GESU’ NEL SUO SANTUARIO


GESU’ NEL SUO SANTUARIO

ESTRATTI

Questo testo si può leggere interamente nel sito degli Avventisti del 7° giorno:

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LA VERITÀ RISTABILITA MEDIANTE LA TESTIMONIANZA DELLO SPIRITO SANTO.

Le visioni date a Ellen White hanno confermato la solidità della posizione che una fase importante del ministero di Cristo nel santuario celeste è stato rivelato dopo il 22 ottobre 1844 e non prima. A poco a poco, l’ampiezza e profondità del soggetto è stata aperta davanti ai credenti dell’Avvento. Ricordando le esperienze degli anni passati, essa ha ricordato gli studi e le testimonianze manifestate mediante la guida divina: “Molti dei nostri fratelli non si rendono conto con quale fermezza è stata stabilita la nostra fede. Mio marito, l’anziano Joseph Bates, Padre Pierce, il pastore Hiram Edson e altri, che erano perspicaci, nobili e leali, furono annoverati tra i primi che, dopo la crisi del 1844, hanno cercato la Verità come si cerca un tesoro nascosto.

Mi riunivo con loro e studiavamo e pregavamo ardentemente. Spesso restavamo insieme e studiavamo la Parola di Dio per tutta la notte. Pur di scoprire il giusto significato, ci siamo incontrati ripetutamente per studiare la Bibbia, allo scopo di insegnarla agli altri.

Quando studiavamo e arrivavamo a un punto cruciale dello studio, ci fermavamo, perché “non potevamo fare di più”, allora lo Spirito del Signore veniva sopra di me ed ero rapita in visione, e mi era data una chiara spiegazione dei passaggi che stavamo studiando, con istruzioni sul modo di lavorare e insegnare con efficacia. Questa luce ci fece comprendere le Scritture riguardo alla missione di Cristo e il Suo sacerdozio.

Da allora una sequenza di Verità si è estesa da questo tempo fino al momento in cui entreremo nella città celeste di Dio. In quel momento mi fu tutto chiaro e diedi agli altri le spiegazioni che il Signore mi aveva rivelato”. Messaggi scelti, libro 1, p. 206,207

La consapevolezza che Cristo è entrato nel luogo santissimo del santuario celeste, per iniziare il Suo ministero di chiusura in nostro favore, caratterizzato nel servizio del santuario, osservato da parte di Israele, riempie di gioia i cuori dei nostri pionieri avventisti. La verità biblica è chiara, così grande, così vitale, che era difficile intuire che su di loro si posarono le responsabilità di impartire questa luce per gli altri.

Sulla posizione riguardo la certezza, Ellen G. White scrive: “La nostra fede deve essere stabilita alla luce della verità che ci è stata data. In quel momento commettevamo un errore dopo l’altro, finché i ministri e i medici non ci abbiano portato le nuove dottrine. Vorremmo studiare la Scrittura con molta preghiera e che lo Spirito Santo ci guidasse alla verità. A volte intere notti abbiamo dedicato in preghiera, per scoprire ciò che non abbiamo ancora capito… I gruppi di uomini e donne devoti si sono riuniti per questo scopo. Il potere di Dio sarebbe venuto su di me per rivelarmi con chiarezza ciò che è la verità e ciò che è errore.

Quando i punti della nostra fede sono stati stabiliti, allora i nostri piedi hanno trovato un solido fondamento. Ogni particolare conosciuto abbiamo accettato sotto la guida dello Spirito Santo. Altre spiegazioni avrei ricevuto durante altre visioni, che in futuro avrei ricevuto. Mi sono state date varie illustrazioni delle cose celesti e del santuario, in modo che la luce splendente scese su di noi.

Sappiamo già che la questione di santuario si basa sulla giustizia e verità”. Gospel Workers, pp. 302, 303

I pionieri del movimento hanno visto che la verità è la base del santuario, è la base dell’intera struttura della dottrina avventista. Nel 1850 James White ha pubblicato le parti essenziali della prima presentazione del tema, esposta da O.R.L. Crosier, e lo commentò dicendo: “Il tema del santuario deve essere attentamente esaminato, in quanto è la base della nostra fede e della speranza”. La Rivista dell’Avvento (numero speciale combinato).

IL SANTUARIO SOTTO LA CRITICA.

Coloro che hanno accettato le affermazioni vincolanti della legge di Dio e si misero a osservare il giorno del Sabato, come stabilito nella legge di Dio, hanno incontrato una forte opposizione.

Di questo e le relative motivazioni E. G. White scrive: “Furono fatti numerosi e intensi sforzi per abbattere la loro fede. Nessuno, però, poteva fare a meno di rendersi conto che se il santuario terrestre era una rappresentazione o un modello di quello celeste, la legge collocata nell’arca del patto sulla terra era una trascrizione di quella celeste; la legge collocata nell’arca del patto sulla terra era una trascrizione di quella che si trovava in cielo. L’accettazione della verità relativa al santuario celeste implicava il riconoscimento delle esigenze della legge di Dio e l’obbligo dell’osservanza del sabato del quarto comandamento”. La grande controversia, p. 435.

Non c’è da stupirsi che negli anni successivi la verità sul santuario ha provocato la spaccatura tra i membri di chiesa cristiana avventista. Gli anziani Snook e Brinkerhof, operatori di conferenza a Iowa, si sono ritirati a metà del 1860; D.M. Canright, un ministro influente, sostenuto da entrambi, operatori sanitari e ministeriali, ha lasciato la chiesa, rinnegando la fondamentale dottrina.

E proprio a causa di questa situazione Ellen White scrisse alla chiesa le parole d’avvertimento il 20 novembre 1905: “Mi rivolgo ai missionari e ai ministri che hanno accettato i sofismi scientifici e favole ammalianti, contro i quali siete stati avvertiti, che le vostre anime sono in pericolo. Il mondo, come anche gli avventisti, deve sapere che sopra di loro grava un grave pericolo. Dio chiama a ravvedersi tutti quelli che hanno accettato queste illusioni che distruggono l’anima. Se il Signore è Dio, seguitelo… “Satana, con tutto il suo esercito, è pronto per la battaglia. Soldati di Cristo, adunatevi attorno alla bandiera insanguinata di Emmanuele. Nel nome del Signore, non aderite alla bandiera del principe delle tenebre, ma sottomettetevi al Principe del cielo. Chi ha orecchie per intendere, intenda! Leggete la vostra Bibbia! Avendo ricevuto la guida divina, vi presento questa verità, perché il tempo è vicino e i poteri ingannevoli delle agenzie sataniche stanno diventando sempre più potenti.

Da un parte è Cristo, cui è stato dato ogni potere in cielo e in terra; dall’altra parte è Satana, che esercita il suo potere per ingannare i forti di questa terra con sofismi spiritici, al fine di soffocare la verità di Dio e occupare le menti degli uomini con le favole. “Satana sta cercando continuamente di confondere le menti degli uomini riguardo al santuario, degradando la splendida Verità di Dio e il ministero di Cristo, pianificate per la nostra salvezza.

Egli, con il suo potere, rimuove dai cuori dei credenti la verità, insinuando le fantastiche teorie, appositamente inventate per annullare la verità dell’espiazione e distruggere la nostra fiducia nella sacra verità, compresa quella del terzo angelo. Così facendo, egli ci priva della nostra fede nel messaggio, che è fondamentale per il nostro carattere e la nostra opera.” Testimonianze speciali, Serie B, n. 7, pp. 16,17

Fu nel contesto di questa crisi panteistica che Ellen White, presente alla sessione della Conferenza Generale del 1905, dichiara a noi oggi quanto segue: “In futuro gli inganni satanici di ogni genere si moltiplicheranno, ma noi dobbiamo rimanere saldi nella fede. Vogliamo diventare solidi pilastri per la costruzione della nostra chiesa. Non un perno deve essere diverso da quelli che il Signore ha stabilito. Il nemico porterà in mezzo a noi false dottrine, come quella che il santuario non esiste. Questo è uno dei punti cruciali su cui si deve basare la nostra fede. Dove troveremo la salvezza, se non nella verità che il Signore ci ha presentato 50 anni or sono?” Consigli agli scrittori e agli editori, p.53.

La veduta panteistica, così ardentemente sostenuta da alcuni, – dichiara Ellen White — ci allontana da Dio e invalida la verità del santuario. Testimonianze speciali, Serie B, nr. 7, p. 16

Più o meno nello stesso periodo, uno dei nostri ministri – lo identifico come anziano G.- ci ha spiegato che Cristo, dopo aver terminato il Suo ministero sulla terra, è salito nel cielo e si presentò al Padre nel luogo santissimo; pertanto, fino al 22 ottobre 1844, non vi era alcuna entrata nel luogo santissimo del santuario celeste, come abbiamo inizialmente creduto e insegnato.

Questi due concetti, entrambi i quali hanno colpito la dottrina del santuario, come l’abbiamo creduta. Ellen White, più volte per fare riferimento alla solidità e integrità di questo punto di fede, nel 1904 ha scritto: ”Nessun figlio di Dio dovrebbe mai, sia con parole sia con gli atti, dubitare per quanto riguarda la personalità distinta di Dio, o per quanto riguarda il santuario e il suo ministero. Tutti i cristiani hanno bisogno di conoscere la verità sul santuario. Dio non vuole che le parole provenienti dalle labbra umane possano diminuire la convinzione del nostro popolo sulla verità, che concerne il santuario celeste, e che il modello di questo santuario è stato costruito su questa terra. Il Signore desidera che il Suo popolo familiarizzi con questo modello e si ricordi che è una fedele copia del santuario celeste, dove Egli presiede. Dobbiamo costantemente pregare e studiare la Parola di Dio, al fine di comprendere e accettare questa verità.” E. G.White Lettera 233, 1904.

LA DELUSIONE SUBITA INFLUISCE ANCORA SULLA VITALE VERITÀ

È evidente che il nostro avversario, Satana, cercherà di turbare la fede del popolo di Dio in questi ultimi giorni riguardo al santuario. Ellen White scrive: ‘Il Salvatore predisse che negli ultimi giorni sarebbero apparsi falsi profeti per trarre i discepoli dietro di loro; che i fedeli, in questo momento di pericolo, dovrebbero aggrapparsi alla verità esposta nell’Apocalisse, anziché cercare errori dottrinali in modo specioso, cosa che li condurrà all’inganno.

Mentre il Signore risalta ogni vero sentimento, Satana, invece, con una spiccata abilità confonde e inganna le anime nel modo subdolo, al fine di rovinare la fede del popolo di Dio e per scoraggiarlo. Come in cielo, anche sulla terra egli tenta di dividere il popolo di Dio in questa ultima fase della storia di questa terra. Egli cerca dissenso, suscita contese e le discussioni; rimuove, se possibile, i vecchi punti di riferimento della verità, dati al popolo di Dio; cerca di far apparire il Signore come un ingannatore, come se Egli stesso si contraddisse.

‘Quando Satana appare come un angelo di luce, prende le anime nel suo laccio per ingannarle. Gli uomini che fingono di essere stati istruiti da Dio, adotteranno le teorie fallaci e, con i loro insegnamenti fasulli, porteranno la gente in deliri satanici. Una volta che egli s’introduca come un angelo di luce, non gli mancherà l’occasione di presentare le sue menzogne. Questi falsi profeti faranno tentativo di ingannare molti, portandoli ad accettare false teorie. Molti passi delle Scritture saranno applicati erroneamente, in modo tale che le false teorie apparentemente si baseranno sulle parole che Dio ha detto. La preziosa verità sarà presentata nel modo errato. Questi falsi profeti, che affermano di essere seguaci di Dio, si serviranno delle false teorie per sminuire la Verità. Alcuni di loro, che in passato hanno onorato il Signore, si allontaneranno dalla Verità per difendere i falsi insegnamenti, inclusa la questione di santuario. Manoscritto 11, 1906.

Poche settimane più tardi, EGW ha aggiunto queste parole sull’importanza di una corretta comprensione di questa verità: ‘So che la questione riguardo al santuario si trova nella verità, la quale abbiamo conosciuto molti anni prima. È il nemico che dirotta le menti su un terreno pericoloso. Lui è contento, quando coloro che conoscono la verità assorbono le false teorie, che non hanno alcun fondamento biblico. Le Scritture così utilizzate sono applicate nel modo sbagliato, perché non sono fondate sulla verità. Gospel Workers, p.303.

UN MODELLO DELLE COSE CELESTI

L’intervento di Cristo in favore dell’uomo doveva comprendere due fasi, a cui erano stati assegnati tempi precisi e luoghi distinti nel santuario del cielo. Nello stesso modo il rituale simbolico del tabernacolo terreno consisteva in due tipi di cerimonie, il servizio giornaliero e quello annuale, che si svolgevano in due diversi ambienti. Quando il Cristo ascese al cielo, era alla presenza di Dio per intercedere con il Suo sangue per i credenti pentiti; allo stesso modo il sacerdote, nel suo servizio quotidiano, aspergeva nel luogo santo il sangue del sacrificio in favore del peccatore. Il sacrificio del Cristo era dunque destinato a liberare il peccatore pentito dalla condanna della legge, ma non cancellava la colpa: essa sarebbe rimasta nel santuario fino all’espiazione finale. Così, nel servizio simbolico del santuario terreno, il sangue dei sacrifici per il peccato allontanava la colpa del penitente, ma questa rimaneva nel santuario fino al giorno dell’Espiazione.

PURIFICAZIONE DEL SANTUARIO DAL PECCATO

Nel giorno solenne del giudizio finale, i morti saranno giudicati “dalle cose scritte nei libri, secondo le opera loro”. (Apocalisse 20:12) Allora, grazie al sacrificio espiatorio del Cristo, i peccati di quanti si sono sinceramente pentiti saranno cancellati dai libri del cielo. Il santuario sarà così liberato, purificato dal ricordo del male. L’espiazione, ovvero, la rimozione definitiva del peccato, era rappresentata nel tabernacolo terreno dal rituale del gran giorno dell’Espiazione. Così avveniva la purificazione dei santuario terreno; il sangue delle vittime offerte dai peccatori pentiti allontanava da loro la contaminazione del male. Alla fine dei tempi, gli errori di quanti si saranno sinceramente pentiti verranno cancellati dai registri del cielo; essi non saranno più ricordati. Nello stesso modo, anche nella simbologia del servizio terreno, le colpe venivano allontanate per sempre dal popolo nel deserto. (cap. 2)

IL SERVIZIO DEL TEMPIO HA PERSO IL SUO SIGNIFICATO

Quando gli ebrei hanno rifiutato Cristo e perfino l’hanno condannato a morte, hanno rifiutato tutto ciò che dà importanza al tempio e i suoi servizi. La sua sacralità era scomparsa, distrutta. Da quel giorno le offerte sacrificali e i servizi fatti da loro furono privi di significato, nello stesso modo come l’offerta di Caino fatta senza fede. Nel mettere a morte Cristo, gli ebrei praticamente hanno distrutto il loro tempio. Quando Cristo fu crocefisso, la Cortina del tempio si squarciò in due da cima a fondo, il che significa che il sacrificio è stato concluso e che il sistema di offerte sacrificali giunse per sempre alla fine. (cap. 3)

IL MESSAGGIO DEL GIUDIZIO RISVEGLIA L’AMERICA

Per iniziare la proclamazione del ritorno di Cristo, Dio scelse un semplice agricoltore, onesto e leale, che era arrivato anche a dubitare dell’autorità divina delle Sacre Scritture, ma che desiderava sinceramente conoscere la verità. Come molti altri riformatori, William Miller aveva trascorso la sua infanzia nella povertà e aveva imparato le grandi lezioni della rinuncia e della tenacia. I membri della sua famiglia si distinguevano per lo spirito d’indipendenza, l’amore della libertà e il forte patriottismo, caratteristiche che si ritrovavano anche in lui. Suo padre era stato capitano nell’esercito della rivoluzione e per i sacrifici fatti nelle lotte e nelle difficoltà di quel periodo tempestoso, Miller conobbe la povertà nella sua infanzia e nella sua adolescenza. Sua madre, donna di profondi sentimenti religiosi, gli aveva inculcato nell’infanzia chiari princìpi morali. Purtroppo, giunto all’età matura, si era lasciato attrarre dai deisti, il cui influsso era ancora più forte, perché erano ottimi cittadini, uomini e donne dotati di grandi qualità. Vivendo, come loro vivevano, in mezzo a istituzioni cristiane, il loro carattere era stato parzialmente plasmato dall’influsso dell’ambiente. Pur essendo debitori nei confronti della Bibbia delle qualità che avevano procurato loro il rispetto e la stima, essi annullavano tali virtù con l’opposizione alla Parola di Dio. Miller, unendosi a loro, finì per adottarne le opinioni, tanto più che l’interpretazione corrente delle Scritture presentava delle difficoltà, che gli sembravano insormontabili. Ma le sue nuove convinzioni, nel fare tabula rasa della Bibbia, non gli offrivano nulla di meglio e così si sentì insoddisfatto. William Miller rimase dodici anni legato a quelle idee e fu solo all’età di trentaquattro anni che, in seguito all’azione dello Spirito Santo nel suo cuore, giunse alla piena consapevolezza del proprio stato di colpa e non poté trovare nulla, nelle sue concezioni religiose, che gli potesse dare la certezza della felicità eterna. Tale situazione si protrasse per mesi e mesi. “D’improvviso” egli dice “nella mia mente s’impresse vivida la visione di un Salvatore. Mi parve di capire che fosse qualcuno così buono e così compassionevole da espiare egli stesso le nostre trasgressioni, per sottrarci al castigo che era stato decretato, in seguito alle colpe commesse. Mi resi conto immediatamente quanto fosse magnanimo un essere simile e pensai che potevo gettarmi fra le sue braccia e confidare nella sua misericordia. Sorse, allora, la domanda: come avere la certezza della sua esistenza? Capii che a parte la Bibbia, non esisteva altra possibilità di trovare la prova dell’esistenza di questo Salvatore e della vita eterna… Vidi che la Bibbia rivelava il Salvatore di cui avevo bisogno ed ero perplesso nel constatare come un libro, che consideravo non ispirato, potesse presentare dei princìpi, che risultavano perfettamente aderenti ai bisogni di un mondo caduto. Fui costretto ad ammettere che le Scritture erano la rivelazione di Dio. Esse allora diventarono la mia delizia e trovai un amico in Gesù. Il Salvatore divenne “Colui che si distingue fra diecimila” e la Bibbia, da me considerata per tanto tempo oscura e contraddittoria, rappresentò “una lampada al mio piede ed una luce sul mio sentiero”. Il mio animo si calmò e mi sentii soddisfatto. Trovai che il Signore era simile a una roccia in mezzo all’oceano della vita e da allora la Bibbia costituì per me il principale oggetto di studio. La studiavo con passione e, convinto che non mi fosse stata rivelata neppure la metà della sua bellezza, mi chiedevo stupito come avevo potuto rifiutarla. Essa, infatti, poteva soddisfare le mie aspirazioni e guarire tutte le malattie del mio animo. Persi il gusto per ogni altra lettura e mi applicai alla ricerca della Saggezza divina”. S. Bliss, Mencoirs of Wm. Miller pp.65-67.

Miller confessò pubblicamente la sua fede nella religione che aveva disprezzato. I suoi amici, increduli, non mancarono però di affrontarlo, ricorrendo alle stesse argomentazioni, che avevano utilizzato per combattere l’autorità divina delle Scritture. Egli non era ancora pronto per replicare, ma si disse: “Se la Bibbia è una rivelazione divina, deve essere coerente con se stessa, e siccome è stata data per illuminare l’uomo, deve quindi essere alla sua portata”. Decise, perciò, di studiare la sacra Parola da solo, per accertarsi se ogni apparente contraddizione non potesse essere eliminata e stabilire, così, la perfetta armonia del sacro testo. Sforzandosi di accantonare ogni pregiudizio e senza utilizzare commentari, Miller confrontò fra loro i vari passi biblici, servendosi unicamente delle note ai margini del testo e di una concordanza biblica. Cominciando dal libro della Genesi, continuò nella sua indagine in maniera sistematica, leggendo versetto dopo versetto e procedendo solo dopo che il senso di quanto aveva letto gli sembrava tale da eliminare in lui ogni perplessità. Quando trovava un punto oscuro, lo paragonava con quei testi che sembravano in relazione con quello preso in considerazione, lasciando a ogni parola il proprio significato. Se l’insieme dei passi consultati portava a una conclusione, che risultava in accordo con il pensiero biblico, Miller ne concludeva che la difficoltà era stata eliminata e quindi superata. Per ogni punto difficile cercava e trovava la spiegazione in un’altra parte della Scrittura. Studiando con spirito di preghiera, quello che in un primo momento gli era apparso complicato finì per sembrargli chiaro ed esauriente. Si rendeva conto come fosse vera l’esclamazione del salmista: “La dichiarazione delle tue parole illumina; dà intelletto ai semplici”. (Salmo 119:130)

STUDIO DELLE PROFEZIE

Con intenso interesse egli studiò i libri di Daniele e dell’Apocalisse, usando gli stessi criteri d’indagine già utilizzati per l’esame di altri testi, e si rese conto, con gioia, che i simboli profetici erano comprensibili. Miller vide che l’adempimento delle profezie era stato letterale; le varie figure, metafore, parabole e similitudini erano spiegate nel loro contesto, oppure i termini con i quali esse venivano formulate erano precisati in altri passi biblici, in modo che tutto risultasse chiaro. “Mi convinsi” egli dice “che la Bibbia fosse un sistema di verità, rivelate con tale chiarezza e semplicità, che l’uomo timorato di Dio, per quanto ignorante potesse essere, non poteva sbagliare”. Seguendo la storia, egli riuscì a ricostruire le grandi linee della profezia e a scoprire l’uno dopo l’altro gli anelli che formavano la catena della verità. Gli angeli di Dio guidavano il suo spirito nella comprensione delle Scritture. Prendendo come criterio d’indagine profetica le profezie già adempiute, Miller giunse alla conclusione che l’insegnamento popolare, secondo il quale prima della fine del mondo ci sarebbe stato un regno spirituale di Gesù Cristo, noto con il nome di Millennio, non era sostenibile con la Parola di Dio. Questa dottrina, che annunciava mille anni di pace e di giustizia prima della venuta personale del Salvatore, dissipava il terrore suscitato dal gran giorno del giudizio. Per quanto potesse apparire piacevole, era contraria all’insegnamento del Cristo e degli apostoli, i quali dichiarano che il buon grano e la zizzania devono crescere insieme fino alla mietitura, che è la fine del mondo (Matteo 13:30, 31, 38-41); che “i malvagi e gli impostori andranno di male in peggio”, che “negli ultimi giorni verranno dei tempi difficili” e che il regno delle tenebre durerà fino all’avvento del Signore, che “distruggerà [l’empio] col soffio della sua bocca e annienterà con l’apparizione della sua venuta”. 2 Timoteo 3:13, 1; 2 Tessalonicesi 2:8. La dottrina della conversione del mondo e del regno spirituale di Gesù non fu mai insegnata dalla chiesa apostolica: essa fu adottata dai cristiani solo all’inizio del XVIII secolo. Come ogni altro errore, essa provocava effetti negativi, perché insegnava agli uomini a rimandare a un lontanissimo avvenire la venuta del Signore e quindi impediva loro di prendere in considerazione i segni premonitori di questo evento. Essa, inoltre, suscitava sentimenti di fiducia e di sicurezza illusorie, che portavano a trascurare la necessaria preparazione per l’incontro con il Signore. Miller vide che le Scritture insegnavano la venuta letterale e personale del Cristo. Dice l’apostolo Paolo: “… il Signore stesso, con potente grido, con voce d’arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo…” 1 Tessalonicesi 4:16. Il Salvatore a sua volta, afferma: “… vedranno il Figliuol dell’uomo venir sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria… come il lampo esce da levante e si vede fino a ponente, cosi sarà la venuta del Figliuol dell’uomo”. Matteo 24:30, 27. Egli sarà accompagnato dalle schiere celesti: “… il Figliuol dell’uomo sarà venuto nella sua gloria, avendo con sé tutti gli angeli”. Matteo 25:31. “E manderà i suoi angeli con gran suono di tromba a radunare i suoi eletti…” Matteo 24:31. Alla sua venuta i morti risusciteranno, mentre i giusti viventi saranno trasformati: “Ecco, io vi dico un mistero, non tutti morremo, ma tutti saremo mutati, in un momento, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba. Perché la tromba sonerà e i morti risusciteranno incorruttibili e noi saremo mutati. Poiché bisogna che questo corruttibile rivesta incorruttibilità e che questo mortale rivesta immortalità.” 1 Corinzi 15:51-53. L’apostolo Paolo, nella sua prima lettera ai Tessalonicesi, dopo avere descritto l’avvento del Signore, aggiunge: “… i morti in Cristo risusciteranno per primi; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo insieme con loro rapiti sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre col Signore”. 1 Tessalonicesi 4:16, 17. Il popolo di Dio riceverà il regno solo dopo il ritorno personale di Gesù. Lo ha affermato lo stesso Salvatore: “Or quando il Figliuol dell’uomo sarà venuto nella sua gloria, avendo con sé tutti gli angeli, allora sederà sul trono della sua gloria. E tutte le genti saranno radunate dinanzi a lui ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri. e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il Re dirà a quelli della sua destra: Venite, voi, i benedetti del Padre mio; eredate il regno che v’è stato preparato sin dalla fondazione del mondo.” Matteo 25:31-34. Le Scritture insegnano in modo inequivocabile che quando il Figlio dell’uomo verrà, i morti risusciteranno incorruttibili, mentre i credenti che saranno trovati in vita saranno trasformati. In seguito a questo grande cambiamento, saranno pronti per ricevere il regno. Paolo dichiara “… che carne e sangue non possono eredare il regno di Dio, né la corruzione può eredare la incorruttibilità“. 1 Corinzi 15:50. L’uomo, nella sua condizione attuale, è mortale e corruttibile, mentre il regno di Dio sarà incorruttibile e durerà in eterno. L’uomo non può entrarvi. Quando Gesù verrà, conferirà l’immortalità a quanti gli sono stati fedeli e li inviterà a entrare nel regno di cui sono eredi. Questi e altri passi biblici indicavano chiaramente a Miller che gli eventi, che generalmente si riteneva dovessero verificarsi prima dell’avvento del Cristo — come ad esempio l’universale regno di pace e l’attuazione del regno di Dio sulla terra — fossero, invece, posteriori al secondo avvento. Inoltre, tutti i segni dei tempi e lo stato del mondo corrispondevano alla descrizione profetica degli ultimi giorni. Così egli giunse a concludere, in base allo studio della Scrittura, che il tempo accordato al mondo stesse per finire.

L’IMPATTO DELLA CRONOLOGIA BIBLICA

“Un’altra prova che influì in maniera decisiva sulle mie convinzioni” – egli dice – “fu la cronologia delle Sacre Scritture… Mi resi conto che gli eventi predetti, adempiutisi nel passato, spesso si erano verificati in un determinato spazio di tempo. I centoventi anni fino al diluvio (Genesi 6:3); i sette giorni che lo precedettero e i quaranta giorni di pioggia predetti (Genesi 7:4); i quattrocento anni del soggiorno in Egitto della discendenza di Abramo (Genesi 15:13); i tre giorni dei sogni del panettiere e del coppiere di faraone (Genesi 40:12-20); i sette anni di faraone (Genesi 41:28-54); i quarant’anni nel deserto (Numeri 14:34); i tre anni e mezzo di carestia (1 Ri 17,1); i settant’anni dell’esilio in Babilonia (Geremia 25:11); i sette tempi di Nabucodonosor (Daniele 4:13-16); le 70 settimane (Daniele 9:24-27); tutti gli eventi di questi periodi cronologici erano l’espressione di profezie che si erano adempiute una dopo l’altra”. Quando, nel suo studio della Bibbia, Miller si confrontò con periodi cronologici che secondo il suo punto di vista si estendevano fino alla venuta del Cristo, non poté fare a meno di considerarli come tempi annunciati da Dio “per bocca di tutti i santi profeti”. “Le cose occulte appartengono all’Eterno, al nostro Dio” dice Mosè “ma le cose rivelate sono per noi e per i nostri figliuoli…” Deuteronomio 29:29. Il Signore, tramite il profeta Amos, afferma che “non fa nulla, senza rivelare il suo segreto ai suoi servi, i profeti”. Amos 3:7. Quanti studiano la Bibbia possono con fiducia aspettarsi di trovare chiaramente indicato l’evento più sublime della storia umana. “Quando fui pienamente convinto” dice Miller “che tutte le Scritture ispirate da Dio sono utili (2 Timoteo 3:16) e che non sono il prodotto della volontà umana, ma l’opera di santi uomini ispirati dallo Spirito Santo (2 Pietro 1:21) e che devono servire “… per nostro ammaestramento, affinché mediante la pazienza e mediante la consolazione delle Scritture, noi riteniamo la speranza” (Romani 15:4), non potei fare a meno di considerare i periodi profetici della Bibbia parte integrante della Parola di Dio, degni della massima attenzione, come le altre sezioni del libro sacro. Allora mi resi conto che impegnandomi a capire quello che Dio, nella sua misericordia, aveva ritenuto opportuno rivelarci, io non avevo nessun diritto di trascurare i periodi profetici. (Beatitudine, p. 75)

PROFEZIA DI DANIELE 8:14

La profezia che gli parve rivelasse meglio l’epoca del secondo avvento era quella di Daniele 8:14: “… Fino a duemila trecento sere e mattine; poi il santuario sarà purificato”. Seguendo la sua regola, che consisteva nel fare della Bibbia l’interprete di se stessa, Miller si rese conto che nella profezia simbolica un giorno equivale a un anno (Numeri 14:34; Ezechiele 4:6); egli capì che i 2.300 giorni profetici, o anni letterali, si estendevano ben oltre la fine della dispensazione ebraica e che, quindi, non potevano riferirsi al santuario israelitico. Adottando l’idea, generalmente accettata, secondo cui la terra era il santuario della dispensazione cristiana, Miller concluse che la purificazione del santuario, predetta in Daniele 8:14, non era altro che la purificazione della terra mediante il fuoco, all’apparizione del Signore. Perciò, egli si disse, se fosse stato possibile stabilire con esattezza il punto di partenza dei 2.300 giorni-anni, automaticamente sarebbe venuto fuori il punto di arrivo e cioè la data del secondo avvento di Gesù. Con rinnovato slancio, Miller proseguì l’esame delle profezie, consacrando non solo giornate, ma spesso anche notti intere, a quello che ora gli appariva estremamente importante e interessante. Ben presto riscontrò che nel capitolo 8 del libro del profeta Daniele non era indicato il punto di partenza dei 2.300 giorni. Infatti, l’angelo Gabriele, pur essendo stato inviato a Daniele per spiegargli il significato della visione, gli aveva fornito solo una spiegazione parziale. Davanti alla visione della terribile persecuzione, che doveva abbattersi sulla chiesa, il profeta sentì venir meno le sue forze e svenne. Non poteva continuare e l’angelo allora lo lasciò per un po’ di tempo. “E io, Daniele, svenni e fui malato vari giorni… Io ero stupito della visione, ma nessuno se ne avvide”. Daniele 8:27 L’angelo, perciò, riprendendo la sua spiegazione, si soffermò in modo particolare su di esso: “Settanta settimane son fissate riguardo al tuo popolo e alla tua santa città… Sappilo dunque e intendi! Dal momento in cui è uscito l’ordine di restaurare e riedificare Gerusalemme (1) fino all’apparire di un unto, di un capo, vi sono sette settimane; e in sessantadue settimane essa sarà restaurata e ricostruita, piazze e mura, ma in tempi angosciosi. Dopo le sessantadue settimane, un unto sarà soppresso… Egli stabilirà un saldo patto con molti, durante una settimana (2); e in mezzo alla settimana farà cessare sacrificio e oblazione… (3)” (Daniele 9:24-27) L’angelo era stato inviato con il preciso compito di spiegare a Daniele ciò che non era riuscito a capire nella visione del capitolo 8 e cioè l’affermazione relativa al tempo: “… Fino a duemilatrecento sere e mattine; poi il santuario sarà purificato”. Dopo avere invitato il profeta con le parole “Fa’ dunque attenzione alla parola e intendi la visione!”, l’angelo proseguì: “Settanta settimane son fissate, riguardo il tuo popolo e la tua santa città”. Il termine tradotto con “fissate” (altre versioni hanno “determinate”) significa letteralmente recise, tagliate fuori. Settanta settimane rappresentano 490 anni. L’angelo affermò che erano state “fissate”, perché spettanti agli ebrei. Però “fissate” da che cosa? Considerando che l’unico periodo di tempo indicato nel capitolo 8 è quello dei giorni, era sicuramente da questo che le 70 settimane dovevano essere detratte. Quindi, se le 70 settimane facevano parte dei 2.300 giorni, logicamente i due periodi dovevano avere lo stesso punto di partenza. L’angelo precisò che le 70 settimane iniziavano dal momento in cui sarebbe stato proclamato il decreto per la restaurazione e la ricostruzione di Gerusalemme. Se si fosse riusciti a stabilire la data di questo decreto, si sarebbe conosciuto automaticamente il punto di partenza del grande periodo dei 2.300 anni. Il decreto è riportato nel capitolo 7 del libro di Esdra. Cfr. Daniele 9,12-26. Esso fu proclamato nella sua forma definitiva da Artaserse, re di Persia, nel 457 a.C. Però in Esdra 6:14 si legge che la casa del Signore a Gerusalemme era stata costruita “secondo gli ordini di Ciro, di Dario e d’Artaserse, re di Persia”. Nel redigere, confermare e completare l’editto, questi tre sovrani gli diedero la completezza richiesta dalla profezia, per poter così segnare l’inizio dei 2.300 anni. Prendendo l’anno 457 a.C. — perché solo allora il decreto poté dirsi completo — come data dell’ordine in oggetto, ci si accorge che ogni elemento della profezia delle 70 settimane si è adempiuto. “Dal momento in cui è uscito l’ordine di restaurare e riedificare Gerusalemme, fino all’apparire di un unto, di un capo, vi sono sette settimane; e in sessantadue settimane essa sarà restaurata e ricostruita…“, ossia 69 settimane, cioè 483 anni. Il decreto di Artaserse entrò in vigore nell’autunno del 457 a.C. Partendo da questa data, i 483 anni portano all’autunno del 27 d.C. Allora si adempì la profezia. La parola “Messia” significa “colui che è unto”. Nell’autunno del 27 d.C. Gesù fu battezzato da Giovanni Battista e ricevette l’unzione dello Spirito Santo. L’apostolo Pietro lo afferma dicendo: “… Iddio l’ha unto di Spirito Santo e di potenza”. Atti 10:38. Lo stesso Salvatore, d’altra parte, affermò: “Lo Spirito del Signore è sopra me; per questo egli mi ha unto, per evangelizzare i poveri”. Luca 4:18. Dopo il battesimo “… Gesù si recò in Galilea, predicando l’Evangelo di Dio e dicendo: Il tempo è compiuto…” (Marco 1:14,15)

Note:

  1. Secondo il calcolo ebraico, il quinto mese del settimo anno del regno di Artaserse, tra il 23 luglio e il 21 agosto, 457 a. C., dopo l’arrivo di Esdra a Gerusalemme nell’autunno di quell’anno, il decreto del re entrò in vigore. Per avere la certezza della data giusta dell’anno 457 a. C., essendo il settimo anno di Artaserse, vedere S.H. Horn e L.H. Wood, La cronologia di Esdra 7 (Washington, DC. Review and Herald Publishing Assn., 1953 e 1969); E.G. Kraeling, The Brooklyn Mausem Aramaic Papyri (New Haven o Londra, 153), pp 191-193.; Commentario Biblico degli Avventisti del 7° Giorno. (Washington, DC. Review and Herald Publishing Assn, 1954), Vol. 3. Pag. 97-110.
  1. “Egli stabilirà un saldo patto con molti in una settimana”. La settimana di cui si parla qui è l’ultima delle 70. Si tratta, quindi, degli ultimi sette anni del tempo accordato agli ebrei. Durante questo periodo che va dal 27 al 34 d.C. il Salvatore, prima personalmente e poi mediante i suoi discepoli, rivolse l’invito evangelico quasi esclusivamente agli ebrei. Va ricordato, infatti, che quando gli apostoli furono inviati a predicare il messaggio del Vangelo, Gesù lì avvertì: “… Non andate fra i Gentili e non entrate in alcuna città dei Samaritani, ma andate piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele”. Matteo 10:5, 6.
  2. “E in mezzo alla settimana farà cessare sacrificio e oblazione”. Nel 31 d.C. cioè tre anni e mezzo dopo il battesimo, Gesù fu crocifisso. Con il grande sacrificio da lui offerto sul Calvario finì il sistema dei sacrifici, che per quattromila anni avevano rappresentato l’Agnello di Dio, che doveva venire nel mondo. Il tipo si era incontrato con l’antitipo e quindi cessavano tutti i sacrifici e le offerte del sistema cerimoniale. Le 70 settimane, o 490 anni accordati agli ebrei, finivano, come abbiamo visto, nel 34 d.C. Fu allora che la nazione ebraica, per decisione del sinedrio, suggellò il proprio rifiuto del messaggio del Vangelo con il martirio di Stefano e la persecuzione dei cristiani. Allora il messaggio di salvezza, non più riservato al solo “popolo eletto”, fu proclamato al mondo intero. I discepoli, costretti dalla persecuzione a fuggire da Gerusalemme, andarono di luogo in luogo annunziando la Parola. E Filippo, disceso nella città di Samaria, vi predicò il Cristo. Pietro, divinamente ispirato, annunciò la buona novella al centurione di Cesarea, il pio Cornelio; mentre il fervente Paolo, conquistato alla fede di Cristo, fu incaricato di portare il Vangelo ai Gentili. (Atti 8:4,5; 22:21) Fin qui ogni elemento della profezia si era adempiuto con straordinaria precisione; era quindi chiaro che le 70 settimane andavano dal 457 a.C. al 34 d.C. Partendo da questa data, non era difficile trovare il punto di arrivo dei 2.300 giorni. Infatti, dato che le 70 settimane – 490 giorni – erano state tolte dai 2.300 giorni, rimanevano 1.810 giorni che, partendo dal 34 d.C., portavano automaticamente al 1844. La conclusione era ovvia: il periodo dei 2.300 giorni di Daniele 8:14 si concludeva nel 1844. Poiché alla fine di questo lungo periodo profetico, secondo la dichiarazione dell’angelo, il santuario sarebbe stato purificato, veniva così precisato il momento della purificazione del santuario che, quasi universalmente, si pensava dovesse verificarsi al secondo avvento del Cristo. Miller e i suoi collaboratori, in un primo momento, credettero che i 2.300 giorni sarebbero finiti nella primavera del 1844, mentre in realtà un attento studio della profezia conduceva all’autunno di quell’anno. Questa inesattezza provocò delusione e perplessità in quanti avevano contato sulla venuta del Signore per quella data. Tutto ciò, però, non influì sul fatto che stabiliva il 1844 come punto di arrivo dei 2.300 giorni, con la relativa purificazione del santuario.

IL DOVERE DI DIRE AGLI ALTRI

Nell’intraprendere lo studio delle Scritture, per stabilire che esse erano una rivelazione divina, Miller non aveva la minima idea che le sue ricerche lo avrebbero portato a tali conclusioni. Anzi, ebbe una certa difficoltà a credere ai risultati dei suoi studi. Però la chiarezza delle Scritture era tale che non poté fare a meno di accettarla. Miller studiava la Bibbia da due anni quando, nel 1818, giunse alla conclusione che dopo venticinque anni Gesù sarebbe apparso per la redenzione del suo popolo. “È inutile descrivere la gioia che riempì il mio cuore” egli dice “all’idea della meravigliosa prospettiva né tantomeno esprimere l’ardente desiderio della mia anima, al pensiero di partecipare alla felicità dei redenti. Ora la Bibbia era per me un libro nuovo e costituiva una vera gioia per il mio spirito. Tutto ciò che prima mi sembrava oscuro, mistico e confuso nei suoi insegnamenti, diventava sempre più luminoso, per lo splendore che scaturiva dalle sacre pagine. Come mi appariva splendente e gloriosa la verità! Tutte le contraddizioni e le incoerenze, che un tempo avevo creduto di trovare nella Parola, erano scomparse e nonostante vi fossero ancora dei punti, che non ero riuscito a chiarire completamente, avevo ricevuto già sufficiente luce, perché la mia mente venisse rischiarata.” “Provavo un vero piacere nello studio della Scrittura, un piacere che non avrei mai creduto di poter trovare nei suoi insegnamenti”. “Con la solenne convinzione che questi importanti eventi, predetti dalle Scritture, si sarebbero adempiuti in un breve lasso di tempo, si delineò nella mia mente la domanda relativa al dovere che io avevo nei confronti degli uomini, in seguito alle convinzioni che si erano radicate nel mio spirito”. Egli si rendeva conto che era suo dovere comunicare ad altri il messaggio ricevuto. Sapeva che non sarebbe mancata l’opposizione da parte degli increduli, ma confidava che tutti i cristiani si sarebbero rallegrati nella speranza dell’incontro con il loro amato Salvatore. Il suo unico timore era che nella loro immensa gioia, all’idea della gloriosa liberazione ormai vicina, molti avrebbero accettato la dottrina, senza preoccuparsi di esaminare attentamente le Scritture e avere da esse la conferma di tale verità. Così, esitava a presentarla, per paura di essere nell’errore e di provocare confusione in altri. Questa incertezza lo spinse a riesaminare le prove a sostegno delle conclusioni cui era giunto e a considerare attentamente ogni difficoltà, che potesse affiorare alla sua mente. Si accorse che davanti alla luce della Parola di Dio le obiezioni svanivano, come la nebbia svanisce sotto l’azione dei raggi del sole. Consacrò cinque anni a questa revisione e si convinse ancor più dell’assoluta fondatezza delle sue posizioni. Ora il dovere di far sapere agli altri quello che era chiaramente insegnato nelle Scritture, si imponeva con maggiore forza. “Mentre ero intento alle mie occupazioni” egli dice “sentivo echeggiare continuamente alle mie orecchie l’invito: “Va’ avverti il mondo del pericolo!” Mi ritornava in mente il passo biblico: “Quando avrò detto all’empio: — Empio, per certo tu morrai! — e tu non avrai parlato per avvertire l’empio che si ritragga dalla sua via, quell’empio morrà per la sua iniquità, ma io domanderò conto del suo sangue alla tua mano. Ma, se tu avverti l’empio che si ritragga dalla sua via e quegli non se ne ritrae, esso morrà per la sua iniquità, ma tu avrai scampato l’anima tua”. (Ezechiele 33:8, 9). Sentivo che se gli increduli avessero potuto essere avvertiti, molti si sarebbero pentiti; mentre, se essi non fossero stati avvertiti, il loro sangue mi sarebbe stato richiesto”. Miller cominciò a esporre le sue idee in privato, ogni volta che gli si presentava l’occasione, pregando perché qualche pastore ne valutasse la portata e si consacrasse alla loro diffusione. Comunque, non poteva sottrarsi alla convinzione di avere un dovere personale da compiere nel presentare egli stesso l’avvertimento. Riecheggiavano nella sua mente le parole: “Va’, avverti il mondo… domanderò conto del suo sangue!” Per nove anni Miller attese, sentendo sempre di più il peso della sua responsabilità. Fu nel 1831 che per la prima volta egli espose pubblicamente le motivazioni della sua fede.

IL RISVEGLIO RELIGIOSO HA INIZIO

Miller acconsentì a presentare pubblicamente il suo messaggio solo in seguito alle pressioni dei suoi fratelli, nelle cui parole egli udiva l’invito di Dio. Aveva cinquant’anni, non era affatto abituato a parlare in pubblico e si sentiva come schiacciato dal senso della propria incapacità per l’opera che l’attendeva. Fin dall’inizio la sua azione fu abbondantemente benedetta. La sua prima conferenza fu seguita da un risveglio religioso nel quale tredici famiglie, ad eccezione di due persone, si convertirono. Fu immediatamente invitato a parlare in altri luoghi e ovunque la sua attività ebbe come risultato un risveglio dell’opera di Dio. I peccatori si convertivano, i credenti decidevano di riconsacrarsi, i deisti e gli infedeli imparavano a conoscere la verità della Bibbia e la religione cristiana. La testimonianza di coloro cui si rivolgeva ora era: “Raggiungere una categoria di persone sulla quale altri non hanno presa”. Si ritenne che la sua predicazione riuscisse a risvegliare la mente della gente alle grandi realtà della religione e ad arginare la mondanità e la sensualità, crescenti in quel tempo. Come risultato della sua predicazione, quasi in ogni città le conversioni si contavano a decine, talvolta a centinaia. In molti luoghi le chiese protestanti delle varie denominazioni erano disponibili e spesso l’invito a predicare gli veniva rivolto dai pastori delle singole comunità. Era sua abitudine intervenire solo dove era invitato. Ben presto si rese conto di non poter riuscire a soddisfare neppure la metà delle richieste, che gli pervenivano. Molti, pur non condividendo le sue idee circa la data del secondo avvento, erano convinti dell’imminenza del ritorno di Gesù e della necessità di prepararsi.

TESTIMONIANZE DELLE BENEDIZIONI DIVINE

In alcune grandi città la sua opera provocò una notevole impressione: trafficanti di liquori rinunciarono al loro commercio e trasformarono i propri spacci in luoghi di riunione; case da gioco chiusero i loro battenti; atei, deisti universalisti e perfino criminali incalliti si convertirono. Alcuni di essi da anni non mettevano piede in una chiesa. Le varie denominazioni organizzarono delle riunioni di preghiera in tutti i quartieri cittadini, praticamente a ogni ora del giorno, tanto che uomini d’affari potevano riunirsi a mezzogiorno per pregare e lodare Dio. Non si trattava di un’infatuazione stravagante, ma di qualcosa di serio e sentito, perché l’opera di Miller, come quella dei primi riformatori, tendeva più a illuminare le menti che a provocare emozioni. Nel 1833 Miller ricevette la credenziale di pastore della Chiesa Battista, di cui era membro. Molti pastori della stessa denominazione approvavano la sua opera e così poté continuare il suo lavoro con il loro consenso. Viaggiava e predicava incessantemente, sebbene la sua attività si limitasse alla Nuova Inghilterra e agli stati del centro. Per vari anni viaggiò a proprie spese. Anche in seguito, comunque, le sue spese di viaggio non furono mai completamente rimborsate. In tal modo questa sua missione pubblica incise sensibilmente sulle sue sostanze, tanto che esse andarono diminuendo progressivamente. Miller aveva una famiglia numerosa, ma siccome i suoi membri erano attivi e frugali, la rendita della fattoria era sufficiente per il loro mantenimento e per le sue spese.

L’ULTIMO DEI SEGNI

Nel 1833, due anni dopo che Miller aveva cominciato a presentare in pubblico le prove dell’imminente ritorno del Cristo, apparve l’ultimo segno preannunciato dal Salvatore come prova del suo secondo avvento. Gesù aveva detto: “Le stelle cadranno dal cielo”. (Matteo 24:29) L’apostolo Giovanni, nell’Apocalisse, contemplando in visione le scene che avrebbero annunciato la venuta del giorno di Dio, aveva scritto: “E le stelle del cielo caddero sulla terra, come quando un fico scosso da un gran vento lascia cadere i suoi fichi immaturi”. (Apocalisse 6:13) Questa profezia si adempì in modo impressionante con la grande pioggia meteorica del 13 novembre 1833. Quella fu la più vasta e sorprendente visione di stelle cadenti che sia stata mai ricordata. “In tutto il territorio degli Stati Uniti, il cielo sembrava in movimento. Dopo l’occupazione del paese da parte dei bianchi, non si era mai verificato un fenomeno che suscitasse una così grande ammirazione in una parte degli abitanti e un così vivo sgomento in un’altra parte. La sublime grandezza di questo spettacolo rivive ancora nel ricordo di molti… Mai si è avuta una pioggia meteorica più fitta di quella: a oriente, a occidente, a settentrione, a mezzogiorno, ovunque era la stessa scena”. “The Old Countrynam”, in Portland Evening Advertiser, 26 novembre 1833.

BIBBIA, LA SOLA BIBBIA

William Miller era dotato di ottime facoltà, disciplinate dallo studio e dalla riflessione. Ad esse egli aggiunse la sapienza nelle cose spirituali, grazie alla sua comunione con la Fonte della saggezza. Uomo di grandi virtù morali, riusciva a imporre il rispetto e a conquistarsi la stima ovunque venivano apprezzate l’integrità e l’eccellenza morale del suo carattere. Unendo la gentilezza spontanea con l’umiltà cristiana e la forza dell’autocontrollo, sapeva essere premuroso e affabile con tutti, pronto ad ascoltare le opinioni altrui e a prendere in considerazione le loro argomentazioni. Senza passione o eccitazione, esaminava ogni teoria o dottrina alla luce della Parola di Dio e il suo ragionamento equilibrato, unito alla profonda conoscenza delle Sacre Scritture, gli permetteva di confutare l’errore e di smascherare la falsità. La sua opera, però, incontrò forti opposizioni e come era accaduto ai primi riformatori, si rese conto che le verità da lui predicate non erano accolte favorevolmente dai pastori delle varie confessioni religiose. Essi, non potendo sostenere i propri punti di vista con l’ausilio della Bibbia, ricorrevano alle opinioni e alle dottrine degli uomini, oppure alla “tradizione dei padri”. I predicatori dell’avvento, invece, accettavano solo la Parola di Dio come testimonianza della verità. “La Bibbia e solo la Bibbia” era la loro parola d’ordine.

Gli avversari di Miller, quando si trovavano a corto di argomenti, non esitavano a ricorrere all’ironia e allo scherno. Non furono risparmiati né tempo né denaro per cercare di mettere in cattiva luce coloro la cui unica colpa consisteva nel pensare con gioia al ritorno del Signore, nell’impegnarsi a vivere una vita santa e nell’esortare gli altri a prepararsi per la gloriosa apparizione del Signore. L’istigatore di ogni male cercava non solo di rendere inutili gli effetti del messaggio avventista, ma addirittura di eliminare lo stesso messaggero. Miller indirizzava le verità bibliche ai cuori dei suoi ascoltatori, rimproverando i loro peccati e turbandone la pace. Le sue parole chiare e penetranti suscitavano la loro collera. L’opposizione manifestata dai membri di chiesa nei confronti del suo messaggio incoraggiò alcuni esponenti delle classi sociali più basse a oltrepassare ogni limite: decisero di ucciderlo mentre usciva da una riunione. Però gli angeli vegliavano su di lui e uno di loro, in forma umana, lo prese per un braccio e lo salvò, sottraendolo alla folla inferocita. La sua opera non era ancora finita e perciò Satana e i suoi seguaci furono delusi. Nonostante l’opposizione, l’interesse per il secondo avvento aumentava. Gli uditori non si contavano più a decine o a centinaia, ma a migliaia. Le chiese avevano registrato un forte incremento nel numero dei membri, ma dopo un po’ cominciarono a manifestare uno spirito d’intolleranza verso questi convertiti e finirono per prendere misure disciplinari contro quanti avevano accettato le idee di Miller. Questo lo indusse a scrivere ai cristiani di tutte le denominazioni: se le sue dottrine erano false, essi avrebbero dovuto mostrargli l’errore mediante le Scritture. “Che cosa crediamo” egli diceva “che non sia stato attinto direttamente dalla Parola di Dio, che voi stessi riconoscete come regola, come unica regola di fede e di condotta”? Che cosa facciamo che meriti una condanna così violenta da parte della chiesa e della stampa e che vi spinga a espellerci dalle vostre comunità? Se noi siamo nell’errore, fateci vedere in che cosa consiste il nostro sbaglio. Mostrateci con la Parola di Dio che stiamo sbagliando. Ci avete già messi abbastanza in ridicolo; ma questo non è sufficiente per convincerci che stiamo percorrendo una via errata: solo la Parola di Dio può farci cambiare idea. Noi siamo giunti a queste conclusioni deliberatamente e con molte preghiere, basandoci sulle Sacre Scritture. Beatitudine, pp. 250, 252.

RISPOSTE DIFFERENTI

Perché la chiesa era tanto contraria alla dottrina del secondo avvento? Mentre per i malvagi l’avvento del Signore provoca sgomento e desolazione, per i giusti era sinonimo di gioia e di speranza. Questa verità meravigliosa aveva consolato i fedeli di Dio nel corso dei secoli. Perché, allora, era diventata, come il suo Autore, “un sasso d’inciampo e una pietra di scandalo” per chi si dichiarava suo popolo? Il Signore stesso aveva promesso ai discepoli: “… e quando sarò andato e vI avrò preparato un luogo, tornerò e v’accoglierò presso di me”. Il Salvatore, prevedendo la solitudine e il dolore dei discepoli, aveva incaricato gli angeli di consolarli con la certezza del suo ritorno. Infatti, mentre contemplavano smarriti il cielo, che rapiva il caro Maestro, la loro attenzione fu richiamata con queste parole: “Uomini Galilei, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù, che è stato tolto da voi e assunto in cielo, verrà nella medesima maniera che l’avete veduto andare in cielo”. (Atti 1:11) Questo messaggio dell’angelo ravvivò le loro speranze, tanto che essi “… tornarono a Gerusalemme con grande allegrezza; ed erano del continuo nel tempio, benedicendo Iddio”. (Luca 24:52,53) Non si rallegravano perché Gesù era tornato in cielo e, quindi, si trovavano soli a dover lottare contro le prove e le tentazioni del mondo, ma perché gli angeli avevano dato loro la certezza del suo ritorno. La proclamazione dell’avvento di Cristo dovrebbe essere anche oggi, come quando venne annunciata dagli angeli ai pastori di Betlemme, una fonte di gioia. Quanti realmente amano il Salvatore non possono fare a meno di accogliere con entusiasmo l’annuncio, basato sulla Parola di Dio, che colui che ci assicura la vita eterna sta per ritornare. Sta per ritornare, ma non per essere oggetto d’insulti, di disprezzo e di rifiuto come accadde in occasione del suo primo avvento, bensì per manifestarsi con potenza e gloria e riscattare il suo popolo. Quelli che non amano il Salvatore non desiderano la sua venuta. L’irritazione e l’animosità suscitate nelle chiese da questo messaggio divino sono la prova più evidente che si erano allontanate da Dio. Coloro che accettarono la dottrina dell’avvento sentirono il desiderio di pentirsi e di umiliarsi davanti a Dio. Molti erano rimasti a lungo esitanti fra il Cristo e il mondo, ma ora si rendevano conto che era giunto il momento di decidersi. “L’eternità assumeva agli occhi loro una nuova realtà”. “Il cielo si era avvicinato ed essi si sentivano colpevoli nei confronti di Dio”. I cristiani sentivano nascere in loro una nuova vita spirituale; si rendevano conto di aver poco tempo a disposizione e della necessità di avvertire rapidamente coloro che li circondavano. La terra sembrava sfuggire, mentre l’eternità si schiudeva davanti a loro. Tutto ciò che si riferiva alla loro eterna felicità eclissava ai loro occhi le realtà temporali. Lo Spirito di Dio era in loro, assicurando potenza ai loro vibranti appelli affinché i fratelli, e perfino i peccatori, si preparassero per il giorno di Dio.

Come già ampiamente detto, qui sorella White, come tutti – me compreso -, si è lasciata ingannare dalla visione di gloria del secondo avvento di Cristo. In realtà, come dimostrato anche in questo forum, nuovamente Cristo è soggetto a insulti, disprezzo e rifiuto. E questa volta per tempi indefiniti.

La ragione, oltre alla necessità di riscattare la condanna all’inferno (la seconda morte) per i credenti che meritano la salvezza, è senza dubbio l’allontanamento del clero di tutte le religioni e di coloro che lo seguono da Dio. Orgoglio, presunzione e rigidità mentale dominano su quelli che dovrebbero essere uomini di Dio.

L’INCHIESTA SCONSIGLIATA

In tal modo i protestanti seguivano l’esempio dei cattolici: mentre la chiesa di Roma toglieva la Bibbia al popolo, le chiese protestanti pretendevano che una parte importante della Parola di Dio — e precisamente quella che insegna le verità relative al nostro tempo — non potesse essere compresa. Pastori e membri dicevano che le profezie di Daniele e dell’Apocalisse erano misteri incomprensibili. Eppure il Cristo aveva richiamato l’attenzione dei discepoli proprio sulle parole del profeta Daniele, relative agli eventi che dovevano verificarsi ai suoi tempi, dicendo: “… chi legge pongavi mente”. (Matteo 24:15) L’affermazione secondo cui l’Apocalisse è un mistero, che non può essere capito, è in contrasto con il titolo stesso del libro: “La rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli ha data per mostrare ai suoi servitori le cose che debbono avvenire in breve… Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e serbano le cose che sono scritte in essa, poiché il tempo è vicino”. (Apocalisse 1:1, 3) Tenendo conto delle testimonianze precedenti, come osano gli uomini insegnare che l’Apocalisse è un mistero che supera la portata della comprensione umana? È un mistero rivelato, è un libro aperto. Il suo studio richiama le menti alle profezie di Daniele, in quanto i due libri (Daniele e Apocalisse) presentano le più importanti direttive, impartite da Dio, circa gli eventi che dovranno accadere alla fine della storia del mondo. A Giovanni furono rivelate scene di profondo interesse, per l’esperienza della chiesa. Egli vide la posizione, i pericoli e la liberazione finale del popolo di Dio e registrò i messaggi conclusivi, che devono permettere la maturazione e il raccolto sulla terra, sia per quanto riguarda i fedeli, cioè i covoni da raccogliere nei granai celesti, sia per quanto riguarda i nemici del Cristo, le zizzanie riservate al fuoco della distruzione. Gli furono rivelati soggetti di estrema importanza, specialmente per l’ultima chiesa, affinché coloro che abbandonano l’errore, per rivolgersi alla verità, possano essere avvertiti dei pericoli e delle lotte, che li attendono. Nessuno deve rimanere all’oscuro su ciò che sta per accadere nel mondo. Perché, allora, questa diffusa ignoranza su una parte così importante delle Sacre Scritture? Perché questo rifiuto, quasi generalizzato, a studiarne gli insegnamenti? Satana compie uno sforzo particolare, nascondendo agli uomini tutto ciò che può contribuire a rivelare i suoi inganni. Per questo motivo Gesù Cristo, autore di questa rivelazione, prevedendo la guerra che sarebbe scoppiata nei confronti dello studio dell’Apocalisse, pronunciò una benedizione su quanti avrebbero letto, ascoltato e messo in pratica le parole della profezia. La grande controversia, pp. 317-342.

PASSI MISTERIOSI SU DANIELE

Una grande analogia caratterizza le riforme o i movimenti religiosi che, di secolo in secolo, hanno segnato i progressi dell’opera di Dio. I princìpi che stanno alla base dell’azione divina nei confronti degli uomini sono sempre gli stessi e quindi i più importanti movimenti religiosi attuali trovano riscontro in quelli del passato, per cui le esperienze della chiesa contengono preziosi insegnamenti per la nostra epoca. La Bibbia lascia chiaramente intendere che gli uomini scelti da Dio per dirigere i grandi movimenti, destinati a realizzare il suo piano di salvezza sulla terra, erano guidati in modo particolare dallo Spirito Santo. Gli uomini diventano strumenti nelle mani di Dio, per l’attuazione dei suoi progetti, caratterizzati dalla grazia e dalla misericordia. Ognuno ha un incarico definito e a ciascuno viene accordata una conoscenza adeguata al suo particolare compito e sufficiente per permettergli l’attuazione del mandato, che Dio gli ha assegnato. Nessuno, però, per quanto onorato dal cielo, è mai pervenuto a una totale comprensione del piano della redenzione o a una perfetta valutazione del proposito divino, per l’opera che era stato chiamato a svolgere nella sua epoca. In altre parole, gli uomini non possono sempre capire completamente quello che Dio intende conseguire, tramite l’incarico che ha affidato loro, e quindi non riescono ad afferrare in tutta la sua portata il messaggio che stanno proclamando nel suo nome. Neppure i profeti, favoriti com’erano da una conoscenza particolare concessa loro dallo Spirito, si resero conto della portata delle rivelazioni ricevute. Il loro significato fu svelato gradatamente, nel corso dei secoli e nella misura in cui il popolo di Dio aveva bisogno degli insegnamenti, che tali rivelazioni contenevano. I profeti, pur non avendo avuto il privilegio di capire completamente le rivelazioni ricevute, cercavano comunque di avvalersi di tutta la conoscenza, che Dio gli aveva accordato. Essi, perciò, indagavano per conoscere “il tempo e le circostanze”, indicati dallo “Spirito di Cristo, che era in loro”. Che magnifico insegnamento per il popolo di Dio dell’era cristiana, che beneficiò di queste profezie, annunciate dai messaggeri dell’Altissimo! “E fu loro rivelato che non per se stessi, ma per voi ministravano quelle cose”. Notate con quanta cura questi uomini di Dio prendevano nota delle rivelazioni destinate alle generazioni future. Osservate il contrasto fra il loro santo zelo e la noncuranza che dimostrano alcuni nei confronti dei messaggi divini. Come non biasimare l’amore per il cosiddetto quieto vivere, per l’indifferenza che è frutto dell’attaccamento alle realtà terrene e per lo scetticismo di chi afferma che le profezie non possono essere capite!

L’ESPERIENZA DEGLI APOSTOLI COSTITUISCE UNA LEZIONE

Sebbene le menti limitate degli uomini non possano apprezzare i consigli dell’Essere infinito o capire completamente come si attuano i suoi piani, spesso la causa di questo stato di cose va ricercata nel fatto che gli uomini spesso non comprendono i messaggi divini per errore o negligenza. L’intelligenza umana, perfino quella dei figli di Dio, è talmente condizionata dalle opinioni comuni, dalle tradizioni popolari e dai falsi insegnamenti, che riescono solo parzialmente a rendersi conto delle verità sublimi che l’Eterno ha rivelato nella sua Parola. Tutto ciò si verificò anche con i discepoli del Cristo, quando il Salvatore era ancora con loro. Le loro menti erano così condizionate dalle concezioni popolari riguardanti il Messia, considerato un principe che avrebbe innalzato Israele sul trono di un impero universale, che non riuscirono a comprendere il significato delle parole che annunciavano le sue sofferenze e la sua morte. Gesù stesso li aveva incaricati di annunciare il messaggio: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete all’evangelo”. (Marco 1:15) Quel messaggio si basava sulla profezia di Daniele 9. Le 69 settimane dovevano estendersi, per dichiarazione dell’angelo, fino “al Messia principe”; e così, con speranza e gioia, i discepoli sognavano l’insediamento di un regno messianico in Gerusalemme, in vista di un dominio esteso su tutta la terra. Essi predicavano il messaggio che era stato loro affidato dal Cristo, però ne fraintendevano il significato. Mentre il loro annuncio si basava su Daniele 9:25, non si rendevano conto che nel versetto seguente si parlava del Messia “soppresso”. Fin dall’infanzia erano stati orientati a credere e sperare nella gloria di un impero terreno e questo accecava la loro mente, sia per quello che la profezia indicava sia per quello che le parole di Cristo significavano. Essi fecero il loro dovere, trasmettendo alla nazione ebraica l’invito della misericordia divina, ma proprio quando pensavano di vedere il Maestro salire sul trono di Davide, egli venne arrestato come un malfattore, percosso, deriso, condannato e appeso sulla croce al Calvario. Quanta angoscia e quanta disperazione scosse il cuore dei discepoli, durante i giorni in cui il loro amato Signore riposava nella tomba!Eppure il Cristo era apparso esattamente al tempo e nel modo indicati dalla profezia. La testimonianza della Scrittura si era adempiuta in ogni particolare del suo ministero. Egli aveva annunciato il messaggio della salvezza e il suo messaggio era stato trasmesso con potenza, tanto che gli uditori si erano convinti che si trattasse di un annuncio di origine divina, mentre la Parola e lo Spirito di Dio attestavano la missione del Figlio. L’annuncio fatto dai discepoli nel nome del Signore era esatto in tutti i suoi particolari e gli eventi predetti si stavano adempiendo l’uno dopo l’altro. “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino”: questo era stato il loro messaggio. Alla fine del “tempo” delle 69 settimane di Daniele 9, che dovevano estendersi fino al “Messia unto”, Gesù aveva ricevuto l’unzione dello Spirito, subito dopo il battesimo impartitogli da Giovanni Battista al Giordano. Il “regno di Dio” definito “vicino” era stato stabilito dalla morte di Gesù. Naturalmente questo regno non era, com’era stato loro insegnato, un impero terreno. Non era neppure quel regno futuro e immortale, che sarà stabilito quando “… il regno e il dominio e la grandezza dei regni, che sono sotto tutti i cieli, saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo” (Daniele 7:27), regno eterno nel quale “tutti i domini lo serviranno e gli ubbidiranno”.

Nella Bibbia l’espressione “regno di Dio” indica sia il regno della grazia, sia il regno della gloria. Quello della grazia è messo in risalto dall’apostolo Paolo nella sua lettera agli Ebrei. Dopo avere indicato il Cristo come intercessore compassionevole, che ha condiviso la nostra umanità, l’apostolo aggiunge: “Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia per esser soccorsi al momento opportuno”. (Ebrei 4:16) Il trono della grazia rappresenta il regno della grazia, poiché l’esistenza di un trono presuppone necessariamente quella di un regno. In molte delle sue parabole, Gesù usò l’espressione “regno dei cieli” per designare l’opera della grazia di Dio nei cuori degli uomini. Allo stesso modo il trono della gloria rappresenta il regno della gloria, regno cui alludeva il Signore, dicendo: Or quando il Figliuol dell’uomo sarà venuto nella sua gloria, avendo con sé tutti gli angeli, allora sederà sul trono della sua gloria. E tutte le genti saranno radunate dinanzi a lui. (Matteo 25:31,32) Si tratta di un regno futuro, che sarà instaurato al ritorno di Cristo Gesù. Il regno della grazia fu istituito subito dopo la caduta dell’uomo, quando venne elaborato il piano della redenzione per l’umanità colpevole. Esso esisteva già come obiettivo e promessa di Dio. Questo regno, del quale si diventa sudditi per fede, fu però stabilito ufficialmente solo dopo la morte del Cristo. Infatti, anche dopo essere venuto nel mondo per adempiere la sua missione terrena, il Salvatore, stanco dell’ostinazione e dell’ingratitudine degli uomini, avrebbe potuto benissimo rinunciare al sacrificio del Calvario. Nel Getsemani, il calice tremò nelle sue mani. Anche in quel momento egli avrebbe potuto asciugare il sudore di sangue, che imperlava la sua fronte, e lasciare che l’umanità colpevole pagasse per la sua malvagità. Se lo avesse fatto, non ci sarebbe stata nessuna possibilità di redenzione per l’uomo. Quando, però, il Salvatore offrì la sua vita ed esalando l’ultimo respiro esclamò: “Tutto è compiuto!”, risultò chiaro che il piano della redenzione era assicurato e che era stata ratificata la promessa di salvezza, fatta in Eden alla coppia colpevole. In quel momento s’instaurava il regno della grazia, che fino allora era esistito in virtù della promessa di Dio. In questo modo la morte del Cristo, che i discepoli consideravano la fine di ogni speranza, al contrario la confermò per l’eternità. Se per loro la morte del Cristo rappresentò una cocente delusione, in realtà dimostrò l’esattezza delle loro convinzioni. L’evento, che li aveva riempiti di amarezza e di disperazione, doveva contribuire ad aprire la porta della speranza a ogni discendente di Adamo e rappresentare il centro della vita futura e dell’eterna felicità dei fedeli figli di Dio di tutti i secoli. Dopo la risurrezione, Gesù apparve ai discepoli sulla via di Emmaus “E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo concernevano”. (Luca 24:27) I cuori dei due discepoli rimasero scossi e la loro fede fu ravvivata. Si sentirono “rinascere… ad una speranza viva”, prima ancora che Gesù si fosse fatto riconoscere. Il Maestro volle illuminare la loro mente e aiutarli a fondare la loro fede sulla parola profetica. Voleva che la verità si radicasse profondamente in loro, non solo perché sostenuta dalla sua testimonianza personale, ma perché convalidata dai simboli della legge cerimoniale e dalle precise dichiarazioni profetiche dell’Antico Testamento. Era necessario che i discepoli di Gesù avessero una fede vera, non solo per se stessi, ma per trasmettere al mondo la conoscenza del Cristo. Gesù richiamò l’attenzione dei discepoli su Mosè e sui profeti. Questa fu la testimonianza del Salvatore risorto sul valore e sull’importanza delle Scritture dell’Antico Testamento. Contemplando l’amato volto del Maestro, nel cuore dei discepoli avvenne un profondo cambiamento. (Luca 24:32) Essi riconobbero, da un punto di vista più completo e perfetto di prima, “Colui del quale hanno scritto Mosè ed i profeti”. In tal modo l’incertezza, l’angoscia e la disperazione furono sostituite da una serena fiducia e una fede senza dubbi. Non c’è da stupirsi se dopo la sua ascensione, essi “erano del continuo nel tempio, benedicendo Iddio”. (Luca 24:53) La gente, che conosceva solo la storia della terribile morte del Nazareno, si aspettava di leggere sul volto dei discepoli un’espressione di dolore, di confusione e di sconfitta; invece li vide illuminati dalla gioia e dal trionfo.

E per quanto riguarda il Cristo del secondo avvento, come ho più volte ripetuto, si è avuto lo stesso misconoscimento, a causa degli stessi motivi che ingannarono i discepoli di Gesù.

Ditemi voi se tutti gli inviati divini che ho citato nei miei scritti, non sono forse angeli di Cristo che lo accompagnano alla sua seconda venuta. Ditemi voi se non ho portato messaggi celesti per elevare spiritualmente e, quindi, far risuscitare spiritualmente i lettori, fino a farli sentire al di sopra di questa terra, nell’aria, da questo punto di vista.

E poi, tutte le citazioni che ho fatte non servono forse a separare le pecore dai capri, il grano dalla zizzania? E non servono a radunare il popolo dei credenti, ovunque si trovino e in qualunque religione/testo sacro credano?

Certo, chi si aspettava angeli letterali ad accompagnare Cristo e di essere sollevato letteralmente nell’aria all’avvento di Cristo e un dominio immediato sul tutto, è rimasto deluso. Ma, come ho più volte ripetuto, c’era un prezzo enorme da pagare, per poter far riaprire le porte del paradiso terrestre…, che sono tuttora chiuse, e vincere la seconda morte. Mentre la vita eterna nel corpo è già disponibile, per chi l’ha conquistata.

LA LEZIONE DEL 1844

L’esperienza dei discepoli, che predicarono il Vangelo del regno in occasione del primo avvento del Cristo, è sullo stesso piano dell’esperienza di coloro che proclamarono il messaggio del suo secondo avvento. Gli apostoli annunciavano: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino”. Miller e i suoi collaboratori predicavano che il più lungo periodo profetico, indicato nella Bibbia, stava per concludersi, che il giudizio era imminente e che stava per essere inaugurato il regno eterno. L’annuncio dei discepoli, relativo al tempo della fine, si basava sulla profezia delle 70 settimane di Daniele 9. Il messaggio di Miller annunciava la fine dei 2.300 giorni di Daniele 8:14, dei quali facevano parte le 70 settimane. In entrambi i casi, la predicazione si basava sull’adempimento di due diverse parti dello stesso grande periodo profetico. Come i primi discepoli, Miller e i suoi collaboratori non compresero completamente la portata di quanto annunciavano. Gli errori, che da tempo si erano insinuati nella chiesa, impedivano loro di giungere all’esatta interpretazione di un importante elemento della profezia. Quindi, pur proclamando il messaggio che Dio aveva loro affidato, a causa di un’idea errata circa il suo significato, sperimentarono un’amara delusione. Spiegando Daniele 8:14: “… Fino a duemila trecento sere e mattine; poi il santuario sarà purificato”, Miller, adottando il concetto generalmente accettato secondo cui la terra è il santuario, credeva si trattasse della purificazione della terra mediante il fuoco del Signore, al momento dell’avvento. Quindi, resosi conto che la profezia indicava con esattezza il punto di arrivo dei 2.300 giorni, ne concluse che essa coincideva con l’epoca del secondo avvento di Gesù. Tale errore va attribuito al fatto che Miller si adeguò alla convinzione popolare relativa al santuario. Nel sistema cerimoniale, che prefigurava il sacrificio e il sacerdozio del Cristo, la purificazione del santuario era l’ultima cerimonia celebrata dal sommo sacerdote, a conclusione del ministero dell’intero anno. Era l’opera finale di espiazione: la rimozione dei peccati d’Israele, prefigurazione dell’opera conclusiva del ministero del nostro Sommo Sacerdote celeste, che vedrà la cancellazione dei peccati del suo popolo, registrati nei libri del cielo. Questo servizio, che comporta l’istruzione di un giudizio, precede immediatamente la seconda venuta del Cristo sopra le nuvole del cielo, con potenza e gran gloria. Alla sua venuta, infatti, ogni caso sarà già stato deciso. Gesù afferma: “… il mio premio è con me per rendere a ciascuno secondo che sarà l’opera sua”. (Apocalisse 22:12) Quest’opera di giudizio, che precede il secondo avvento, è annunciata dal messaggio del primo angelo: “… Temete Iddio e dategli gloria, poiché l’ora del suo giudizio è venuta…” (Apocalisse 14:7) Coloro che proclamarono questo messaggio, lo fecero al momento giusto. Però, come i discepoli, annunciavano “il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino”, basandosi sulla profezia di Daniele 9, senza rendersi conto che in quello stesso brano biblico era anche predetta la morte del Messia. Così, Miller e i suoi collaboratori, predicarono il messaggio basato su Daniele 8:14 e Apocalisse 14:7, senza accorgersi che in Apocalisse 14 vi erano anche altri messaggi, che dovevano essere trasmessi al mondo prima del ritorno del Signore. Come i discepoli s’ingannarono sulla natura del regno, che doveva essere stabilito alla fine delle 70 settimane, così gli avventisti si ingannarono sull’evento che si sarebbe dovuto verificare alla fine dei 2.300 giorni. In entrambi i casi si trattò dell’adesione a idee popolari errate, che purtroppo travisavano il senso della profezia. Sia i discepoli sia gli avventisti adempirono la volontà di Dio, annunciando il messaggio che egli voleva fosse predicato. Comunque, sia i primi sia i secondi, a causa dell’errata interpretazione, subirono un’amara delusione. Dio realizzò ugualmente l’obiettivo che si era prefisso, in quanto l’annuncio del giudizio fu dato integralmente. Il gran giorno era imminente e, nella sua provvidenza, Dio fece in modo che gli uomini fossero avvertiti e messi in condizione di analizzare il proprio stato spirituale. Il messaggio doveva contribuire alla purificazione dei credenti, che si sarebbero resi conto se erano legati al mondo o al Cristo e al cielo. Siccome affermavano di amare il Salvatore, veniva loro offerta l’opportunità di dimostrare la vera essenza dei propri sentimenti. Erano pronti a rinunciare alle speranze e alle ambizioni terrene, per accogliere con gioia l’avvento del Signore? Il messaggio permetteva di rendersi conto del loro stato spirituale e Dio, nella sua misericordia, voleva che fosse proclamato proprio per suscitare in loro la volontà di cercare il Signore, con spirito di umiliazione e pentimento. La delusione, anche se frutto dell’errata interpretazione del messaggio annunciato, contribuì sostanzialmente al loro bene, perché servì a mettere alla prova coloro che avevano affermato di accettare l’avvertimento divino. Confrontandosi con la delusione, avrebbero rinunciato alla loro fede, non fidandosi più della Parola di Dio, oppure avrebbero cercato in preghiera e con umiltà di stabilire la causa dell’errata interpretazione della profezia? Quanti avevano agito per paura, per impulsività e per eccitazione? Quanti erano solo in parte convinti e increduli? Molti dicevano di desiderare il ritorno del Signore, ma quando sarebbero stati chiamati ad affrontare lo scherno e il disprezzo degli uomini, ad assaporare l’amarezza del ritardo e dell’errata interpretazione, avrebbero saputo conservare la fede? Non avendo capito subito il piano di Dio, avrebbero forse rinunciato alle verità, convalidate dalle chiare testimonianze della Parola ispirata? Questa prova sarebbe valsa a rivelare la forza di coloro che con vera fede avevano ubbidito a quello che consideravano l’insegnamento della Sacra Scrittura e dello Spirito di Dio. Essa, inoltre, avrebbe insegnato loro, come solo un’esperienza simile poteva farlo, il pericolo a cui si va incontro accettando teorie e interpretazioni umane, anziché utilizzando la Bibbia come interprete di se stessa. Per i credenti motivati dalla fede, le angosce e le sofferenze, derivanti da questo errore, costituivano la necessaria correzione. Infatti, avrebbero esaminato con maggior attenzione il fondamento della loro fede e respinto tutto ciò che, anche se generalmente accettato dal mondo cristiano, non trovava nessun appoggio nella Sacra Scrittura. A questi credenti, come già ai primi discepoli, quello che nell’ora della prova appariva oscuro, in seguito sarebbe apparso chiaro. Vedendo “la fine” che il Signore avrebbe loro accordato, si sarebbero resi conto che nonostante la prova, conseguenza dell’errore commesso, i piani divini, dettati dal suo amore per loro, si sarebbero adempiuti. Avrebbero anche imparato, tramite quell’esperienza, che egli è “grandemente pietoso e misericordioso” e che tutte le sue vie sono “verità e misericordia per quanti osservano il suo patto e le sue testimonianze”. La grande controversia, pp. 343 -354.

IL SANTUARIO DEL VECCHIO PATTO

Questo studio li fece giungere alla conclusione che non esistesse nessuna prova biblica per sostenere l’idea che la terra fosse il santuario. Nella Bibbia trovarono una spiegazione completa del santuario: la sua natura, la sua struttura e i suoi servizi. La testimonianza degli scrittori sacri era talmente chiara e dettagliata da non lasciare ombra di dubbio. L’apostolo Paolo, nella sua epistola agli Ebrei, afferma: Ora, anche il primo patto aveva delle norme per il culto e un santuario terreno. Infatti, fu preparato un primo tabernacolo, nel quale si trovavano il candeliere, la tavola e la presentazione dei pani; e questo si chiamava il Luogo santo. E dietro la seconda cortina vi era il tabernacolo, detto il Luogo santissimo, contenente un turibolo d’oro e l’arca del patto, tutta ricoperta d’oro, nella quale si trovavano un vaso d’oro, contenente la manna, la verga d’Aronne, che era fiorita, e le tavole del patto. E sopra l’arca, i cherubini della gloria, che adombravano il propiziatorio.” (Ebrei 9:1-5) Il santuario cui Paolo si riferisce era il tabernacolo costruito da Mosè, su invito di Dio, come dimora terrena dell’Altissimo. “E mi facciano un santuario, perché Io abiti in mezzo a loro” (Esodo 25:8), fu l’ordine dato a Mosè, mentre egli era sul monte con Dio. Gli israeliti vagarono nel deserto e quindi il santuario era stato fatto in modo da poter essere trasportato da un luogo all’altro. Si trattava, però, di una struttura molto bella. Dopo che gli ebrei si furono stabiliti in Canaan, il tabernacolo venne sostituito dal tempio di Salomone che, sebbene fosse un edificio permanente e di dimensioni più grandi, conservava le stesse proporzioni ed era arredato nello stesso modo. Il santuario rimase sotto questa sua nuova forma, eccetto quando fu ridotto in rovina al tempo di Daniele, fino alla sua definitiva distruzione del 70 d.C., ad opera dei romani. Questo è l’unico santuario che sia mai esistito sulla terra e di cui la Bibbia fornisce informazioni. Paolo lo chiama santuario del primo patto; ma il nuovo patto non ha un santuario?

IL SANTUARIO DEL NUOVO PATTO IN CIELO

Nell’epistola agli Ebrei i credenti, assetati di verità, si resero conto che l’esistenza di un santuario del secondo, o nuovo patto, era implicita nelle parole di Paolo già citate: “Ora, anche il primo patto aveva delle norme per il culto e un santuario terreno”. L’uso del vocabolo “anche” suggerisce l’idea che Paolo ha già parlato di questo santuario. Infatti, all’inizio del capitolo precedente si legge: “Ora, il punto capitale delle cose che stiamo dicendo, è questo; che abbiamo un tal Sommo Sacerdote, che si è posto a sedere alla destra della Maestà nei cieli, ministro del santuario e del vero tabernacolo, che il Signore, e non un uomo, ha eretto.” (Ebrei 8:1,2) Questo è il santuario del nuovo patto. Il santuario del primo patto fu costruito dall’uomo, da Mosè; questo (il secondo) è costruito non dall’uomo, ma dal Signore stesso. Nel primo santuario i sacerdoti svolgevano il loro servizio; nel secondo, il Cristo, il nostro Sommo Sacerdote, officia alla destra di Dio. Un santuario era sulla terra, l’altro è in cielo. Inoltre, il tabernacolo costruito da Mosè era stato fatto in base a un modello. Il Signore gli disse: “Me lo farete in tutto e per tutto secondo il modello del tabernacolo e secondo il modello di tutti i suoi arredi, che io sto per mostrarti”. E affermò anche: “E vedi di fare ogni cosa secondo il modello che t’è stato mostrato sul monte”. (Esodo 25:9,40) Paolo dice che il primo tabernacolo “… è una figura per il tempo attuale, conformemente alla quale si offrono doni e sacrifici…” E aggiunge che i suoi luoghi santi erano “… cose raffiguranti quelle nei cieli…”; che i sacerdoti che offrivano doni, secondo la legge, servivano da “figura e ombra delle cose celesti…” e che “Cristo non è entrato in un santuario fatto con mano, figura del vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio, per noi”. (Ebrei 9:9, 23; Ebrei 8:5; Ebrei 9:24)

LE GLORIE DEL SANTUARIO TERRENO E IL TEMPIO CELESTE

Il santuario celeste, dove il Cristo officia per noi, è l’originale del santuario eretto da Mosè, come copia. L’incomparabile splendore del santuario terrestre illustrava all’uomo la gloria del tempio celeste, dove il Cristo, nostro precursore, officia in nostro favore davanti al trono di Dio. Questa è la dimora del Re dei re, nella quale “mille migliaia” lo servono e “diecimila miriadi” gli stanno davanti. (Daniele 7:10) Il tempio era pervaso dalla gloria del trono eterno, dove i serafini, i suoi splendenti guardiani, si velano il volto in atto di adorazione. Le più sontuose costruzioni innalzate dagli uomini potevano solo trasmettere una pallida idea della sua grandiosità e della sua gloria. Le importanti verità relative al santuario celeste e alla grande opera che vi si svolgeva, per la redenzione dell’uomo, erano rivelate dal santuario terrestre e dai suoi servizi. I luoghi santi del tempio celeste sono rappresentati dalle due sezioni del santuario terrestre. Quando l’apostolo Giovanni poté contemplare in visione il tempio di Dio in cielo, vide che “… davanti al trono c’erano sette lampade ardenti…” (Apocalisse 4:5) Vide anche un angelo, che aveva “… un turibolo d’oro; e gli furono dati molti profumi, affinché li unisse alle preghiere di tutti i santi sull’altare d’oro, che era davanti al trono”. (Apocalisse 8:3) Fu consentito al profeta di osservare la prima sezione del santuario celeste ed egli vide in essa “le sette lampade ardenti” e “l’altare d’oro”, rappresentati dal candelabro d’oro e dall’altare dell’incenso nel santuario terrestre. Poi “… il tempio di Dio, che è nel cielo, fu aperto…” (Apocalisse 11:19) ed egli poté scorgere, oltre il velo, il luogo santissimo. Egli vide l’arca del patto, rappresentata dal cofano sacro, costruito da Mosè per contenere la legge di Dio. Studiando la Parola di Dio, si trovarono le prove indiscutibili dell’esistenza di un santuario in cielo. Mosè fece il santuario in base al modello, che gli era stato mostrato. Paolo sottolinea che quel modello era il vero santuario celeste e anche Giovanni testimonia di averlo visto in visione.

IL MINISTERO DI CRISTO NEL SANTUARIO CELESTE

In questo tempio, dimora di Dio “… egli ha preparato il suo trono per il giudizio”. (Salmi 9:7) Nel luogo santissimo c’è la sua legge, la norma di giustizia, con la quale sarà giudicata tutta l’umanità. L’arca, che contiene le tavole della legge, è ricoperta dal propiziatorio, davanti al quale il Cristo presenta i meriti del suo sangue, in favore dei peccatori. Viene così rappresentata, nel piano della redenzione umana, l’unione della giustizia con la misericordia. Solo la sapienza infinita poteva concepire questo equilibrio e solo l’infinita potenza poteva attuarla. Tutto ciò riempie il cielo di meraviglia e di adorazione. I cherubini del santuario terrestre, che guardavano riverenti il propiziatorio, rappresentavano l’interesse con cui le schiere celesti contemplano l’opera della redenzione. Quest’opera è il mistero della misericordia, nel quale “… gli angeli desiderano riguardare bene addentro”. (1 Pietro 1:12) Essa rivela come Dio, pur rimanendo giusto, possa giustificare il peccatore pentito e riallacciare i suoi rapporti con l’umanità caduta; come il Cristo sia sceso nell’abisso della perdizione, per strapparvi migliaia di esseri umani e rivestirli con gli abiti della sua giustizia, affinché si uniscano agli angeli fedeli e siano introdotti alla presenza di Dio. L’opera del Cristo, come intercessore dell’uomo, è presentata nella profezia di Zaccaria, relativa a colui che viene chiamato “il Germoglio”. Questo profeta afferma: “… egli edificherà il tempio dell’Eterno e porterà le insegne della gloria, e si assiderà e dominerà sul suo trono, sarà sacerdote sul suo trono e vi sarà fra i due un consiglio di pace”. (Zaccaria 6:12,13) “Egli edificherà il tempio dell’Eterno”. Con il suo sacrificio e con la sua mediazione, il Cristo è nello stesso tempo fondamento e costruttore della chiesa di Dio. L’apostolo Paolo lo indica come “… la pietra angolare, sulla quale l’edificio intero, ben collegato insieme, si va innalzando, per essere un tempio santo nel Signore. Ed in lui, voi pure entrate a far parte dell’edificio, che ha da servire da dimora a Dio per lo Spirito”. (Efesini 2:20-22) “Porterà le insegne della gloria”. A Cristo appartiene la gloria della redenzione dell’umanità e questo sarà il canto dei riscattati nell’eternità: “… A lui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati col suo sangue… siano la gloria e l’imperio nei secoli dei secoli”. (Apocalisse 1:5, 6) Egli “dominerà sul suo trono, sarà sacerdote sul suo trono”. Attualmente non è ancora sul “trono della sua gloria”, perché il regno non è stato ancora inaugurato. Solo quando sarà finita la sua opera di mediazione, Dio “… gli darà il trono di Davide e il suo regno non avrà mai fine”. (Luca 1:32,33) Come sacerdote, il Cristo è già seduto con il Padre sul suo trono. (Apocalisse 3:21) Sul trono, insieme all’Eterno — colui che ha la vita in sé —, c’è chi ha condiviso le nostre infermità e i nostri dolori; chi “… in ogni cosa è stato tentato come noi, però senza peccare” e che “… può soccorrere quelli che sono tentati”; “… e se alcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre…”. (Isaia 53:4; Ebrei 4:15; Ebrei 2:18; 1 Giovanni 2:1) La sua intercessione si fonda su un corpo trafitto e una vita integra. Le sue mani ferite, il suo costato squarciato, i suoi piedi martoriati intercedono in favore dell’uomo caduto, la cui redenzione fu acquisita a un prezzo infinito. “Vi sarà fra i due un consiglio di pace”. L’amore del Padre, non meno di quello del Figlio, è la fonte della salvezza per l’umanità perduta. Gesù disse ai suoi discepoli, prima di lasciarli: “… e non vi dico che io pregherò il Padre per voi, poiché il Padre stesso vi ama…”. (Giovanni 16:26, 27) “Iddio riconciliava con sé il mondo in Cristo…”. (2 Corinzi 5:19) Nell’opera sacerdotale di Gesù nel santuario celeste “… vi sarà fra i due un consiglio di pace”, perché “… Iddio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figliuolo, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna”.

LA DEFINIZIONE DEL SANTUARIO DI DANIELE 8:14

La domanda: “Che cos’è il santuario?” trova una chiara risposta nelle Scritture. Il termine “santuario”, usato nella Bibbia, si riferisce innanzitutto al tabernacolo costruito da Mosè, modello delle realtà celesti; in secondo luogo si riferisce al vero tabernacolo in cielo, di cui quello terrestre era un esempio.

Alla morte del Cristo, si concluse il servizio simbolico cerimoniale. Il vero tabernacolo è in cielo e questo è il santuario del nuovo patto; poiché la profezia di Daniele 8:14 si è adempiuta in questa epoca, è ovvio che il santuario a cui essa si riferisce deve essere quello del nuovo patto. Infatti, alla fine dei 2.300 giorni, nel 1844, da secoli non esisteva più un santuario sulla terra. Quindi la profezia: “Fino a duemila trecento sere e mattine; poi il santuario sarà purificato” indica, senza ombra di dubbio, il santuario celeste.

Rimane da risolvere il quesito più importante: che cos’è la purificazione del santuario? L’Antico Testamento parla di una purificazione del santuario terrestre. Ma è possibile che in cielo vi sia qualcosa da purificare? In Ebrei 9 è presentata chiaramente sia la purificazione del santuario terrestre sia di quello celeste: E secondo la legge, quasi ogni cosa è purificata con sangue; e senza spargimento di sangue non c’è remissione. Era dunque necessario che le cose raffiguranti quelle nei cieli fossero purificate con questi mezzi – [il sangue degli animali] -, ma le cose celesti stesse dovevano esserlo con sacrifici più eccellenti di questi. (Ebrei 9:22, 23), cioè con il prezioso sangue del Cristo.

LEZIONI PRATICHE DEI TIPI

La purificazione, sia nel servizio cerimoniale sia in quello reale, doveva essere fatta con il sangue: nel primo con il sangue di animali, nel secondo con il sangue di Gesù. Paolo afferma che la purificazione deve essere fatta con il sangue, perché senza spargimento di sangue non c’è remissione. L’opera da compiere è proprio la remissione o rimozione del peccato. Ma in che modo il peccato può essere messo in rapporto con il santuario, sia in cielo sia sulla terra? Lo si può comprendere riferendoci al servizio simbolico, in quanto i sacerdoti, che officiavano sulla terra, servivano come “… figura e ombra delle cose celesti…”. (Ebrei 8:5)

L’opera del santuario terrestre si realizzava in due fasi: i sacerdoti officiavano ogni giorno nel luogo santo, mentre una volta all’anno il sommo sacerdote svolgeva una speciale opera di espiazione nel luogo santissimo, per la purificazione del santuario. Ogni giorno il peccatore pentito portava la sua offerta alla porta del tabernacolo e, ponendo la mano sul capo della vittima, confessava i suoi peccati, trasferendoli così, simbolicamente, da se stesso alla vittima innocente. L’animale poi veniva ucciso. “Senza spargimento di sangue” dice l’apostolo “non c’è remissione”. “La vita della carne è nel sangue…” (Levitico 17:11).

La legge di Dio, che era stata infranta, esigeva la morte del trasgressore, e così il sangue, simbolo della vita del peccatore, di cui la vittima portava la colpa, veniva introdotto dal sacerdote nel luogo santo e spruzzato davanti al velo, dietro al quale vi era l’arca, contenente la legge trasgredita dal peccatore. Con questa cerimonia il peccato, mediante il sangue, era trasferito simbolicamente nel santuario. In certi casi il sangue non veniva portato nel luogo santo e la carne della vittima espiatoria era mangiata dal sacerdote, come Mosè aveva detto ai figli di Aaronne: “… l’Eterno ve l’ha dato, perché portiate l’iniquità della radunanza…”. (Levitico 10:17)

Le due cerimonie erano entrambe simbolo del trasferimento del peccato dal penitente al santuario. Questa era l’opera che si svolgeva giorno dopo giorno, per tutto l’anno. I peccati d’Israele venivano così trasferiti nel santuario ed era quindi necessaria una cerimonia speciale, per la loro rimozione. Dio ordinò che si facesse un’espiazione per ognuno dei due luoghi sacri: “Così farà l’espiazione per il santuario, a motivo delle impurità dei figliuoli d’Israele, delle loro trasgressioni e di tutti i loro peccati. Lo stesso farà per la tenda di convegno, che è stabilita fra loro, in mezzo alle loro impurità”. Si doveva fare anche un’espiazione per l’altare dell’incenso per purificarlo “… a motivo delle impurità dei figliuoli d’Israele”. (Levitico 16:16,19)

Una volta l’anno, nel gran giorno dell’espiazione, il sommo sacerdote entrava nel luogo santissimo per la purificazione del santuario. Quest’opera completava il servizio dell’intero anno. In questo giorno solenne due capri venivano portati alla porta del tabernacolo e si tirava a sorte: “… per vedere qual dei due debba essere dell’Eterno e quale di Azazel”. (Levitico 16:8)

Il capro sul quale era caduta la sorte per l’Eterno doveva essere ucciso, come offerta per il peccato del popolo. Il sacerdote poi portava il suo sangue oltre il velo e lo spruzzava sul propiziatorio e davanti a esso. Il sangue veniva spruzzato anche sull’altare dell’incenso, che stava davanti al velo.

“Aaronne poserà ambedue le mani sul capo del capro vivo, confesserà sopra esso tutte le iniquità dei figliuoli d’Israele, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati e li metterà sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo incaricato di questo, lo manderà via nel deserto. E quel capro porterà su di sé tutte le loro iniquità in terra solitaria…”. (Levitico 16:21,22) Il capro per Azazel non ritornava più nel campo d’Israele e l’uomo che lo aveva condotto lontano doveva lavarsi e lavare le proprie vesti con acqua, prima di poter rientrare nell’accampamento.

L’intera cerimonia aveva lo scopo di far capire agli israeliti la santità di Dio e la sua avversione per il peccato; inoltre, essa doveva mostrare loro che non potevano entrare in contatto con il peccato, senza contaminarsi. Ogni uomo, mentre si svolgeva quest’opera di espiazione, doveva fare un profondo esame di coscienza e pentirsi. Tutti gli affari dovevano essere interrotti e l’intera comunità d’Israele doveva trascorrere il giorno in solenne umiliazione davanti a Dio, con preghiera e digiuno.

Questa cerimonia ci insegna le importanti verità relative all’espiazione. Il sangue della vittima, offerta dal peccatore, non eliminava il suo peccato, era solo un mezzo per trasferirlo nel santuario. Con l’offerta del sangue, il peccatore riconosceva l’autorità della legge, confessava le proprie colpe ed esprimeva il desiderio di ottenere il perdono, mediante la fede nel Salvatore che sarebbe venuto, ma non era ancora del tutto prosciolto dalla condanna della legge.

Nel gran giorno dell’espiazione, il sommo sacerdote riceveva una vittima dalla comunità, entrava nel luogo santissimo con il sangue di questa offerta e lo spruzzava sul propiziatorio, direttamente sopra la legge, per soddisfarne le esigenze. Poi, nella sua qualità di mediatore, prendeva i peccati su di sé e li portava fuori dal santuario; metteva le sue mani sul capo del capro per Azazel, confessava tutti i peccati d’Israele, trasferendoli simbolicamente da se stesso al capro che, a sua volta, li portava fuori dal campo. Tutte le trasgressioni del popolo erano allora considerate allontanate per sempre.

UN TIPO DI REALTÀ CELESTE

Era questa la cerimonia che veniva svolta come “figura e ombra delle cose celesti”. Quello che veniva fatto simbolicamente nel ministero del santuario terreno, viene fatto nella realtà nel ministero del santuario celeste. Dopo la sua ascensione, il Salvatore ha iniziato la sua opera come Sommo Sacerdote. Dice Paolo: “… Cristo non è entrato in un santuario fatto con mano, figura del vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio per noi”. (Ebrei 9:24)

Il ministero del sacerdote nel corso dell’anno, nella prima sezione del santuario, “al di là del velo”, che serviva come porta di accesso e separava il luogo santo dal cortile esterno, rappresentava l’opera iniziata da Gesù in cielo, dopo la sua ascensione.

L’opera del sacerdote, nel suo servizio quotidiano, consisteva nel presentare davanti a Dio il sangue dell’offerta per il peccato e l’incenso che saliva dalle preghiere d’Israele. Nello stesso modo, il Cristo presentò i meriti del proprio sangue davanti al Padre, in favore dei peccatori, e fece giungere fino a lui, con il prezioso profumo della sua giustizia, le preghiere dei credenti pentiti. Questa fu l’opera compiuta nella prima parte del santuario celeste. È là che la fede dei discepoli di Gesù seguì il Salvatore, quando egli scomparve dalla loro vista. È là che si accentrò la loro speranza. “… la quale noi teniamo” disse Paolo “qual àncora dell’anima, sicura e ferma e penetrante di là dalla cortina, dove Gesù è entrato per noi qual precursore, essendo divenuto Sommo Sacerdote in eterno…” (Ebrei 6:19,20); “… non mediante il sangue di becchi e di vitelli, ma mediante il proprio sangue, è entrato una volta per sempre nel santuario, avendo acquistata una redenzione eterna”. (Ebrei 9:12)

LA PURIFICAZIONE DEL SANTUARIO CELESTE

Per diciotto secoli quest’opera è stata svolta nella prima parte del santuario. Il Cristo, tramite il suo sacrificio, ha perorato la causa dei credenti pentiti e ha assicurato loro il perdono e l’accettazione del Padre, ma i loro peccati sono rimasti scritti nei libri. Come nel servizio simbolico alla fine dell’anno c’era un’opera di espiazione, così prima che l’opera del Cristo per la redenzione degli uomini sia completata, deve esserci un’opera di espiazione, per la rimozione dei peccati dal santuario.

Quest’opera è iniziata alla fine dei 2.300 giorni. Allora, com’era stato predetto dal profeta Daniele, il nostro Sommo Sacerdote è entrato nel luogo santissimo, per compiere la parte finale della sua grande opera: la purificazione del santuario.

Come anticamente i peccati del popolo venivano deposti per fede sulla vittima espiatoria e, per mezzo del sangue, trasferiti simbolicamente nel santuario terrestre, così nel nuovo patto i peccati di coloro che sono pentiti sono posti per fede sul Cristo e trasferiti nel santuario celeste. Come nella purificazione del santuario terrestre avveniva la rimozione dei peccati, che lo avevano contaminato, così la purificazione del santuario celeste avviene con la rimozione o cancellazione dei peccati, che vi sono stati registrati. Ma prima che questo possa essere effettuato in cielo, devono essere esaminati i libri per stabilire chi, mediante il pentimento e la fede nel Cristo, può beneficiare della sua espiazione.

La purificazione del santuario comprende quindi una specie di inchiesta giudiziaria. Essa deve essere realizzata prima della venuta del Cristo, per riscattare il suo popolo, perché quando verrà porterà la ricompensa “per rendere a ciascuno secondo che sarà l’opera sua”. (Apocalisse 22:12) Così coloro che camminavano nella luce della parola profetica si resero conto che il Cristo, alla fine dei 2.300 giorni, nel 1844, invece di tornare sulla terra, era entrato nel luogo santissimo del santuario celeste, per svolgervi la parte conclusiva dell’espiazione, che doveva precedere il suo avvento. Compresero anche che mentre l’offerta per il peccato indicava il Cristo come sacrificio, il sommo sacerdote rappresentava il Cristo come mediatore e il capro per Azazel era il simbolo di Satana, l’autore del peccato, sul quale alla fine saranno deposti i peccati degli uomini sinceramente pentiti. Quando il sommo sacerdote, in virtù del sangue dell’offerta per il peccato, rimuoveva i peccati dal santuario, li deponeva sul capro per Azazel; così Gesù, che in virtù del proprio sangue rimuove i peccati del suo popolo dal santuario celeste, alla fine del suo ministero, li deporrà su Satana, che nell’esecuzione della sentenza del giudizio dovrà subire la pena finale. Il capro per Azazel veniva mandato via, in una zona deserta, e non sarebbe più ritornato nella comunità d’Israele. Così Satana sarà cacciato per sempre dalla presenza di Dio e del suo popolo e sarà poi annientato nella distruzione finale del peccato e dei peccatori. Grande controversia, 409-422.

NOSTRO SOMMO SACERDOTE, SANTO DEI SANTI

Il tema del santuario fu la chiave che svelò il mistero della delusione del 1844. Lo studio di questo soggetto rivelò un complesso sistema di verità, unito e armonico, dal quale risultava che la mano di Dio aveva diretto il grande movimento avventista. Esso, inoltre, indicò la posizione e la missione del popolo di Dio, segnalando le sue attuali responsabilità. Così come i discepoli di Gesù, dopo quella notte terribile, caratterizzata dall’angoscia e dalla delusione, furono lieti di rivedere il Signore, nello stesso modo si rallegrarono coloro che avevano atteso in fede il suo ritorno. Essi, che avevano sperato di vederlo ritornare in gloria, profondamente delusi, avevano perso di vista Gesù e avevano esclamato, come Maria al sepolcro: “… Han tolto il Signore…, e non sappiamo dove l’abbiano posto”. (Giovanni 20:2) Ora lo ritrovavano nel luogo santissimo, in qualità di Sommo Sacerdote, che presto sarebbe apparso come Re e Liberatore. La luce del santuario illuminava il passato, il presente e il futuro. Sapevano che Dio li aveva guidati con la sua infallibile provvidenza. Anche se, come i primi discepoli, non avevano capito la portata del messaggio, che era stato loro affidato, esso era esatto da ogni punto di vista. Proclamandolo, avevano adempiuto il piano di Dio e per il Signore la loro opera non era stata inutile. Rigenerati per “una speranza viva”, si rallegravano “di un’allegrezza ineffabile e gloriosa”. (1 Pietro 1:4, 8) Sia la profezia di Daniele 8:14: “… Fino a duemila trecento sere e mattine; poi il santuario sarà purificato”, sia il messaggio del primo angelo: “… Temete Iddio e dategli gloria, poiché l’ora del suo giudizio è venuta…” (Apocalisse 14:7), sottolineavano il ministero di Gesù nel luogo santissimo e il giudizio investigativo, e non la sua venuta per la redenzione del suo popolo e la distruzione degli empi.

L’errore non riguardava il calcolo del periodo profetico, ma la natura dell’evento, che doveva verificarsi alla fine dei 2.300 giorni. A causa di questo errore, i credenti avevano provato un’amara delusione; ma tutto ciò che era stato annunciato dalla profezia e tutto ciò che avevano promesso le Scritture, si era realizzato. Proprio nel momento in cui si lamentavano delle loro speranze infrante, si era verificato l’evento predetto dal messaggio, evento che doveva realizzarsi prima del ritorno del Signore, per premiare i suoi servitori.

Gesù non era venuto sulla terra, come essi avevano pensato, ma era entrato nel luogo santissimo del santuario celeste. Il profeta Daniele lo presenta mentre si dirige verso l’Eterno (Antico dei giorni, Diodati o Vegliardo, Luzzi): “Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figliuol d’uomo; egli giunse fino al vegliardo e fu fatto accostare a lui”. (Daniele 7:13)

Questa verità è predetta anche dal profeta Malachia: … il Signore, che voi cercate, l’Angelo del patto, che voi bramate, entrerà nel suo tempio. Ecco viene, dice l’Eterno degli eserciti. (Malachia 3:1) L’ingresso del Signore nel suo tempio fu improvviso e inatteso per il suo popolo, che non lo immaginava là. I credenti, infatti, lo aspettavano sulla terra, “in un fuoco fiammeggiante, per far vendetta di coloro che non conoscono Iddio e di coloro che non ubbidiscono al Vangelo…”. (2 Tessalonicesi 1:8)

Il popolo di Dio non era ancora pronto per incontrare il Signore. Era necessaria un’opera di preparazione; doveva ricevere una nuova luce, che dirigesse la sua mente verso il tempio di Dio in cielo, e quando per fede avrebbe seguito il suo Sommo Sacerdote nel suo ministero lassù, gli sarebbero state rivelate nuove responsabilità. Un altro messaggio di avvertimenti e istruzioni doveva essere rivolto nuovamente alla chiesa.

Il profeta dice: “… chi potrà sostenere il giorno della sua venuta? Chi potrà rimanere in piedi, quand’egli apparirà? Poiché egli è come un fuoco d’affinatore, come la potassa dei lavatori di panni. Egli si sederà, affinando e purificando l’argento; e purificherà i figliuoli di Levi e li depurerà, come si fa dell’oro e dell’argento; ed essi offriranno all’Eterno offerte con giustizia”. (Malachia 3:2,3) Coloro che vivranno sulla terra, quando finirà l’intercessione del Cristo nel santuario celeste, dovranno sussistere in presenza di Dio senza mediatore. Le loro vesti dovranno essere senza macchia, i loro caratteri purificati dal peccato, mediante il sangue dell’aspersione. Per la grazia di Dio e grazie al loro impegno perseverante, dovranno risultare vincitori nella lotta contro il male. Mentre in cielo si svolge il giudizio investigativo e i peccati dei credenti pentiti vengono rimossi dal santuario, è necessario che il popolo di Dio si purifichi e rinunci al peccato. Quest’opera è chiaramente indicata nei messaggi di Apocalisse 14.

Una volta compiuta questa fase, i discepoli di Gesù saranno pronti per il suo ritorno. Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradevole all’Eterno, come nei giorni antichi. (Malachia 3:4) La chiesa che il nostro Signore accoglierà al suo ritorno, sarà una chiesa “… gloriosa, senza macchia, senza ruga o cosa alcuna simile, ma santa ed irreprensibile”. (Efesini 5:27)

Essa apparirà “… come l’alba, bella come la luna, pura come il sole, tremenda come un esercito a bandiere spiegate?” (Cantico dei Cantici 6:10)

Oltre all’ingresso del Signore nel suo tempio, Malachia predice anche il suo ritorno per l’esecuzione del giudizio, con le seguenti parole: “Ed io mi accosterò a voi per il giudizio e, senza indugio, io sarò testimone contro gl’incantatori, contro gli adulteri, contro quelli che giurano il falso, contro quelli che frodano l’operaio del suo salario, che opprimono la vedova e l’orfano, che fanno torto allo straniero, e non temono me, dice l’Eterno degli eserciti”. (Malachia 3:5)

Giuda, a sua volta, si riferisce alla stessa scena, quando dice: “… Ecco, il Signore è venuto con le sue sante miriadi, per far giudizio contro tutti e per convincere tutti gli empi di tutte le opere d’empietà, che hanno empiamente commesse, e di tutti gli insulti che gli empi peccatori hanno proferiti contro di lui”. (Giuda 14,15) Il ritorno e l’ingresso del Signore nel suo tempio sono due eventi ben distinti e separati.

FONDAMENTA SCRITTURALI

L’ingresso del Cristo, nostro Sommo Sacerdote, nel luogo santissimo per la purificazione del santuario, citato in Daniele 8:14, l’accostarsi del Figlio al Vegliardo, presentato in Daniele 7:13, la venuta del Signore nel suo tempio, predetta dal profeta Malachia, sono descrizioni di uno stesso evento, rappresentato anche dalla venuta dello sposo, descritta dal Cristo nella parabola delle dieci vergini, ricordata in Matteo 25.

Nell’estate e nell’autunno del 1844 fu proclamato l’annuncio: “Ecco lo sposo!” Si formarono allora le due categorie, rappresentate dalle vergini sagge e dalle vergini stolte: le prime, che si erano preparate con cura per incontrarsi con Gesù, e le altre che, per paura o spinte dall’impulso, si erano accontentate della teoria della verità ed erano quindi prive della grazia di Dio.

Nella parabola, quando lo sposo giunse, “quelle che erano pronte entrarono con lui nella sala delle nozze”. (Matteo 25:10) L’arrivo dello sposo avviene prima delle nozze, che rappresentano il momento in cui il Cristo entrerà in possesso del suo regno. La santa città, la nuova Gerusalemme, capitale del regno, è definita “la sposa dell’Agnello”. (Apocalisse 21:9) “E mi trasportò in spirito” dice il profeta “su di una grande ed alta montagna, e mi mostrò la santa città, Gerusalemme, che scendeva dal cielo d’appresso a Dio…”. (Apocalisse 21:9,10) È chiaro, quindi, che la sposa rappresenta la santa città e che le vergini che vanno incontro allo sposo sono simbolo della chiesa. In Apocalisse i servitori di Dio vengono invitati alla cena delle nozze. (Apocalisse 19:9) Se essi sono gli invitati, non possono essere anche la sposa. Il Cristo, come afferma il profeta Daniele, riceverà dall’Eterno, in cielo, “dominio, gloria e regno” (Daniele 7:14); riceverà la nuova Gerusalemme, capitale del suo regno, “… pronta come una sposa adorna per il suo sposo”. (Apocalisse 21:2) Ricevuto il regno, egli verrà in gloria, in qualità di Re dei re e Signore dei signori, per la redenzione del suo popolo, che sarà invitato a sedere “… a tavola con Abramo e Isacco e Giacobbe, nel regno dei cieli” (Matteo 8:11; Luca 22:30), per partecipare alla cena delle nozze dell’Agnello.

L’annuncio: “Ecco lo sposo!”, nell’estate del 1844, indusse migliaia di persone ad aspettare l’avvento immediato del Signore. Al tempo stabilito lo sposo non venne sulla terra, come si era creduto, ma si presentò in cielo all’Eterno per il suo matrimonio, per entrare in possesso del suo regno. “… Quelle che erano pronte entrarono con lui nella sala delle nozze, e l’uscio fu chiuso”. I credenti non dovevano assistere personalmente al matrimonio, perché esso avviene in cielo, mentre essi sono sulla terra. I discepoli del Cristo devono aspettare “… il loro padrone quando tornerà dalle nozze…”. (Luca 12:36) Occorre, però, che essi comprendano la sua opera e lo seguano per fede, mentre egli si presenta davanti a Dio. È in questo senso che essi vanno alle nozze.

Nella parabola entrarono nella sala delle nozze coloro che, oltre alle lampade, avevano anche l’olio nei propri vasi. Coloro che, oltre alla conoscenza della verità delle Scritture, avevano anche lo Spirito e la grazia di Dio, e quanti, nella notte della prova più amara avevano saputo aspettare pazientemente, esaminando le Scritture per ricevere maggiore conoscenza, trovarono la verità riguardante il santuario celeste e le nuove funzioni del Cristo. Per fede lo seguirono in questa sua opera. Tutti quelli che per la testimonianza della Bibbia accettano le stesse verità, seguendo il Cristo per fede, mentre egli si presenta a Dio per compiere l’ultima opera di mediazione e poi entrare in possesso del regno, sono raffigurati come i partecipanti alle nozze.

Nella parabola di Matteo 22 si ritrova la stessa immagine di un matrimonio e si vede chiaramente che l’istruzione del giudizio precede le nozze. Infatti, prima della cerimonia, il re viene per vedere gli invitati e controllare se tutti indossano l’abito nuziale, l’abito del carattere, senza macchia, lavato e imbiancato nel sangue dell’Agnello. (Matteo 22:11; Apocalisse 7:14) Chiunque non indossa questo vestito viene espulso. Mentre tutti coloro che hanno l’abito delle nozze sono accettati da Dio e considerati degni di entrare nel suo regno e di sedere sul suo trono. Questo esame del carattere per stabilire l’idoneità al regno di Dio è il giudizio investigativo, che si svolge nel santuario celeste.

Conclusa quest’opera, quando saranno stati esaminati e decisi tutti i casi di coloro che in ogni epoca si sono professati discepoli del Cristo, allora e non prima si concluderà il tempo di grazia e la porta della misericordia sarà chiusa. La frase: “… quelle che erano pronte entrarono con lui nella sala delle nozze, e l’uscio fu chiuso” illustra il ministero finale del Salvatore; in quel momento la grande opera per la salvezza dell’uomo sarà conclusa.

IL MINISTERO NEI DUE LUOGHI

Nel servizio del santuario terrestre, che come già si è visto rappresenta quello celeste, quando il sommo sacerdote nel gran giorno dell’espiazione entrava nel luogo santissimo, cessava il servizio nel luogo santo. Dio aveva detto: “… quand’egli entrerà nel santuario per farvi l’espiazione, non ci sarà alcuno, finché egli non sia uscito…”. (Levitico 16:17) Così, quando il Cristo entrò nel luogo santissimo per compiere la fase conclusiva dell’espiazione, cessò il suo ministero nella prima sezione del santuario. Concludendo la funzione nella prima parte del santuario, iniziava quella nella seconda.

Nel servizio del tempio, il sommo sacerdote, quando nel gran giorno dell’espiazione lasciava il luogo santo, si presentava davanti a Dio, per offrire il sangue dell’offerta per il peccato, in favore di tutto Israele sinceramente pentito. Così il Cristo, dopo avere concluso la prima fase della sua opera come nostro intercessore, ha iniziato la seconda, pur continuando a presentare i meriti del suo sangue davanti al Padre, in favore dei peccatori.

Quest’aspetto del piano di Dio non fu compreso dagli avventisti nel 1844. Dopo questa data, fissata per il ritorno del Salvatore, credendo di essere giunti a un momento importante, in cui l’opera del Cristo come intercessore davanti al Padre si era conclusa, continuarono a credere che la venuta del Signore fosse vicina. Erano convinti che la Bibbia insegnasse che il tempo di grazia dovesse concludersi poco prima del ritorno del Signore sulle nuvole del cielo. Tutto ciò sembrava provato da quel passo biblico, relativo a un tempo in cui gli uomini avrebbero cercato, bussato e gridato alla porta della grazia, mentre questa rimaneva inesorabilmente chiusa. Si chiedevano se la data stabilita per il ritorno del Cristo non indicasse invece l’inizio del periodo, che avrebbe preceduto la sua venuta. Avendo avvertito il mondo dell’imminenza del giudizio, consideravano ormai compiuta la loro opera e non sentivano più nessuna responsabilità per la salvezza dei peccatori. Consideravano il sarcasmo degli increduli come un’ulteriore prova del fatto che lo Spirito di Dio avesse abbandonato coloro che avevano rifiutato la sua misericordia. Tutto ciò li confermava nella convinzione che il tempo di grazia fosse ormai finito o, come dicevano, che la porta della grazia fosse stata chiusa.

L’APERTURA DI UN’ALTRA PORTA

Studiando il soggetto del santuario, raggiunsero una maggiore comprensione. Capirono che avevano avuto ragione di credere che un fatto importante si sarebbe verificato alla fine dei 2.300 giorni, cioè nel 1844. Però, se era vero che la porta della speranza e della grazia, tramite la quale gli uomini per diciotto secoli avevano potuto accedere a Dio, ora era chiusa, era anche vero che ne era stata aperta un’altra e che il perdono dei peccati veniva offerto, grazie all’intercessione del Cristo nel luogo santissimo. Chiusa una fase del ministero del Salvatore, se ne apriva un’altra. C’era ancora una porta aperta nel santuario celeste, dove Gesù officiava in favore dei peccatori.

Ecco come si adempivano le parole del Cristo per la chiesa di quel tempo: “… Queste cose dice il santo, il verace, colui che ha la chiave di Davide, colui che apre e nessuno chiude, colui che chiude e nessuno apre: Io conosco le tue opere. Ecco, io ti ho posta dinanzi una porta aperta, che nessuno può chiudere…”. (Apocalisse 3:7,8)

Coloro che per fede seguono il Cristo nella sua grande opera di espiazione riceveranno il beneficio della sua mediazione in loro favore; mentre chi respinge questa sua opera non ne trarrà alcun vantaggio. Gli ebrei, che rifiutarono il messaggio presentato al primo avvento del Cristo e non lo riconobbero come Salvatore del mondo, non ricevettero il perdono in lui. Quando Gesù all’ascensione entrò con il proprio sangue nel santuario celeste, per riversare sui suoi discepoli la benedizione della sua mediazione, gli ebrei, che avevano rifiutato il messaggio del Cristo, continuarono a presentare offerte e sacrifici inutili: era finita l’epoca dei simboli e delle immagini. La porta attraverso la quale gli uomini avevano avuto accesso a Dio non era più aperta. Gli ebrei avevano rifiutato di cercarlo nell’unico modo in cui poteva essere trovato: il suo ministero nel santuario celeste. Non potevano più comunicare con Dio. Per loro la porta era chiusa. Non riconoscevano il Cristo come unico mediatore davanti a Dio e quindi non potevano godere dei benefici della sua intercessione.

La condizione degli ebrei increduli illustra lo stato di coloro che, pur dicendosi cristiani, sono dubbiosi, negligenti e volontariamente trascurano l’opera del nostro misericordioso Sommo Sacerdote. Nel rituale del santuario, quando il sommo sacerdote entrava nel luogo santissimo, tutto Israele era invitato a raccogliersi solennemente e a pentirsi, per ottenere il perdono dei peccati e non essere escluso dalla comunità. Ciò che è ancora più importante, in questo grande giorno antitipico della festa delle espiazioni, è comprendere l’opera del nostro Sommo Sacerdote e renderci conto delle nostre responsabilità.

TRAGICO RISULTATO, A CAUSA DEL RIFIUTO DELL’AVVERTIMENTO DI DIO

Gli uomini non possono rigettare l’avvertimento, che Dio ha inviato loro nella sua misericordia, senza subirne le conseguenze. Al tempo di Noè, Dio inviò un messaggio di avvertimento, da cui dipendeva la salvezza degli esseri umani. Gli uomini di quell’epoca lo respinsero e lo Spirito di Dio si ritirò dall’umanità colpevole, che morì nelle acque del diluvio. Al tempo di Abramo, la misericordia cessò di intercedere per i malvagi abitanti di Sodoma e tutti, eccetto Lot, la moglie e le figlie, furono consumati dal fuoco, sceso dal cielo. Ai giorni del Cristo, il Figlio dell’uomo disse agli ebrei increduli di quella generazione: “Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta”. (Matteo 23:38) Proiettandosi verso gli ultimi tempi, la Parola ispirata si esprime con questi termini: “… non hanno aperto il cuore all’amore della verità, per esser salvati. E perciò Iddio manda loro efficacia d’errore, onde credano alla menzogna; affinché tutti quelli che non han creduto alla verità, ma si son compiaciuti nell’iniquità, siano giudicati”. (2 Tessalonicesi 2:10-12) Quando gli uomini respingono la sua Parola, Dio finisce per ritirare il suo Spirito, e diventano vittime di quell’inganno, che essi amano.

Nonostante tutto, il Cristo intercede ancora in favore dell’uomo e coloro che cercano la verità la troveranno. Questo fatto inizialmente non fu compreso dagli avventisti, ma più tardi, quando iniziarono a cogliere il senso delle Scritture, che definivano quale fosse la loro reale posizione, tutto fu chiaro.

La delusione del 1844 fu seguita da un periodo di crisi per coloro che credevano ancora nell’avvento. L’unico sollievo, per chi restava fedele alle proprie convinzioni, fu la luce che fece volgere le loro menti verso il santuario celeste. Alcuni persero fiducia nel precedente calcolo dei periodi profetici e attribuirono ad agenti umani o satanici la potente azione dello Spirito Santo, che aveva sostenuto il messaggio avventista. Un altro gruppo continuò a credere fermamente che il Signore li avesse diretti nella loro passata esperienza e poiché aspettavano, vegliavano e pregavano per conoscere la volontà di Dio, videro che il loro Sommo Sacerdote era entrato in una nuova fase del suo ministero e seguendolo, per fede, compresero quale fosse la missione finale della chiesa. Capirono più chiaramente i messaggi del primo e del secondo angelo ed erano ormai pronti per ricevere e trasmettere al mondo il solenne avvertimento del terzo angelo di Apocalisse 14. La grande controversia, pp.423-432.

IL SANTUARIO E IL SABATO

“E il tempio di Dio che è nel cielo fu aperto e si vide… l’arca del suo patto…”. (Apocalisse 11:19) L’arca del patto di Dio è nel luogo santissimo, la seconda parte del santuario. Nel rituale del santuario terrestre, “… figura e ombra delle cose celesti”. (Ebrei 8:5), questa sezione veniva aperta solo nel gran giorno delle espiazioni, per la purificazione del santuario. L’annuncio che il tempio di Dio in cielo era stato aperto e che l’arca del suo patto era visibile, indica l’apertura del luogo santissimo del santuario celeste nel 1844, quando il Cristo vi entrò, per cominciare la fase conclusiva della sua opera di espiazione. Coloro che con l’occhio della fede avevano seguito il loro Sommo Sacerdote, che inaugurava il suo ministero nel luogo santissimo, videro l’arca del patto. Avendo studiato l’argomento del santuario, avevano capito il cambiamento sopravvenuto nelle funzioni sacerdotali del Salvatore, che officiava davanti all’arca di Dio, presentando i meriti del suo sangue, in favore dei peccatori.

L’arca del tabernacolo terreno conteneva le due tavole di pietra, sulle quali erano scritti i precetti della legge di Dio. L’arca era semplicemente il contenitore delle tavole del decalogo: era la presenza di questi precetti divini, che le conferiva valore e carattere sacro. Quando il tempio di Dio in cielo fu aperto, si vide l’arca del patto. Nel luogo santissimo del santuario celeste è custodita con cura la legge divina, legge che fu promulgata da Dio stesso in mezzo ai tuoni del Sinai e scritta dal suo stesso dito su tavole di pietra.

La legge di Dio, custodita nel santuario celeste, è il documento originale di quel codice, i cui precetti scritti sulle tavole di pietra e ricordati da Mosè nel Pentateuco, erano solo una trascrizione. Coloro che giunsero a comprenderne l’importanza, capirono anche il carattere sacro e immutabile della legge divina. Si resero conto, come mai prima, della forza delle parole di Gesù:”… finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o un apice della legge passerà”. (Matteo 5:18) La legge di Dio, essendo una rivelazione della sua volontà e una riproduzione del suo carattere, deve durare eternamente, “fedele testimone nei cieli”. Nessun comandamento è stato annullato, non uno iota o un apice è stato mutato. Dice il salmista: “In perpetuo, o Eterno, la tua parola è stabile nei cieli”; “… tutti i suoi precetti sono fermi, stabili in sempiterno…”. (Salmi 119:89; 111:7,8)

Proprio al centro del decalogo c’è il quarto comandamento, come fu proclamato la prima volta: Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa’ in essi ogni opera tua; ma il settimo è giorno di riposo, sacro all’Eterno, ch’è l’Iddio tuo; non fare in esso lavoro alcuno, né tu, né il tuo figliuolo, né la tua figliuola, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né il forestiero ch’è dentro alle tue porte; poiché in sei giorni l’Eterno fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò ch’è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò l’Eterno ha benedetto il giorno del riposo e l’ha santificato. (Esodo 20:8-11)

Lo Spirito di Dio agì nei cuori di coloro che studiavano la sua Parola ed essi si convinsero di avere trasgredito, per ignoranza, questo precetto e di avere trascurato il giorno di riposo del Creatore. Essi cominciarono a esaminare le ragioni che avevano indotto i cristiani a osservare il primo giorno della settimana, invece del settimo, che era stato santificato da Dio, ma non trovarono nessuna prova nelle Scritture che il quarto comandamento fosse stato abolito o che il sabato fosse stato sostituito. La benedizione accordata per l’osservanza del settimo giorno non era mai stata annullata. Essi, che avevano cercato onestamente di farel a volontà di Dio, nel riconoscersi trasgressori della sua legge, provarono una profonda tristezza e manifestarono la loro fedeltà a Dio, santificando il sabato.

Furono fatti numerosi e intensi sforzi per abbattere la loro fede. Nessuno, però, poteva fare a meno di rendersi conto che se il santuario terrestre era una rappresentazione o un modello di quello celeste, la legge collocata nell’arca del patto sulla terra era una trascrizione di quella che si trovava in cielo.

L’accettazione della verità, relativa al santuario celeste, implicava il riconoscimento delle esigenze della legge di Dio e l’obbligo dell’osservanza del sabato del quarto comandamento. Questo suscitò un’amara e accanita opposizione nei confronti della spiegazione delle Scritture, che rivelavano il ministero di Gesù nel santuario celeste. Gli uomini cercavano di chiudere la porta che Dio aveva aperto e di aprire quella che Dio aveva chiuso.

“… Colui che apre e nessuno chiude, colui che chiude e nessuno apre…” aveva dichiarato: “Ecco, io ti ho posta dinanzi una porta aperta, che nessuno può chiudere”. (Apocalisse 3:7, 8). Il Cristo aveva aperto la porta, attraverso la quale usciva la luce del santuario celeste, e aveva iniziato il ministero nel luogo santissimo. Tutto questo permise di comprendere che il quarto comandamento faceva parte della legge. Quello che Dio aveva stabilito non poteva essere modificato dall’uomo.

Coloro che avevano accettato il messaggio, relativo alla mediazione del Cristo, e il valore eterno della legge di Dio, si resero conto che queste verità erano presentate in Apocalisse 14. I messaggi di questo capitolo costituiscono un triplice avvertimento, che deve preparare gli abitanti della terra per il ritorno del Signore. L’annuncio: “… l’ora del suo giudizio è venuta” indica l’opera conclusiva del ministero del Cristo, per la salvezza degli uomini, e annuncia una verità, che deve essere proclamata fino a quando non sarà conclusa l’intercessione del Salvatore; allora egli ritornerà su questa terra, per prendere il suo popolo con sé. L’opera del giudizio, iniziata nel 1844, dovrà proseguire finché non siano stati decisi i casi di tutti, vivi e morti, e continuare sino alla fine del tempo di grazia. In questo modo gli uomini saranno pronti ad affrontare il giudizio; il messaggio dice loro: “… Temete Iddio e dategli gloria… e adorate Colui che ha fatto il cielo e la terra e il mare e le fonti delle acque”. (Apocalisse 14:7)

Il risultato dell’accettazione di questi messaggi è indicato dalle parole: “Qui è la costanza dei santi, che osservano i comandamenti di Dio e la fede di Gesù”. (Apocalisse 14:12) Per essere pronti per il giudizio è necessario che gli uomini osservino la legge di Dio, che servirà come metro di misura del carattere, in occasione del giudizio.

L’apostolo Paolo dichiara: “… tutti coloro che hanno peccato avendo legge, saranno giudicati con quella legge… nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini, per mezzo di Gesù Cristo…” Grande controversia, p. 454

CHIUSURA DEL MINISTERO DI CRISTO NEL SANTUARIO CELESTE

L’annuncio di una data precisa per il giudizio, in occasione della proclamazione del primo messaggio, era stato voluto da Dio. Il calcolo dei periodi profetici, sui quali si basava questo messaggio, indicando la fine dei 2.300 giorni nell’autunno del 1844, è inattaccabile.

“Io continuai a guardare” – dice il profeta Daniele – “fino al momento in cui furono collocati dei troni e un vegliardo s’assise. La sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo erano come lana pura; fiamme di fuoco erano il suo trono e le ruote d’esso erano fuoco ardente. Un fiume di fuoco sgorgava e scendeva dalla sua presenza; mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi gli stavano davanti. Il giudizio si tenne e i libri furono aperti.” (Daniele 7:9,10)

Così fu presentato al profeta, in visione, quel giorno importante, in cui il carattere e la vita degli uomini saranno esaminati davanti al Giudice di tutta la terra e ognuno riceverà “secondo che sarà l’opera sua”.

Il Vegliardo è Dio, il Padre. Dice il salmista: “Avanti che i monti fossero nati e che tu avessi formato la terra e il mondo, anzi, ab eterno in eterno, tu sei Dio”. (Salmi 90:2) È lui, l’origine di ogni essere e la fonte di ogni legge, che presiede il giudizio.

Gli angeli, “mille migliaia… e diecimila miriadi”, vi assistono in qualità di assistenti e testimoni… “Ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figliuol d’uomo; egli giunse fino al vegliardo e fu fatto accostare a lui. E gli furono dati dominio, gloria e regno, perché tutti i popoli, tutte le nazioni e lingue lo servissero; il suo dominio è un dominio eterno, che non passerà…”. (Daniele 7:13,14)

Questo arrivo del Signore, qui descritto, non è la sua seconda venuta sulla terra. Egli si accosta al Vegliardo, in cielo, per ricevere “dominio, gloria e regno”, che gli saranno dati alla fine della sua opera di mediatore, opera che doveva cominciare nel 1844, alla fine dei 2.300 giorni. Accompagnato dagli angeli, il nostro Sommo Sacerdote entra nel luogo santissimo, per presentarsi a Dio e iniziare l’ultimo atto del suo ministero in favore dell’uomo: la fase istruttoria del giudizio e il compimento dell’espiazione, per tutti coloro che ne sono reputati degni.

QUALI CASI SONO STATI CONSIDERATI?

Nel servizio cerimoniale del santuario terrestre, solo coloro che si erano pentiti e i cui peccati erano stati trasferiti nel santuario mediante il sangue della vittima, beneficiavano dei riti del giorno dell’espiazione.

Allo stesso modo, nel giorno finale dell’espiazione e del giudizio investigativo, i casi esaminati riguarderanno solo i figli di Dio. Il giudizio degli empi è un fatto distinto e separato, e avverrà in un secondo tempo. “… Il giudizio ha da cominciare dalla casa di Dio; e se comincia prima da noi, quale sarà la fine di quelli che non ubbidiscono al Vangelo di Dio?” (1 Pietro 4:17)

I registri del cielo, in cui sono segnati i nomi e le azioni degli uomini, serviranno come punti di riferimento per il giudizio. Il profeta Daniele dice: “Il giudizio si tenne, e i libri furono aperti”. Giovanni, nell’Apocalisse, descrive la stessa scena e aggiunge: “… e un altro libro fu aperto, che è il libro della vita; e i morti furono giudicati dalle cose scritte nei libri, secondo le opere loro”. (Apocalisse 20:12)

Il libro della vita contiene i nomi di tutti coloro che si sono impegnati al servizio di Dio. Gesù esortò i suoi discepoli: “… rallegratevi, perché i vostri nomi sono scritti nei cieli”. (Luca 10:20) Paolo parla dei suoi “… collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita”. (Filippesi 4:3) Daniele, contemplando in visione “… un tempo d’angoscia, quale non se n’ebbe mai…”, dichiara che il popolo di Dio “… sarà salvato; tutti quelli, cioè, che saranno trovati iscritti nel libro”. (Daniele 12:1) Il profeta di Patmos, poi, dice che nella città di Dio entreranno solo quelli “che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello”. (Apocalisse 21:27) “… Un libro è stato scritto davanti a lui [Dio]…” In esso sono registrate le buone azioni “… di quelli che temono l’Eterno e rispettano il suo nome”. (Malachia 3:16) Le loro parole di fede, i loro atti di amore sono registrati in cielo. Nehemia allude a questo, quando dice: “Ricordati per questo di me, o Dio mio, e non cancellare le opere pie che ho fatte per la casa del mio Dio e per il suo servizio!” (Neemia 13:14) Nel libro dei ricordi di Dio viene immortalato ogni atto di giustizia. Ogni tentazione respinta, ogni male vinto, ogni parola gentile pronunciata, sono registrati fedelmente. Vengono scritti anche ogni atto di rinuncia, ogni sofferenza, ogni tristezza, sopportate per amore di Gesù. Dice il salmista: “Tu conti i passi della mia vita errante; raccogli le mie lacrime negli otri tuoi; non sono esse nel tuo registro?” (Salmi 56:8)

C’è anche un registro dei peccati degli uomini. “… Dio farà venire in giudizio ogni opera, tutto ciò ch’è occulto, sia bene, sia male”. (Ecclesiaste 12:16) “… D’ogni parola oziosa che avranno detta, gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio”. Il Salvatore precisa: “… dalle tue parole sarai giustificato e dalle tue parole sarai condannato”. (Matteo 12:36, 37)

I motivi e le intenzioni segrete figurano nell’infallibile registro e Dio “… metterà in luce le cose occulte delle tenebre e manifesterà i consigli dei cuori…”. (1 Corinzi 4:5) “Ecco, tutto ciò sta scritto dinanzi a me… delle iniquità vostre, dice l’Eterno, e… delle iniquità dei vostri padri…”. (Isaia 65:6, 7)

Ogni opera umana è sottoposta a Dio ed è registrata come atto di fedeltà o di infedeltà. Accanto a ciascun nome, nei libri del cielo, vengono segnati con assoluta esattezza ogni parola cattiva, ogni atto egoistico, ogni dovere non assolto, ogni peccato segreto, ogni falsità. Gli avvertimenti e i rimproveri dimenticati, i momenti sprecati, le opportunità non sfruttate, l’influsso esercitato sia per il bene sia per il male, con le sue più o meno estese ripercussioni: tutto è registrato accuratamente dall’angelo che tiene i libri.

LA LEGGE DI DIO: PUNTO DI RIFERIMENTO

La legge di Dio è la regola, in base alla quale nel giudizio saranno valutati il carattere e la vita degli uomini. Dice l’autore dell’Ecclesiaste: “… Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto dell’uomo. Poiché Dio farà venire in giudizio ogni opera…”. (Ecclesiaste 12:15,16) L’apostolo Giacomo ammonisce i fratelli: “Parlate e operate come dovendo esser giudicati da una legge di libertà”. (Giacomo 2:12)

Coloro che nel giudizio saranno “reputati degni”, parteciperanno alla risurrezione dei giusti. Gesù disse: “… quelli che saranno reputati degni d’aver parte al secolo avvenire e alla risurrezione dai morti… son simili agli angeli e son figliuoli di Dio, essendo figliuoli della risurrezione”. (Luca 20:35,36) Egli dichiara ancora: “… quelli che hanno operato bene” risorgeranno “in risurrezione di vita”. (Giovanni 5:29) Se i giusti risorgeranno solo dopo la sentenza del giudizio, che li ha reputati degni della “risurrezione di vita”, essi non compariranno personalmente davanti al tribunale, quando il loro caso sarà preso in esame e deciso.

GESÙ AVVOCATO

Gesù si presenterà come loro avvocato, per difenderli davanti a Dio. “… Se alcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre, cioè Gesù Cristo, il giusto”. (1 Giovanni 2:1) “… Cristo non è entrato in un santuario fatto con mano, figura del vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio per noi”; “Per cui Egli può anche salvare appieno quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, vivendo egli sempre per intercedere per loro”. (Ebrei 9:24; Ebrei 7:25)

Quando nel giudizio i libri vengono aperti, si esamina davanti a Dio la vita di tutti coloro che hanno creduto in Gesù. Il Cristo, nostro avvocato, cominciando da coloro che per primi vissero sulla terra, presenta i casi di ogni generazione successiva, per poi concludere con quella dei viventi. Ogni nome è citato, ogni caso viene esaminato attentamente: alcuni nomi vengono accettati, altri respinti. Se qualcuno ha ancora dei peccati segnati nei libri, di cui non si è pentito e che quindi non sono stati perdonati, il suo nome viene depennato dal libro della vita e la registrazione delle sue buone azioni è cancellata dal libro delle memorie di Dio. Tramite Mosè, il Signore dichiarò: “… Colui che ha peccato contro di me, quello cancellerò dal mio libro!” (Esodo 32:33) Il profeta Ezechiele dice: “E se il giusto si ritrae dalla sua giustizia e commette l’iniquità… Nessuno dei suoi atti di giustizia sarà ricordato…”. (Ezechiele 18:24)

Nel registro del cielo il perdono è segnato accanto ai nomi di coloro che si sono pentiti dei propri peccati e che per fede hanno reclamato il sangue di Gesù, come loro sacrificio espiatorio. Resi partecipi della giustizia del Cristo, i loro caratteri rispondono alle esigenze della legge di Dio, i loro peccati sono cancellati e sono ritenuti degni della vita eterna. Il Signore afferma: “… per amor di me stesso, cancello le tue trasgressioni e non mi ricorderò più dei tuoi peccati”. (Isaia 43:25) Gesù disse: “Chi vince sarà così vestito di vesti bianche ed io non cancellerò il suo nome dal libro della vita e confesserò il suo nome nel cospetto del Padre mio e nel cospetto dei suoi angeli”. (Apocalisse 3:5) “Chiunque dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io riconoscerò lui davanti al Padre mio, che è nei cieli. Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io rinnegherò lui davanti al Padre mio, che è nei cieli”. (Matteo 10:32, 33)

LA SCENA NELL’AULA DEL TRIBUNALE

L’emozione più intensa che gli uomini possono manifestare, nell’attesa delle decisioni di un tribunale terreno, può solo parzialmente descrivere l’interesse, dimostrato nelle corti celesti, quando davanti al Giudice di tutta la terra passano in rassegna i nomi scritti nel libro della vita. L’intercessore divino chiede che tutti coloro che hanno vinto, grazie alla fede nel suo sacrificio, siano perdonati dalle loro trasgressioni, affinché possano nuovamente beneficiare della vita eterna e siano coronati come coeredi dell'”antico dominio”. (Michea 4:8)

Satana, nei suoi tentativi di trascinare il genere umano verso il male, aveva creduto di poter impedire la realizzazione del piano divino, in vista del quale Dio aveva creato l’uomo. Ma il Cristo, ora, chiede che questo piano sia attuato, come se l’uomo non avesse mai peccato; chiede per il suo popolo non solo il perdono e la giustificazione piena e completa, ma anche una parte della sua gloria e un posto sul suo trono.

Mentre Gesù perora la causa di quanti beneficiano della sua grazia, Satana li accusa davanti a Dio come trasgressori. Il grande seduttore ha cercato di inculcare il dubbio e la sfiducia in Dio, di separarli dal suo amore e di spingerli a trasgredire la sua legge. Ora egli sottolinea, passando in rivista la loro esistenza, i difetti del loro carattere, la loro diversità dal Cristo — quelle imperfezioni che hanno disonorato il loro Redentore —, insomma tutti i peccati che hanno commesso, a causa dei suoi inganni; e per tutto questo li reclama come suoi sudditi. Gesù non scusa i loro peccati, ma in virtù del loro pentimento e della loro fede, chiede il loro perdono. Mostrando le sue mani ferite davanti al Padre e agli angeli, dice: Io li conosco per nome; li ho scolpiti sulle palme delle mie mani”. “I sacrifici di Dio sono lo spirito rotto; o Dio, tu non sprezzi il cuore rotto e contrito”. (Salmi 51:17)

All’accusatore del suo popolo egli dice: “… Ti sgridi l’Eterno, o Satana! Ti sgridi l’Eterno, che ha scelto Gerusalemme! Non è questi un tizzone strappato dal fuoco?” (Zaccaria 3:2)

Il Cristo rivestirà i suoi fedeli con il manto della sua giustizia, per poterli presentare al Padre come una “… Chiesa gloriosa, senza macchia, senza ruga o cosa alcuna simile…” (Efesini 5:27). I loro nomi rimangono nel libro della vita e di loro è detto: “… essi cammineranno con me in vesti bianche, perché ne sono degni”. (Apocalisse 3:4) Si adempirà così la promessa del nuovo patto: “… io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato”. (Geremia 31:34) “In quei giorni, in quel tempo, dice l’Eterno, si cercherà l’iniquità d’Israele, ma essa non sarà più, e i peccati di Giuda, ma non si troveranno”. (Geremia 50:20) “In quel giorno il germoglio dell’Eterno sarà lo splendore e la gloria degli scampati d’Israele, e il frutto della terra sarà il loro orgoglio ed il loro ornamento. Ed avverrà che i superstiti di Sion e i rimasti di Gerusalemme saranno chiamati santi: chiunque, cioè, in Gerusalemme sarà iscritto tra i vivi”. (Isaia 4:2,3)

La fase istruttoria del giudizio e la cancellazione dei peccati avverranno prima del secondo avvento del Signore. Se i morti devono essere giudicati, secondo ciò che è scritto nei libri, è impossibile che i peccati degli uomini possano essere cancellati, prima che i loro casi siano stati esaminati. L’apostolo Pietro afferma chiaramente che i peccati dei credenti saranno cancellati, “affinché vengano dalla presenza del Signore dei tempi di refrigerio e che Egli vi mandi il Cristo…”. (Atti 3:19, 20) Concluso il giudizio investigativo, il Cristo verrà offrendo il premio da dare “secondo l’opera di ciascuno”. (1 Pietro 1:17)

LA CHIUSURA DEL SERVIZIO ANTITIPICO

Come nel servizio cerimoniale del santuario terrestre il sommo sacerdote, dopo avere fatto l’espiazione per Israele, usciva dal santuario per benedire il popolo, così il Cristo, alla fine della sua opera di Mediatore, apparirà “senza peccato a quelli che l’aspettano per la loro salvezza”. (Ebrei 9:28) Il sacerdote, rimuovendo i peccati dal santuario, li confessava sul capo del capro espiatorio; nello stesso modo Gesù deporrà tutti questi peccati su Satana, autore e istigatore del male. Il capro espiatorio, caricato dei peccati d’Israele, veniva mandato “in terra solitaria” (Levitico 16:22); così Satana, portando la colpa di tutti i peccati commessi dal popolo di Dio, su sua istigazione, sarà confinato per mille anni sulla terra desolata, priva di abitanti, per poi subire alla fine la punizione definitiva per il peccato, nel fuoco che distruggerà tutti i malvagi. Il piano della redenzione si adempirà così con l’eliminazione definitiva del peccato e con la liberazione di tutti coloro che hanno volontariamente rinunciato al male.

GIUDICATO DA UNA TESTIMONIANZA INFALLIBILE

All’epoca indicata per il giudizio, la fine dei 2.300 giorni, nel 1844, iniziò l’opera di inchiesta e di cancellazione dei peccati. Tutti quelli che si dichiarano cristiani devono sottostare a questo esame minuzioso. I vivi e i morti saranno giudicati “dalle cose scritte nei libri, secondo le opere loro”. (Apocalisse 20:12)

I peccati di cui non ci si è pentiti e che non sono stati abbandonati, non verranno né perdonati né cancellati dal libro delle memorie, ma testimonieranno contro il peccatore nel giorno di Dio. Sia che l’uomo abbia peccato alla luce del giorno o nelle tenebre della notte, tutto è chiaro agli occhi di colui a cui dobbiamo rendere conto. Gli angeli di Dio, testimoni di ogni peccato, li hanno annotati scrupolosamente nel registro. Il peccato può essere negato, nascosto al padre, alla madre, alla moglie, ai figli, agli amici; il colpevole può essere il solo a conoscere il suo errore, ma esso è noto agli angeli. Le tenebre della notte più buia, i misteri più impenetrabili, gli inganni più sottili non sono sufficienti a nascondere un solo pensiero alla conoscenza dell’Eterno. Dio tiene conto di ogni atto falso e di ogni procedimento ingiusto. Egli non si lascia ingannare da un’apparente religiosità e non sbaglia nella valutazione del carattere. Gli uomini possono essere ingannati da chi è corrotto, ma Dio squarcia ogni velo e legge nell’intimo.

Com’è importante rendersi conto che giorno dopo giorno, tutto ciò che pensiamo, diciamo o facciamo è scritto nei registri del cielo! Una volta pronunciata una parola o commesso un atto, non possono essere più ritrattati. Gli angeli prendono nota sia del bene sia del male e neppure l’uomo più importante della terra può annullare le azioni di un giorno soltanto. I nostri atti, le nostre parole e perfino le nostre intenzioni più segrete contribuiscono a stabilire il nostro destino, in vista della felicità o della sventura. Anche se noi li dimentichiamo, testimonieranno o in favore della nostra giustificazione o per la nostra condanna. Come i lineamenti del volto sono fedelmente riprodotti sulla pellicola del fotografo, così il carattere è descritto accuratamente nei libri del cielo… Eppure ci si preoccupa ben poco del fatto che queste azioni siano note agli esseri celesti! Se il velo, che separa il mondo visibile da quello invisibile, potesse essere sollevato e i figli degli uomini potessero vedere l’angelo, che prende nota di ogni parola e di ogni azione, di cui dovranno rendere conto nel giorno del giudizio, quante parole non verrebbero pronunciate e quante azioni non sarebbero compiute.

Nel giudizio sarà esaminato con cura l’uso di ogni talento. Come abbiamo utilizzato il capitale, che Dio ci ha prestato? Il Signore, al suo ritorno, lo riceverà con gli interessi? Abbiamo fatto fruttare, alla gloria di Dio e per il bene del prossimo, le possibilità manuali, affettive e intellettuali, che ci sono state affidate? Che uso abbiamo fatto del nostro tempo, della nostra penna, della nostra voce, del nostro denaro e del nostro influsso? Che cosa abbiamo fatto per il Cristo, nella persona del povero, dell’afflitto, dell’orfano e della vedova? Dio ci ha affidato la sua Parola: che cosa abbiamo fatto della conoscenza e della verità, che ci sono state trasmesse, in vista della salvezza dell’umanità? Nessun valore può essere attribuito a una semplice professione di fede in Gesù, solo l’amore, che si manifesta con le opere, è considerato autentico. Agli occhi del cielo, soltanto l’amore dà valore ai nostri atti. Tutto ciò che si fa per amore, anche se modesto agli occhi degli uomini, è accettato e premiato da Dio.

L’egoismo segreto del cuore umano è messo in evidenza nei libri del cielo. In essi figura la lista dei doveri non assolti, sia in favore del prossimo sia nei confronti del Salvatore. Da essi risulterà quante volte sono stati offerti a Satana il tempo, il pensiero, le forze che appartenevano a Gesù. È una triste documentazione, quella che gli angeli raccolgono. Esseri intelligenti, che si professano discepoli di Gesù, sono vittime del desiderio di accumulare beni terreni e di godere piaceri mondani. Il denaro, il tempo, le forze, tutto è sacrificato al lusso e al soddisfacimento dei propri capricci; mentre ben pochi sono i momenti dedicati alla preghiera, allo studio delle Scritture, a un umile esame di coscienza, alla confessione dei peccati. Satana inventa molti pretesti per occupare le nostre menti e impedire che si soffermino su ciò che dovrebbe interessarci di più. Il grande seduttore odia le gloriose verità, che rendono evidente un sacrificio espiatorio e un Mediatore onnipotente, perché sa che per lui tutto dipende dal fatto di riuscire a distogliere le menti degli uomini da Gesù e dalla sua verità.

LA NOSTRA SANTIFICAZIONE NEL TIMORE DI DIO

Coloro che desiderano godere dei benefici della mediazione del Salvatore, non dovrebbero permettere che nulla li distolga dal dovere di raggiungere la perfetta santità, nel timore di Dio. Le ore più preziose, invece di dedicarle ai piaceri, al lusso o alla ricerca del guadagno, dovrebbero essere consacrate alla preghiera e allo studio costante della Parola di verità.

Il popolo di Dio dovrebbe comprendere chiaramente il soggetto del santuario e del giudizio investigativo. Tutti hanno bisogno di conoscere personalmente la posizione e l’opera del loro grande Sommo Sacerdote. Diversamente, non potranno esercitare quella fede, indispensabile per la nostra epoca, oppure occupare la posizione loro assegnata da Dio. Ognuno può salvarsi o perdersi. Ognuno ha una vertenza aperta presso il tribunale di Dio. Ognuno dovrà incontrarsi faccia a faccia con il grande Giudice. È quindi importante contemplare sempre più spesso la solenne scena del giudizio, quando i libri saranno aperti e quando, con Daniele, ognuno si alzerà “per ricevere” la sua parte d’eredità, “alla fine dei giorni”.

Tutti coloro che hanno una chiara conoscenza di questi soggetti devono testimoniare delle grandi verità, che Dio ha loro affidate. Il santuario celeste è il centro dell’opera del Cristo, in favore degli uomini. Esso riguarda ogni uomo sulla terra; ci presenta il piano della redenzione, ci conduce alla fine dei tempi e ci rivela il trionfante epilogo del conflitto fra la giustizia e il peccato.

Tutti devono studiare a fondo questi soggetti e saper rispondere a chi chiede spiegazioni sulla loro speranza. L’intercessione del Cristo, in favore dell’uomo nel santuario celeste, è indispensabile per il piano della salvezza, come lo è stata la sua morte sulla croce. Dopo la risurrezione, Gesù andò a completare in cielo l’opera iniziata sulla croce. Noi, per fede, dobbiamo penetrare al di là del velo, “… dove Gesù è entrato per noi quale precursore…”. (Ebrei 6:20) E’ là che si riflette la luce della croce del Calvario; è là che possiamo avere una visione più chiara del mistero della redenzione. La salvezza dell’uomo è stata compiuta a un prezzo inestimabile per il cielo e il sacrificio soddisfa le più elevate esigenze della legge di Dio, che era stata infranta. Gesù ci ha aperto la via che conduce al trono del Padre e, tramite la sua mediazione, può essere presentato a Dio ogni sincero desiderio, espresso da coloro che si rivolgono a lui con fede.

“Chi copre le sue trasgressioni non prospererà, ma chi le confessa e le abbandona otterrà misericordia”. (Proverbi 28:13) Se coloro che nascondono e scusano le proprie colpe potessero vedere come Satana esulta e come schernisce il Cristo e i suoi angeli, per questa ragione, si affretterebbero a confessare i propri peccati e ad abbandonarli. Attraverso i difetti di carattere, Satana cerca continuamente di dominare sulle nostre menti, sapendo che se noi accarezziamo questi difetti, egli riuscirà nei suoi intenti. Perciò egli cerca costantemente di ingannare i discepoli di Gesù con i suoi sofismi, facendo loro credere che non possono assolutamente conseguire la vittoria. Ma Gesù interviene in loro favore, mostrando le sue mani ferite, il suo corpo straziato e dicendo a tutti coloro che vogliono seguirlo: “… La mia grazia ti basta…”. (2 Corinzi 12:9) “Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me, perché io sono mansueto ed umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero”. (Matteo 11:29,30) Nessuno deve considerare i propri difetti incorreggibili. Dio vi darà la fede e la grazia per vincerli.

ORA È IL TEMPO DI ESPIAZIONE

Viviamo nell’epoca del giorno dell’espiazione. Nel servizio cerimoniale terreno, mentre il sommo sacerdote compiva l’opera di espiazione per Israele, tutti erano invitati a pentirsi dei loro peccati e a umiliarsi davanti a Dio, per non essere esclusi dal popolo. Allo stesso modo, tutti coloro che desiderano che i loro nomi rimangano scritti nel libro della vita dovrebbero ora, nei pochi giorni che ancora rimangono del tempo di grazia, rendersi conto del proprio stato nei confronti di Dio, provare un sincero dolore per i propri peccati e dimostrare un vero pentimento. È necessario un profondo e scrupoloso esame di coscienza.

Molti cristiani dovranno rinunciare alla leggerezza e alla frivolezza. Si profila una lotta accanita per tutti coloro che vogliono vincere quelle tendenze al male, che minacciano di avere il sopravvento. L’opera di preparazione è individuale. Noi non siamo salvati in gruppo; la purezza e la devozione dell’uno non possono compensare l’assenza di questi requisiti nell’altro.

Sebbene tutte le nazioni debbano comparire in giudizio davanti a Dio, egli esaminerà con la massima cura il caso di ogni singola persona, come se fosse l’unico essere al mondo. Ognuno dovrà essere provato e trovato “senza difetto né macchia” (1 Pietro 1:19), né cosa alcuna simile. Le scene relative all’opera conclusiva dell’espiazione sono particolarmente solenni. Gli interessi implicati sono della massima importanza.

Attualmente è in atto il giudizio nel santuario celeste e si tratta di un’opera che ormai si svolge da moltissimi anni. Presto, anche se nessuno sa quando, il giudizio riguarderà i viventi. In presenza di Dio la nostra vita sarà presa in considerazione. Perciò, oggi più che mai, bisogna tener conto dell’invito di Gesù: “… vegliate, poiché non sapete quando sarà quel tempo”. (Marco 13:33) “… Se tu non vegli, io verrò come un ladro, e tu non saprai a quale ora verrò su di te”. (Apocalisse 3:3)

Quando finirà il giudizio investigativo, il destino di tutti sarà deciso per sempre: o per la vita o per la morte. Il tempo di grazia si chiuderà poco prima dell’apparizione del nostro Signore sopra le nuvole del cielo. Alludendo a quel tempo, Gesù dichiara: “Chi è ingiusto sia ingiusto ancora; chi è contaminato si contamini ancora; e chi è giusto pratichi ancora la giustizia; e chi è santo si santifichi ancora. Ecco, io vengo tosto, e il mio premio è con me, per rendere a ciascuno secondo che sarà l’opera sua. (Apocalisse 22:11,12)

I giusti e i malvagi vivranno ancora sulla terra. Gli uomini continueranno a piantare e a costruire, a mangiare e a bere, inconsapevoli del fatto che la sentenza finale sia già stata pronunciata nel santuario celeste e sia irrevocabile.

Prima del diluvio, dopo che Noè era entrato nell’arca, Dio chiuse la porta, lasciando fuori gli empi. Per sette giorni la gente, ignorando che il proprio destino era ormai deciso, continuò a vivere con superficialità, preoccupata di soddisfare i propri piaceri e beffandosi degli avvertimenti relativi all’imminente castigo. “… Così” disse il Salvatore “avverrà alla venuta del Figliuol dell’uomo”. (Matteo 24:39) Silenziosamente, in modo furtivo e inatteso, come il ladro di notte, giungerà l’ora decisiva, che segnerà il destino eterno in ogni uomo, l’ora in cui l’offerta misericordiosa, fatta all’uomo colpevole, sarà ritirata. “Vegliate dunque… che talora, venendo egli all’improvviso, non vi trovi addormentati”. (Marco 13:35, 36) È pericolosa la condizione di chi, stanco di vegliare, si volge verso le attrazioni che ci offre la società. Mentre l’uomo d’affari è intento a ricercare nuove possibilità di guadagno, chi ama il piacere segue le proprie inclinazioni, e chi è schiavo della moda si preoccupa della sua apparenza, il Giudice di tutta la terra potrebbe pronunciare la sentenza: “… tu sei stato pesato con la bilancia e sei stato trovato mancante”. (Daniele 5:27) Grande controversia, pp. 479-491

GESU’ NEL SUO SANTUARIOultima modifica: 2023-03-04T12:33:36+01:00da ruggerorv


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