T

T [s.f.] Diciottesima lettera dell’alfabeto mesorachese, corrispondente alla diciannovesima di quello latino, la cui forma deriva da quella del tau greco, identico nella maiuscola (che a sua volta è una modificazione del segno dell’alfabeto fenicio, dove aveva approssimativamente la forma di una croce di sant’Andrea), mentre nella minuscola si è abbassato il taglio orizzontale del greco τ e arrotondata l’estremità inferiore dell’asta. In italiano, la lettera t rappresenta la consonante esplosiva dentale sorda, che diventa cacuminale quando nel mesorachese si unisce alla lettera erre, come nella parola trempa o strolacu (VT), in quest’ultimo caso la punta della lingua arretra ancora un po’ arrivando quasi al palato e producendo un suono che è quasi un piccolo fischio.

Ta [pron.pers.] 1 Pronome personale te “te” combinato con l’articolo (pronome) a “la”, l’ortografia corretta è quindi t’a; quando preceduto dalla congiunzione e “e” oppure dall’avverbio u “non” assume la forma tt’a, esempi: t’a sienti u guidi u cammiu? ‘te la senti di guidare il camion?’, u tt’a pii a machina? ‘non te la prendi l’auto?’, e tta vivi n’atra? ‘e te la bevi un’altra?’; guarda te e ti. [agg.poss.] 2 Aggettivo possessivo ‘tua’ in posizione enclitica nei nomi che denotano parentela: sor(ta) ‘tua sorella’, mamma(ta) ‘tua mamma’, patri(tta) ‘tuo padre’ e così via. [s.m.] 3 Troncamento di tata.

Tabacchéra [s.f.] Tabacchiera,  piccola scatola usata come contenitore per il tabacco da fiuto, esempi: (loc.) a gghjazza e a ffera ud aparire tabacchera ‘in piazza e in fiera non aprire tabacchiera’ (se sei goloso di qualcosa e ne possiedi poco, è meglio non consumarla davanti ad altre persone per non essere costretti a offrirla, correndo il rischio di rimanerne senza), (loc.) chjacchjare e tabbacchere e lignu ara fera e napuli u sinne vinnanu ‘chiacchiere e tabacchiere di legno alla fiera di Napoli non se ne vendono’ (frottole e promesse inattendibili hanno le gambe corte).

Tabbarànu [agg.] Sciocco, grottesco, ridicolo.

Tabbàrru [s.m.] Grosso mantello dei contadini, ma anche cappotto molto pesante e privo di qualsiasi ricercatezza, pastrano; guarda anche ntabarrare e tabbaranu.

Tabbernàculu [s.m.] Tabernacolo, nicchia, edicola.

Taccàgghja [v.tr.] Terza persona singolare del (probabile) verbo taccagghjiàre o taccagghjàre, ossia ragazza che inizia ad imparare a lavorare con i ferri da calza; parola ormai quasi estinta.

Taccagnùsu [agg.] Persona pedante, puntigliosa, litigiosa.

Tacchiàre [v.intr.] Camminare velocemente, muovere i tacchi.

Tacchjùne [s.m.] Pollone, ma anche ramo nodoso adoperato come bastone.

Tàccia [s.f.] 1 Grosso chiodo con testa larga, adoperato dai maniscalchi per fermare i ferri alle zampe degli animali da soma; il termine, come il diminutivo tacciunìeddu, è anche impiegato per indicare i chiodini che si applicano alle calzature dei contadini. 2 Striscia di ferro battuto usata dai maniscalchi.

Taddu [s.m.] 1 Parti della pianta della zucca e della zucchina usate per minestroni, es.: minestra e taddi ‘minestrone di talli’ (ingredienti: talli, zucchine, patate, cipolla, sedano, pomodoro, basilico; per insaporire si possono aggiungere pezzetti o croste di formaggio, qualche comare aggiunge anche pezzetti di pancetta, a piacere si può mettere anche un po’ di pasta o riso); guarda anche laprista. 2 Tallo, germoglio, talea. [agg.] 3 Persona poco intelligente.

Tafànu [s.m] Tafano, Tabanus bovinus L., spesso confuso con la mosca cavallina Hippobosca equina L.; l’ambiguità è lecita, innanzitutto per la somiglianza, poi perché il primo non disdegna gli equini e la seconda non disdegna i bovini, in ultimo, entrambi non disdegnano l’uomo.

Tagghjafùecu [s.m.] Tagliafuoco, striscia di terreno ripulita dalla vegetazione con lo scopo di impedire o rallentare il propagarsi di un incendio.

Tagghjàre [v.tr.] Tagliare, affettare, recidere, segare, tranciare, rasare, dividere, esempi: (loc.) a lingua u ttena ossa ma tagghja ossa ‘la lingua non tiene ossa ma taglia ossa’ (la lingua può far più male della spada), (loc.) chine se tagghja se fa u sangu ‘chi si taglia si fa il sangue’, (lap.) te vorranu tagghjare cuemu a carne da suzizza ‘possano tagliarti come la carne della salsiccia’ (tra i salami, la carne per fare le salsiccie, insieme a quella per le soppressate, è la più minuta).

Tagghjarìni [s.f.] Tagliolini, pasta fresca che si ottiene arrotolando la sfoglia come un cilindro e poi affettandola come fosse un salame, superbi con i legumi; lo spessore della sfoglia varia in base ai gusti, agli scopi e alle tradizioni.

Tagghjatìna [s.f.] Ferita, taglio, lacerazione, guarda anche jaccatina.

Tagghjàtu [agg.] 1 Astuto, furbo, scaltro. [s.m.] 2 Delinquente navigato, uomo d’onore, mafioso, es.: chissu è unu tagghjàtu ‘questo è uno tagliato’ (ndranghetista). 3 Sfregiato, probabilmente perché ha pestato i piedi a qualcuno che non doveva.

Tagghjatùre [s.f.pl.] La ricrescita, dopo il taglio, di alcuni tipi verdure come broccoli, cime di rapa, verza; cfr jettatura.

Tagghjaùgne [s.m.] Tagliaunghie, tronchesina.

Tagghjòla [s.f.] Tagliola, trappola per topi.

Tagghjolàru [agg.] Alla lettera ‘tagliolaro’, persona che prepara tagliole, ovvero, persona che tira bidoni, che non rispetta gli appuntamenti.

Tagghju [s.m.] Taglio, di taglio, ma anche parte del bosco destinata al commercio del legno.

Tagghjunàru [agg. s.m.] Criticatore, maldicente, linguacciuto, malignatore, jettatore.

Tagghjuniamìentu [s.m.] Pettegolezzo, chiacchiera, malignità.

Tagghjuniàre [v.tr.] Criticare, gufare, borbottare alle spalle della gente.

Tàjittu [s.m.] Camicetta, giubbetto, indumento femminile che andava sopra il corpetto, varianti taju e taìttu, es.: (loc.) u mutare taju si u bbena maju ‘non cambiare camicetta se non arriva maggio’ (non cambiare guardaroba prima di maggio).

Talià [inter.] Abbreviazione di talianu ‘italiano’, usato in senso ironico per riferirsi ad una persona istruita, che parla l’italiano appunto.

Taliànu [s.m.] Italiano, cittadino italiano.

Taliàre [v.tr.] Guardare, spiare, ma ormai quasi nessuno lo usa più.

Talùernu [s.m.] Discorso lungo e noioso, lamento continuo, seccatura, esempi: finisciatila ccu ssu taluernu ‘smettila con questo discorso tedioso’, cchi taluernu chi si ‘che rottura di cazzo che sei’; cfr langùru.

Tamarràta [s.f.] Cafonata, villanata, scortesia.

Tamarrìa [s.f.] La proprietà di essere rozzo, villano e incivile, es.: nn’ha tamarria cu ru sa mancu iddu quanta ‘ne ha di villaneria che non lo sa nemmeno lui quanta’.

Tamarrìgnu [agg.] Che ha inclinazioni da zoticone, da tamarro, da incivile, da chi vive con il gregge senza scambi con altri esseri umani.

Tamarru [agg.] Tamarro, cafone, rustico, da cui l’accrescitivo tamarrune e il peggiorativo tamarrazzu, esempi: (loc.) tamarru e crapiettu scorciali di piettu ‘tamarro e capretto scuoiali di petto’ (il tamarro e il capretto trattali alla stessa stregua), (aneddoto) u tamarru è sempre tamarru, i pecurari l’ho mmisu n’annu aru fumaru, doppu n’annu l’ho calatu du fumaru, puzzava de tamarru ma nno de fumu, vida cuemu è discrażżiatu u tamarru ‘il tamarro è sempre tamarro, i pastori lo hanno messo un anno al fumaru, dopo un anno l’hanno calato dal fumaru, puzzava di tamarro ma non di fumo, guarda come è disgraziato il tamarro’  (da notare l’ho forma più antica o sincopata di ‘lo hanno’, l’anu); nella prima metà del ‘900 con tamarru era anche indicato, con tono chiaramente dispregiativo, il contadino che lavorava per conto di un nobile o di un benestante.

Tammurriàta [s.f.] La tammurriata rappresenta una complessa famiglia di balli sul tamburo, in una più ampia classificazione dei balli etnici italiani e va inclusa nella famiglia della tarantella meridionale, danza tradizionale della Campania. Il ballo trae il nome dal fondamentale ritmo binario che viene marcato con il tamburo, detto anche “tammorra”, a cornice dipinta con sonagli di latta e con possibili ulteriori accessori d’addobbo, come nastri o pitture policrome e campanelli (Wiki); guarda anche tammuru e tarantedda.

Tammùru [s.m.] Tamburo, da cui tammurìeddu ‘tamburino’. Tipico membranofono a cornice di forma circolare, sulla cui cornice trovano alloggio coppie di dischi di latta, adoperato in molti canti e balli dell’Italia meridionale (specie nelle tarantelle).

Tampa [v.intr.] Presente indicativo terza persona singolare del verbo *tampàre ‘maleodorare’, es.: tampa assai ‘puzza troppo’; guarda anche tampu.

Tamponàre [v.tr.] 1 Termine impiegato dai muratori per indicare la costruzione delle pareti (la chiusura con mattoni o altro) di un palazzo in edificazione; in italiano non esiste questa accezione. 2 Tamponare, urtare un altro veicolo col proprio da dietro.

Tampu [s.m.] Tanfo, puzzo, miasma; cfr fìetu.

Tamùgna [s.f.] Mucchio di covoni di frumento o foraggio, variante timùgna, es.: (loc.) simu conzati cuemu a cruce da tamugna ‘siamo messi come la croce del pagliaio’ (siamo messi male).

Tannu [avv. cong.] Allora, in quel tempo, esempi: e tannu cu ru vidu ‘da allora che non lo vedo’, (loc.) quannu te cridi ca te fai na bona manciata, tannu riesti diunu ‘quando credi di farti una buona mangiata, ebbene resti digiuno’, tannu u cci nn’eranu sordi ‘in quel tempo non ce n’erano soldi’.

Tantu [avv.] Oltre all’aggettivo ‘tanto’ che denota una gran quantità di qualcosa, sinonimo di molto, assai (es.: (loc.) tantu campa nu rre, tantu n’affrittu, tantu nu povarieddu senza nente ‘tanto campa un re, tanto un afflitto, tanto un poverello senza niente’  – la giornata, il tempo che passa, è simile per chiunque), il termine nel dialetto si caratterizza principalmente come avverbio indefinito, ossia sinonimo di ‘in tal misura’, ‘in tal modo’, ‘così; più precisamente si tratta dell’espressione ‘tanto così’ con l’avverbio ‘così’ sottinteso e sostituito o con un gesto (di solito effettuato con le mani) o con un oggetto che identifica una certa quantità  (un legno, una scodella e così via), esempi: (A) quantu nne vue? (quanto ne vuoi?), (B) tantu ‘tanto’ (il ‘così’ è sostituito mostrando una unità di misura), aju vistu nu topu tantu! ‘ho visto un topo così!’ (gesto delle mani che indica la grandezza dell’animale); in italiano succede quasi l’opposto, è il ‘tanto’ ad essere sottinteso ed il ‘così’ espresso, come si arguisce dall’ultimo esempio.

Tappìnu [s.m.] Pantofola, ciabatta. 

Tàppiti [inter.] Parola di origine popolare senza un preciso significato, è sempre preceduta dalla parola tìppiti (anch’essa con la stessa origine), entrambe denotano una persona che perde tempo, che cincischia, vicina al significato di triculiare, esempi: tippiti tappiti mo u ss’a finiscia cchjù ‘tocca qui tocca là adesso non se la finisce più’, tippiti tappiti me duna i niervi ‘mi dà i nervi (quando perde tempo così)’.

Tappu [s.m.] Tappo, da cui il diminutivo tapparìeddu, esempi: addobbacce nu tappu aru jascu ‘rimediaci un tappo al fiasco’, nu tappu e fumu ‘un tappo di fumo’ (un pezzo di hashish); come in italiano anche in dialetto il termine assume anche il significato di individuo di ridotta statura corporea; cfr mmuddagghju.

Taràddu [s.m.] 1 Tarallo, biscotto morbido a forma di piccola ciambella; a parte un po’ di zucchero in più, gli ingredienti sono gli stessi della ricetta delle fresine e delle cuzzupe amare, es.: intr’u latte ce mintu o fresine o taraddi ‘dentro il latte ci metto o fresine o taraddi’; da segnalare i cosiddetti taraddi squadati, i quali non sono spennelati con l’uovo bensì un po’ lessati (per lucidarli) prima di essere infornati, una volta lo si faceva per economia, adesso per ridurre l’apporto calorico. 2 Stupido, imbecille, es.: si nnu taraddu ‘sei un coglione’.

Tarantèdda [s.f.] Resistente all’omologazione, la tarantella è una vivace danza popolare del Meridione d’Italia; la tarantella calabrese è una variante, con tratti che la rendono distinguibile dalle altre, specie nel ritmo. In essa sono assenti i riferimenti agli esorcismi del tarantismo, ma assume più un ruolo di danza da paese; a Mesoraca è sinonimo di festa, immancabile sia nelle feste popolari sia nei matrimoni o simili, anche in compleanni, ritrovi tra amici, suonerie di cellulari. In alcune zone della Calabria e in particolare in alcuni paesi del vibonese, fino ad alcuni decenni fa la danza era riservata agli uomini. Il suo ritmo (in 6/8) è riconoscibile anche nelle basi musicali dei tamburi che accompagnano i tradizionali “giganti”, coppia di enormi fantocci con la testa di cartapesta fatti ballare da due uomini al loro interno (Wiki); guarda anche tammuriata.

Tardìddu [s.m.] Dolce tipico del periodo natalizio a forma di gnocco striato. Ingredienti: 1 kg di farina di grano duro (accappellu), vino, olio, vinu cuettu, zucchero, cannella, pizzico di sale. Procedimento: impastare farina, olio e vino (1/3 olio, 2/3 vino tiepidi), sale; stendere la pasta fino ad ottenere un cordone, poi tagliarlo a pezzetti e decorare con una forchetta a forma di grossi covatieddi; fare riposare una notte, poi friggerli, toglierli dal fuoco quando sono più che dorati, quindi farli raffreddare; successivamente prendere una pentola un po’ larga e metterla su fuoco aggiungendo vinicuettu, zucchero, e mezza bustina di cannella; portare ad ebollizione e aggiungere i tardiddi, mescolare per 5 minuti a fuoco vivace, infine sistemarli in piccoli contenitori e aggiungere ancora un po’ di zucchero sopra.

Tarduliddu [avv.] Tardino, non nel significato italiano di ‘piuttosto tardi’, a Mesoraca è adoperato esclusivamente come diminutivo, indica che è da poco trascorso il momento di fare qualcosa, oppure che si è fatto un po’ tardi, infine, preceduto dall’avverbio cchjù, specifica qualcosa che accadrà da lì a poco, esempi: è tarduliddu ppe gghjire aru mare ‘è un po’ tardi per andare al mare’, s’è fattu tarduliddu mi nn’aj’e (aje e) jire ‘s’è fatto un po’ tardi me ne devo andare, dille u vena cchjù tarduliddu ‘digli di venire un pochino più tardi (rispetto al solito)’.

Tartagghjàre [v.tr.] Tartagliare, balbettare, guarda anche caccagghjiare.

Tartìegnu [s.m.] Intervallo di tempo durante il quale si controlla (si tiene) un bambino, ‘trattenimento’, meglio ancora intrattenimento.

Tassa [s.f.] 1 Tazza, scodella, da cui tassòne ‘tazzone’ in genere di forma cilindrica, utilizzata nella prima colazione per versarci il latte (guarda anche panata) e tassìna quella per il caffè; non di rado si ravvisano anche tazzunieddu e tazzicedda, la prima di dimensioni medie tra tazza e tazzina e la seconda come variante di tassina. 2 Tassa, tributo.

Tassìeddu [s.m.] Tassello, incastro.

Tassu [s.m.] 1 Tasso, mammifero con nome scientifico Meles meles L., guarda anche milogna. 2 L’albero tasso, Taxus baccata L. 3 Grosso puzzo, scoreggia; cfr ntassare.

Tata [s.m.] Termine usato per dire papà, babbo, da parte dei bambini; usata anche la forma apocopata ta’; negli ultimi decenni si è imposto come sinonimo di nonno (tataranne accorciato), es.: (loc.) chine se curca ccu ra mamma, u chjamu tata ‘chi si corica con la mamma, lo chiamo papà’, (loc) oih ta’, passau Natale e vinna capudannu, passau a Pifanìa e nnu frijimme ‘oh babbo, passò Natale e venne capodanno, passò l’Epifania e non frigemmo’ (frase usata per sottolineare che una certa promessa non è stata mantenuta; in passato, quando la povertà era più diffusa, non sempre si poteva frijìre qualcosa di buono o goloso, specie durante le feste comandate, mancava la possibilità), campava ancora u tata ‘campava ancora il nonno’. 

Tatarànne [s.m.] Letteralmente ‘papà grande’, sinonimo di paparanne, quindi nonno, es.: passu e sa cosa ranne, duve ce sta u Tataranne, quannu passu u salutu: Tataranne duname aiutu! ‘passo da questa cosa grande, dove ci sta il Papà grande, quando passo lo saluto: Papà grande dammi aiuto!’ (piccola preghiera che ancora qualcuno recita quando è al cospetto della statua dell’Ecce Homo; la cosa ranne sottintende il convento e Tataranne il Signore).

Tàuru [s.m.] Toro, Bos taurus L., variante tàvuru.

Tavàrca [s.f.] Spalliera del letto.

Tavarcùne [s.m.] Grossa tavarca, ovvero persona poco articolata nella sua altezza e perciò lenta nei movimenti.

Tavèrza [agg.] Trasversa, ruotata di 90°, es.: mintala tarverza ‘mettila girata’.

Tavulafrànca [s.m.] Scroccone di cibo, sbafatore opportunista.

Tavulùne [s.m.] 1 Asse di legno più spessa e più lunga di una comune tavola, usata dai muratori come passaggio per collegare due punti; guarda anche annitu; si riscontra tavulìdda ‘asse, piccola tavola’ e tavula ‘tavola’, esempi: ce mintimu dui tavuluni ppe passare ‘ci mettiamo due tavoloni per passare’, (loc.) ha azatu a tavulidda ‘ha alzato la tavoletta’ (si usa in senso figurato per indicare ‘si è arrabbiato’), (loc.) tavula vecchja e tavula nova, cca s’ammuccia e cca se trova ‘tavola vecchia e tavola nuova qui si nasconde e qui trova’ (filastrocca usata dai bambini quando si tiene nascosto qualcosa di piccolo in una mano, l’altro bambino deve indovinare in quale delle due mani si trova recitando la formuletta e alternando la conta tra i due pugni chiusi), (loc.) quannu a tavula è mmisa chin’u mmancia perda a spisa ‘quando la tavola è preparata chi non mangia perde la spesa’ (proverbio rivolto ad un probabile commensale che ha bidonato la tavolata). 2 Tavola di grosse dimensioni, costruita ad hoc per numerosi invitati; di solito è molto spartana, situata in campagna o in montagna e, in genere, usata in occasioni come pasquetta o ferragosto; il diminutivo è invece tavulinìeddu ‘tavolino’.

Tavutàru [s.m.] Addetto al trasporto dei defunti, becchino.

Tavùtu [s.m.] Bara, cassa da morto, sinonimo di casciùne.

Te [pron.pers.] 1 Pronome personale ‘ti’, esempi: oje te sciali ‘oggi ti diverti’, si u ffuji te mora ‘se non corri ti muore’, mo te vuegghju ‘adesso ti voglio’, (loc.) te manca a prima cuemu a chitarra ‘ti manca la prima come la chitarra’ (sei messo male in quanto a risorse), (lap.) te viennu u cce rimani (o riesti) ‘che tu possa restarci’ (che tu possa morire improvvisamente); come in italiano si unisce al verbo in posizione enclitica, esempi: pia(te) na birra ‘prenditi una birra’ mova(te) ca è tardu ‘muoviti che è tardi’; quando è preceduto dalla congiunzione e (e) o dall’avverbio u (non) assume la variante fonetica tte, esempi: fa’ così e tte disprighi momò ‘fai così e ti sbrighi subito’, u tte si bbistu aru specchju? ‘non ti sei visto allo specchio?’; guarda anche teh. [pron.pers.c.] 2 Pronome personale te combinato con il pronome e (le), la giusta grafia è t’e (te le); oppure combinato con la seconda persona singolare presente indicativo del verbo dovere (sempre e), esempi: t’e ddugnu domane ‘te le do domani’, t’e maniare ‘ti devi sbrigare’; da notare che quando te si combina con l’articolo-pronome e quest’ultimo funge anche da pronome plurale maschile li (sottinteso), esempi: t’e manci stasira i funci ‘te li mangi stasera i funghi’, t’e ccanci domane i cavuzi ‘te li cambi domani i pantaloni’; guarda anche ta, ti e ttu. [v.tr.] 3 Apocope dell’imperativo seconda persona singolare del verbo tenire, te(na), esempi: te’, io u nne vuegghju cchjù sapire ‘tieni, io non ne voglio più sapere’, tena cca! ‘tieni qua!’. 4 Voce di richiamo per i cani (anch’esso troncamento dell’imperativo del verbo tenire), preceduta, di solito, dalla parola cucci, esempi: cucci cucci te! ‘cucci cucci tieni!’, te Bobby te! ‘tieni Bobby tieni!.

Tecchjèdda [avv.] Un po’, un pochino, variante tacchjèdda, raramente anche nella forma tronca tecchje, esempi: tecchj’e pasta ‘un po’ di pasta’, nne piu tecchjedda tecchjedda ‘ne prendo poco poco’.

Teh [inter.] Particella usata per intercalare in varie situazioni sociali, esprime meraviglia, stupore, esclamazione, scherno, molto vicina, nel significato, al napoletano ‘tiè’, variante teeh, esempi: teeh, davieru? ‘ma, veramente?’, teh, mo cchi bbò ‘beh adesso che vuole’, teh cchi ciociò ‘guarda che stupido’, (loc.) teh chi cazzata aru scuru ‘guarda un po’ che cazzata (che mi capitò) al buio’ (si esclama per indicare un evento non previsto), (loc.) teh fatiga teh! ‘tiè lavoro tiè’ (intercalare per simpaticamente tradurre l’italiano ‘voglia di lavorare saltami addosso’); non di rado la parola è ripetuta cinque, sei, sette volte o più, con lo specifico significato di grosso stupore, grande sorpresa e può essere espressa anche senza una frase di supporto, si può intercalare davanti all’evolversi di una rissa, una frana, una goleada o un qualsiasi fatto che desti meraviglia in chi la intercali, es.: teh!-teh!-teh!-teh!-teh!-teh! ‘sono sbalordita!; guarda anche paracaté.

Tèlia [avv.] Completamente, del tutto, esempi: è gghjanca telia ‘è del tutto bianca’, è scuru teliu ‘è completamente buio’.

Tènate [inter.] Letteralmente ‘tieniti!’, parola che esprime una certa meraviglia nei confronti dell’interlocutore che, per eccesso di fantasia o per tronfiezza, la sta sparando grossa, sta volando alto, gentilmente gli si fa notare di ‘tenersi, reggersi’, es.: (A) domane m’accattu na Mercedes (B) e nnu tte tieni!? (oppure tenate!) (A) ‘domani mi compro un Mercedes’ (B) ‘e non ti tieni!?’ (oppure ‘tieniti!’).

Tenìre [v.tr.] 1 Tenere, reggere, tenerci nel senso di avere a cuore qualcuno o qualcosa, esempi:  tename a brożża ‘tienimi la borsa’, tenalu strittu strittu ‘tienilo stretto stretto’, ce tiegnu a fratimma ‘ci tengo a mio fratello’, puru e l’avutu t’e tenire ‘anche dall’alto ti devi tenere’ (esclamazione che si intercala con l’interlocutore quando si parla di qualcuno che si dà delle arie o si comporta in maniera presuntuosamente snob, cfr tenate), (loc.) na cosa vala ppe quantu a sai tenire ‘una cosa vale per quanto la sai tenere’, (loc.) i mariti serpe e canniti, tenatili e amichi e guardatinne e nemichi ‘i mariti serpi e canditi, tienili per amici e guardatene da nemici’ (i mariti sono sempre furbi e volpini, meglio arruffianarseli), (loc.) tenalu apiertu ca ti cce cacanu e musche ‘tienilo aperto che ti ci cagano le mosche’ (espressione volgare, spesso usata solo la prima parte tenalu apiertu, si intercala quando l’interlocutore fa una richiesta esagerata o sgradita e si  può rendere con ‘aspetta e spera’). 2 Possedere, avere, variante ténare, esempi: tiegnu na famigghja e mantenire ‘ho una famiglia da mantenere’, tena mmidia ‘ha invidia’, (loc.) si tenerra a capu duve tiegnu i piedi me facerra na vivuta e acqua ‘se avessi la testa dove ho i piedi mi farei una bevuta d’acqua’ (sono così beato, con la testa all’ombra e i piedi nell’acqua, ma non ho voglia di abbassarmi, ovvero sono troppo pigro), (loc.) chine tena bieddi dinari sempre cunta e chine tena na bedda mugghjere sempre canta ‘chi ha bei denari sempre conta e chi ha una bella moglie sempre canta’, (loc.) u ttena né luce né fuecu ‘non ha né luce né fuoco’ (proverbio usato per indicare una persona a cui non gli si può chiedere un aiuto economico perché già lui stesso è bisognoso), t’a tieni ancora a chidda guagliuna? ‘te la tieni ancora a quella ragazza?’ (sei ancora fidanzato?), (loc.) chine tena cchjù de mie mancia a notte ‘chi ha più di me mangia la notte’ (in ristrettezze economiche ci si accontenta di quello che passa il giorno), (loc.) vena Natale e nu ttiegnu dinari, m’accattu na pippa e me mintu a fumare ‘arriva Natale e non ho denari, mi compro una pipa e mi metto a fumare’ (intercalare per togliere la nostalgia dei natali passati meglio), (loc.) ppe nu minimu gustu tiernu guai ‘per un minimo gusto tenettero (ebbero) guai’ (per un piccolo piacere, a volte si rischia molto, guarda anche chjuritu). [v.intr.] 3 Reggere, resistere, esempi: u ttena nente sa casciotta ‘non regge granché questa cassetta’, figghjarì u mme tenanu cchjù e gamme ‘figliolo non mi reggono più le gambe’.

Tènnara [agg.] 1 Tenera, delicata. 2 Farina tipo 00, es.: nu chilu e farina tennara ‘un chilo di farina 00’.

Tennarùne [s.m.] 1 Nei tagli di carne animale indica un tendine o una cartilagine, a dispetto del nome. 2 Il cuore di alcune verdure, la parte più tenera, come la parte centrale della lattuga, della verza e simili. 3 Il tessuto cartilagineo dell’orecchio.

Tèrmissu [s.m.] ®Thermos, contenitore per mantenere la temperatura, variante térmussu, es.: u termissu e l’acqua ‘il termos dell’acqua’.

Ternìtte [s.f.] Lastre o tegole di ®Eternit; a Mesoraca, ma non solo, molti serbatoi dell’acqua erano in cemento con fibra di amianto.

Terrimùetu [s.m.] Terremoto, sisma, sconvolgimento e figurativamente persona, animale o cosa che produce scompiglio.

Terzalùru [s.m.] Vaso di terracotta smaltata a bocca larga, simile al salaturu, adoperato per riporvi la sugna; in altre parti del Marchesato è anche usato per conservarci carne salata o, ancora, impiegato nella procedura per fare la sardedda.

Terzumènu [s.m.] Carne di scarto, ossia scarti di lavorazione del maiale, composta da parte della testa, dei piedi, dei reni, le orecchie e la nzunza; in genere, con questi ‘scarti’ viene fatta la jelatina o spezzatini di poco valore.

Ti [pron.pers.] Pronome personale “te”, forma debole della declinazione del pronome “tu”, assume la variante tti quando è preceduto dall’avverbio u (non) ed è sempre succeduto dalle particelle pronominali cce e nne (ci e ne), esempi: ti nne vai? ‘te ne vai?’, u tti cce vo ‘non ti ci vuole’, u tti nne jire ‘non te ne andare’; guarda anche ta e te.

Tiàna [s.f.] Tegame, padella in coccio, da cui tianìeddu tegamino.

Tìbbia [s.f.] Sbronza, ubriacatura, es.: chi tibbia c’amu piatu ‘che sbronza che abbiamo preso’.

Ticchi ticchi [inter.] Rumore prodotto dal martello che picchia su un chiodino; in particolare, si fa riferimento al rumore generato dal tipico martello dei calzolai; guarda anche scarparu.

Ticchja [s.f.] È la variante locale di ‘tana!’, nel senso del gioco ‘tana libera tutti’; guarda anche ammucciata.

Tìcchju [s.m.] Tic, ticchio, ghiribizzo, es.: t’è benutu nu ticchju ara capu? ‘ti è venuto un tic alla testa?’ (stai impazzendo?).

Tìcine [s.m.] Lo stesso termine indica sia l’ontano napoletano, Alnus cordata Loisel., che l’ontano nero Alnus glutinosa L., entrambi molto comuni dalle nostre parti, variante tìcinu; il legno è impiegato per farne bare, ma anche mobili.

Tie [pron.pers.] Forma forte del pronome personale ‘te’, è sempre legato ad una preposizione semplice, variante ttie, esempi: jamu due tie ‘andiamo da te’, intr’e tie ce crida? ‘dentro di te ci crede?’ (secondo te ci crede?), me fricu e tie ‘mi frego di te’ (espressione caustica e risentita, la persona che la usa è indispettita e intende comunicare all’interlocutore un certo distacco e disinteresse), a ttie crida ‘a te crede’, ccu ttie vo’ gghjire ‘con te vuole andare’, ppe ttie nne mora ‘per te ne muore’ (farebbe qualunque cosa per te), (loc.) chiddu chi u bbue ppe ttie ad atri u fare ‘quello che non vuoi per te ad altri non fare’; guarda anche attie.

Tièdda [s.f.] Tiella, teglia in metallo per la cottura di vivande al forno, dotata di manici, è fatta di rame con l’interno stagnato, ma è molto più frequente vederle in alluminio, si trovano di tre misure ranne, piccula e menzana; il termine è diffuso in tutto il Meridione, esprime sia il nome teglia che la pietanza che vi è cucinata, la tiedda per eccellenza è quella di melanzane.

Tiedda e limunciane. Ingredienti: 1 kg di melanzane, sugo di pomodoro cotto (passata, due spicchi d’aglio, olio, un rametto di prezzemolo, una foglia piccola d’alloro), 350 grammi di carne trita (di vitello) fritta a parte (opzionale, nella ricetta di un tempo non c’era, talvolta si mettevano dei pezzetti di soppressata), 200 grammi di pecorino o misto, tre uova sode a pezzi, 300 grammi di provola a pezzettini, 500 grammi circa di pane ammollato, sale, pepe, peperoncino trito nel sugo a piacere.

Procedura: lavare le melanzane e tagliarle a metà, cavare la polpa e tagliarla a pezzettini piccoli, farla friggere nello stesso olio dove ha fritto la carne trita (nella ricetta tradizionale si dava solo una scottata e poi asciugata); sbollentare le coppe e farle raffreddare. Impastare tutto insieme tranne le coppe ovviamente, ungere queste ultime con un po’ di sugo e riempirle con l’impasto precedente, adagiarle nella teglia dopo averci messo un fondo di sugo, cospargerle ulteriormente con un po’ di sugo e di formaggio grattato; mettere in forno ad una temperatura di 200 °C per un’ora buona (il forno a legna sarebbe meglio).

Tìempu [s.m.] Tempo, sia sequenza continua di istanti (più o meno piccoli) a cui rapportare eventi, periodi o epoche, sia quello meteorologico, esempi: si u fatighi u tiempu u tte passa mmai ‘se non lavori il tempo non ti passa mai’, (loc.) amici e buenu tiempu e nno di guai ‘amici di buon tempo e non di guai’ (finché il periodo è bello tutti amici, nei momenti difficili tutti sconosciuti), (loc.) è finitu u tiempu chi Betta filava ‘è finito il tempo che Betta filava’ (sono finiti i tempi belli), domane c’è malu tiempu ‘domani c’è cattivo tempo’, (loc.) si parti ccu ru tiempu annuvulatu, a via via te chjova ‘se parti col tempo nuvolo, lungo la strada ti piove’ (vale anche in senso figurato, nel senso di partire male a fare qualcosa).

Tìermine [s.m.] Termine, confine, ne deriva terminazzu ‘confine sdirupato’, invece col nome Tiermine Gruessu si indica una località di campagna di Cutro confinante con Casinu Zinzi territorio di Mesoraca in posizione sud, il territorio più vicino al mare. Si capisce perché i mesorachesi affollino Steccato di Cutro, che in effetti dovrebbe essere una frazione di Mesoraca, è ipotizzabile un referendum; stesso discorso per Arietta, Marcedusa e Petronà, un tempo territori di Mesoraca.

Tìestu [s.m.] Coccio di terracotta smaltato simile al paiolo.

Tifa [s.f.] Zolla di argilla dura, da cui tifùne ‘grossa zolla’.

Tignùsu [agg.] Litigioso, attaccabrighe, ma anche testardo, cocciuto.

Tijìddu [s.m.] Piccolo trave in castagno, usato nella costruzione dei tetti delle casette dei lavoratori di montagna (guarda casedda); sono posti trasversalmente alle travi principali (guarda custane) a distanze fisse e sono il sostegno principale delle tegole (guarda cedamiedi); le custane, a loro volta poggiano sulla trave maestra (guarda cavaddaru).

Tila [s.f.] Tela, tessuto, filato, esempi: tila cruda ‘tela cruda’ (rinforzo delle cinture dei pantaloni e dell’interno delle giacche), tilanòrd ‘sorta di tela’ usata per le fodere delle tasche dei pantaloni e dell’interno delle giacche.

Tilarèttu [s.m.] Letteralmente ‘telaietto’, ossia piccolo telaio usato molto dalle giovani e dalle donne per ricamare, cioè per rifinire lenzuola, tovaglie e altri prodotti.

Tilàru [s.m.] Telaio per tessere, avente forma quadrangolare e costituito da vari elementi, tra i principali vi sono: due sugghji, due cruci, quattro lizzi, un piettine, una cassida, una vrighedda, a pedalura, due staminedde, il grastieddu.

Timpa [s.f.] Rupe, burrone, precipizio, da cui timparèdda o timparìeddu ‘piccola rupe’, e timpùne ‘collina, altura’, esempi: va jettate e na timpa ‘vai a gettarti da una rupe’ (sparisci), jure e timpa ‘fiore di timpa’ (Centranthus ruber (L.) DC.), timpa da Signora ‘timpa della Signora’ (località vicino alla località di Trugghjani e Canalettune, si narra che in questo luogo vi morì di suicidio, o per disgrazia, una nobile del paese; guarda anche attimpàre).

Jure e timpa

Timpàgnu [s.m.] Spianatoia, tavolo in legno senza piedi che viene appoggiato su un tavolo normale, adoperato per fare la pasta fatta in casa, dolci, lavorare la carne per insaccati e cosi via.

Timparìnu [s.m.] Coltello con lama a punta e il manico in legno o altro materiale, il fodero di sughero o in legno.

Timpùne [s.m.] Zona di Mesoraca attraversata da via Nazionale, compresa tra il rione Nuzziata/Castieddu e Tirune.

Timùgna [s.f.] Guarda tamugna.

Tina [s.f.] Tino di legno, vaso a doghe di legno.

Tinàgghja [s.f.] 1 Tenaglia, es.: m’a tiratu nu dente ccu na tinagghjedda ‘mi ha asportato un dente con una piccola tenaglia’. 2 Persona litigiosa, attaccabrighe, spigolosa per natura.

Tincìre [v.tr.] Tingere e quindi anche sporcare con la vernice, variante tìnciare, esempi: cc’ha tinciutu ajieri ‘ci ha affrescato ieri’, (loc.) è miegghju u sule e marzu u te tincia ca u core e mammata u te ciancia ‘è meglio il sole di marzo che ti abbronza che il cuore di tua mamma piangere’ (meglio morire che far piangere una mamma; pare che il sole di marzo faccia parecchio male, non se ne capisce il perché), te tinci i cavuzi ‘ti macchi i pantaloni’.

Tincitìna [s.f.] Macchia, imbrattatura.

Tincitùru [s.m.] Oggetto che a maneggiarlo sporca molto, tinge appunto, ne sono esempio l’esterno delle cassalore in alluminio usate per cuocere cibi col fuoco a legna; parimenti il termine trova impiego per indicare un luogo angusto e stretto e molto sporco.

Tinne [pron.pers.] Parola composta da ti ‘te’ e nne ‘ne’, è quindi corretto scrivere ti nne, esempi: ti nne vai? ‘te ne vai?’, ti nne frichi ‘te ne freghi’ (guarda fricare per le sfumature di significato); cfr minne.

Tintu [agg.] Scaltro, accorto.

Tìppiti [inter.] Guarda tappiti.

Tirafùecu [s.m.] Rastrello, utensile per distribuire o disperdere le braci. 

Tirànti [s.f.] Bretelle, straccali.

Tirànza [s.f.] La proprietà di luoghi, situazioni o altro di avere attrattiva, piacevolezza, appetibilità, fare voglia, di essere abbondanti, es.: u cci nn’à tiranza ara marina ‘non ce n’è attrazione alla marina’ (non c’è voglia di spenderci tempo e/o soldi).

Tirapisciò [s.m.] Cavatappi, cavaturaccioli, tirabusciò.

Tiràtu [agg.] Spilorcio, avaro.

Tiratùru [s.m.] Tiretto, cassetto.

Tirchju [agg. s.m.] Tirchio, taccagno, tirato.

Tirènte [agg.] Teso, tirato, che oppone forza.

Tirésa [s.m.] Con questo termine vengono indicate due specie di funghi appartenenti alla stessa famiglia, Tricholoma portentosum Q. & F. (la specie più diffusa in Sila) e Tricholoma imbricatum F. & Kumm., crescono in autunno nei boschi di conifere e latifoglie, es.: funci tiresa ‘funghi Teresa’ (non è detto che si tratti del nome proprio Teresa).

Tiritèlla [s.f.] Solfa, sproloquio, discorso in cui non si dice nulla di nuovo, es.: u m’armare ste tiritelle e cazzi ‘non mi imbastire (propinare) queste tiritere di cazzi’ (non venirtene con i soliti discorsi del cazzo).

Tiritùppiti [inter.] Guarda pirituppiti.

Tirritìrru [s.m.] Tappo a corona; in paese questo tipo di tappo trova largo uso nell’imbottigliamento della conserva di pomodoro, praticamente, ogni famiglia ha l’utensile (tappatrice) per l’operazione di chiusura delle bottiglie; guarda anche sarza. Fino a qualche tempo fa (forse qualcuno ancora oggi) bambini e ragazzi giocavano ad un particolare passatempo utilizzando un tappo opportunamente modificato (jucare a tirritirri): le operazioni da compiere sono le seguenti: bisogna dapprima appiattire il tappo, poi affilarlo (si usava una pietra di fiume) e, con un chiodino, fargli due piccoli buchini vicino al centro, distanti tra loro 4 o 5 mm, farci passare un filo di lana di mezzo metro circa, infine annodare i due estremi del filo posizionando il piccolo disco al centro; il gioco consisteva nel tenere i due capi dell’anello di lana con le dita centrali delle mani e far compiere a quest’ultime un movimento rotatorio per far attorcigliare il filo; una volta che il filo si è abbastanza attorcigliato, bisogna compiere un movimento a fisarmonica, il piccolo disco inizia a ruotare diventando una piccola lama ruotante; lo scopo del gioco consiste nello sfidarsi con qualcun altro per cercare di tagliargli il filo, anche se non mancavano sfide lama contro lama; in passato non era infrequente vedere lame ricavate dal tappo limato di un barattolo di latta, più grandi e più aggressive.

Tirriùne [s.m.] Torre, ma anche edificio lungo e stretto, variante turriùne.

Tirullallèru [inter.] Voce senza un significato preciso, usato in alcune canzoni popolari insieme a tirullallà, es.: tirullaleru tirullallà sta Calabrisella murire me fa ‘trallalero trallallà questa Calabrisella morire mi fa’ (da una canzone popolare regionale).

Tirùne [s.m.] Grosso quartiere di Mesoraca, confinante a sud con il quartiere Petrarizzu, a nord-ovest con il rione Petrachjana e a est con la Cutura.

Tìsicu [agg.] Tisico, malaticcio.

Tisu [agg.] Teso, tirato, ma anche rigido come un morto e, viceversa, impettito e diritto di chi ancora è vitale, esempi: (lap.) te via tisu di piedi ‘che possa vederti teso dai piedi’ (paralitico), è tisu u viecchju ‘è sano il vecchio’.

Titìddu [s.m.] Ascella, la cavità formata dall’articolazione dell’arto superiore con la spalla; cfr scidda.

Tizzùne [s.m.] 1 Tizzone, pezzo di legno che arde. 2 Molto abbronzato, es.: niguru cumu nu tizzune ‘nero come un tizzone’.

Tocca [s.f.] Tocca tocca, indica uno strumento in legno usato durante la processione del venerdì santo da bambini o ragazzi e dal caratteristico suono cupo ‘toc-toc’, molto suggestivo da sentire in mezzo ai vicoli del paese; sostituisce il suono delle campane. I bambini si posizionano alla testa della processione e se la tocca tocca è sufficientemente grande lavorano in coppia, a turno un bambino gira la manovella che produce il rombo e l’altro monta cavalcioni sopra la cassa. Esistono modelli differenti nella forma e nella dimensione, quelli più piccoli sono formati da una tavoletta con due battenti in ferro, agitando la tavoletta attraverso una piccola asta che si tiene con una mano, si produce all’incirca lo stesso suono, ma di intensità minore; guarda anche raganedda.

Tocca-tocca

Toccarìeddu [s.m.] Piccola cordicella usata per tenere al guinzaglio il maiale quando lo si deve portare alla macellazione, es.: (loc) quannu te chjamanu ppe ru purcieddu portate nu toccarieddu ‘quando ti chiamano per il porcello portati un cordicello’ (per salvare la rima).

Tocculiàre [v.tr.] Tastare, palpare, toccare.

Tomàticu [agg.q. s.m.] Automatico, meccanico, in particolare ci si riferisce ai bottoni a clic.

Tòmmula [s.f.] 1 Tombola, es.: jucamu a tommula ‘giochiamo a tombola’. 2 Tomba, loculo. 

Topinàru [s.m.] Talpa, sinonimo di suriciuervu, Talpa aeuropae L.

Topuliàre [v.tr.] Menar le mani, dare botte, da cui topuliàta ‘buona razione di legnate’.

Torchja [s.f.] Legame vegetale, cordicella, vimine, fibra attorcigliata; adoperate soprattutto quelle fatte da ginestra o polloni giovani di castagno.

Torciamùssu [s.m.] Nasello da cavalli, talvolta usato dai fabbri per aiutarsi durante l’operazione di ferratura, in cui l’animale è costretto a rimanere in piedi su tre zampe.

Torcicùeddu [s.m.] Torcicollo, contrattura dei muscoli del collo, il termine trova largo impiego come imprecazione o come lapida, esempi: ih torcicueddu! ‘porca miseria!’, (lap.) torcicueddu u te pia! ‘ti possa prendere il torcicollo!’.

Torciniàre [v.tr.] 1 Attorcigliare, piegare più volte, come ad esempio il fil di ferro, esempi: torciniacce nu fierru filatu ‘attorcigliaci un fil di ferro’, mi se torcinia u stomacu ‘mi si contorce lo stomaco’ (dalla fame); si rileva anche ntorciniàre come variante; cfr turcire. [v.rifl.] 2 Torcersi, piegarsi, anche in senso figurato, ovvero cincischiare, avere difficoltà a compiere un’azione come ad esempio pagare una spesa.

Torna [avv.] Di nuovo, nuovamente, esempi: torna tu si ‘di nuovo tu sei’, torna ccu tie sa pia ‘un’altra volta con te se la prende’.

Tostìgnu [agg.] Duretto, consistente; guarda anche tuestu.

Trachjùelu [s.m.] Guarda chjatruelu.

Tràcina [s.f.] Antrace, ovvero grossa pustola simile al carvunchju, si differenzia da quest’ultimo per i punti di sfogo del pus, ossia tre fori.

Tràcu [agg.] Perpendicolare, obliquo, di sbieco, es.: e tracu ‘di traverso’.

Traffìnu [s.m.] Il termine è sempre accoppiato a pisce e trova impiego solo in un modo di dire pisce e traffinu, indica un’azione fatta da una persona incline a non mantenere la parola, che inganna, truffatore, es.: m’e fattu nu pisce e traffinu ‘mi hai fatto un pesce di traditore’ (mi hai ingannato; in gran parte del meridione traffinu indica il delfino).

Traìnu [s.m.] Carro a due ruote.

Trama [s.f.] Filo grossolano di lino. 

Tramènte [avv.] Guarda attramente.

Tramìenzu [s.m.] Trave di legno, tramezzo.

Trammu [s.m.] Tram, es.: e mo t’acchjappi du trammu ‘e adesso ti acchiappi dal tram’ (adesso lo prendi in quel posto).

Tramutàre [v.intr.pron.] Prendere freddo, impallidire, ammalarsi, es.: u ppiare friddu ca tramuti ‘non prendere freddo che ti ammali’ (muti da sano a malato).

Trantranìeddu [s.m.] Guarda ciancianieddi.

Tranganiàre [v.intr.] Traballare, scricchiolare, di oggetto o cosa non assestata bene, es.: me para c’u sportellu trangania ‘mi sembra che la portiera cigoli’.

Tranganieddu [s.m.] Trabiccolo, aggeggio di poco valore che scricchiola, congegno inutilmente complicato; il termine è prevalentemente usato in senso figurato col significato di trabocchetto, inganno.

Trapilàre [v.intr.] Avvertire molto caldo, sudare copiosamente, specie quando arrivano le torride giornate estive, es.: se trapila oje ‘si squaglia oggi’.

Trappàre [v.tr.] Toccare, tastare, palpare, palpeggiare, azione che viene compiuta anche nelle zone intime della gallina per sentire se ha un uovo in arrivo, esempi: quannu mi cce trappu sientu ancora nu pocu e dulure ‘quando mi ci tocco sento ancora un po’ di dolore’, m’ha trappatu u culu ‘mi ha palpato il culo’, (loc.) lassu e mpastare e trappu u culu ara gaddina ‘smetto di impastare e tasto il culo alla gallina’ (smetto di fare una cosa importante per farne un’altra di poco interesse ed antitetica).

Trappitàru [s.m.] Addetto, lavoratore del frantoio.

Trappìtu [s.m.] Frantoio delle olive.

Trappu [agg.] 1 Persona lenta nei movimenti o nel fare le cose, pigro, es.: joih cuemu si trappu, maniate a te vestire ‘joih come sei lento, sbrigati a vestirti’. [v.tr.] 2 Indicativo prima persona singolare presente di trappare.

Trappuliàre [v.tr.] Maneggiare, manipolare.

Trappùni [avv.] A tentoni, a tastoni, es.: caminare a trappuni ‘camminare a tentoni’.

Trasìre [v.tr.] Entrare, accedere, esempi: trasa intra ‘entra dentro’, (loc.) fina c’u trasa pane e casu, doppu trasutu pane assolutu ‘finché non entra pane e cacio, dopo entrato pane assoluto’ (spesso per raggiungere uno scopo si fanno tante promesse, che non verranno mantenute una volta raggiunto; sarà scontato, e con una buona dose di pregiudizio, ma sembra un proverbio cucito ad hoc per i politici).

Tràstula [s.f.] Frottola, bugia, inganno.

Trastulànte [s.m.] Che racconta frottole, millantatore, bugiardo, imbroglione.

Trastuliàre [v.tr.] Raccontare qualcosa in modo difforme dal vero, alterare, falsare, ingannare, gabbare, imbrogliare.

Tratrùelu [s.m.] Guarda chjatruelu.

Travagghjàre [v.intr.] Lavorare, operare, agire; termine poco usato, viene preferito fatigare, es.: (loc.) s’u fatghi e nu travagghji ccu quale spaccim ci’ha minti sa tuvagghja? ‘se non fatichi e non lavori con quale faccia ci metti questa tovaglia?’ (se non porti il pane a casa, con quale faccia ti metti ad apparecchiare?).

Travàgghju [s.m.] Lavoro, fatica, attività; termine poco usato, viene preferito fatiga.

Travàre [v.tr.] Scopare, chiavare.

Travìettu [s.m.] Travetto, piccola trave.

Trazza [s.f.] Tratturo, sentiero dove passano le greggi, anche strada di campagna.

Tre canali [s.m.] Suggestiva fontana (e zona) di Mesoraca vicino al vecchio ponte sul Vergari, ovvero nella parte bassa del quartiere Vignicedda; fu costruita nel 1855/56 in pietra arenaria da Antonio Alfiere, davanti ad un portale appartenente all’antica chiesa di Santa Maria della Neve.

Fontana Tre canali

Treìna [s.f.] Insieme di persone, o animali, o oggetti, o eventi pari a tre o circa tre.

Tremarèdda [s.f.] Tremarella, fifa, agitazione.

Trempa [s.f.] 1 Collina un po’ impervia, altura, luogo scosceso, es.: c’è arrivatu trempe trempe ‘c’è arrivato (passando) per le alture (scoscese)’. 2 Tempia, es.: me dolanu e trempe e tantu chi parri ‘mi dolgono le tempie da tanto che parli’.

Tribuliàre [v.tr.] Tribolare, soffrire.

Tricàre [v.intr.] Temporeggiare, indugiare, esitare, es.: trica, tantu è priestu! ‘tarda, tanto è presto!’ (ironico); guarda anche triculiare.

Triculiàre [v.intr.] Perdere tempo, trattenersi, tergiversare, in parole più franche, far girare i coglioni a chi sta aspettando.

Trigghja [s.f.] 1 Triglia di scoglio, Mullus surmuletus L. 2 Grossa sbronza, sbornia, guarda anche pilùcca, es.: chi trigghja c’amu piatu ajieri ‘che bevuta che abbiamo preso ieri’. 3 Tiglio, Tilia chordata Mill., es.: jure e trigghja ‘fiore di tiglio’; da notare che con i fiori e le gemme di questo albero se ne ricava una tisana rilassante.

Trimòja [s.f.] Tramoggia, ovvero specie di grosso imbuto dove vengono rovesciati i cereali per essere macinati.

Tringàre [v.tr.] Sbevazzare, bere molto, in particolare vino.

Trintriddu [s.m.] Tacchetto delle scarpette da calcio o di scarponi da montagna, ma anche un tipo di chiodo, variante cintriddu.

Trippa [s.f.] 1 Trippa, pancia, esempi: (loc.) te lava cuemu a trippa ara jumara ‘ti lava come la trippa al fiume’ (si intercala quando esiste la concreta possibilità che una persona riveli sputtanandoci quello che di confidenziale gli abbiamo raccontato), ara troppa me trappu troppu a trippa ‘alla pianta mi palpo tocco la trippa’ (specie di scioglilingua).
Spezzatinu e trippa: Ingredienti: trippa di vitello, origano, alloro, pomodoro, aglio, sedano, peperoncino, salsa di pomodoro, pomodoro concentrato, olio, sale (a piacere mettere un peperone per l’odore).
Procedura: prendere la trippa e lavarla molto accuratamente sotto l’acqua. Dopo un esauriente lavaggio, metterla in acqua calda e sbollentarla per 5 minuti, poi strofinarla ancora (striculiare); farla raffreddare e tagliarla a strisce, quindi lavarla ancora con bicarbonato e aceto.  Mettere a bollire in una pentola di terracotta per 40 minuti, cercando di sopravvivere all’odore che spigiona. Preparazione del sugo: far soffriggere cipolla, sedano, origano e peperoncino, poi aggiungere la salsa e il concentrato, passata mezzora spegnere il sugo. Alla fine unire il sugo e la trippa (da notare che parte dell’acqua dove ha cotto la trippa va unita al tutto) e far bollire ancora per un 45 minuti circa. Naturalmente il peperoncino piccante deve sentirsi adeguatamente per esaltare di più il sapore.
2 Insieme al sostantivo ‘pecora’ è un tipo di fungo che cresce attorno ai ceppi, specie di castagno, trippa e piecura; è avvolto da una membrana che somiglia ad una pelle e dentro ha la carne che somiglia alla carne vera, non ha la spugna o le lamelle bensì dei tubuli. Appartiene alla famiglia delle Meripilaceae, la specie in oggetto Meripilus giganteus Pers., è un tipo di nasca.
Trippa e piecura a ra pizzaiola. Ingredienti: trippa e piecura, pomodoro pelato, aglio, prezzemolo, basilico, peperoncino, olio, sale, pepe. Procedura: sbollentare il fungo, scolarlo e adagiarlo a pezzi nel sugo precedentemente preparato, far cuocere assieme per un quarto d’ora ancora a fuoco medio.

Trippùtu [agg.] Panciuto, grasso.

Tripùedu [s.m.] 1 Tripode, ossia il treppiede in ferro su cui poggiano le pentole che vengono usate al focolare, la misura varia in base allo scopo, ad esempio quello su cui poggiano le quadare possono arrivare anche a mezzo metro o più di diametro e piedi lunghi dai 20 ai 30 cm, es.: (loc.) simu cunzati a tripuedu ‘siamo sistemati a (come il) tripode’ (la posizione del tripode è abbastanza emblematica, sta tra il fuoco e la pentola, il significato figurato è quindi di essere messi piuttosto male). 2 Strumento musicale conosciuto in italiano col nome di triangolo.

Trisùeru [s.m.] Tesoro, oro, gioielli.

Tritrùelu [s.m.] 1 Cetriolo, nome scientifico Cucumis sativus L., es.: (loc.) Cristu chi criasti i tritrueli e re criasti ccu ru culu amaru ‘Cristo che creasti i cetrioli e li creasti col culo amaro’ (proverbio usato per esprimere avversione, disappunto, contrarietà verso qualcosa o una situazione). 2 Citrullo, sciocco, da cui tritruelu simentinu ‘cetriolo sementino’ (babbeo, testone, zuccone).

Trividdu [s.m.] Piccolo attrezzo in legno adoperato per svuotare le ciarre, è costituito da due parti, la prima a forma di cilindretto cavo (la femmina) da applicare al foro della giara così da prolungarne l’estensione, la seconda da un legnetto che funge da tappo (il maschio); l’incastro, quando non perfetto, è aiutato da della stoppa.

Trìvulu [s.m.] Tormento, turbamento, tribolazione, es.: spuestu e ruga e trivulu e casa ‘simpatico fuori (nel rione) e tribolante a casa’.

Troja [s.f.] Troia, prostituta.

Troppa [s.f.] Termine generico usato per indicare una pianta di verdura o un cespuglio, esempi: all’uertu ce su cinque troppe e pumadueri, tre e vasilicoi e due e spagnolieddu ‘all’orto ci sono cinque piante di pomodoro, tre di basilico e due di peperoncino’, tu si na troppa ‘(ironico) tu sei uno che capisce’, (loc.) nno tutti i panni se spannanu ara stessa troppa ‘non tutti i panni si stendono allo stesso cespuglio’ (non tutti possono beneficiare di una certa situazione); guarda anche attroppicare.

Troppichiàre [v.intr.] Zoppicare, claudicare.

Trotta [s.f.] Trota, Salmo trutta L., es. ara jumara Musè piava e trotte ccu nu retinu picculu e pue le muzzicava ara capu ppe l’ammazzare ‘al fiume Mosè prendeva le trote con un retino piccolo e poi le dava un morso sulla testa per ucciderle’.

Trùebbicu [agg.] Malato affetto da idropisia, è un accumulo di liquidi negli spazi interstiziali dell’organismo, la persona appare bubbonica, rigonfia, molto simile all’edema, es.: (lap.) te via truebbicu! ‘che ti possa veder malato!’.

Trùecciula [s.f.] Carrucola, es.: n’amu sagghjutu u cimentu ccu ra truecciula ‘ci abbiamo salito (ci siamo portati su) il cemento con la carrucola’.

Trùenu [s.m.] 1 Tuono, fragore, es.: è cadutu nu truenu ‘è caduto un tuono’ (è caduto un fulmine). 2 Il nome del sesto vuddu della jumara, es.: jamu a natare aru Truenu ‘andiamo a nuotare al Tuono’; guarda anche fenza e zumpune.

Trùettu [s.f.] Rutto, flato.

Trugghjàni [s.f.] Località di campagna in posizione sud-est rispetto al comune, vicino alla località Timpa da Signora; dall’antica borgata denominata Troyani (o Troiani o Vico Troiani) sorta come frazione di Mesoraca nel XVI secolo, cinque o sei casupole intorno ad un casale (casale dei Troiani), es.: (loc.) cuemu e monache di Trugghjani ‘come le monache di Troiani’ (è l’equivalente del modo di dire italiano “gridare al lupo lupo”; si racconta che in questa località si trovasse un convento di monache, con la popolazione di Mesoraca avevano stabilito, per convenzione, che se fosse stato necessario avrebbero chiesto aiuto suonando le campane, un giorno le suore, per vedere se i mesorachesi sarebbero accorsi ad una loro richiesta, suonarono le campane per prova; dal paese arrivarono uomini armati con bastoni e altri armi, ma  presto si accorsero che si trattava di un falso allarme, da allora è rimasto il modo dire cuemu e monache di Trugghjani.

Trumma [s.f.] Tromba, da cui trummicèdda ‘trombetta’; a Mesoraca la trummicedda (a forma di piccolo corno) indica quasi sempre quella usata il venerdì santo durante la processione.

Trunàre [v.intr.] 1 Tuonare, tonitruare, esempi: (loc.) duve trona e duve lampa ‘dove tuona e dove lampeggia’ (proverbio usato per indicare che non tutti si trovano nelle stesse condizioni), senta cuemu trona ‘senti come tuona’. 2 Scoreggiare, meteorismo rumoroso, es.: (loc.) quannu u culu trona a vita sta bona ‘quando il culo tuona, la vita sta bene’ (scoreggiare è salutare).

Trunzu [s.m.] Torsolo, ossia la parte centrale di una mela o di una pera dove sono contenuti i semi, ma anche il garzuolo di piante come i broccoli, i carciofi o la lattuga.

Trùscia [s.f.] Povertà, indigenza, ristrettezza economica; guarda anche ntruscia.

Truttàre [v.intr.] Ruttare, emettere flati dalla via superiore.

Truzzàre [v.intr.] 1 Brindare, bere alla salute. 2 Urtare, cozzare.

Tta [pron.pers.] Guarda ta.

Tte [pron.pers.] Guarda te.

Tté [s.m.] La bevanda che si ottiene mettendo in infusione le foglie essiccate della pianta Camellia sinensis (L.) Kuntze, es.: sedate ca te fazzu nu tté ‘siediti che ti faccio un tè’.

Ttie [pron.pers.] Guarda tie.

Ttu [pron.pers.] Guarda tu.

Tu [pron.pers.] 1 Pronome personale tu, esempi: tu si statu ‘tu sei stato’, tu e jire ‘tu devi andare’. [pron.pers.c.] 2 Pronome personale te (tu) combinato con il pronome u (lo), è corretto scrivere t’u, esempi: t’u vivi tu su vinu e mmerda ‘te lo bevi tu questo vino di merda’, va’ ca t’u cucina sorta ‘va’ che te lo cucina tua sorella’; assume la forma tt’u quando è preceduto dalla negazione u (non), esempi: u tt’u strudire subitu ‘non te lo consumare subito’, u tt’u mmuddu u puzzu ‘non te lo tappo il pozzo’; da notare che l’avverbio ‘non’ e l’articolo-pronome ‘lo’ in dialetto sono identici ossia u.

Tubbu [s.m.] Tubo, condotto.

Tue [agg.poss. pron.poss.] Aggettivo e pronome possessivo ‘tuo’, invariante il plurale femminile (tue), esempi: cca c’è du tue ‘qua c’è del tuo’ (di tua proprietà), u tue duv’è? ‘il tuo dov’è?’, su bbenute e figghje tue a m’u dire ‘sono venute le tue figlie a dirmelo’, e piecure tue u lil’e dare ‘le tue pecore non gliele devi dare’; guarda anche tui.

Tùeccu [s.m.] 1 Tocco, fare la conta, l’atto pratico consiste nell’allungare la mano esibendo (tutti in cerchio) nello stesso momento un certo numero di dita, in seguito si calcola il totale e poi si inizia a contare in genere in senso orario, l’ultimo che viene “toccato” è la persona designata a fare qualcosa, se il gruppo è formato da sole due persone la sfida è diretta e di solito si risolve nello scegliere, prima di esibire le dita, se il risultato sarà pari o dispari, esempi: facimu u tueccu prima ‘facciamo la conta prima’, na facimu aru tueccu ‘ci sfidiamo al tocco’. [agg.] 2 Tocco, persona un po’ matta, che non c’è molto di testa, es.: (lap.) chi te via nu tueccu malignu ‘possa vederti un tocco maligno’.

Tùerchju [s.m.] Torchio, pressa.

Tùerni [s.m.] Località presilana, castagneto, del territorio di Mesoraca posta a nord-ovest rispetto al centro abitato.

Tùertu [s.m.] Torto, sopruso.

Tùessicu [agg. s.m.] Molto amaro, tossico, es.: su cafè è amaru cuemu nu tuessicu ‘questo caffè è amaro come un veleno’.

Tùestu [agg.] Duro, sodo, non maturo, ma anche ubriaco, esempi: u cugghjire e pira ca su toste ‘non raccogliere le pere che sono dure’, è tuestu, purtamunnelu ara casa ‘è ubriaco duro, portiamolo a casa’.

Tùetula [s.f.] Non c’è un corrispettivo termine italiano, la tuetula è una parola usata figuratamente che si intercala per indicare all’interlocutore, in tono ironico o sarcastico, l’assenza di qualcosa, un contenitore riempito di nulla, è anche impiegato come termine sostitutivo del pene nei suoi usi metaforici e colloquiali, infine è adoperato anche l’accrescitivo tuetulùne per dare maggiore enfasi, esempi: u ttena na tuetula ‘non tiene una tuetula’ (non ha niente) nne vue tùetule? ‘ne vuoi tuetule?’ (lo vuoi un bel niente?), ci nn’ha tuetule! ‘ce n’ha di tuetule!’ (meglio tradotto con ‘ce ne sono di tuetule!’ ossia non c’è niente), nu bellu tuetulune ‘un bel tuetulune’ (un bel niente elevato a niente’), te dugnu na bella tuetula ‘ti do un bel cazzo’, sta tuetula! ‘questa tuetula!’ (‘sto cazzo!’, può essere accompagnata, dalla popolazione maschile, dal gesto di toccarsi i genitali).

Tùezzu [s.m.] Tozzo, pezzo, esempi: nu tuezzu e pane ‘un tozzo di pane’, (loc.) ara tavula du povarieddu u mancanu e tozze ‘alla tavola del poverello non mancano i tozzi’ (a casa dei più sfortunati rimedi sempre qualcosa da mettere sotto i denti, foss’anche un pezzo di pane raffermo e una crosta di formaggio).

Tufa [s.f.] Rivoltella, pistola.

Tuffu-zumpùne [s.m.] Alla lettera ‘tuffo-gran salto’, modalità di gettarsi in acqua (dagli scogli della jumara) molto discutibile, consistente nel tuffarsi di testa e poi girarsi di piedi o viceversa rischiando di fare una clamorosa spanciata.

Tui [agg.poss. s.m.] Aggettivo possessivo plurale maschile ‘tuoi’, esempi: fatti i cazzi tui ‘fatti i cazzi tuoi’, ccu i tui cuemu va? ‘con i tuoi (genitori) come va?’; guarda anche tue.

Tuma [s.f.] Formaggio fresco, ovvero la cagliata, cioè la prima fase del formaggio, non ancora salato e non ancora messo nelle forme.

Tuminàta [s.f.] Unità di misura dei terreni agricoli, corrispondente a 3.300 mq, ossia la terza parte dell’ettaro.

Tùminu [s.m.] Tomolo, recipiente in legno per la misura della quantità di grano e altri aridi, corrisponde a circa 48 kg, ossia due menzaluri, ovvero a 55,31 litri (FS).

Tumma [agg.] Invecchiare precocemente, trascurarsi visibilmente, es.: juih! Ha datu na tumma ‘juih! S’è lasciato andare’ (è invecchiato velocemente).

Tummàre [v.intr.] 1 Cadere, rotolare, tombare, capovolgersi. 2 Scopare, fornicare.

Tummarìeddu [s.f.] Piccolo cilindro di legno impiegato per sostenere i licci del telaio e non farli cadere.

Tummarìnu [s.m.] 1 Piccolo tamburo, cembalo. 2 Persona bassa e tarchiata.

Tunàtru [pron.pers.] Alla lettera ‘tu un altro’ (tu n’atru), ossia ‘anche tu’, un po’ aggressivamente, è usato per rafforzare il pronome tu, esempi: tunatru cchi bbue? ‘tu che vuoi?’, tunatru ce vulie ‘pure tu ci volevi’.

Tunda [s.f.] Testa rasata o pelata, esempi: t’e fattu a tunda ‘ti sei fatto la testa rasata’, tena a tunda ‘tiene la pelata’.

Tuni [pron.pers.] Epitesi di tu, con funzione rafforzativa ‘proprio tu’, es.: si statu tuni ‘sei stato proprio tu’.

Tunnìnu [s.m.] Tavolinetto rotondo sostenuto da tre piedi.

Tunnu [agg.] Rotondo, tondo, es.: (loc.) chine nescia tunnu u ppò morare quatru ‘chi nasce tondo non può morire quadrato’ (chi nasce con un certo difetto morirà con quel difetto; ultimamente si sta affermando una certa apertura di vedute su questo proverbio distorcendolo positivamente chine nescia tunnu pò murire cumu cazzu le para ‘chi nasce tondo può morire come cazzo gli pare’).

Tuppàre [v.intr.] Cadere, inciampare, intoppare; verbo poco adoperato.

Tuppi [inter.] Tuppi tuppi, voce imitativa usata per indicare il bussare contro una porta o un portone; guarda anche tuppuliare.

Tuppìddu [s.m.] Probabile sineddoche di tuppu, indica il cervello, la testa, esempi: su vinu m’è datu intr’u tuppiddu ‘questo vino mi ha dato alla testa’, si pazzu intr’u tuppiddu ‘sei pazzo dentro all’encefalo’.

Tuppu [s.m.] Crocchia, chignon, es.: u bbidu cchjù fimmine ccu ru tuppu ‘non vedo più donne con la crocchia’.

Tuppuliàre [v.intr.] Bussare, battere.

Turcìre [v.tr.] Torcere, strizzare, es.: aje turcire ancora i panni ‘devo ancora strizzare i panni’.

Turdu [agg.] Intontito, ritardato, stupido.

Turdunàru [s.m.] Antico epiteto dato agli abitanti di Mesoraca dai paesi vicini (Rohlfs); guarda anche ammazzapatruni.

Turdùne [s.m.] 1 Tontolone, duro a capire, es.: chissu è propriu nu turdune ‘questo è proprio stupido’; guarda anche nturdunare. 2 Castagna che non è stata indurita dal fumo, castagna rimasta morbida (pastiddu mueddu); guarda anche pastiddi.

Turnìsi [s.m.pl.] Soldi, danaro.

Turra [s.f.] Località di Mesoraca situata sul lato destro del torrente Riaci, vicino al punto di riferimento chiamato Macellu.

Turrunchjùne [s.m. agg.] Termine che si usa per indicare un cibo non cotto adeguatamente, per la maggior parte delle volte è riferito alla pasta, es.: falla cociare bona sta pasta ca resta a turrunchjune ‘falla cuocere bene questa pasta che se no rimane dura’.

Tùrvule [agg.] Torbido, impuro, es.: nu vinu turvule ‘un vino torbido’; guarda anche nturvulare.

Tussa [s.f.] Tosse, famosa è quella cumpursiva (compulsiva) ossia la pertosse, provocata dal batterio Bordetella pertussis Bergey.

Tussìre [v.intr.] Tossire, variante tussàre.

Tuttu [agg.] Tutto, completo.

Tuu [agg.poss. s.m.] Tuo, che appartiene o è inerente a te, esempi: damme u portafogliu tuu ‘dammi il portafoglio tuo’, è statu buenu u cunzigghju tuu ‘è stato positivo il tuo consiglio’, è nu cliente tuu ‘è un tuo cliente’, cca c’è du tuu ‘qui c’è del tuo’ (di tua proprietà), ci l’e mintire du tuu ‘ce lo devi mettere di tuo’; guarda anche ta e tue.

Tuvàgghja [s.f.] Asciugamano, tovaglia, da cui tuvagghjedda ‘asciugamano per le mani’.

Tultima modifica: 2022-03-13T10:52:12+01:00da mars.net