DE LUCA E DE MAGISTRIS : MA ALLA FINE, CHI E’ PEGGIO TRA I DUE???

La Regione ferma la vendita di una parte del demanio che lei stessa aveva messo in vendita, ma senza saperlo.
Potrebbe sembrare un simpatico scioglilingua, di quelli anaforici, cacofonici e che non significano nulla. E, invece – purtroppo – questi sono dati reali ed indicativi. Il Comune vende se stesso, o meglio una parte di esso, per non essere stato capace di prendere ciò che è suo.
Non saprei chi scegliere tra De Luca e de Magistris, ma questi due, che amministrano per la seconda volta rispettivamente Regione e Comune, si copiano addirittura, si “e-mulano”, ovviamente in negativo. Se DeMa, nell’indignitoso tentativo di ripianare le dissestate casse del Comune, non ha esitato a mettere in vendita il palazzo del Consiglio Comunale, De Luca addirittura “pensa” di vendere una pineta intera ad un privato. Ad essere precisi, si tratta di una vasta aerea dell’estensione di 300 000 mq comprendente il Parco degli Uccelli, la Pineta di Varcaturo e la foce del Lago Patria,. La cosiddetta “Oasi dei Variconi” un vero e proprio polmone verde dal valore ambientale inestimabile e che De  Luca svende al prezzo di costo  di 1 euro al metro quadro. All’oscuro di tutto, naturalmente, anche il Sindaco del comune di Giugliano in Campania, attuale titolare della concessione del parco.
Vari e a strascico le polemiche seguite a tale decisione, dai consiglieri comunali alle sigle sindacali, tutti impegnati in polemiche postume quanto sterili, a caccia di un consenso da mercato. Tutti obbedienti alla sola logica del profitto, tutti pronti (e proni) ad appuntarsi sul petto la medaglia della vittoria. Magari della battaglia e non della guerra.
Ma poco importa (per loro) se la pezza – non solo del sindaco con la bandana – sia persino peggiore del buco: in poco più di un anno la Corte costituzionale per ben due volte ha richiamato all’ordine il sindaco de Magistris e la sua (?) giunta fu arancione ed oggi multicolor ricordando e ribadendo come il lasso temporale per far quadrare i conti va ridotto da 27 e 3 anni, prorogabili massimo a 5. E per la seconda volta in poco più di un anno sempre la Corte costituzionale boccia la contabilità di Palazzo San Giacomo perché è illegittimo utilizzare le anticipazioni dello stato per coprire le proprie malefatte.
È risaputo che le erbe cattive sono dure da estirparsi e stavolta una mano a Gigino ‘o flop arriva nientemeno che dal Governo centrale che, grazie ai (promessi) ristori bis dovrebbe poter incassare i balzelli mai riscossi né incassati per intero.
Giustificazione pragmatica e vuota quella da esperto conoscitore della macchina burocratica De Luca che accetta di apparire quasi ingenuo, quasi che lui non ne sapeva nulla, un Andreotti di Regione, ingenuo come quando in Italia venivano consumati sequestri, omicidi e stragi. De Luca, infatti, non sapeva nulla della (s)vendita dell’area verde sulla litorale Domizio e immediatamente ha provveduto a fermare lo scempio di un’azione non coordinata tra Regione ed amministrazione regionale. Ci vuol faccia tosta, ma c’è chi ce l’ha.
E se così alla fine contano i risultati, indipendentemente dalla strada che si è percorsa, il bilancio comunale sarà ancora una volta salvo e la pineta di Varcaturo con annesso Parco degli uccelli ed altre bellezze topiche non diventeranno proprietà di un privato. Il che significa che de Magistris e De Luca  saranno salvi e salvati ancora una volta, ma Napoli e la Campania che fine faranno?
 https://www.camposud.it/2021/05/de-luca-e-de-magistris-ma-alla-fine-chi-e-peggio-tra-i-due/

IL GARANTE DELLA PRIVACY : LA COVID CARD DI DE LUCA??? A me me pare ‘na strunzata!!!

Garante batte De Luca 1 a 0.
Ve lo ricordate Vicienzo, tronfio e impettito dietro la “sua” scrivania annunciare la card vaccinale, rimarcare con orgoglio di averla pensata, ideata e realizzata e vantarsi per essere stato il primo in Italia?
Ve lo ricordate DELUCADONOSSOR ( Marina Salvadore ci perdonerà per aver attinto dal suo novello Terronia Felix ) elargire libertà e concessioni ai suoi “amici di buco”; concedere la libertà a chi recava l’imprimatur ; dischiudere il suo arci-circolo a chi aveva appena inoculato la pozione miracolosa, l’elisir di lunga vita?
Ebbene, il Garante della privacy si è pronunciato: “A me, me pare ‘na strunzata!”
A dire il vero in tanti, campani e non, considerate le nazionali dimensioni del fenomeno da baraccone, avevano espresso perplessità su tale iniziativa del Presidente della regione Campania. Per i più non è stato difficile capire che tale passepartout creava delle discriminazione e invadeva il campo della riservatezza, dando così modo di conoscere (e disconoscere) situazioni che attengono la sfera intima e personale. Ma non per Vicienzo: per lui era cosa buona e giusta etichettare le persone ed esibire il bollo regionale per elargire agli inoculati determinate concessioni: vuoi andare a teatro in Campania? Ci vuole La covid-card! Vuoi andare a ristorante in costiera? Ci vuole la covid-card! Vuoi prendere moglie o marito? Ci vuole “cavid-card!”.
I toni debbono essere necessariamente canzonatori perché De Luca ormai non può più essere preso in considerazione seriamente. La pandemia poi ha acuito la situazione, ma il Garante nei confronti dell’inquilino di Palazzo Santa Lucia non è stato così morbido. Tutt’altro, gli ha riservato proprio un sonoro “cazziatone”: la card vaccinale come lasciapassare per servizi turistici, matrimoniali, culturali e sociali vìola la privacy. In base all’istruttoria avviate dal Garante, è emerso che l’iniziativa è priva di una base giuridica. Disposizioni come quelle adottate dal governatore col lanciafiamme che inficiano le libertà e i diritti personali sono inammissibili in assenza di specifica legiferazione nazionale. Poi arriva anche il sonoro ceffone: «progetti come quello campano introducono sistemi di rilascio e di verifica della vaccinazione difformi da quelli individuati a livello nazionale e, soprattutto, e mettono a rischio la stessa interoperabilità delle certificazioni a livello nazionale ed europeo. In contrasto proprio con la finalità di agevolare la libera circolazione all’interno dell’Unione Europea durante la pandemia di Covid-19». Altro che democrazia! E pensare che proprio De Luca dovrebbe esserne uno strenuo difensore, vieppiù viene da un partito che tale condizione la richiama persino nel nome. Ma con l’uomo lucano ad essere partita è solo la democrazia. D’altronde, proprio il Covid che è stato causa diretta e indiretta di tante morti, ha salvato De Luca, la sua posizione sopra le righe nel partito, la sua posizione sullo scranno della giunta regionale, per lui sempre più un confino per non essere riuscito ad approdare alle cadreghe ben più comode e più imbottite di Palazzo Madama o di Montecitorio. Ma è risaputo, Vicienzo è tutto un pezzo… e ha già annunciato che la produzione e la distribuzione dei pass vaccinali non si fermeranno. Perché? De Luca forse non riconosce lo Stato Italiano? Può non uniformarsi alle leggi della Nazione? Quanto sono costate alle casse della Regione queste tessere, manco a dirlo, rivelatesi inutili? Perché continuare a sperperare denaro pubblico, dei contribuenti per un capriccio del sovrano? Chi risarcirà i cittadini campani per questa ulteriore bufala… deluchiana? Perché perpetrare con questa sua farsa nei confronti dei cittadini che sono liberi di muoversi in Italia, in Europa, nel mondo, ma non in Campania, amministrata sempre più a regno delle sue volontà? Lui esiste, insiste e resiste, ma il Garante lo ha ridimensionato: Vicie’, statt’ ‘o posto tuoio !

https://www.camposud.it/2021/05/il-garante-della-privacy-la-covid-card-di-de-luca-a-me-me-pare-na-fessaria/

Obbligatoria in Campania la “tessera del PD” : DELUCADONOSSOR ‘O RRE’!!!

Ottimamente ha scritto la saggista Marina SALVADORE nel suo recente volume  “TERRONIA FELIX”, ribattezzandolo DELUCADONOSSOR! Niente, Vincenzo De Luca a fare la persona seria proprio non ce la fa: ha fatto ridere quando si doveva piangere, si è fatto “pupazzo” quando nessuno voleva più reggergli le fila. E’ passato ad essere un govern-attore diventando la caricatura di se stesso ed oggi, ancora smanioso e rampicante,  far finta di essere il capo della classe quando le scuole sono chiuse. Senza alcun pudore né dignità si presta a fare la propria parte in un altro, ennesimo “esperimento” di ingegneria sociale, prova “in primis” per lui stesso, in quanto ad affidabilità di mero esecutore di ordini.

L’ultima ordinanza emessa dal Presidente col lanciafiamme è, a tutti gli effetti, un attestato di discriminazione nell’epoca (dell’abuso) del politically correct, che c’è ovunque tranne che dove dovrebbe esserci. “Omnia munda mundis” evoluto in “La legge è uguale per tutti ma qualcuno è più uguale degli altri”, per intenderci.
Lo aveva annunciato e nessuno è riuscito a farlo ragionare, a partire dall’opposizione per finire al fu commissario straordinario per l’emergenza Domenico Arcuri: De Luca, che pure ha una sua giunta, inaugura la Covid Card, un certificato di avvenuta vaccinazione che è a tutti gli effetti un “passepartout”, una chiave del pensiero unico e uniformato. O formattato.
Nell’ordinanza n. 17 si legge, infatti, che l’Unità (!) di Crisi regionale predisporrà, “di concerto con le associazioni di categoria” protocolli con adeguate misure per assicurare la fruizione in sicurezza di diversi servizi – turistici, alberghieri, wedding, trasporti, spettacoli eccetera – anche attraverso facilitazioni e deroghe alle misure di sicurezza più restrittive, per cittadini in possesso di certificazione/Smart card di completamento della vaccinazione. Fermo l’obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione individuale e di osservanza delle altre misure di prevenzione di base. Ovviamente solo a chi è stato bravo ed ubbidiente da farsi inoculare entrambe le dosi del vaccino. Tra un po’ ce le spaccerà addirittura come il bis di un succulento pranzo luculliano, un’ingordigia di senso di responsabilità. Vuoi sposarti? Serve la tessera! Vuoi prendere l’R2? Serve la tessera! Vuoi andare a far visita con la tua macchina alla mamma relegata in un ospizio, eufemisticamente RSA? Serve la tessera! Mi raccomando, però, di indossare sempre e correttamente la mascherina, di detergere continuamente le mani, di osservare la distanza di sicurezza anche sei in corpo hai il siero, doppia pozione, dell’immunità.
Una vera e propria azione discriminatoria che poco o nulla a che fare con la Medicina. Questa è (im)pura campagna elettorale, di riserva, una seconda dose a elezioni finite. Il signor Presidente si è inventato la green card e sta facendo volantinaggio così, tentando di cavalcare l’onda – o l’onta – finché dura e si prodiga per farla durare più a lungo possibile.
Una intera regione, la regione più importante dell’intero Mezzogiorno, ostaggio di un impanicato fobico che ha arrabattato la propria fortuna elettorale, con la resurrezione, vivaddio solo politica – o meglio – elettorale e che adesso impartisce e dispensa anche l’imprimatur. Urbi et orbi, secondo la sua volontà.
E con il (religioso) silenzio assenso di chi dovrebbe contrastarlo, dall’opposizione in Consiglio regionale, sino alla signorina Lamorgese che dovrebbe leggere gli atti che arrivano sulla sua scrivania. Sono degni di considerazione anche quelli, seppur non arrivino con i barconi, passando anche da mr. chiusura Speranza Robertino, scrittore per ripiego, ministro della salute, ma non sa manco lui il perché. o il come!
E chi se ne frega se il Garante della privacy in audizione al Parlamento ha detto che questa cosa della green card non si può fare, che è anticostituzionale in quel Paese, non più Nazione, dove finora si mangiava e si respirava Costituzione e che ora,”all’intrasatta”, diventa carta da cesso. Non più sicuro rifugio di quegli antifà da stra-pazzo che vedono ancora il Fascismo ovunque, ancora dopo un secolo, tranne che in quella Costituzione a loro tanto cara che contiene conquiste sociali e diritti del lavoro nati nel Ventennio. Eppure finora cuscino intonso per i loro utopici sogni.
Vicienzo continua a fare e a disfare a suo piacimento – duecentoquarantamila card di suo parto sono bloccate per il solito intoppo burocratico perché non si sa chi le debba distribuire…………. Ma continua a fare ‘o gallo ‘ngopp’ ‘a munnezza nel suo “regio lagno”. Quando invece, con una sana e responsabile opposizione, garantista di quel popolo che si sente continuamente colpevolizzato e la cui esistenza è finalizzata all’esclusivo raggiungimento dell’immunità di gregge, (sfiorando di diventare dei piecuri) , potrebbe inchiodarlo alla proprie responsabilità, anche pregresse.  Per dirla con una locuzione attuale e congeniale a lorsignori – per essere stato il principale distruttore della Sanità campana.
Carta canta… e in Campania se vuoi avere il semaforo verde devi tesserarti, omologarti, accettare i loro diktat in nome delle libertà (?) e della democrazia, garantita dal Pd e dai suoi rappresentanti che dettano usi e costumi della nuova Italia, del nuovo umanesimo, del trans-umanesimo che è nuova civiltà. Zan zan! Lo hanno detto chiaramente! E loro (il PD e i suoi cani al guinzaglio) sono candidati ad essere gli esclusivi forieri e gli unici diffusori del “nuovo” pensiero.  E sì  che tutto questo si sarebbe potuto risolvere con 15 euro in via Sant’Andrea delle Fratte…

https://www.camposud.it/2021/05/obbligatoria-in-campania-la-tessera-del-pd-delucadonossor-o-rre/

IL MIGLIOR MODO DI “GIUSTIZIARE” NAPOLI!

“Occorre sbarazzarsi del cattivo gusto di voler andare d’accordo con tutti.​ Le cose​ grandi​ ai​ grandi, gli abissi​ ai​ profondi, le finezze​ ai​ sottili e le rarità​ ai rari”. Chissà se cent’anni dopo, Nietzsche avrebbe scritto, al di là del bene e del male, ancora queste parole. Eppure, cent’anni dopo, queste parole sono più che mai valide. Proprio oggi che viviamo una crisi sanitaria mondiale, ma le “cure” sono rappresentate da provvedimenti economici; oggi che in piena pandemia è stato riconfermato al Ministero della Sanità un signore che nemmeno è medico; oggi che in pasto al volgare popolino, trattato sempre più da popolo bue, si danno le opinioni e i consigli di una veterinaria; oggi che chi non ha mai lavorato diventa ministro del lavoro e dello sviluppo economico e poi, come se non fosse già abbastanza, siede alla Farnesina conoscendo poco e male persino la propria lingua madre. Madre che questa lingua la insegnava. Agli altri.
Ma finché c’è speranza… si potrà sempre attingere dal mondo della giustizia.
Che è, forse, stando ai processi ed i “precessi”, il modo migliore per giustiziare Napoli.
Non è bastata la decennale disastrosa gestione della giunta pluri-rimpastata de Magistris, non è bastato guadagnarsi la fama di peggiore giunta che abbia mai governato Napoli, che ecco che ci riprovano: si attinge ancora dal calderone della Giustizia per estrapolare il nome del candidato ad essere il nuovo Sindaco di Napoli. Che poi tanto nuovo non è. Catello Maresca, infatti, risulta essere un nome già “riciclato” pur non essendo mai stato di fatto candidato. Nel lungo, breve e medio periodo. La “carriera” politica del magistrato iniziò anni fa candidandosi alle comunali dell’hinterland napoletano, espressione sinistra di una coalizione di liste civiche, fino ad arrivare ad essere l’anti-De Luca all’ultima tornata elettorale. Progetto poi abbandonato. L’occasione si ripresenta alla tornata elettorale immediatamente successiva e con le dovute differenze: questa volta, però, si corre per Palazzo San Giacomo, il Magistrato non sarà più il nome da opporre a De Luca col quale si è già intrapresa la “massima collaborazione istituzionale” (parole dello stesso Maresca).
Dichiarazione che ha fatto storcere il naso di quelli che De Luca non l’hanno votato e che adesso, per convergere sul PM anticamorra, sarebbero costretti persino all’abiura dei propri simboli!
Dunque, si potrebbe avere un candidato di una certa sinistra che si candida con e per il centrodestra il quale, però, dovrà rinunciare ai propri simboli in nome di una coalizione civica! Eccetto Fratelli d’Italia che lo sosteneva alla Regione ma che lo ha scaricato al Comune a vantaggio di Sergio Rastrelli, figlio dell’inarrivabile Antonio e conosciuto, almeno in politica, soprattutto perché “figlio d’arte”.
Queste sono le premesse, molto chiare e ben poco identitarie, da barattare per ottenere il nome del magistrato napoletano. E il programma? Cosa intende fare Maresca per rifondare Napoli dopo questo decennio penoso su ogni fronte?
Maresca, che ha subito e bene appreso il politichese spicciolo, non conferma né smentisce l’ipotesi candidatura, ma intanto tesse i rapporti con l’inquilino di Palazzo Santa Lucia e incontra le associazioni di categoria. Ma il nome è forse più importante del programma? È davvero strategico siffatto nome al punto da rinunciare a metterci la faccia, pur di metterci (solo) la matita?
Perché, dopo questo decennio che – finalmente! – andiamo a chiudere, si ripropone ancora una volta un magistrato?
È vero che ognuno di noi è unico e irripetibile – almeno nella validità filosofica della locuzione – ma Catello Maresca viene presentato come il pm anticamorra, come il giudice Maresca quindi con accezione alla categoria. Ancora un magistrato in politica, dunque? È ancora una garanzia un magistrato impegnato in politica? Proprio a Napoli? Dopo de Magistris? Dopo dieci anni di de Magistris? Dopo Di Pietro e Ingroia? Dopo Nitto Palma e Pietro Grasso? Dopo Felice Casson e Marta Cartabia? Dopo Palamara e nel momento del massimo sputtanamento per certa magistratura? Ma basta con i magistrati in politica! Che già fanno politica e abbastanza pure che arrivano persino a legiferare in nome e per conto del Parlamento, sempre più esautorato dall’esercizio dalle proprie funzioni. L’appartenenza alla magistratura può rappresentare, dunque, un valore aggiunto? Eppure, Maresca nel suo campo il valore lo ha dimostrato arrivando a dirigere le operazioni per la cattura del boss di camorra Michele Zagaria, ha rappresentato l’accusa nel processo contro Giuseppe Setola, è passato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli sino a diventare sostituto procuratore del capoluogo partenopeo. Ha all’attivo anche un processo verso quella Destra sociale napoletana che, forse, conviene non ricordare. Basta conoscere una piaga della città per poterla governare? Napoli non è solo camorra e non è solo la camorra il problema di Napoli! Napoli è la terza città più importante d’Italia e la prima dell’intero Meridione. Questa, ma non solo, è la via!
Un percorso – quello catelliano – che sembra ricordare quello di un altro togato, tale Raffale Cantone, amico di tanti e benvoluto da tutti, colui che pare “passasse” le veline grazie alle quali è stato costruito il personaggio di Roberto Saviano con tutto il conseguente “sputtanapoli”. Colui che sputa nel piatto dove mangia, che scappa dal luogo che (non) ama e che lo sfama, ma che non concorre ad aiutarlo, a curarlo, a cambiarlo. Troppo facile così. Troppo comodo. Troppo inutile.
Un’altra Gomorra no, per carità!
Allora che ognuno faccia ciò che gli riesce meglio, non tutti possono fare tutto: questione di attitudini, di competenze, di capacità, di formazione, di percorsi. O non ci resterà che presentarci al seggio elettorale sciorinando libri, stavolta quello di Palamara!

https://www.camposud.it/2021/03/il-miglior-modo-di-giustiziare-napoli/

ISOLATA LA VARIANTE CAMPANA : SI CHIAMA DE LUC(R)A, MA PARE ESSERE POCO ATTIVA !

Ed eccoci di nuovo qua, cioè al punto di partenza. Ci risiamo: si chiude! Di nuovo! CAMPANIA ZONA ROSSA. Mobilità ridotta, pance vuote, bocche asciutte, fiato trattenuto, vita sospesa, uomo annullato.
Il bollettino incriminato parla chiaro: su 25327 tamponi effettuati sono 2842 i positivi di cui 215 sono gli asintomatici (non gli ospedalizzati), pari all’11,2 %. Su 5802000 abitanti, i morti sono 13 ovvero lo 0,22%. Questi sono i numeri della morte, snocciolati quotidianamente a mo’ di rosario. Gonfiati o no, sono quelli con i quali si tenta di ammazzare una regione già agonizzante, come del resto tutte le “omologhe” facenti parti di questa Nazione proiettata sempre più verso quelli che furono gli stati preunitari, perché a guardare l’indice RT campano si assiste addirittura ad una flessione (da mettere all’indice perché da zona gialla): da 1,4 a 0,9.
Mica si può dire che la gente è stata responsabile, responsabilmente è uscita e si è comportata in maniera consapevole determinando, così, una condotta certificata dai numeri? La colpa è della gente che è andata sul lungomare a respirare! E cosa importa se in Irpinia – dove si registrano più contagi che a Napoli – o nel Sannio – dove il reparto Covid pare essere nientemeno chiuso per mancanza di clienti, ops… pazienti – non c’è il mare: lì la gente ha avuto l’ardire di andare al ristorante per godere delle eccellenze gastronomiche locali e, di contro, le “vittime” hanno osato esercitare un diritto su cui si fonda questa demokratica repubblica che è quello di lavorare, ragion per cui questa “gentaglia” è colpevole e va punita!
Dunque, nell’intera regione più importante del Mezzogiorno d’Italia, contro il “vairus” sembrano non funzionare più nemmeno le strategie da sceriffo del governatore De Luca, scaricato prima e riciclato poi persino dal suo (?) partito e votato in maniera plebiscitaria da quelli che ieri ridevano alle sue macchiette da baraccone di terz’ordine e oggi osannano le chiusure a iosa, invocano il lockdown incondizionato e, mai ebbri, continuano a rendersi partecipi di sporchi e pericolosi giochi (e gioghi) di palazzo.
E, nel tentativo di indurre in riflessione, guai a dire che se siamo di nuovo a questo punto, ovvero alla situazione di partenza che è voce del verbo “non abbiamo risolto niente” – il che, dopo un anno e più, è più che grave – è perché le strategie da sceriffo, le minacce dell’Impanicato, il lanciafiamme, l’odio verso chi è solo colpevole di lavorare, di vivere o di portare a pisciare il cane non sono servite a nulla, se non a incartare promesse elettorali farcite da demagogia da (ri)elezione cui è ormai ridotta questa putrefacente e incartapecorita politica nostrana, sempre più cappio e tagliola per tutti.
Siamo seri: la zona rossa di oggi è diretta discendente dell’immobilismo e persino dell’incapacità di ieri, di ieri l’altro ed è solfa vecchia di dieci anni. Della decennale fame mai doma, dell’ingordigia… virale.
E vergognosamente (per noi), seppur senza vergogna da parte loro, non si dà ora né ancora conto dei moduli Covid arrivati in nottata, con tanto di parata in pompa magna, su camion dell’Esercito, in perfetto stile (e conseguente crisi di inferiorità) “bare di Bergamo”, per la regia di quel Generale oggi sostituto del supercommissario con poteri speciali Domenico Arcuri; non si dà conto della condizione in cui versano detti moduli Covid; del motivo per cui sono stati inaugurati più volte e non sono entrati in funzione mai; dei ventilatori d’importazione che non si sono mai potuti utilizzare per la mancata traduzione del libretto d’istruzioni; delle strategie per il contenimento che vanno dai diktat al lanciafiamme, dalle denigrazioni pure agli infanti sino alle privazioni per tutti; dei posti letto, o meglio, della dichiarazione dei posti letto in terapia intensiva aumentati, raddoppiati, decuplicati che manco l’Italia intera!
È solo uno sporco (e vano) tentativo di nascondere il lerciume sotto al tappeto, ma che continua a rimanere in casa.
Dunque, il pericolo si incontra nelle scuole le cui aperture sono appannaggio del Ministero, dei Presidi e dei Sindaci, ma non nel tragitto che per arrivare ad essa si compie: per cui meglio chiudere la scuola se non si è fatto nulla per potenziare o organizzare il trasporto pubblico locale dove si viaggia come carri bestiame. Archiviato come complottismo, manco a dirlo, ogni tentativo di interrogarsi sui motivi per cui, con scuole chiuse a vantaggio del surrogato deno-minato DAD, non si è lavorato già un anno fa sul “nuovo modo di viaggiare”: nome altisonante buono da sfruttare per la propaganda elettorale in cui il Governat(t)ore ha profuso ogni sforzo. Meglio chiudere i negozi oramai vuoti che espongono ormai inutilmente le raccomandazioni istituzionali di distanziarsi, igienizzarsi e di isolarsi. La beffa che si aggiunge al danno. Un santo(ne) protettore capace di miracoli come quello di moltiplicare le dosi di vaccino arrivate in Campania, terra franca grazie a Lui, in maniera non equa rispetto al resto di quell’Italia che ora conviene considerare una Nazione e vaccinare il 135% di quanto è possibile. Come? Ripartendo in sei la dose che era per cinque. E se lo dice lui che è commissario straordinario alla San(t)ità…
Ora che la gente (anche grazie a Dio e non a Lui!) non muore più, in qualche modo bisogna (de) “lucrare” e il principio cardine, come da manuale, sembra essere quello di indire la zona rossa che significa proventi, risorse, guadagno, soldi (altro che ristoro!), ma non certo per la plebaglia. E De Luca stavolta la standing ovation se la merita tutta: regione rossa prima della (sempre invisa) Lombardia che sta, purtroppo, messa peggio di noi, unica regione d’Italia in zona rossa. Almeno all’atto della proclamazione.
Insomma, si continua a scappare da un virus, ad evitarlo anziché curarlo. Forse, non conviene.
Rilevata, dunque, la variante campana: prendere tempo per perdere tempo, cambiare tutto affinché nulla cambi, ha da passà ‘a nuttata insomma.
Allora chiudiamo per salvare il Natale, chiudiamo per salvare il Carnevale, chiudiamo per salvare la Pasqua, chiudiamo per salvare l’estate, chiudiamo per salvare di nuovo il Natale, chiudiamo per salvare di nuovo il Carnevale, chiudiamo per salvare di nuovo la Pasqua, chiudiamo per salvare di nuovo l’estate, chiudiamo per salvare il prossimo anno, chiudiamo per salvare il prossimo decennio, chiudiamo fin quando non ci sarà più nulla da chiudere, più nulla da salvare.

https://www.camposud.it/2021/03/isolata-la-variante-campana-si-chiama-de-lucra-ma-pare-essere-poco-attiva/

QUANDO UNO VALE UNO………..SI FINISCE PER NON VALERE NULLA!!

RIFLESSIONI AMARE SULLA PERDITA DI DUE SERVITORI DELLO STATO.

Dunque, l’etichetta prevede: tweet con tanto di metti-tu-il-nome-tra-parentesi perché, come da preparazione catodica assurta (e assurda) istituzionale, tra il non conoscere nemmeno il nome di chi si scrive – che per te lavora – e strafalcioni nei post sui social che ha sostituito la vecchia cara agorà, vale la prima risposta; cravatta d’ufficio, giacca d’ordinanza, scarpe fresche di sciuscià, se nuove ancora meglio, da sfoggiare sulla passerella all’uopo preparata; silenzio, purtroppo solo quello fuori ordinanza, faccia falsamente triste di rito e ordine di preparare il compitino farcito della retorica più squallida per questo “Servitore dello Stato” – anche se erano due, ma non pretendiamo che uno sappia pure contare – da leggere in Camera. Dei deputati della Repubblica.
L’Ambasciatore italiano in Congo e il suo Carabiniere non erano ancora stati sepolti che già Di Maio riferiva in Aula, più che altro si affrettava a dire per smentire che il diplomatico viaggiava su un convoglio di auto non blindate e che era in missione per conto dell’ONU. Con convoglio di due auto.
Missione per conto dell’ONU – chissà se il Ministro degli Esteri lo sa – vuol dire nel pieno esercizio delle sue funzioni, per conto della Repubblica Italiana e, ed essendo egli stesso il titolare della Farnesina, anche sotto la propria egida. Almeno sulle carte. Quelle carte con cui, stando al dossier pubblicato da Il Riformista, il nostro Attanasio aveva chiesto scorta e mezzi blindati già nel 2018 proprio perché cosciente di operare in uno dei posti più a rischio della faccia della Terra. Percorso da un centinaio di diverse bande armate, da un sedicente fronte di liberazione del Rwanda e da predatori di minerali, animali ed esseri umani di ogni risma, dove in cinque anni hanno perso la vita duecento dei settecento “Ranger” in servizio in quella Riserva Naturalistica ove anche i due nostri connazionali sono stati trucidati.
Evidentemente alla Farnesina ritengono sciaguratamente che se un convoglio può consistere in due sole auto con normale equipaggiamento, come quelle che usano tutti i comuni mortali  (eccetto certi politici) , per scorta può essere inteso anche un solo Carabiniere, con la sola pistola d’ordinanza, seppur perfettamente addestrato, ma pur sempre unico addetto alla sicurezza e alla sua prima missione operativa in Congo.
Solo che alla richiesta del “Servitore dello Stato” il governo Conte rispose picche, anzi, invece di provvedere immediatamente alla richiesta del diplomatico inviando un’auto con le caratteristiche richieste, magari usata, attingendo dal parco auto di Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, pensò (male) di indire addirittura una gara d’appalto.
Ma l’italica burocrazia è nota a tutti  e la procedura di appalto è andata per le lunghe. E così l’auto blindata l’ Attanasio-servitore-dello-stato non l’ha mai neppure vista.
Apparirebbe persino lapalissiano che il governo, questo governo che non è tanto differente dal precedente, almeno per nomi e ripartizioni – nonché spartizioni – sia correo, se non il principale responsabile, di questo assassinio.
Ma forse nemmeno questo apparirebbe punto su cui riflettere, visto che in Parlamento è andata in scena la vergognosa lettura secondo cui i due “Servitori dello Stato” non potevano essere protetti dal Governo e dal ministro Di Maio tramite le sue decisioni, perché “erano troppo lontani dalla Capitale”. E quindi fuori dalla giurisdizione protettiva che lo stato assicura ai suoi diplomatici. Attanasio, dunque, è morto per il suo spericolato senso di consegnare le derrate alimentari ai bambini denutriti (si stava recando in una scuola elementare) e la sua avventata bramosia filantropica ha trascinato con sé anche il carabiniere Iacovacci e il loro autista Mustapha Milambo.
Eppure il nostro rappresentante  alla Farnesina, Giggino da Pomigliano, dovrebbe sapere bene cosa sia un convoglio: ricorderà quando si recò nella pacifica Svizzera, a Mendrisio, appena una decina di chilometri al di là del confine italiano, con un corteo-processione di ben undici  auto blu blindate, ottimamente equipaggiate. Ma ahinoi,  non ricordiamo la stesura di nessuno storico trattato sottoscritto nel Magnifico Borgo tra le Alpi svizzere.
Se essere “avanguardisti” appare difficile e, sic stantibus rebus, pure pericoloso, oggi che il MoVimento è passato dal Vaffa al “mi consenta”, che persino un capopartito con ruoli di alto profilo istituzionale come Casalino si dà al meretricio politico arrivando ad autocandidarsi per lavorare persino “sotto” Berlusconi, i 5 Stelle potranno fare appello all’esperienza del Cavaliere e far tesoro di quando egli stesso in prima persona chiese a Claudio Scajola, allora al Viminale, di rassegnare le dimissioni all’indomani dell’assassinio del giuslavorista Marco Biagi per mano delle Brigate Rosse.
Lo facciano capire pure a Giggino che non è bastato gridare “honestà honestà” per non finire nello stesso minestrone berlusconiano in salsa renziana. Che l’uno vale uno può andar bene nel MoVimento che non è il Governo dove ci si è bullonati alla cadrega per cui non è valso più nemmeno l’uno vale l’altro. E che le dimissioni di un Ministro evanescente e pertanto inutile, oltre che dannoso, sono la cosa minima che ci si aspetta. Perché  stavolta l’uno vale proprio niente!
https://www.camposud.it/2021/03/quando-uno-vale-uno-si-finisce-per-non-valere-nulla/

CHI È ALFREDO COVELLI?

Alfredo Covelli è un bonitese di 107 anni che da 23 anni riposa definitivamente a Bonito.
Non è stato il compaesano che ha portato in alto il nome di Bonito nelle Istituzioni, dalla Camera dei Deputati sino all’Europarlamento, ma il bonitese che da Bonito è partito e a Bonito è sempre ritornato.
Non è stato il bonitese che è arrivato ad affascinare addirittura re Umberto, ma l’Onorevole la cui porta dello studio di Bonito era aperta a tutti.
Non è stato il politico, il Padre Costituente, l’inventore del Partito monarchico Stella e Corona, l’Europarlamantare stimato persino dai suoi avversari politici, ma il compaesano che ha aiutato tanti bonitesi, di qualsiasi estrazione sociale e politica, a garantire il sostentamento alle proprie famiglie.
Non è stato il lavoratore instancabile, forgiatore del copioso archivio politico consultabile presso la Camera dei Deputati, ma quello che ha garantito diritti e giustizia a tanti bonitesi.
Non è stato l’Onorevole chiuso nel suo scranno di Destra Nazionale, ma l’uomo capace di guardare bene al di là di biechi schieramenti politici arrivando a “liberare” persino i suoi “buoni” avversari politici.
Alfredo Covelli non è il più illustre bonitese, quello utile da rispolverare nei comizi dal candidato di turno, ma il concittadino condannato al ripudio e all’oblio, l’uomo da sprofondare nel baratro del dimenticato da ogni primo cittadino che “si rispetti”
È onore e vanto di Bonito e di quei Bonitesi che, ancora dopo un quarto di secolo dalla sua scomparsa, sono stati capaci di non intitolargli una piazza, il corso, una via, un vico, uno spiazzo, il Concittadino che vivrà in eterno nel ricordo di quelli che hanno radici profonde che non gelano mai!

 

Why not ? No, so guaie ‘e notte !!

Uniti nella buona e nella cattiva sorte. Sicuramente nessuno avrà da ridere nell’applicare questo vecchio adagio alla signora Eleonora De Majo e al compagno – stavolta di vita – Egidio Giordano, entrambi assessori al Comune di Napoli, lei con delega Cultura, lui responsabile dei Beni comuni e delle Politiche sociali della III municipalità del capoluogo partenopeo. Entrambi provenienti dallo stesso centro sociale, Insurgencia, prolifico vivaio cui attingere per la giunta de Magistris.
Denunciati entrambi per detenzione di materiale esplodente nel corso di una perquisizione ordinata dai Pubblici Ministeri della Procura napoletana.
La perquisizione, in realtà, era volta ad accertare le posizioni di Gennaro Grosso, esponente del tifo azzurro, circa la composizione della commissione che avrebbe dovuto “scegliere” la statua di Maradona che i napoletani avrebbero dovuto pagarsi e gli amministratori avrebbero dovuto collocare nei pressi dello Stadio Maradona”. “Folkloristico” progetto denominato Sinfonia della Felicità, di cui Campo Sud si è già occupato, secondo il quale si chiedeva al popolo dei tifosi azzurri di finanziare una statua del Pibe de Oro (operazione immaginata in autofinanziamento, tenendo conto delle disastrose finanze del Comune di Napoli!). Gli Assessori comunali, coadiuvati da alcuni “esperti” appositamente nominati, avrebbero poi scelto la statua (quella che dicevano loro) e  collocata (dove dicevano loro). Come a dire “mangia, cornuto, ché la roba è la tua”.
Secondo gli inquirenti, l’ultrà del Calcio Napoli avrebbe esercitato pressioni sul Giordano pur di far parte della commissione giudicatrice, oggi abbandonata, e sempre il tifoso sarebbe coinvolto anche negli scontri di piazza del 23 ottobre scorso, seguiti alle stringenti misure anticovid  del secondo governo Conte ed acuite oppressivamente dal fobico De Luca.
Circostanza prontamente smentita dall’assessora “gruppettara” che  prontamente rimarcava la precisa volontà da parte della giunta arancione/multicolor di coinvolgere il tifo organizzato nell’omaggio al D10S.
È bastata, al contrario, la detenzione di 7 lacrimogeni per far scattare la denuncia per la coppia di assessori “socialmente insorgenti”, già vecchie conoscenze delle Forze dell’Ordine.
Sempre i due assessori&compagni, lo scorso giugno presero parte, se non ai tafferugli, sicuramente alle successive manifestazioni di protesta che seguirono gli scontri in Piazza Bellini, quando alcuni esponenti dei centri sociali si rifiutarono di fornire le proprie generalità in fase di controlli di polizia, da cui scaturì un parapiglia sfociato in cori e cortei con lanci di bottiglie ed aggressioni ripetute all’indirizzo degli agenti, con immancabili feriti tra le fila dei tutori dell’Ordine.
E se per l’assessora era giusto protestare, il compagno bollò addirittura come falsi i referti medici degli appartenenti alla forza pubblica recatisi in ospedale per le ferite riportate negli scontri. Forze di Polizia che furono accusate, sempre dall’assessore Giordano, di aver volontariamente danneggiato i propri automezzi di servizio, pur di dimostrare la violenza premeditata degli scalmanati manifestanti……….
Chissà se stavolta i lacrimogeni, detenuti in numero plurimo, saranno sufficienti per far scattare l’onta della banda armata o, in alternativa, dell’associazione a delinquere per il  nostro “Duo Istituzionale” in salsa Arancione e i loro amichetti esagitati!!
Non proprio una bella figura, seppur in scadenza di mandato, per due rappresentanti delle istituzioni cittadine come la De Majo e il suo compagno, nonché per il sindaco de Magistris costretto, quest’ultimo, “a riparare” in terra Calabra per tentare una nuova (dis)avventura politica sulla pelle dei cittadini di quella già tanto martoriata regione meridionale. Regione che di tutto potrebbe aver bisogno, tranne che della demagogica, imbelle ed inconcludente esperienza politico-amministrativa del nostro, ancora per poco, Sindaco con la bandana!

https://www.camposud.it/2021/02/why-not-no-so-guaie-e-notte/

“Campo Sud” celebra con questo toccante articolo di apertura di Tony Fabrizio, la “Giornata del Ricordo” dei martiri delle foibe e dell’esodo italiano dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia.

Un volto e una testimonianza dell’esodo Istriano: Il Professor Claudio Antonelli.

Esistono degli “inghiottitoi” carsici (caverne con caratteristiche di pozzi profondi verticali), capaci di fagocitare migliaia di persone: sono le foibe. E ne esistono altri, capaci di nascondere la verità di ciò che avvenne durante la pulizia etnica compiuta dagli Slavo-comunisti nelle terre italiane del Nord-Est divenute poi jugoslave, durante e subito dopo l’ultima guerra mondiale. Questi ultimi inghiottitoi sono sempre in attività e raddoppiano di zelo in occasione del 10 febbraio, consacrato al Ricordo di quei giorni infami.
Ma essa smentisce la fiaba del lieto fine dell’ultima guerra mondiale con la Liberazione e la Democrazia e il “da allora vivemmo felici e contenti”. In realtà noi perdemmo una piccola ma preziosa parte dell’Italia, popolata di veri Italiani. Ma cosa volete, nonostante il “rompete le righe” che il crollo del Muro lanciò ai militanti dell’ideologia marxista e alle nutrite schiere dei suoi utili idioti, il conformismo e lo spirito antinazionale continuano a dominare nel Bel Paese.
Io ho potuto rivolgermi al prof. Claudio Antonelli (in origine il cognome era Antonaz), istriano di Pisino, dal profondo amor patrio, che oggi vive in Canada. Figlio di genitori rimasti per sempre fedeli alle terre perdute, i suoi  gli hanno trasmesso – mi ha detto – un esempio prezioso d’italianità vissuta nei fatti e non nelle parole. Ossia un esempio di patriottismo nobile, alieno da ogni retorica e che rispetta i patriottismi altrui – come l’amore per la  propria mamma dovrebbe far capire che anche gli altri amano la loro madre – ed è fonte di civismo, di responsabilità sociale, di autodisciplina e, quando necessario, di abnegazione. Questo paragone gli viene ogni volta spontaneo, mi ha detto Claudio Antonelli, per spiegare le cose ai mammisti italiani. L’estero ha messo alla prova, confermandoli però pienamente, questi suoi valori di partenza. Il dott. (PhD) Antonelli, sia pur giovanissimo a quei tempi, ha vissuto in prima persona la condizione di esule.
Osservatore attento e appassionato dei legami che intercorrono tra la terra di appartenenza e l’identità dell’individuo e dei gruppi e che ha scritto articoli e svariati libri su questo tema, purtroppo ancor oggi divisivo. Il dottor Antonelli è stato insignito nel 2003 dal Presidente della Repubblica del titolo di “Cavaliere dell’Ordine della Stella della solidarietà italiana”, per aver “svolto negli anni una costante azione di sostegno alla lingua e alla cultura italiana nel Québec”. Nel 2010 ha ottenuto il premio “Histria-Terra” con la seguente motivazione: “Noto divulgatore della cultura e della storia delle terre e delle genti d’Istria, per l’impegno costante ed indefesso, profuso nel difendere la verità storica anche in terre lontane, risiedendo egli stesso in Canada”.
La sua condizione prima di profugo poi di emigrato ha forgiato il suo carattere, la sua personalità, il suo essere, tanto quanto ha influito l’esempio dei suoi genitori, l’esempio della loro coerenza, del loro coraggio e della profondità dei loro sentimenti per l’amor patrio, alla cui base ci sono le foibe, l’odio tribale slavo, la sconfitta dell’Italia, la tragedia dell’esodo, lo sradicamento, i campi profughi, la dispersione di questa gente, della “nostra” gente, l’eterno rimpianto dell’Istria, il lutto per l’onore perduto e il senso di nausea per il conformismo antipatriottico e il filocomunismo come le cause dirette dei sentimenti di tutta una vita.
Essere profugo giuliano era essere “fascista”, era essere traditore, era sufficiente per essere condannato come colpevole in quella Italia buona e giusta che espresse il terrorismo delle Brigate Rosse e il diffusissimo fenomeno radical chic che esaltava la Jugoslavia di Tito, la Cina di Mao e la Cambogia di Pol Pot.
“Fascisti, ossia esseri subumani meritevoli di morte, di una morte inflitta dopo terrore e torture è l’etichetta giustificatrice della logica della raccolta differenziata, invalsa per tanti anni negli ambienti che contano in Italia e che surrettiziamente continua, con i morti italiani delle terre del confine orientale. Automaticamente e criminosamente considerati fascisti e sversati nella discarica dell’oblio e addirittura dell’odio. Per oltre mezzo secolo, scarsi o addirittura nulli i segni di simpatia verso questa gente etichettata fascista dalla sinistra e considerata mezza slava dagli Italiani, i quali, governo in testa, da buoni “sconfitti” e, da diligenti esterofili, hanno adottato i nomi slavi per località la cui toponomastica per secoli è stata italiana”.
Sono gli anni del bacio da parte di Sandro Pertini, il presidente più amato dagli Italiani, al catafalco di Tito avvolto nella bandiera jugoslava, lo stesso che non si degnò di deporre un fiore sulla foiba di Basovizza. Ma che anni prima commemorò con accenti commossi il suo Stalin: «Egli è un gigante della storia e la sua memoria non conoscerà tramonto. Siamo costernati dinanzi a questa morte per il vuoto che Giuseppe Stalin lascia nel suo popolo e nella umanità intera».
Sono gli anni in cui l’Unità scriveva “Ancora si parla di profughi: altre le persone, altri i termini del dramma. Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città. Non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall’alito di libertà che precedeva o che coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori”. Sono le stesse belve che oggi predicano accoglienza urbi et orbi fornendo spazio, vitto, alloggio e trasporto ai nuovi profughi, anche a quelli così chiamati, ma che non fuggono da nessuna guerra. Una libertà incomprensibile per quasi mezzo milione di persone, una libertà che ha il sapore del sangue e della carne viva bucata dal filo spinato, dello scherno e dello stupro, della morte con un colpo alla nuca o dell’inghiottimento da vivo nella foiba trascinati dal parente o dall’amico ancora caldo di morte, della fuga infinita e dal dolore, della paura dello scoppio del cuore in petto che impedisce di tornare, anche decenni dopo, nella propria terra, in Patria, laddove c’era la propria casa, oggi occupata da stranieri.
“Casa”, però, trovata a Napoli dalla famiglia Antonelli, al campo profughi di Capodimonte: “Mia madre, il giorno dopo che la mia famiglia vi si fu installata, si recò in un mercatino, all’esterno del muro di cinta, a fare qualche spesetta. Non ricordo più se il luogo fosse “Porta Piccola” o invece fosse “Porta Grande”. Comprò qualcosa a una bancarella – penso fosse della farina o forse era qualcos’altro – e al momento di pagare tirò fuori il denaro che aveva: una banconota. Era di mattina presto e la donna della bancarella non aveva il resto. Mia madre subito ripose il pacchetto, convinta di dover fare così. Noi eravamo reduci dal centro di raccolta Foscarini di Venezia, dove i veneziani – i miei genitori lo ripetevano con fastidio e amarezza – avevano la tendenza a trattarci come indesiderabili. Ma la donna chiese dove mia madre abitasse e seppe che era una profuga. Del resto, l’accento glielo aveva già fatto capire. Nel bosco di Capodimonte, lì accanto, lei sapeva che vi era una nutrita colonia di profughi giuliano-dalmati.  Nel vedere che mia madre, contrita, riponeva il pacchetto, la venditrice disse sorpresa: “Che fate signora? Prendete, prendete! Non ci pensate! Pagherete quando ripasserete!”
Mia madre raccontò l’episodio innumerevoli volte. E sempre con animo riconoscente. Ed è anche per questo piccolo avvenimento, che significò tanto per noi, come anche per altri episodi simili da me vissuti a Napoli, che io sono rimasto sempre fedele nel cuore a questa città, dove noi profughi fummo in genere accolti con umanità e simpatia”.
Umanità sconosciuta nei confronti di una ricorrenza ormai fissata: “io, originario dell’Istria, non provo più il senso di speranza che il Giorno del Ricordo aveva suscitato in me agli inizi. Mi appare ormai chiaro
che l’Italia non farà mai sua la tragedia della sconfitta e della guerra civile e della perdita delle nostre amate terre. Provo anche fastidio e disagio per le polemiche che questa ricorrenza rinfocolerà, con gli immancabili gesti di protesta e anche di vandalismo a danno di targhe e iscrizioni commemoranti il martirio della nostra gente. Inoltre, in un Paese dove ciò che conta è “portare avanti il discorso”, il Giorno del Ricordo sfiora ogni volta il pericolo di trasformare la nostra passata tragedia in un tema da talk show. E oltre a riattizzare nella penisola gli abituali odi civili antitaliani, le nostre commemorazioni suscitano ringhi e latrati oltreconfine: in Slovenia e in Croazia, dove – incredibile a dirsi – credono che gli Italiani siano capaci di nutrire sentimenti di riconquista e di rivincita. In realtà “il passato è passato” e noi esuli non sogneremmo riconquiste territoriali neppure con la mente obnubilata dall’alcol. Dove sono gli estremisti giuliano-dalmati? Quali episodi di violenza abbiamo noi espresso? Il bilancio è zero. Nonostante ciò, noi, esuli o figli di esuli, dobbiamo difenderci da accuse, tacite e talvolta urlate. Cari italiani, continuate ad essere voi stessi, con le vostre beghe, la vostra rissosità permanente, i vostri odi civili… Nessuno vi chiederà l’impossibile: smentire per più di un solo giorno il vostro DNA.  Ma qualcosa, dopotutto, è cambiato dopo il lungo silenzio, grazie anche alla medaglia d’oro alla memoria per i nostri morti istituita da Menia, e grazie ai libri, film e testimonianze. Il dramma del nostro popolo e delle sue foibe non è più un tema tabu. Ma il “Giorno del Ricordo” dà ogni volta, purtroppo, anche la stura alla canea dei negazionisti e dei giustificazionisti che monteranno in cattedra con i loro “Sì, però, anche noi…”, “Sì, però bisogna capire…” e presenteranno la contabilità dei morti, con le due colonne “dare” e “avere” ben in evidenza, e con il giudizio finale: “Tutto va ricondotto al fascismo…”. Invece di dover rispondere delle atroci nefandezze del comunismo e dei suoi gulag, inclusa la croata “Isola Calva” (Goli Otok), negazionisti e giustificazionisti continueranno ad accusare i nostri morti dall’alto di una cattedra che spetta loro di diritto in un’Italia dove, tra le élite della nostra Nazione, orfane di Stalin, di Togliatti, di Tito e di Pertini, trionfa e trionferà sempre un certo spirito antitaliano”.
Lo spirito antitaliano mai guarito e mai domo dove si vede Fascismo ovunque e dove non si capisce come mai un insulto come quello titolato da Eric Gobetti finisce addirittura in stampa: “E allora le Foibe?” è l’ultima “fatica letteraria” edita da La Terza, in uscita (non) casualmente in concomitanza con il Giorno del Ricordo e che stando alla lettura della sinossi e alla foto del Gobetti con tanto di pugno chiuso, fazzoletto rosso e bandiera titina alle spalle non offrirà certo una narrazione (?) obiettiva e scevra da direzioni a senso unico.
Sui resti delle sventurate vittime di una delle tante foibe, si trova una testimonianza nel fresco di stampa «Terronia Felix» dell’amica saggista Marina Salvadore, napoletana figlia di esuli, la quale racconta il viaggio compiuto da bambina insieme con la madre nel cimitero di Pola e l’orripilante scoperta dei «morti senza croce». Marina ci dice nel suo libro che in cima agli orrendi paletti la stella rossa aveva preso il posto delle croci, degli angeli, e di qualsiasi altro simbolo, con “fosse rubate” ed occupate da altri morti. Esuli persino del riposo eterno, restituito in qualche modo dal tratto umano, cristiano, del custode del cimitero, il buon Dussan, amico di famiglia, della cara Marina.
D’altronde questo è ancora il paese della Liliana Segrè incensata ed osannata, innalzata ai troni di senatrice a vita e di Egea Haffner, la bambina con valigia numero 30001 che non vuole essere strumentalizzata, nonostante sia autentica e inestimabile fonte diretta della sciagura nazionale, come il nostro Antonelli, un accademico che ha solo “ben ha rappresentato l’Italia all’estero”.
Chissà quando avremo un Presidente della Repubblica “normale” da potersi ricordare anche di questi “figliastri” d’Italia.
Voglio concludere con queste parole di Claudio Antonelli:
«Con il disfacimento nel sangue della Jugoslavia (1991), i nostri vicini dell’Est hanno avuto modo di riproporre alle platee mondiali le specialità balcaniche delle carneficine e delle fosse comuni. Con i riflettori dei mass media puntati questa volta su di loro, e non nel silenzio e nell’indifferenza come fu invece per noi. Ma nella patria degli odi civili, la logica binaria del campo di calcio è incisa nel Dna nazionale. E i custodi della verità ufficiale dell’“Italia nata dalla Resistenza” scendono ogni volta in campo contro la squadra avversaria, composta di gente che non prova altro che un normale sentimento di amor patrio e vuole ricordare i propri morti e onorare i padri. Gente pacifica, che non ha mai espresso atti di violenza e che non nutre sogni di riconquista, e rispetta la dignità dei suoi avversari ex Jugoslavi e sa che nelle foibe di Tito finì un numero tragicamente alto di Slavi anticomunisti (vedi: “Slovenia. Anche noi siamo morti per la Patria”). Ascoltiamo i testimoni rimasti, il cui numero si assottiglia… Immaginate cosa si racconterebbe di noi in Italia se non ci fossero state le testimonianze di personaggi celebri come Benvenuti, Endrigo, Andretti, Luxardo, Pamich, Missoni… e se non ci fosse un gran numero di scritti di altri testimoni diretti di quei giorni infami. Vorrei infine rivolgere ai tanti nostri morti, uccisi perché Italiani, le struggenti parole finali dell’elegia che Biagio Marin, cantore dell’Istria e delle terre perdute, dedicò a Pola:
“E Pola gera sola/co’ case svode in pianto;/la sova zente intanto/xe sénere che svola. = E Pola era sola/con le case vuote in pianto;/la sua gente intanto / è cenere che vola.

SINFONIA DELLA FELICITÀ: MA MARADONA NE SAREBBE FELICE?

E basta! Diego Armando Maradona è morto e va lasciato riposare in pace. Il D10S del calcio, immortale per ogni tifoso e per i napoletani in particolar modo, ormai appartiene alla morte e – per dirla con un altro napoletano doc – in quanto tale, appartiene alla “categoria” delle persone serie.
Chi non è serio sono i viventi, gli speculatori che riescono a rendersi protagonisti di un (dis)livello vergognoso – evidentemente non per costoro – e che non disdegnano uno sfruttamento fino all’osso. Persino post mortem.
Il silenzio interessato del presidente De Luca sui festeggiamenti per la vittoria della Coppa Italia in piena pandemia, replicato e seguito a ruota dal sindaco de Magistris in occasione degli assembramenti per commemorare la dipartita del campione argentino in ogni dove in città, da Forcella ai Quartieri Spagnoli, dal Bronx allo stadio a lui immediatamente intitolato, sono stati il banco di prova, la prova del nove per accaparrarsi un poco di consensi, per cui, assodato che il calcio è un ottimo cavallo – ciuccio nella specificità topica – di battaglia, perché non (continuare a) cavalcare il “ciuccio” per essere un poco più “popolari”? E pure per farsi un poco di pubblicità in vista delle imminenti elezioni.
Dunque, se Giggino si inventa la dedica allo stadio, Vicienzo gli intitola la fermata dell’EAV con tanto di murales su cui è meglio non soffermarci.
Ma siccome ‘o Sinneco ha deciso di cambiare incarico e pure regione, quale migliore ereditiera dell’assessore alla cultura Eleonora De Majo per la “politica della bandana”?
L’assessora ex (?) centro sociale Insurgencia, paladina della Napoli violenta (da qui anche il titolo del libro del Sindaco-magistrato: sarà un caso?) che non disdegna di partecipare ai cortei contro la Polizia di Stato unitamente al compagno, assessore alla III Municipalità, seguiti alle aggressioni a danno delle Forze dell’Ordine in piazza Bellini la scorsa estate, “riesuma” ancora il Pibe de Oro e partorisce la “geni(t)alissima” pro-posta: chiamalo pure “crowdfunding per il monumento al D10S”, ma alla fine è la colletta per la statua!
Sul sito istituzionale del Comune di Napoli è già stata lanciata la ricerca di proposta per la realizzazione di un’opera artistica in memoria di Diego Armando Maradona da collocare all’esterno dello stadio, un’altra – sempre a detta della De Majo – dovrebbe essere collocata a piazzale Tecchio che dovrebbe addirittura riconvertire il nome proprio in favore del campione argentino.
La statua “vincitrice” sarà scelta da una commissione giudicatrice composta da personalità dello sport e della cultura e sarà finanziata attraverso un crowdfunding, “affinché si rispetti la proprietà collettiva, cioè del popolo napoletano”.
Che è dire che il popolo napoletano mette i soldi e lei/loro sceglierà/sceglieranno la statua. Per loro.
Senza pensare, poi – o prima – a come si sentirebbe l’artista ad essere pagato con la colletta!
A volerla dire tutta, una statua, dal pregevole valore artistico ed estetico, è già esistente e l’ha creata l’artista napoletano Domenico Sepe che ha immaginato Dieguito come un dio greco, ma… evidentemente non basta.
Così come, a conoscere il bilancio comunale, forse non bastano i soldi, nemmeno per una statua! Ma de Magistris e i suoi, quali dei 41 rimpasti e quali di quelli rimasti non si sa, sarà ricordato (anche) per i suoi eventi “magistrali”: uno su tutto i concerti in streaming costati ben 300 mila euro. Eventi che hanno prodotto molta visibilità e niente più.
Davvero Napoli, lo sport e la cultura hanno bisogno di tutto questo o la statua è il segno più evidente del loro immobilismo? La colletta, ops crowdfunding, non è forse l’immagine di questa amministrazione che non ha i soldi nemmeno per onorare la memoria storica? Che è un po’ come il messaggio politichese diffuso dall’”impanicato” presidente De Luca, contagiato dalle sue stesse fobie riversate nella gestione della cosa pubblica: correre a vaccinarsi per poi dare l’esempio. Eppure, Napoli è la città addò nisciuno è fesso!
Questa trovata fa parte addirittura di un progetto opportun(istic)amente orchestrato e che risponde all’esplicativo nome di “Sinfonia di felicità” che porta a puntare – e a rimpinguare – il rilancio del turismo facendo leva proprio sul tema “Napoli e Diego”.
Ma Diego sarebbe felice di tutto questo teatrino? Chissà cosa direbbe il numero 10 di tutto questo mercimonio sulle sue spalle. Proprio lui che era abituato a dare non a ricevere, che è rimasto povero e umile seppur milionario, che continua ad essere amato dalla gente semplice perché rispecchiava uno di loro.
Napoli e soprattutto i napoletani hanno davvero bisogno di pagarsi una statua per onorarlo? Per ricordarsi di lui? Per raccontare ciò che qui ha significato? Qui che prima che altrove la gente è scesa per strada per rivendicare pane e lavoro? Nella Napoli che in questo triste momenti i cinesi vogliono comprare a pezzi? Quella Napoli capace di amare e di accogliere i profughi istriano-dalmati già ai tempi dei campi IRO e che questa amministrazione sente la necessità di sottolinearlo con un’altra installazione “Nessuno escluso”. Quella Napoli che proprio i “primi” riescono a non amare. Questo è il loro modo di essere napoletani?
Diego, perdonali, se puoi!

https://www.camposud.it/2021/01/sinfonia-della-felicita-ma-maradona-ne-sarebbe-felice/