliri isterici. Chissà che da lor signori, sic stantibus rebus, non si renda necessaria la proposta (e la pretesa) di istituire “democratici tribunali popolari antifascisti” cui delegare le decisioni su chi far parlare e su cosa. Proprio come nella Jugoslavia di Tito.

https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/ora-anpi-vuole-infoibare-anche-crimini-tito-259771/

L’Anpi annuncia “boom di iscritti”. Cin cin, ora i partigiani rinuncino ai soldi pubblici

Roma, 20 mar – La notizia è di quelle che “fanno storia”, tanto da meritarsi titoloni e prima pagina de La Repubblica da incorniciare e appendere al muro per l’eccitazione di Berizzi. L’Anpi fa il pienone ed è record di iscritti: 140mila nuovi partigiani che versano l’obolo e si schierano “in difesa della costituzione e dell’antifascismo”. Almeno così titola La Repubblica che ha anche analizzato questo emergente fenomeno psico(socio)patico fornendo addirittura delle precise risposte: troppi – esiste un range di un minimo/massimo consentito (da chi?) ma nessuno lo sapeva – episodi di apologia di fascismo; molti svarioni della destra sull’antifascismo; troppi disvalori – che poi sarebbero i valori di chi non è come loro – in giro.

Cortocircuiti rossi

Come di consueto, però, il primo cortocircuito non tarda ad arrivare. Tra le cause che hanno portato al massiccio tesseramento pare ci sia anche la proposta, partita dall’assessore comunale, deputato e coordinatore regionale di Fratelli d’Italia, Fabrizio Rossi di Grosseto, di una “via della pacificazione”, ovvero una strada comune in cui confluiscono a loro volta due strade, intitolate una a Giorgio Almirante e l’altra ad Enrico Berlinguer. Giammai! Lotta continua. Since 1945. Ovvero quando la guerra era già finita. E loro l’avevano pure vinta, avendo sconfitto il nazifascismo. È da allora che festeggiano ogni 25 aprile ed è altrettanto da allora che combattono ogni giorno lo stesso fascismo da cui ci hanno liberato. Valli un poco a capire.

D’altronde questa è la loro identità: essere appartenuti a determinate formazioni, salvo poi scegliere la congrega opposta più conveniente al momento opportuno, aver combattuto una guerra a guerra finita, far parte di autonominate “brigate” che furono formazioni di una decina di uomini nel migliore dei casi, non riconosciuti da alcuno, senza una uniforme, per non citare omicidi, stupri, processi sommari, furti di galline, di soldi, di cibo.
Dunque i nuovi portatori di foulard rosso in gola con tanto di stella, i nuovi adepti di Tito, i nuovi fedeli di Pertini l’assassino che ha concesso più grazie che nessun altro santo in Paradiso, l’inginocchiato davanti al catafalco del boia iugoslavo e che non ebbe scrupoli nemmeno davanti a donne incinte come Luisa Ferida, si moltiplicano per andare a fare guerra a un manager già autodimissionario, dopo aver citato Mussolini – che si assunse la responsabilità politica di un omicidio – dicendolo di averlo scambiato per Nelson Mandela.

A proposito di abbagli antifascisti

Chissà se nelle loro riunioni politicamente corrette e uni-formate si leverà una voce di qualche semicolto che parlerà ai compagni partigiani di Dante Castelluccio, meglio conosciuto (da loro) come comandate Facio, già medaglia d’argento al valore militare, ammazzato dagli stessi compagni partigiani, dopo un processo sommario, come d’abitudine, o addirittura in una imboscata tesa da altri partigiani suoi simili. La “verità storica” l’Anpi su questa (loro) storia ancora non l’ha scritta. Forse i comitati sono troppo impegnati a fare altro. Chissà cosa, visto che nemmeno hanno tentato di riscrivere la storia – ancora! – dell’incendio a Parma avvenuto poco tempo fa di una corona di fiori all’antifascista Guido Picelli. Immediatamente i partigiani avevano nientemeno che gridato all’aggressione fascista – ad un “fascio” di fiori? – al ritorno del pericolo fascista con le squadracce armate di olio di ricino e manganello. Ma le indagini, però, raccontano un’altra verità. La Digos ha individuato in una sola persona l’autore del gesto. E c’è di più: il vandalo è addirittura un africano di 31 anni. Partono, allora, gli sfottò social degli utenti che chiedono se “essendo stato appurato che l’artefice del gesto è un africano di 31 anni, si può considerare aggressione fascista?” ai quali l’Anpi addirittura replica, dando prova di non conoscere la misura del ridicolo: “Sarebbe interessante conoscere le motivazioni del gesto“.

Insomma, anziché ammettere di aver diffuso una fake, di essere stati vittima della loro stessa follia visionaria cronico-degenerativa, di correre a rettificare i post che immediatamente avevano sciorinato nel metaverso, i nipoti dei rossi protagonisti della nostra guerra civile preferiscono ipotizzare l’esistenza di una sorta di fascio africano. Altri fantasmi. A questo punto e stante questo livello, la cosa che davvero dovrebbe preoccupare (sempre loro) è proprio il numero crescente delle iscrizioni – che siano come le tessere farlocche del Pd? – che, è evidente, non ha una corrispondenza nella qualità di ciò che dicono, fanno, inventano.

Boom di iscritti all’Anpi? Utile a rinunciare ai soldi pubblici

Insomma, requisiti essenziali per entrare in quelle scuole “rette” da dirigenti scolastici come quella del Michelangiolo di Firenze e spacciare ancora verità comode a danno della storia vera, del libero pensiero, della conoscenza. Che è verità. Chissà, però, se almeno questa volta che sono così numerosi, avranno la dignità di costituirsi finalmente quale associazione autonoma e di rinunciare a un incomprensibile quanto ingiustificato contributo statale, vieppiù elargito stavolta da un governo “di destra” – che non è la giusta collocazione del fascismo, ma i loro monologhi senza contraddittori nemmeno permettono di capirlo – da avversare in ogni modo, nonostante l’atteggiamento dell’esecutivo sia sovente quello di (com)piacere a più non posso una certa sinistra. Niente di più, niente di meno della fine dei loro duri e puri compagni antifà anticapitalisti di Potere al Popolo di Napoli che fanno richiesta e ottengono ben 16 milioni di fondi del Pnrr per aggiustare la casetta (okkupata) ma con i soldi sottratti al popolo. Sarà vera gloria per questi partigiani nuovi di zecca? Ai kompagni l’amara sentenza.

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