Fondi di Sviluppo e Coesione: si scrive Meloni, si legge De Luca!

Roma, 27 set – Vincenzo De Luca era morto prima del Covid e il Covid l’ha resuscitato. Morto e risorto politicamente, s’intende. Ma lui tutto può. È come una gatto che ha sette vite e, quando cade, cade sempre in piedi.

L’involontario assist del governo Meloni a De Luca

L’ultimo episodio della serie del governator campano s’intitola “Si scrive Meloni, si legge De Luca”. Ebbene sì, lo stesso personaggio che non è medico né infermiere e nemmeno portantino, che critica la Nato per l’impegno in Ucraina e che, illo tempore, prorogò l’uso della mascherina quando tutta Italia l’aveva abolita, che inaugurò più volte gli stessi ospedali rimasti sempre chiusi, che riuscì nell’impossibile compito di delirare molto più dei deliri partoriti dal duo Conte-Draghi, dal CTS e dai Figliuoli vari può vantarsi, anzi intestarsi, un successo clamoroso ai danni di quella “rompico***ni della Meloni” (cit.). Il motivo è sempre quello: i soldi. Che in politica si chiamano “fondi” e che, invece, in politichese significano potere, comando, poltrona. Bis e pure terSempiter. Per sé e per i suoi. In saecula saeculorum.

È ufficialmente partita la campagna elettorale del terzo mandato – che in deluchesko sta per “in eterno” (semicit.) – e lo Sceriffo lo ha fatto con una conferenza avente quale oggetto i fondi di Sviluppo e Coesione. Quelli che per ottenerli hanno portato De Luca persino a marciare su Roma alla testa di una folla di Sindaci.

Sette giorni dopo aver portato a casa (leggi a Palazzo Santa Lucia) la firma del presidente Meloni, il presidentissimo De Luca, sempre da Palazzo Santa Lucia, annuncia l’istituzione di una task force – nel senso che i beneficiati li caccerà dalla propria tasca – con competenze esterne anche alla struttura regionale, per rivoluzionare la Campania. Per operare il miracolo vi saranno tripli turni di lavoro come accade a Berlino, dunque tutti, Regione (cioè lui), Province, Comuni, Area Metropolitana sono avvisati. Per adeguarsi. Chi comanda fa legge. E qua comanda Vicienzo. La Campania verrà così stravolta stavolta al punto che non si riconoscerà più: ospedali (per davvero?), impianti sportivi, opifici per la trasformazione completa dei rifiuti, non meglio precisate “opere strategiche fondamentali disseminate nelle cinque province” che De Luca sé medesimo controllerà con piglio tedesco affinché si concludano con puntualità svizzera. E non mancheranno – dice lui – opere della Regione – che è sempre lui – finanziate con risorse (si tratta sempre di soldi, non di migranti: De Luca è un pdino-non-pdino) provenienti dalla Regione che un governo nemico ha provveduto a congelare e che, però, ha dovuto cedere contro la resistenza della Regione-De Luca-Campania. No pasarán!

https://www.ilprimatonazionale.it/approfondimenti/fondi-di-sviluppo-e-coesione-si-scrive-meloni-si-legge-de-luca-283139/

FONDI DI SVILUPPO E COESIONE : SI SCRIVE MELONI, SI LEGGE DE LUCA!

Vincenzo De Luca era morto prima del Covid e il Covid l’ha resuscitato. Morto e risorto politicamente, s’intende. Ma lui tutto può. È come un gatto che ha sette vite e quando cade, cade sempre in piedi.
L’ultimo episodio della serie del Governatore campano s’intitola: “Si scrive Meloni, si legge De Luca”.
Ebbene sì, lo stesso personaggio che non è medico né infermiere e nemmeno portantino, che critica la Nato per l’impegno in Ucraina e che, illo tempore, prorogò l’uso della mascherina quando tutta Italia l’aveva abolita, che inaugurò più volte gli stessi ospedali rimasti sempre chiusi, che riuscì nell’impossibile compito di delirare molto più dei deliri partoriti dal duo Conte-Draghi, dal CTS e dai Figliuoli vari può vantarsi, anzi intestarsi, un successo clamoroso ai danni di quella “rompico***ni della Meloni” (cit.). Il motivo è sempre quello: i soldi. Che in politica si chiamano “fondi” e che, invece, in politichese significano potere, comando, poltrona. Bis e pure ter. Sempiter. Per sé e per i suoi. In saecula saeculorum.
È ufficialmente partita la campagna elettorale del terzo mandato – che in deluchesko sta per “in eterno” (semicit.) – e lo Sceriffo lo ha fatto con una conferenza stampa (senza giornalisti) avente quale oggetto i fondi di Sviluppo e Coesione. Quelli che per ottenerli hanno portato De Luca persino a marciare su Roma alla testa di una folla di Sindaci.
Sette giorni dopo aver portato a casa (leggi a Palazzo Santa Lucia) la firma del Presidente Meloni, il presidentissimo De Luca, sempre da Palazzo Santa Lucia, annuncia l’istituzione di una task force – nel senso che i beneficiati li caccerà dalla propria tasca – con competenze esterne anche alla struttura regionale, per rivoluzionare la Campania. Per operare il miracolo vi saranno tripli turni di lavoro come accade a Berlino. Pertanto tutti, Regione (cioè lui), Province, Comuni, Area Metropolitana sono avvisati. Per adeguarsi. Chi comanda fa legge. E qua comanda Vicienzo. La Campania verrà così stravolta al punto che non si riconoscerà più: ospedali (per davvero?), impianti sportivi, opifici per la trasformazione completa dei rifiuti, non meglio precisate “opere strategiche fondamentali disseminate nelle cinque province” che De Luca sé medesimo controllerà con piglio tedesco affinché si concludano con puntualità svizzera. E non mancheranno – dice lui – opere della Regione – che è sempre lui – finanziate con risorse (si tratta sempre di soldi, non di migranti: De Luca è un pdino atipico) provenienti dalla Regione che un “governo nemico” aveva provveduto a congelare perché non spese le risorse entro i termini o peggio ancora mai iniziati. Governo che poi ha sbloccato queste risorse rimettendoli a disposizione di De Luca nel calderone dei Fondi di Coesione, perché fossero correttamente utilizzati.
È lapalissiano considerare che per pilotare questa pioggia di denaro, tanto invocata e che tanto farà ballare, saranno precettati tutti, ad ogni livello. Anzitutto occorrerà commissariare i territori che, tradotto, significa che verranno “assoldati” (eh già!) Sindaci e amministratori locali per gestire il lavoro che ci sarà per un considerevole numero di lavoratori campani. Non è forse la descrizione di quella furbata geni(t)ale che i giudici ebbero l’ardire di battezzare quale “Sistema De Luca”? A loro l’ardua sentenza.
Nel delirio di onnipotenza del Governatore con il lanciafiamme che ha salvato la “sua” regione dalla pandemia, il “semplice” Sindaco  che ha saputo trasformare Salerno in una Napoli che ancora non ce l’ha fatta, ma resiste e ci riprova, ha saputo fare di necessità virtù anche stavolta: i fondi di Sviluppo e Coesione – che spettavano alla Campania e che la Campania aspettava,  sono stati prima reclamati e poi riconquistati da De Luca stesso che, cacchio cacchio e tomo tomo, può rivendere la conquista di ciò che era suo addirittura come una “battaglia di popolo”. Collettiva, per non scontentare i compagni. In campagna elettorale…
Quale Presidente del Consiglio, quale Ministro, quale leader di partito (e pure dipartito, stando all’opposizione) potrà contrastare e candidarsi ad essere l’anti-Vicienzo? Il fratacchione si presenterà come il candidato naturale a completare l’operato in Campania. Tutti avranno dimenticato le mille opere già demagogicamente promesse e mai realizzate – dopo essersi reinventato come il più fiero e credibile oppositore del Governo di Roma. Vinto e sconfitto. Come quella parte dell’area di governo che, a meno di un anno dalla corsa in Regione assiste all’indecoroso spettacolo immobile e silente. Anonima e inesistente. Chi è causa del suo male….
https://www.camposud.it/fondi-di-sviluppo-e-coesione-si-scrive-meloni-si-legge-de-luca/tony-fabrizio/

Spremete più uva e meno i lavoratori: l’azione ad Avellino contro la crisi di manodopera

 

Roma, 22 set – È allarme cronico in Irpinia circa il reperimento di manodopera da impiegare nella vendemmia. La tragica situazione ha raggiunto livelli così allarmanti che nemmeno la Confagricoltura di Avellino ha potuto più tacere: “[…] il grosso problema che si ripresenta anche quest’anno in termini ancora più pressanti, in considerazione dei quantitativi previsti, è il reperimento della manodopera per la raccolta. Un problema che peserà molto nel salvaguardare la quantità e la qualità”.

L’allarme manodopera e il problema delle condizioni dei lavoratori nel settore vinicolo

Al di là dei proclami, le conseguenze di questa sciagurata gestione sono due, antitetiche e, forse, addirittura paradossali: si fatica a reperire manodopera da impiegare in vigna perché la si vuole impiegare a costi bassi, sempre più bassi, umilianti e che rasentano la fame. A questo va aggiunto la precarietà del lavoratore che si tende a occupare solo in maniera stagionale. Quindi, le aziende locali sono “costrette”, non senza vantaggi, a ricorrere alle cosiddette “cooperative senza terra” che reclutano “migranti economici” – senza formazione e spesso senza comprendere nemmeno la lingua italiana – che contribuiscono ad abbassare la paga giornaliera (se non a sdoganare proprio il lavoro nero) e che può facilmente essere abbandonata (per le nostre strade) a stagione conclusa.

Oltre alla cosiddetta fuga dei cervelli, stiamo vivendo anche la “fuga delle braccia”: gente competente, formatasi in Italia e che per lavorare è costretta, invece, a raggiungere la Germania, la Svizzera, l’Ungheria, la Croazia, dove viene stabilizzata trovando nel settore occupazione per l’intero l’anno con garanzie ad hoc e che concorrono ad alzare il livello qualitativo del prodotto di altri Paesi.

L’azione di CasaPound Avellino e il silenzio della stampa

“Spremete più uva e meno i lavoratori” è il grido che con un’azione mirata la comunità avellinese di CasaPound ha rivolto alle istituzioni per un fattivo e concreto studio di politiche fiscali adeguate, come l’uscita dalla spirale dei tassi d’interesse costantemente al rialzo e chiede a gran voce l’individuazione di misure a sostegno della manodopera affinché questa resti nelle nostre terre onde scongiurare un ulteriore, irreparabile danno alle imprese, alle famiglie e allo Stato, senza dimenticare di occuparsi anche delle condizioni lavorative, garantendo maggior tutela agli impiegati nel settore vitivinicolo oggi ridotto a uno sterile rapporto tra domanda e offerta, quando invece è cultura, identità, investimento, sviluppo del territorio, turismo, vita. Che deve morire, visto che l’appello della Confagricoltura non è stato raccolto da nessuno e all’azione in difesa dei lavoratori del settore nessuna testata locale ha dato voce. Ma noi siamo venneriani e di certo non accetteremo fatalisticamente questo stato di cose che ci hanno propinato. Non senza combattere. Non senza vincere. Per i lavoratori. Per l’eccellenza del prodotto. Per il made in Italy.

https://www.ilprimatonazionale.it/primo-piano/spremete-piu-uva-e-meno-i-lavoratori-lazione-ad-avellino-contro-la-crisi-di-manodopera-283028/

Ma quale razzismo, la protesta degli immigrati a Napoli dimostra un fallimento epocale

Roma, 7 set – Razzismo, sempre razzismo. La notizia è una di quelle che va cavalcata subito, da poter rivendere a proprio uso e consumo, soprattutto sotto elezione, ma dopo averla colorata – che è già sufficientemente colorata di per sé – e camuffata perché rappresenta il fallimento di certe convinzioni strenuamente e infruttuosamente difese. In una domenica di fine estate, a Napoli la temperatura si alza ulteriormente a causa di una protesta inscenata da decine e decine, forse pure qualche centinaio, di immigrati che hanno dato via ad un corteo conclusosi con un sit-in nei pressi della caserma dei Carabinieri di Grumo Nevano, comune della città metropolitana.

La protesta degli immigrati a Napoli ben oltre la propaganda sul razzismo

Motivo della protesta il ribellarsi da parte degli immigrati – pakistani, bengalesi, indiani ma pare nelle retrovie ci fossero pure nigeriani, marocchini e tunisini – all’ennesima aggressione subita da quattro loro connazionali da parte di non meglio identificati “ragazzi a bordo di scooter”. Rifiutando la solita lettura preconfezionata del singolo (e, dicono, non sparuto) episodio, quanto avvenuto nell’hinterland napoletano offre, deve offrire, qualche spunto di riflessione che vada un pochino oltre.

Innanzitutto, deve fare pensare che è bastata “qualche decina” di immigrati per mettere in difficoltà l’ordine pubblico tenuto a forza – o per miracolo – da qualche unità dei Carabinieri in collaborazione con la Polizia. Plauso da parte di tutti e tutti lieti perché tutto è bene ciò che finisce bene, ma se così non fosse stato? Si può rischiare tanto? È giusto e possiamo permetterci di ringraziare i dimostranti perché la protesta è stata contenuta e pacifica? Per loro nessuno che invochi il TULPS, autorizzazioni, concessioni e ogni burocraticità possibile, immaginabile e inventabile che si tira fuori quando certe manifestazioni, ogni altra manifestazione di ogni altro colore, s’ha da vietarsi.

La solita propaganda

Manco a dirlo, pullulano quanto basta i titoloni delle prime pagine amiche che gridano al razzismo. Quel razzismo utile da sciorinare e che è usato come capo d’accusa contro gente che al momento nemmeno è stata identificata e da parte di coloro i quali a gran voce si ergono a onorevoli sponsor dell’immigrazione selvaggia e incontrollata. Gli stessi che poi dimenticano di dare agli “accolti” divenuti tutti indistintamente profughi una dignità non appena sbarcati perché, è evidente dai fatti occorsi, sono considerati solo “merce di consumo” su cui lucrare.

Il sindaco napoletano sminuisce l’accaduto parlando di una generica violenza, ma né il primo cittadino né il parlamentare pdino che ha strombazzato i noti fatti in Parlamento domenica si sono degnati di recarsi sul luogo della protesta.
Ciò che si vede è solo un apparato statale di ogni livello interessatamente disinteressato che ha portato a superare le tremila presenze allogene contro le diciassettemila dei locali che, in una eventuale escalation di tensione, o peggio, di violenza, darebbero non pochi problemi in quanto a ordine pubblico e vivere civile.

Un esercito di lavoratori – azzarderemo pure nuovi schiavi – che, loro malgrado, contribuiscono all’abbassamento della paga in un ambiente in cui il lavoro è quasi una caratteristica topica. Costo della manodopera che garantisce da vivere a questi “fantasmi” che, tra l’illecito, il non corrisposto e il dovuto, consente loro di sbarcare il lunario, ma questo non è possibile per la popolazione locale. Difficile, a condizioni inique, parlare di integrazione. Nessuno di quelli che nelle ore immediatamente successive alla protesta si sono palesati ha forse notato e fatto notare che la stragrande maggioranza degli insorti non pronunciava una sola parola nella nostra lingua, che tanti di loro vestivano pure con tradizionali abiti lunghi e copricapo tipici del loro paese d’origine e che pressoché tutti vivono in ristretti gruppi avulsi dalla realtà cittadina, come in un modo a parte. Alla faccia non dell’integrazione, ma della volontà di integrazione!

Nulla giustifica di certo la violenza, né da una parte né dall’altra, ma quanto accaduto (e poi sapientemente, interessatamente in tutta fretta nascosto sotto al tappeto) è la rappresentazione plastica del fallimento delle gestioni delle politiche migratorie. Tutti insieme indiscriminatamente. Abbandonati dai loro “protettori” una volta che non sono più sfruttabili per guadagnare. La violenza, quella vera, quella “onorevole” e con la cravatta, è iniziata molto prima, prima ancora che questa gente iniziasse la traversata.

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