Il matrimonio da Mc Donald’s e la retorica del “povero” in un luogo che affama i lavoratori

matrimonio Mc Donald's

Roma, 23 ago – Siamo arrivati anche al matrimonio da Mc Donald’s. Non è il primo caso e non sarà certo l’ultimo, ma questo è il caso “fortunato” perché è diventato un tormentone social. Siamo ad Avellino, loro si chiamano Michele e Ilary, molto patronimico lui, nome molto poco topico lei, e sono i due giovani che hanno deciso di festeggiare il banchetto nuziale al Mc Donald’s del capoluogo irpino. Al grido di “siamo poveri” hanno conquistato il loro quarto d’ora di celebrità social e… nulla più.

Il matrimonio al Mc Donald’s e l’ingenuità del “siamo poveri”

Scelta liberissima, legittima e su cui nessuno può obiettare nulla, ci mancherebbe, ma la povertà oggetto della scelta – che scelta non è – è riferita (ahinoi solo) alla situazione economica che auguriamo loro essere temporanea.

Mentre i social si scatenano (solo) in auguri e complimenti, forse sarebbe cosa buona e giusta “ottimizzare” l’accaduto e insorgere contro questa povertà “fatalistica”.

Innanzitutto, festeggiare presso la catena di fast food americana non è affatto una scelta. Tutt’altro. La coppia di giovani sposini ha dovuto rinunciare al matrimonio da favola e ripiegare su una location che ha imposto il loro “essere poveri”.

Se, però, la povertà non avesse interessato solo il portafogli, si sarebbe potuto ottimizzare – ma non si esclude che lo si possa fare in futuro, anzi lo auspichiamo – l’attuale condizione economica e scegliere la nota catena americana per una protesta… con i fiocchi. Non è un mistero che proprio il colosso americano del cosiddetto “cibo spazzatura” tratti male i propri dipendenti: stipendi da fame, precariato, contratti part-time e non rinnovati, estrema flessibilità, condizioni lavorative al limite della dignità umana sono i motivi che hanno già portato nel passato allo stato di agitazione dei lavoratori proclamato dalle associazioni di categoria, ma soprattutto alla “povertà” che oggi viene “festeggiata” proprio nel luogo per eccellenza – si fa per dire! – della globalizzazione occidentale stars and stripes.

Come ogni evento che si rispetti, non potevano di certo mancare le bomboniere che, manco a dirlo, sono state sostituite da gadget logati, con inconfondibile sacchetto e immancabile foto di rito che si traduce in pubblicità gratis. A danno dei poveri che avevano la possibilità di essere “assoldati” per far girare il marchio.

Ostentare la “povertà” in un luogo che rende i lavoratori poveri

L’“Happy M… arriage” potrebbe essere l’ultima trovata della multinazionale simbolo della globalizzazione e dello sfruttamento visto che, il caso irpino non è il primo, lo hanno già sdoganato i figli di quel meccanismo psicologico che già in passato li ha portati a mettersi in coda per ore per mangiare un panino al costo (attenzione: non al valore!) di 3 euro o a prendere cornetto e caffè ad un euro. Code apocalittiche che sono durate anche un’intera giornata, scene da follia collettiva. Anzi, da mito del consumismo esasperato obbediente al grido “non posso vivere senza”.

Eppure, qualcuno che ha tentato di insorgere e di ribellarsi c’è stato, vincendo contro ogni previsione la propria battaglia. Qualche anno fa, il marchio americano dalla gigantesca M gialla aprì un suo punto vendita anche ad Altamura, in provincia di Bari. Proprio nella cittadina che è la “capitale del pane”. Un locale fornaio pensò (bene) di inaugurare il suo negozio proprio accanto al Mc Donald’s. Non incredibilmente i clienti all’hamburger e alle patatine preferirono le più autoctone focacce, insaporite dai locali pomodorini che con l’identitario olio ci vanno a nozze.

Risultato: identità e tradizione batterono le più innovative tecniche di marketing internazionale “a tavolino”.

Il caso, però, puzza di bruciato perché pare che i novelli sposini abbiano salutato parenti e amici presso un noto ristorante locale. Trovata pubblicitaria per il nuovo punto vendita di Via Pini o solo un po’ di notorietà per la giovane coppia? Al filosofo Ludwig Feuerbach l’ardua sentenza: “L’uomo è ciò che mangia”. Quindi…

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I danni (anche morali) della festa di Madonna a Pompei

Roma, 19 ago – Rieccoci qua, ci risiamo. In principio furono Elon Musk e Mark Zuckerberg che per darsi due sberle volevano farlo al Colosseo. Ne seguì uno scappellamento istituzionale, da nord a sud dello Stivale, nel senso che ogni amministratore – Sindaci, Presidenti di Regione et simlia (dimostrando di essere tutti tristemente uguali!) – con tanto di cappello in mano tentò di accaparrarsi il triste spettacolo mettendo loro a disposizione l’Arena di Verona, il Teatro Romano di Benevento, gli scavi di Pompei. Tutto si risolse in nulla di fatto, come le sberle che volevano scambiarsi i due multimiliardari yankee, eccetto per gli amministratori nostrani che diedero prova di valere né più né meno della “X” con cui qualcuno li aveva scelti. Stavolta però il miracolo s’è compiuto per davvero ad opera nientemeno di Madonna in carne e ossa, la popstar americana con una memoria italiana.

Madonna a Pompei

Maria Louise Veronica Ciccone – Madonna, per l’appunto – aveva espresso il desiderio – leggi capriccio – di festeggiare il suo sessantaseiesimo compleanno nientepopodimeno che tra le rovine di Pompei, contornata da un mezzo migliaio di eletti. La polemica, ma nemmeno poi tanta, aveva fatto storcere il naso di qualcuno, ma nemmeno poi di tanti, e chiuso tante bocche istituzionali in un silenzio assenso (complice e partecipato) che vedeva la scappatoia burocratica in una “visita cul-turale notturna” per la star. Visita cul-turale notturna che ha previsto l’accompagnamento eccezionale del direttore del Parco Archeologico Gabriel Johannes Zuchtriege e che ha costretto a lavori straordinari notturni tanti custodi ai quali è stato chiesto di rispettare il massimo riserbo sulla questione, a quanto riferiscono i soliti bene informati.

Tutti bene informati, anche i suoi fans che già dal pomeriggio avevano preso d’assalto i vari ingressi del Parco Archeologico con ogni tipo di gadget – il perché non si capisce ancora – dai tatuaggi alle bamboline, in attesa dell’arrivo della star. Alla “visita” ha partecipato una cinquantina – lo zero in questo caso conta – di prescelti arrivati a bordo di una trentina di minivan dai vetri rigorosamente oscurati, partiti dall’aeroporto nuovo di “zecca” di Salerno “Costa d’Amalfi” – orgasmo di De Luca, forse, perciò finora muto! – per poi raggiungere il porto turistico e da lì far parte della carovana alla volta della città di lava con tanto di casse per un concerto acustico. Strano modo di” visitare”!

Detta “visita” pare abbia previsto anche del cibo consumato tra le rovine, fortunatamente non ivi cucinato, ma che ben ha allietato la serata: che non siano state trasformate le pietre in pesci? Il vero miracolo sarebbe stato portare quella folla all’interno del Parco a vedere ciò che lì è conservato e non arrivare fuori le mura per vedere Madonna che, entrando da un ingresso secondario, nemmeno si è manifestata. Dunque: musica, cena, commensali, occasione, una location come il Teatro Grande… il tutto in Italia si traduce in festa di compleanno. Americanissimo mos maiorum: ccà nisciuno è fesso!

L’organizzazione per la “visita” è stata impeccabile, visto che è dovuta intervenire finanche la Prefettura di Napoli, considerato che la chiusura del Teatro Grande proprio nella ricorrenza del genetliaco della cantante e il personale impegnato per tirare a lucido la Casa del Menandro, così come avvenuto il giorno prima la Casa dei Ceii, non sono passati per nulla inosservati e tanti curiosi, fans – eccetto i veri visitatori – hanno attirato. Dunque, massiccio è stato il dispiegamento della forza pubblica per garantire l’ordine e la sicurezza con tanto di rassicurazione dai Palazzi sull’utilizzo dei luoghi. Da ciò che scrive il principale quotidiano di Napoli Il Mattino, ma anche Il Fatto Quotidiano intorno alla visita, pare che la sola notizia certa sia quella relativa alla cifra elargita per la “visita”: il Fatto riporta la somma di 250 mila euro donata per la ristrutturazione del Parco, il Mattino quella di 200 mila euro destinate (tramite chi?) alle scuole locali.

Basterà qualche centinaio di migliaia di euro (a mo’ di elemosina) per proteggere le delicatissime vestigia dai danni provocati dalle vibrazioni della musica sparata per una festa di compleanno?

I danni

È sufficiente stabilire una cifra per dare il costo a ciò che non ha e non può avere un valore? È possibile che si possa affittare un sito patrimonio dell’umanità per una festa di compleanno per qualche dollaro in più, a proprio (ab)uso e consumo? È questo ciò che si intende dire quando ci si appella a quella frase irritante quanto odiosa “L’Italia potrebbe vivere di turismo”? L’Italia deve (poter) vivere di altro: energia, cultura, alimentazione, automobile, moda, eccellenza. In ogni campo. In una sola parola “made in Italy”. Già lungamente riconosciuto e apprezzato. Perché, se questo è il modo di tutelare l’immenso patrimonio artistico-culturale che abbiamo ereditato e che va tramandato, non abbiamo fatto altro che perdere l’occasione di valorizzare, nello specifico, il parco trasformandolo in un “porco” archeologico.

Un’altra occasione persa per tenere la schiena dritta e far respirare al mondo dignità, per insegnare ancora una volta che noi siamo tutto ciò che gli altri vorrebbero essere. Invece, ancora una volta abbiamo obbedito alla voce del padrone che sa cianciare solo di vile denaro e usura. To be continued… speriamo vivamente di no!

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